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Autore: Marco1989    27/01/2021    1 recensioni
Non conta il tuo passato, non contano i tuoi errori, non conta la vita che hai perso o quella che desideri, perché quando arriverà la tempesta potrai solo sperare di essere pronto ad affrontarla.
Sequel di 'A strange, new world', occorre aver letto la prima storia.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Seamus Finnigan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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3 – LA COPPA DEL MONDO DI QUIDDITCH

Decisamente, le Passaporte non sarebbero entrate nella classifica delle cose che mi piacevano di più nel mondo magico. Dieci minuti dopo lo sgradevole viaggio attaccato ad una vecchia caffettiera, quando io, Seamus e sua madre, una donna dall’aria simpatica con gli stessi capelli rossi del figlio, avevamo ormai ricevuto l’ubicazione della nostra piazzola dal proprietario Babbano del campeggio appena fuori dalla foresta dove era stato eretto lo stadio per la finale della Coppa, avevo ancora lo stomaco in subbuglio, e camminavo attraverso la distesa di tende coperte di trifoglio dei tifosi irlandesi barcollando leggermente.

La maggior parte della gente sarebbe arrivata soltanto il giorno successivo, compresi, lo sapevamo, diversi dei nostri compagni di scuola, ma c’erano già moltissime persone, tra le quali alcune nostre vecchie conoscenze. Tra queste, una che avrei fatto a meno volentieri di rivedere prima di esserci obbligato dall’inizio dell’anno scolastico: fuori dall’area dei tifosi più sfegatati, di fronte ad una tenda particolarmente lussuosa davanti dalla quale era stata eretta quella che sembrava una cucina da campo completamente attrezzata, vidi Theodore Nott in piedi con in mano una tazza, a fianco di un uomo magro dai capelli completamente grigi che immaginai essere suo padre. Il ragazzo mi lanciò uno sguardo fiammeggiante, e si chinò a sussurrare qualcosa al padre, che si voltò verso di me guardandomi con blando interesse. Chissà perché, dubitavo fortemente che qualsiasi cosa il mio poco amato compagno di scuola avesse detto fosse un complimento. Sostenni lo sguardo di Nott Senior, e dopo un paio di secondi lui si voltò e sussurrò qualche parola al figlio, il quale, dopo un secondo lancio di coltelli oculari, tornò a concentrarsi sulla bevanda che aveva in mano. Chiaramente, la cocente sconfitta subita davanti al lago gli bruciava ancora tremendamente, ma per lo meno sembrava avere abbastanza buon senso da non tentare mosse azzardate.

Altri incontri furono decisamente più piacevoli: eravamo ad un paio di file dalla nostra piazzola quando un piccolo uragano biondo si fece largo tra le tende e mi saltò letteralmente in braccio, trascinandomi nel più caloroso degli abbracci e stampandomi un gioioso bacio sulla guancia. Mary Sutton, probabilmente la più cara amica che avessi a Hogwarts, mi accolse come se non mi avesse visto né sentito per un paio d’anni, anche se avevo risposto alla sua ultima lettera appena tre giorni prima. Poche frasi, e compresi che l’evidente cotta che la dolce ragazzina aveva dimostrato di avere per me, lungi dallo smorzarsi nei cinquanta giorni di separazione, era più viva che mai, e dal piccolo rivolgimento che avvertii all’altezza dello stomaco mi resi conto che una parte del mio corpo e della mia mente, difficile dire per il momento quanto importante, non sembrava esserne affatto dispiaciuta. Mary avrebbe voluto portare me e Seamus (anche se avevo la sensazione che avesse esteso l’invito al ragazzo irlandese più per educazione che per altro) alla sua tenda per farci conoscere i suoi genitori, ma visto che noi dovevamo ancora montare la nostra accettò di differire il tutto ad una cioccolata dopo cena.

Mentre raggiungevamo sua madre alla piazzola, Seamus mi prese in giro in maniera spietata sull’atteggiamento di Mary nei miei confronti: “E fu così che il nostro Joshua Carter diventò il primo del nostro anno a trovarsi la ragazza!” sghignazzò.

“Oh, sta zitto, Pel di Carota!” risposi con uno sbuffo imbarazzato.

“Che problema hai, Gringo? – chiese, sempre ridendo – Al posto tuo non mi porrei neanche il problema! Mary è fantastica, e dire che è carina mi sembra riduttivo! Vedi di darti una svegliata prima che se ne accorda anche qualcuno meno gentile e corretto di me!”.

