Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: milkbreeeead    26/01/2021    1 recensioni
Cos'è l'arte?
Kenma Kozume non lo sapeva.
O almeno, non prima di incontrare Kuroo Tetsurou.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cos'è l'arte? 

Una serie di fraintendimenti e paradossi; come tutto può essere arte, anche il niente può esserlo, l'arte del vuoto, della carta bianca. Arte è ovunque, arte è in ogni angolo, basta saper cercare; ma anche se non si sa, non è che abbia molta importanza. Sta tutto nella mimica, nel modo in cui qualcosa si presenta agli occhi di qualcuno che crea arte, nel modo in cui viene interpretata e assimilata, nel modo in cui viene esercitata; tuttavia, quando si pensa all'arte si pensa a qualcosa di eccessivamente perfetto, impeccabile a un occhio oggettivo, quando in realtà non è così. Tutto è arte e niente è arte, perché essa dipende dall'ottica propria di una persona, che modella e scolpisce in qualità di individuo, e sempre in qualità d'individuo sta a lei, e solo per sé, decidere se qualcosa - o qualcuno- è arte ai suoi occhi.

Per questo Kenma Kozume disprezzava i critici. Se il concetto di arte - come del resto quello di bellezza- varia da mente a mente, allora perché dovevano mettere i bastoni tra le ruote a chi cercava di condividere la propria e personalissima concezione d'arte con chi l'avrebbe apprezzata per davvero? Nessuno, a parte l'autore e i suoi devoti, aveva il diritto di esprimere un'opinione riguardo un quadro, sicché era chiaro che non si sarebbe mai giunti a un punto comune. Perché sprecare tempo? A che pro? Arte è musica, arte è pittura, arte è scrittura, arte è casa, arte è natura e tutto ciò che crea, arte è uomo e tutto ciò che crea.

Ma cos'era l'arte, per Kenma?

Non ne era sicuro. Dopo anni di studi ancora non conclusi, non aveva ancora trovato niente o nessuno che rispecchiasse i canoni che avrebbero definito per lui l'opera perfetta, la fonte suprema d'ispirazione. Si era appassionato a correnti artistiche, a opere, a fumetti, com'era giusto che fosse; ma era semplice stima, e non pura ed eterna adorazione, che ti trattiene immobile a osservare le linee, i tratti di colore, la struttura, la storia che si intrecciava all'interno di un'opera. Aveva visitato musei su musei: era stato al Louvre, e al MoMA, e agli Uffizi, e alla National Gallery. Aveva riportato sul suo blocco da disegno centinaia e centinaia di soggetti di quadri che avevano catturato il suo sguardo, ma nessuno sembrava esser degno della sua dedizione: erano vuoti come gusci, privi di ispirazione alcuna; per qualcuno potevano sì essere arte, ma al suo insaziabile occhio proprio non andavano giù, non soddisfacevano abbastanza, davano quella sensazione di febbrile ammirazione destinata a scemare nell'etere e a galleggiare come pulviscolo. Non erano che pagine, non erano che tele. Lui voleva oro e trovava bronzo.

Arrivato a un certo punto della sua vita, cedette alla tediosa arte della resa, che per carità, era pur sempre un'arte, ma senza colori. Non si sforzò più di trovare la sua ispirazione. Si era arreso all'idea che probabilmente non esistesse, e non sarebbe mai esistita, e che avrebbe continuato a vagare senza meta nel suo mondo opaco e poco saturato per il resto della sua permanenza sulla Terra, e quasi aveva perso la voglia di creare la propria, di arte. Si sedeva ancora nei musei a disegnare, ma era più per passatempo che per studio attento e metodico, più un'abitudine che non sapeva lasciar andare. La sua piccola oasi di pace era diventata una galleria d'arte moderna nei pressi del porto della città dove studiava, in Francia: sedeva sulle panche disseminate in giro per il museo, indossava le sue cuffie, avviava la riproduzione della sua playlist e lasciava che la mano andasse per sé e descrivesse figure nascoste nei meandri del suo subconscio. Lui oscillava lo sguardo ora sul suo blocco ora sugli altri visitatori, che aveva imparato a esaminare attentamente, e quando si imbatteva in visi che lo affascinavano, subito quella mano scorreva celere sul foglio per catturare quel bagliore sporadico di bellezza. Ed era arte, lì, di fronte a lui, ma erano solo scintillii, e aveva bisogno di un grande fuoco che gli ardesse nel petto.

