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Autore: IndianaJones25    26/01/2021    2 recensioni
È una luminosa e calda giornata estiva di fine Ottocento quando, in una casa di Princeton, nel New Jersey, nasce l’unico figlio del professor Henry Jones Sr. e di sua moglie Anna.
Nel corso dei venticinque anni successivi, il giovane Junior vivrà esperienze indimenticabili e incontrerà persone straordinarie, in un viaggio di formazione che, tappa dopo tappa, lo porterà a diventare Indiana Jones, l’uomo con frusta e cappello, il più celebre archeologo del mondo…
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abner Ravenwood, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr., Marion Ravenwood, René Emile Belloq
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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VII.
AFRICA ORIENTALE BRITANNICA, SETTEMBRE 1909

   Le ampie savane rinsecchite, simili a distese di paglia ingiallita, si scontravano all’improvviso con le impenetrabili foreste assetate che si stendevano verso il meridione. All’orizzonte, sulle cime delle basse montagne che parevano baluginare nel calore, di quando in quando si levavano verso il cielo pennellato di blu nugoli di fumo grigio: piccoli incendi spontanei, dovuti al forte calore e al riverbero dei raggi solari che non trovavano ostacoli e incendiavano le sterpaglie. Alberi scheletrici si scambiavano sussurri nel silenzio irreale. Rinoceronti, zebre ed elefanti si muovevano placidamente nel solleone, brucando il poco cibo o dissetandosi a qualche pozza fangosa sopravvissuta alla canicola. Di quando in quando, dalle profondità della prateria, si levava alto e possente il ruggito affamato del leone. Un arido spettacolo, che nel volgere di pochi giorni soltanto, con il sopraggiungere della stagione delle piogge, sarebbe mutato completamente.
   Nonostante il clima arido, però, nell’accampamento si stava molto bene, sia durante il giorno che nel corso della notte. Sotto la tenda di lino si riusciva a godere di un poco di frescura e a riposare, almeno se si imparava a ignorare il costante ronzio delle zanzare e non ci si lasciava suggestionare dai mille rumori che provenivano dall’immensa oscurità circostante.
   Comunque, il campo era dotato di ogni comodità a cui potessero ambire dei viaggiatori europei e americani giunti a nord-est del lago Vittoria. C’era persino una doccia, perlomeno se si potevano chiamare in quella maniera le assi di legno legate insieme con il fil di ferro a formare una stretta cabina, al di sopra della quale, appeso a un palo, si trovava un secchiello bucherellato, che all’occorrenza veniva riempito di acqua.
   A Indy piaceva da impazzire quella specie di doccia. Si divertiva da morire a stare nudo sotto quel getto discontinuo e tiepido, accarezzato dal sole africano che splendeva alto nel cielo, mentre la mamma gli insaponava i capelli o lo cospargeva di talco. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe dovuto arrivare in quei luoghi selvaggi per avere un contatto così intimo con sua madre, per trovarsi tanto vicino alla più bella, dolce e buona donna che gli fosse mai capitato di conoscere?
   Anche Anna sembrava divertirsi tantissimo. Messa da parte la sua innata pudicizia, attraversava l’intero accampamento con indosso soltanto un asciugamano e con i capelli sciolti sopra le spalle, sfidando con un sorriso radioso gli sguardi dei numerosi presenti; poi entrava nella stretta cabina con suo figlio e se lo sfilava di dosso. E lì, finalmente soli, madre e figlio giocavano e ridevano, divertendosi a schizzarsi addosso acqua e sapone, dividendo l’intimità di quei momenti che appartenevano soltanto a loro.
   Qualche volta, colto dal buonumore, anche Henry prendeva parte allo scherzo. Con un secchio di acqua fredda tra le mani, si avvicinava di soppiatto alla doccia, lo sollevava sopra le testa e lo rovesciava addosso ad Anna e a Junior, strappando loro grida e risate. Aveva però smesso con quel suo lazzo da quando, pensando che Anna si stesse lavando, aveva invece rovesciato l’acqua gelida addosso a una stupefatta miss Seymour, mentre sua moglie se la rideva dalla grossa nascosta sotto una tenda.
   C’era un altro uomo, in quell’accampamento, molto interessato a quella famigliola. I suoi occhi attenti seguivano non tanto la pur bellissima Anna, capace di far girare parecchie teste, bensì suo figlio, Henry Junior, senza mai perderlo di vista un solo istante. Perché l’ex Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt sapeva riconoscere al volo delle potenzialità, e in quel bambino ne aveva viste davvero tante.
   «Ragazzo mio, vieni qui» gli disse un giorno, mentre sedeva sopra un masso, facendogli cenno di avvicinarsi.
   Indy obbedì, guardingo. Sapeva bene chi fosse quell’uomo dallo sguardo arcigno e ne era un po’ intimorito. Ma Teddy Roosevelt sapeva rivelarsi un tipo affabile e alla buona, anche se dai modi un po’ spicci.
   «Lo sai cos’è, questo?» gli disse, mostrandogli un revolver dal calcio in noce e con la canna tirata a lucido.
   «Una pistola, signore» titubò Indy, che fino a quel momento aveva visto oggetti simili soltanto tra le mani degli intrepidi eroi raffigurati sulle copertine dei suoi romanzi preferiti.
   «Questo, figliolo, è il solo e unico giudice del vecchio West» disse l’ex presidente. «Il suo era un giudizio inappellabile e, per molti aspetti, lo è ancora. Il vecchio giudice Samuel Colt ha una sola sentenza e, quando questo verdetto è emesso, non c’è corte o giuria che possa mutarlo o presidente che possa concedere la grazia. Vieni, voglio insegnarti la maniera più efficace per adoperarlo. Ora potrebbe sembrarti strano, ma ti assicuro che, nella vita, ricorrere a lui può salvarti la pelle. Tieni presente questa cosa, ragazzo mio: non è chi parla di più e meglio, che vince, per quanto possano cercare di convincerti del contrario. Vince chi spara per primo, senza perdersi in inutili chiacchiere o in futili e sciocchi destreggiamenti, sia con la lingua che con la spada. Questa era la filosofia della frontiera, ed è la filosofia ancora oggi più valida nel mondo. La penna e la lingua possono ferire, ma è il revolver che fa fuori gli avversari più ostinati. E, naturalmente, un fucile ne fa fuori ancora di più, e da più lontano. Tienilo sempre a mente.»
   Così, da quel giorno, Indy cominciò ad allenarsi nel sparare a bottiglie e a sassi. Presto la sua mira si fece più sicura e il suo braccio cominciò a controllare al meglio il rinculo. Nel volgere di pochi giorni poteva già dirsi un discreto tiratore, che sapeva anche smontare, pulire e rimontare l’arma in una manciata di minuti soltanto.
   Anna, da principio, non fu molto d’accordo; ma Henry, come sempre in quei casi, minimizzò la cosa, dicendo che a loro figlio sarebbe servito parecchio conoscere quel tipo di utensili, per non avere poi la tentazione di prenderli in mano per sbaglio, se ne avesse trovato uno per caso.
   «Imparare a sparare gli farà bene» sentenziò un mattino, osservando il figlio che si allenava. «Così, conoscendo la brutalità delle armi da fuoco, non le vorrà mai utilizzare. La conoscenza è la vera chiave, Anna.»
   E più volte, mentre prendeva con attenzione la mira, Indy si domandò se avere Teddy Roosevelt come maestro di tiro gli sarebbe davvero servito a qualcosa, oppure se, dopo quell’esperienza in Africa, non avrebbe mai più sparato un solo proiettile in tutta la sua esistenza.
   
 
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