Feci il gesto di allungare un calcio a Seamus, che lo scansò con una sghignazzata supplementare, prima che sua madre ci richiamasse all’ordine affinché l’aiutassimo a montare la tenda. Per mia fortuna, godevo, una volta tanto, di un doppio vantaggio: Matteo Simoncini aveva sempre amato il campeggio, aveva passato almeno cinque vacanze estive in tenda, e Grant Carter, a quanto emergeva dai miei ricordi, era un grande appassionato delle tecniche Babbane per la vita all’aria aperta, e negli anni precedenti al catastrofico divorzio aveva condotto diverse volte il figlio a bivaccare in alcune delle zone più selvagge degli Stati Uniti, inclusi il parco di Yellowstone, le Everglades e il deserto di Sonora, dove il piccolo Joshua aveva seriamente rischiato la sua giovane pelle a causa della puntura di uno scorpione. Questa combinazione di esperienze si rivelò provvidenziale, perché Seamus non aveva la minima idea di come rizzare una tenda o accendere un fuoco da campo, e sua madre sembrava soltanto leggermente più esperta di lui. Dando fondo ai miei ricordi, comunque, riuscimmo a tirare su una tenda a quattro posti, che si rivelò poi, all’interno, magicamente ingrandita al punto di diventare la replica di un piccolo appartamento con due camere e un bagno, e per l’ora di cena il fuoco produceva calore sufficiente per arrostire delle invitanti salsicce. Mentre Seamus continuava a prendermi in giro sulla questione Mary, con la madre che in parte lo redarguiva e in parte mi metteva in imbarazzo chiedendomi informazioni sulla ragazza in questione, dovetti ammettere che erano anni che non mi sentivo tanto in pace con me stesso. Benché tornare a vivere certi problemi, inclusi quelli di cuore, avesse i suoi piccoli svantaggi, nel complesso, forse anche grazie all’abitudine, avevo cambiato idea rispetto all’anno precedente: era bello essere di nuovo un adolescente!

 

Il giorno successivo fu senza dubbio uno dei più divertenti della mia vita, soprattutto da quando iniziarono ad arrivare molti altri ragazzi di Hogwarts: da Oliver Baston, l’ormai ex capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro, a Ernie Macmillan, un ragazzo un po’ pomposo ma simpatico di Tassorosso. Dal giorno dopo, per di più, al nutrito gruppo dei nostri compagni di scuola si aggiunsero Harry, Hermione e Ron, che era giunto con tutta la sua famiglia, ad eccezione della madre: fu un vero piacere conoscere Bill e Charlie, i suoi fratelli maggiori che avevano già finito Hogwarts, e ancora di più rivedere Ginny, che mi era cara quasi quanto Mary. L’incontro con Hermione, invece, fu leggermente più carico d’imbarazzo, una conseguenza inevitabile del fatto che la geniale ragazza, subito prima della fine dell’anno scolastico, fosse andata estremamente vicina a scoprire il mio segreto. La ragazza si era rivelata abbastanza intelligente da comprendere le mie ragioni, ed aveva deciso di non indagare ulteriormente quando le avevo chiesto di accettare, per il momento, che non potessi spiegarle tutto, ma dalle continue occhiate che mi lanciava era fin troppo chiaro che aveva deciso di tenermi sotto stretta, per quanto garbata, sorveglianza.

La compagnia più costante, comunque, fu quella di Mary: senza essere invadente, la ragazzina sembrava ben decisa a passare quanto più tempo possibile insieme a me, che si trattasse di cucinare i marshmallow (che io avevo trovato allo spaccio del campeggio e che per lei e per gli altri giovani maghi si erano rivelati una scoperta entusiasmante) sul fuoco, di giocare a Spara Schiocco, a scacchi oppure con un mazzo di carte Babbane (la ragazzina si era dimostrata un talento naturale nel poker, al punto da spillare un totale di sedici Galeoni a me, Seamus e Baston) seduti sull’erba, oppure semplicemente passeggiare tra le tende, osservando le particolarità delle migliaia di maghi stranieri che erano giunti a Dartmoor. Benché sembrasse impegnarsi nel tentativo di comportarsi come un’amica, i suoi sentimenti dovevano essere fin troppo chiari, considerando che, a metà del pomeriggio del giorno della partita, Hermione approfittò della scusa di farsi accompagnare a prendere l’acqua alla fontanella per affrontare con me il discorso. Furono minuti quasi peggiori di quelli nei quali, due mesi prima, aveva demolito le difese costruite intorno alla mia vera identità.

“Senti, Joshua… - iniziò mentre ci avviavamo con i secchi, e nella mia mente già iniziò a suonare l’allarme – Devo chiederti una cosa”.