Poi, improvvisa come un temporale d'estate, lei giunse. E come tutte le cose più belle, era custodita nel posto più assurdo che potesse mai immaginare.

Intanto, era un uomo. Non che avesse qualche problema a riguardo: non era novità che preferisse gli uomini alle donne, ché per lui erano fonte di fascino e stupore: al liceo aveva ritratto così tante volte attributi maschili - sessuali e non- che era stato preso di mira da alcuni ragazzi del suo corso, che di epiteti gliene avevano dati tanti, ma uno spiccava tra tutti: 'frocio'. Avrebbe potuto controbattere, ma a cosa sarebbe servito? Avrebbe potuto fare un elenco infinito di motivi per cui il corpo maschile lo attraeva così tanto, e non sarebbe stato capito comunque. Ai suoi occhi era arte, ma a un occhio altrui poteva non essere tale, e andava bene così. Ognuno la avverte a modo proprio, e quello era il suo.

Però non aveva mai amato un uomo. Non che avesse mai amato una donna, per inciso. Non aveva mai amato e basta, e forse ciò che realmente cercava era l'arte dell'amore, non il contrario.

Forse era per quello che il paradigma della perfezione, l'ispirazione suprema fosse una persona e non qualsiasi altra cosa; però sapeva - lo seppe fin dal primo istante- che era lui. Erano i suoi capelli corvini scombinati e il suo sorriso tendente al ghigno, erano gli occhi dal taglio felino e la corporatura ben impostata, erano le spalle larghe e i fianchi stretti, erano le dita affusolate e la matita che stringeva tra esse. L'occhio attento e giudizioso che guizzava da un'opera a un'altra, le mani ruvide che scarabocchiavano qualche appunto su un bloc notes rosso, il passo lento, il piccolo vizio di mordicchiarsi l'unghia del pollice per non perdere la concentrazione. La sua immagine iniziò a prender spazio nella mente di Kenma come petrolio nel mare, insediandosi in tutte le fessure, e presto non riuscì a far altro che pensare a lui, al suo corpo, a quanto desiderasse analizzarlo, raffigurarlo, tastarlo, addirittura. La notte sognava quell'uomo senza nome carezzargli la guancia, affondare le dita tra i suoi capelli fin troppo lunghi, sussurrargli parole d'amore, strusciare la pelle contro la sua, ondeggiare i fianchi in sintonia coi suoi, baciare ogni singolo millimetro della sua pelle. E a vederlo quasi ogni giorno un po' s'imbarazzava, come se in qualche modo potesse avvertire i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue fantasie impossibili con qualche superpotere psichico. Ma quello non era un film, era la vita vera, e per fortuna quel suo vagare con la mente sarebbe rimasto recluso, al sicuro nella sua mente.

Ogni tanto capitava che i loro sguardi si incontrassero, così, casualmente, come due conoscenti in una piazza; si incatenavano per un secondo, ma poi si scioglievano subito, per timore di una qualche ripercussione. Tuttavia, per Kenma era il paradiso guardare in quegli occhi color ambra, in cui perdersi e non ritrovarsi mai più, anche se era già perso in lui da un pezzo e quelle rapide occhiate non facevano altro che inghiottirlo ancora di più nelle sue sabbie mobili. Ogni tanto capitava che si soffermassero sulla stessa opera, che fossero così vicini da potersi sfiorare; e con la coda dell'occhio lo studiava da vicino, ne descriveva i tratti somatici nel suo blocco per non dimenticarli e magari trasferirli nei suoi sogni, cosicché prendessero ancora più colore, come una grande tela gocciolante.

In una di quelle evenienze, ebbe la fortuna di avere una conversazione con lui, la prima in settimane di osservazione e adorazione silenziosa. Fu lui ad attaccare bottone, il che fu inaspettato, visto che si era auto-convinto del fatto che probabilmente non aveva alcun interesse nel passare il suo tempo con un ragazzo come lui. Con gli occhi puntati su un'opera che raffigurava dei pesci in una boccia, il ragazzo senza nome che ormai abitava la sua mente disse: "Potrebbe quasi dirsi banale, questo quadro, non credi?"

Inizialmente, Kenma sussultò per due motivi in particolare: il primo, il fatto che si stesse rivolgendo direttamente a lui; il secondo, il suono della sua voce, che mai aveva udito prima d'allora, e di certo non aveva deluso le sue aspettative: anzi, era ancora più bella di come l'avesse immaginata. Ah, quanto avrebbe desiderato essere capace di raffigurarla! 