Vedendo il mio volto preoccupato, si affrettò a precisare: “Non intendo parlare… beh, di quello che sai! – si fermò e mi fissò negli occhi con serietà – In realtà vorrei sapere che cosa hai intenzione di fare con Mary”.

Era una domanda totalmente inaspettata: “Che cosa intendi, Hermione?” chiesi, improvvisamente imbarazzato.

La ragazza mi fissò con sguardo furbo: “Josh, sei veramente pessimo quando tenti di fare l’indifferente! Sai benissimo cosa voglio dire!”.

Eccome se lo sapevo, fin troppo bene in effetti, ma questo non mi aiutava per niente. Sospirai: “Mi crederesti se ti dicessi che non ne ho idea?”.

Era la pura e semplice verità: la dignitosa esperienza accumulata dal mio alter ego sembrava essersi completamente estinta nel passaggio a Joshua, e non avevo la minima idea di come comportarmi. Il ritorno all’adolescenza, per le questioni sentimentali, si prospettava perfino peggiore rispetto al primo giro di giostra, perché questa volta, oltre ai problemi tipici dell’età, dovevo sopportare anche il peso della situazione assurda nella quale mi trovavo. Era, per di più, una situazione che non potevo ignorare, visto che ormai avevo capito che Mary non mi era affatto indifferente: era molto carina, incredibilmente simpatica, dolcissima, divertente. Una ragazzina straordinaria, insomma, e se fossi stato un normale quattordicenne non avrei avuto il minimo dubbio sul modo di comportarmi. O meglio, avrei avuto i tipici dubbi di un ragazzo di quell’età che si approccia per la prima volta al sesso opposto, quindi sarei stato, probabilmente, ridotto ad un patetico rottame, ma sarebbe stato, appunto, il normale corso dell’eventi.

Quell’aggettivo, purtroppo, si poteva applicare a me soltanto con una ‘a’ posta davanti, perciò i problemi, con Mary, erano anche troppi. Prima di tutto, benché ormai da dieci mesi abitassi il corpo di un adolescente, non avevo ancora dimenticato la vita dalla quale provenivo, e una parte di me continuava a sentirsi decisamente troppo vecchia per dare corda alle pulsioni sentimentali di una tredicenne. Era come se nel mio cervello ci fosse, costantemente, un conflitto in atto tra il ragazzo e l’uomo, e nessuno dei due sembrava riuscire ad ottenere una vittoria definitiva. E poi, c’era Sabrina. Il fatto che le probabilità di poterla mai rivedere, almeno considerando ciò che sapevo, fossero letteralmente ridotte al lumicino, non voleva dire che avessi dimenticato. Non si scordano così facilmente tre anni di relazione, con i sogni ed i progetti ad essa correlati. Era assurdo, considerato ciò che stavo vivendo, ma ogni volta che Joshua pensava alla possibilità che potesse nascere qualcosa con Mary, Matteo sentiva di stare in qualche modo tradendo Sabrina. Altro che conflitto di coscienza, avevo voglia di prendere la rincorsa e dare una testata contro il più vicino muro!

Ovviamente, però, non potevo raccontare nulla di tutto questo a Hermione, la quale, però, sembrò intuirne almeno il senso: “A dire la verità, sì. Ti credo – mi fissò dritto negli occhi – Ti conosco abbastanza bene, ormai, Joshua Carter. Non sei bravo a nascondere quello che provi – la mia amica sorrise – Mary è una ragazza fantastica, ma non ho certo bisogno di dirtelo, ti si legge in faccia che lo sai benissimo. Eppure, c’è qualcosa che ti blocca. E’… è legato a ciò che non mi hai raccontato?”.

Avvertii un’ombra calarmi sul volto. Abbassai lo sguardo a terra ed annuii. Subito sentii una mano delicata stringermi la spalla, e quando risollevai la testa vidi Hermione davanti a me, con atteggiamento comprensivo: “Capisco. Prenditi il tempo che ti serve, Josh… solo… non farla soffrire, va bene? Perché quello che ti ho detto alla fine della scuola è ancora vero: Mary tiene moltissimo a te, anzi, sempre di più direi!”.

Toccò a me sorridere: “Non lo farò, Hermione. Hai ragione, anche io tengo molto a lei, e l’ultima cosa che voglio è rischiare di farle del male. Solo… devo capire cosa fare – le presi la mano e la strinsi tra le mie – Grazie, davvero. E’ bello sapere che c’è qualcuno che si preoccupa tanto per me e per gli altri. Sei davvero una persona fantastica, Hermione”.

Mentre la mia amica si voltava sorridendo per tornare a dirigersi verso la fontanella, vidi che il suo volto aveva assunto una sfumatura di colore molto simile ai capelli di Ginny.