"Non mi trovo d'accordo, in realtà. Penso bisogna andare un po' più in fondo per coglierne il significato. Non che io sia chissà chi per poterne parlare con contezza, sono solo un misero studente dell'Accademia delle Belle Arti, non certo un critico o un esperto in simbolismi, ma credo che possa raffigurare un po' quel sentimento di impossibilità che ti occlude e ti reclude dentro la tua boccia. Come se volessi essere libero ma non sei altro che un pesce fuor d'acqua, e credo che i colori scuri stiano a evincere questa sensazione di pressione, ecco" si vergognò al pensiero di aver detto, con molta probabilità, una marea di stupidaggini al ragazzo di cui stava cercando di attirare l'attenzione. Quest'ultimo fece un mezzo sorriso e gli porse la mano.

"Sembri sapere il fatto tuo. Mi chiamo Kuroo Tetsurou, e penso di avere una passione per chi improvvisa analisi di opere". Si soffermò sul suo sorriso mite, con una nota maliziosa, e tentò di associare quel viso a quel nome, e combaciava quasi perfettamente. Kuroo, Kuroo, Kuroo. Immaginò sussurrarlo sottovoce, mimarlo con le labbra, gridarlo a squarciagola, soffocarlo tra i gemiti. Poi immaginò la sua voce chiamare il proprio, masticarlo sotto ai denti, sospirarlo al suo orecchio, intenerirlo con un sorriso. Ed era una sensazione fuori dal comune.

Kenma arrossì per l'imbarazzo, ed esitò prima di stringergli la mano; quando lo fece, una piccola scarica elettrica lo scosse. "Kenma Kozume, piacere".

"Kenma, eh? Non sei di queste parti, vedo. Beh, nemmeno io, a dire il vero. Da quanto tempo studi all'Accademia?"

Lui scrollò le spalle. "Non tanto, in realtà. Un anno, circa".

"Eppure, parli come un esperto" gli fece presente. Kenma guardò altrove. 
"Ho solo imparato a interpretare ciò che vedo a modo mio".

"Non è da sottovalutare. Sai, io aspiro a diventare un critico d'arte, e passo qui molto tempo a prendere appunti sulle opere; ogni tanto, chiedo anche i pareri altrui, giusto per curiosità. Di solito mi imbatto in persone poco competenti che sanno dire davvero poco riguardo ciò che pensano di un'opera. Ma tu... beh, era da un po' che non mi capitavano persone come te. Che sanno guardare oltre".

Kenma fece una smorfia di disgusto. "Non apprezzo i critici d'arte in generale, perché spesso sono lì solo per rompere le uova nel paniere a chi dedica anima e corpo a un'opera, però apprezzo il fatto che tu cerchi opinioni altrui per discuterne."

"È più un vizio che reale interesse. Tendo a essere fin troppo obiettivo, a volte, per questo cerco l'opinione altrui; mi è d'aiuto. E la tua è stata illuminante. Posso offrirti un caffè o una cioccolata calda per ripagarti di questo tuo gesto?" Ciò che stava vivendo non poteva essere reale. No, era troppo cliché, aveva visto quella scena fin troppe volte nei film e ne aveva letto i particolari nei libri. Non poteva semplicemente essere vero che la sua musa, colui che rappresentava la perfezione e per cui probabilmente provava una sorta di attrazione di stampo platonico, gli stesse direttamente proponendo di intrattenersi con lui. Era troppo scontato, troppo finto. Ma chi era lui per lasciarsi scappare un'occasione del genere? Che fosse cliché o no, non aveva importanza. Era lui.

"Mi farebbe piacere" Kuroo sorrise, e fu lì che Kenma realizzò: era irrimediabilmente, irreparabilmente innamorato di quel ragazzo con cui aveva scambiato letteralmente due parole, ma che gli pareva conoscere da una vita. Beh, forse amore proprio no: dopotutto, Kenma neanche sapeva cosa fosse, di preciso. Ma ne aveva il sapore, lo sentiva sulla lingua, agrodolce e un po' speziato. Ne aveva la forma, l'odore. Ne aveva la sensazione. Sentiva frizzare i polpastrelli delle dita e avvampare le gote. E cosa avrebbe potuto essere?

Recuperò la sua borsa, il suo blocco da disegno e seguì il corvino fuori dalla galleria, attraversando un cortile interno e raggiungendo il bar del museo. I due presero posto a un tavolo vicino a un camino, e per il calore a Kenma venne da tirarsi su i capelli, ma Kuroo poggiò una mano sulla sua scuotendo la testa. "Stai molto meglio coi capelli sciolti. Cioè, potrebbe suonar strano detto da un completo sconosciuto, ma ti stanno meglio così". Kenma lo osservò, assorto, e non gli passò più nemmeno dall'anticamera del cervello di legarseli. Il tocco delle sue dita sulla sua mano gli restò impresso come un marchio a fuoco.

"E allora, cosa fai di preciso tu in questo museo?" Kenma si grattò il capo. "Niente di particolare. Mi siedo e osservo. Disegno, anche. Cioè, in realtà la maggior parte del tempo".

"Cosa ti piace di più disegnare?"

"Mh, non so. Uomini, di solito. Non mi piacciono i corpi femminili. Poi, quando vedo qualcuno che mi colpisce, disegno il suo viso. Un po' qualsiasi cosa che mi capiti a tiro, a dire il vero." Si astenne dall'aggiungere lui all'elenco dei suoi soggetti preferiti.

"Anche io penso che il corpo maschile sia più... affascinante, in qualche modo. Adoro il corpo femminile, per carità; tutte quelle forme aggraziate sono una goduria per gli occhi. Però... non so, sinceramente. Gli uomini hanno un portamento più sicuro, più forte, ma non sono quei tipi di corpi pompati e super allenati che mi attraggono. Preferisco quelli un po' più gracili, che i loro muscoli si possono tracciare con una 3H da quanto sono sottili. Non so cosa abbiano di più interessante, forse perché sono un tipo di bellezza diverso rispetto quello a cui tutto il mondo è abituato. È che... insomma, far scorrere la mano su un petto liscio come quello è appagante, sai..." Kenma tentò disperatamente di ascoltare con attenzione il discorso, ma a un certo si perse nei suoi pensieri, in quelle ridicole fantasie adolescenziali, in quelle martellanti domande: e se parlasse di me? E se stesse facendo un'allusione al fatto che io sia gracile? E se fossi io la sua arte come lui è la mia?

"Mi ascolti, Kenma?" disse, accorgendosi della sua disattenzione. "Uhm, scusami. Sì, hai detto che ti piacciono i ragazzi. Cioè, non in quel senso, ecco. Però posso capirlo, insomma, anzi mi fa piacere che qualcuno la pensi come me, non era mai successo prima d'ora. Fino alla fine del liceo sono stato perseguitato da degli idioti per questo".

Kuroo si portò una mano alla bocca per la sorpresa. "Oh mio Dio, mi dispiace..."

Kenma scrollò le spalle. "Non preoccuparti per me, sto bene adesso. E comunque, cioè, è vero che mi piacciono i maschi. Qualcosa che ho accettato recentemente. Ai tempi pensavo si trattasse solo di preferenze di soggetti da disegnare".

"Hai mai avuto un ragazzo?" Kenma era certamente lusingato dall'interesse che stava dimostrando nei suoi confronti, ma la cosa stava scendendo molto sul personale e aveva paura che si rivelasse una brutta scelta: d'altronde, non è che conoscesse Kuroo da così tanto tempo. Certo, si conoscevano nei sogni di Kenma, ma a livello fisico non c'era stato proprio nulla; quindi perché fargli questa domanda? Voleva forse tastare il terreno prima di metterci il piede sopra?

"No. Non ho mai avuto una cotta seria, se è per questo; solo infatuazioni passeggere".

Kuroo lo guardò come se avesse appena detto di aver visto un alieno. "Davvero?"

Kenma annuì sommessamente. "Non è possibile" ribatté "Sei fin troppo bello per non avere mai avuto una relazione". Kenma si passò una mano tra i capelli per la tensione. Ci stava provando con lui...? Era davvero così che funzionava, come una partita a tennis? Io ti dico che sei bello e tu mi dici lo stesso. Io ti stringo la mano e tu mi stringi l'altra. E se volesse baciarlo? Sarebbe andata alla stessa maniera o avrebbe perso il set?

"Ti ringrazio per il complimento, ma sono tanto bello quanto timido. E poi, non so bene come comportarmi intorno alle persone. Tu, invece? Non mi sembri per nulla messo male".

Lui sorrise. "Ho avuto ragazzi e ragazze, ma quanto basta: sono sempre stato un po' nerd, quindi non avevo molto interesse ad avere una relazione quando andavo al liceo. Tutt'ora, credo che l'amore sia un'arte che non ho ancora appreso del tutto" Kenma si morse un labbro per trattenersi dall'estendersi sul tavolino e baciarlo: era esattamente come lo aveva designato per sé, e condividevano le stesse idee. Cosa stava aspettando, di preciso?
In fondo, ci vuole tempo per dipingere un'opera, che può essere da ore a giorni a mesi ad anni. Tempo, pazienza, sudore e dedizione. E se voleva che la sua fosse perfetta, avrebbe dovuto andarci piano, con calma, come quando si prende la prima pennellata di colore e si traccia sulla tela con delicatezza per non sporcare. Però... però sembrava tutto così istantaneo, come una fotografia, e se anche la fotografia era una forma d'arte, allora sarebbe andata bene.

"Oh, posso capire. Non mi sono mai interrogato abbastanza a fondo per scoprirla, ma penso che non sia qualcosa che si debba imparare per conto proprio, quindi probabilmente avrò bisogno che qualcuno la tiri fuori da me e me la mostri, sempre se esista, quel qualcuno. È che alla fine siamo sempre soli" disse sorseggiando il suo caffè. Kuroo inclinò la testa con fare affascinato; quasi sembrava essere catturato da quel ragazzo così singolare, e al pensiero Kenma distolse lo sguardo, proiettandolo sul porto. "Hai davvero una bella mente" commentò Kuroo, e Kenma immaginò che stesse sorridendo, in quel momento.

"La tua non è niente di che" disse sarcastico, e per un attimo ebbe paura che non cogliesse il suo senso dell'umorismo; però, poi, ridacchiò. "Siamo davvero spiritosi, eh?"

"È il mio pessimo modo di approcciare con le persone. Non viene colto spesso al primo colpo, dunque ritieniti fortunato".

"Non credo sia pessimo, sei solo molto selettivo, e non c'è nulla di male. Cerchi gente che sia degna di te, è giusto. Però mi dai un po' l'aria di non sentirti degno degli altri".

Kenma lo guardò in cagnesco: fino alle analisi delle opere poteva starci, ma non avrebbe accettato un'analisi psicologica da parte di uno sconosciuto. Lui agitò le mani e disse: "Scusami, scusami, non volevo metterti a disagio!" Il ragazzo dai capelli lunghi scrollò le spalle. "Non ti preoccupare, è che non adoro parlare di me". La conversazione morì lì, si appoggiò adagio su quel tavolo bianco, tra le loro mani che inconsapevolmente desideravano di toccarsi.

Poi, fu Kuroo a risollevare gli animi. "Ti andrebbe di fare una passeggiata al porto insieme a me?".

Kenma fece un mezzo sorriso. "Se non ti fa schifo la mia presenza, sì".

Kuroo tese le labbra dolcemente. "Una persona come te non può essere sgradevole".

I due pagarono il conto e giunsero al porto, e passeggiando iniziarono a discorrere del più e del meno. Scoprirono di provenire dalla stessa città, Tokyo (e non aveva ancora capito perché avessero parlato in francese pur essendo entrambi giapponesi), e che entrambi avevano giocato a pallavolo per lungo tempo; scoprirono anche di aver giocato contro qualche volta, alle medie. Kenma non era in grado di ricordarsi di lui in viso, in quanto allora non si curava molto dell'arte né dei ragazzi, non aveva ancora sviluppato quella morbosa ossessione per la ricerca della perfezione; però si ricordava dei suoi movimenti ordinati e il suo essere sempre all'erta, che lo rendeva un ottimo giocatore. Quasi raffigurò nella sua mente quel corpo equilibrato e proporzionato estendersi verso l'alto per fare muro, o piegarsi per una ricezione, o spiccare il volo per una schiacciata, e il cuore gli rimbalzò nel petto. Voleva disegnarlo, era un bisogno irrefrenabile. Voleva descrivere la forma delle sue labbra e disegnare le proprie al di sopra. Voleva tracciare la curva dei suoi fianchi e tratteggiare la propria mano a sfiorarli. Voleva definire i ciuffi dei suoi capelli corvini e le proprie dita ad accarezzarli. Lo osservava di soppiatto, mentre parlavano, ne osservava il profilo illuminato dal sole, il sorriso furbo, gli occhi dorati, la brezza che gli scompigliava il ciuffo che ricadeva sul suo viso, e non riusciva a immaginare qualcosa o qualcuno che fosse più bello di lui. Si sedettero coi piedi penzoloni sul molo, a osservare l'orizzonte e a scambiarsi sguardi che parevano segreti, come un mistero dietro a un quadro.

"Che c'è?" chiese a un certo punto, notando che Kenma lo stava esaminando. Repentinamente, il ragazzo distolse lo sguardo e lo orientò sul mare. "Niente. Hai dei bei lineamenti".

"Vorresti disegnarmi?"

Kenma non rispose.

Kuroo gettò il capo all'indietro, lasciando scoperto il collo, di cui Kenma studiò le vene, il pomo d'Adamo, i muscoli, in religioso silenzio. "Fai pure, può solo farmi piacere".

"Come dovrei disegnarti?"

"Non so. Come ti passa per la mente, non ha molta importanza, per me. Sei tu l'artista, qui".

"Tu sai disegnare, Kuroo?" quasi gli sembrò di vederlo arrossire. "Non proprio, o quantomeno, ci ho perso le speranze".

"Hai qualcosa da farmi vedere? Sono curioso".

Lui frugò nella sua borsa, recuperando il suo taccuino rosso e porgendoglielo. "C'è qualche bozza, qui. Niente di interessante, ho disegnato qualcosa nei momenti di noia". Kenma iniziò a sfogliarlo: perlopiù c'erano appunti su opere, qualche appunto su prospettiva, tecnica stilistica, qualche analisi e commenti; però ogni tanto sbucava qualche illustrazione un po' grezza, ma che non era certo meno spettacolare ai suoi occhi. Poi, giunse su una pagina in particolare su cui si soffermò per più tempo. Era una pagina interamente dedicata al suo viso, disegnato e ridisegnato in una decina di posizioni diverse. E c'era anche qualche nota sparsa per la pagina: una citava il suo nome, altre erano domande del tipo: 'Età?' 'È giapponese?' 'Come parlargli?' e le risposte abbozzate sotto. Kenma arrossì, e il suo cuore parve sul punto di esplodere; appena Kuroo si accorse su che pagina era capitato, si grattò il capo con insistenza, in preda alla vergogna. 

"Uhm... era da qualche tempo che volevo conoscerti, ecco".

Kenma lo guardò, poi tirò fuori il suo blocco da disegno senza dire niente, sfogliò fino a raggiungere quella pagina piena di immagini di Kuroo in tutte le forme che aveva mai ideato nella sua mente e glielo porse. Kuroo osservò la pagina con aria assorta e un po' sconvolta, e tracciò con le dita il suo stesso viso abbozzato su carta, e osservò con particolare interesse anche lo studio sulla sua anatomia, piuttosto preciso, nonostante non l'avesse mai visto neanche a torso scoperto. Gli restituì il blocco, e per un po' restarono così, silenti, a fissare il mare sotto i loro piedi, come a interrogare l'aria su cosa dovessero dirsi.

Poi, Kenma parlò. "Cos'è l'arte per te, Kuroo?"

Lui, come se fosse stato colto nel bel mezzo di un sogno a occhi aperti, sussultò; poi, si prese qualche secondo per pensarci. "Beh, è difficile da dire. Non so, credo che per me sia qualsiasi cosa che mi resti impressa, che sia una persona, un luogo, un'opera, una sensazione, un sentimento, anche negativo. C'è arte anche nel dolore, tutto sommato. E per te, Kenma?"

Kenma restò in silenzio per qualche lungo istante, chiedendosi se valesse la pena dirglielo o no; ma era giusto che lo sapesse, in fondo.

"Credo sia tu".

Kuroo sorrise. "Non hai buon gusto".

"Non fare il critico, adesso. È il mio modo di vedere le cose".

Silenzio.

"Ti andrebbe di vederci ancora?" domandò Kuroo.

Vederlo ancora, vederlo domani, dopodomani, e il giorno ancora seguente, e non sarebbe bastato, mai, perché di quell'arte non poteva essere sazio. Voleva scoprire ogni tratto di matita, ogni pennellata, ogni errore di quell'opera d'arte di Kuroo Tetsurou. Voleva ridisegnarla, cancellarla, ridipingerla, rifarla completamente daccapo, e voleva che Kuroo facesse lo stesso con lui, che facesse di lui la sua tela. Non era solo Kuroo arte. Era lui, e tutto ciò che gli orbitava attorno. Era lui, ed era Kenma, ed era quello che stava nascendo. Probabilmente non c'era cosa più imperfetta, ma agli occhi di Kenma era impeccabile, e aveva la sua opera d'arte, adesso: uno sfiorarsi di labbra e un respiro condiviso. 

"Sì, mi va."


   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: milkbreeeead