 

Solo pochi mesi prima avevo pensato che la finale del campionato scolastico fosse stata un’esperienza entusiasmante, adrenalinica. Avevo pensato che niente potesse scatenare emozioni più forti. Evidentemente, non sapevo di cosa stessi parlando. Lo compresi mentre, da una delle tribune d’oro dell’enorme stadio realizzato per ospitare la finale della Coppa del Mondo di Quidditch, un cappello verde coperto di trifogli in testa e un paio di omniocoli in mano, assistevo, insieme ad altre centomila persone, alla grande sfida tra Irlanda e Bulgaria. Avevo ancora il sangue in subbuglio dopo lo spettacolo delle mascotte, in particolare delle Veela della Bulgaria: in fondo, rimanevo pur sempre un adolescente in piena tempesta ormonale, e vedere un paio di dozzine di donne bellissime (o almeno, avevano l’aspetto di donne bellissime) che ballavano in abiti di lustrini davanti ai miei occhi era più che abbastanza per mandarmi fuori giri. Fortunatamente, benché non faticassi affatto a trovarle bellissime e seducenti, per lo meno compresi che il loro particolare fascino non esercitava su di me un effetto devastante come sulla maggior parte degli altri maschi: per lo meno, non ero nello stato di Seamus, che mandava in fuori il petto quanto più possibile, nel tentativo di mostrarsi forte e possente, mentre il risultato era invece piuttosto ridicolo. La mia capacità di resistere al potere delle Veela mi fece guadagnare qualche punto con la madre del mio amico, che fissava il figlio con sguardo esasperato: “E’ bello vedere che ci sono maschi che non si riducono a larve di fronte ad un paio di gambe nude!”.

Poi la partita iniziò, e in pochi secondi dimenticai le Veela. Non era Quidditch, non come lo conoscevo io almeno: era qualcosa di superiore, perfino un dilettante come me lo capiva perfettamente. Avevo davanti dei veri campioni, ad un livello che non avrei mai immaginato. Il ritmo della partita era incalzante, l’ondata di adrenalina somigliava ad una inondazione: anche se, in teoria, non avevo nessuna ragione, tranne la gratitudine verso Seamus e sua madre, per sostenere una squadra in particolare, mi trovai a tifare per l’Irlanda con tutto il fiato che avevo in corpo, straordinariamente coinvolto dall’insieme della situazione.

Da Cacciatore, mi trovai a valutare le prestazioni del trio irlandese: Troy, Mullet e Moran non erano semplicemente abili, erano… di più. Sembravano una sola persona divisa in tre corpi, vista la facilità con la quale si trovavano. La Bulgaria era forte, ma non abbastanza, e si trovò presto in ampio svantaggio. La sola eccezione alla superiorità dell’Irlanda era Viktor Krum, il giovanissimo cercatore e chiaramente il miglior volatore trai quattordici in campo. Si stava, sostanzialmente, battendo da solo contro l’intera squadra avversaria: riuscì a mandare il cercatore irlandese a schiantarsi a terra, e poi, nonostante il naso rotto da un Bolide, si produsse in uno spettacolare tuffo verso il suolo, recuperando il boccino a pochi centimetri da terra e mandando l’irlandese Lynch ad abbracciare per la seconda volta il terreno. Sorpreso per la repentina conclusione del match, voltai la testa verso il tabellone: nonostante la presa del boccino, la Bulgaria aveva comunque perso di dieci punti.

“Perché ha fatto una simile stupidaggine? – chiesi a Seamus, che stava saltando come un pazzo – Stavano perdendo di centosessanta punti, in questo modo li ha condannati alla sconfitta!”.

“Beh, meglio per noi, no?” sghignazzò il mio amico, rischiando di volare giù dalla tribuna per l’emozione.

“Non sarebbero mai riusciti a recuperare – disse con un sorriso la madre del mio amico – L’Irlanda ha dimostrato di essere molto più forte. Ha solo voluto chiudere la partita con un colpo di classe, dimostrando di essere il più abile”.

Probabilmente aveva ragione, ma perfino lo stesso Krum non sembrava soddisfatto di quanto aveva fatto, a giudicare dall’espressione torva che era dipinta sul suo viso.

Fendendo a fatica la folla, riuscimmo ad attraversare il bosco che separava lo stadio dal campeggio, ma ovviamente nessuno aveva voglia di dormire, eravamo tutti troppo eccitati da quanto avevamo visto. Mentre gli adulti si riunivano presso la tenda dei Weasley, io e gli altri ragazzi ci ammassammo di fronte a quella di Seamus: seduti in cerchio intorno al fuoco, sul quale cuocevamo delle fette di pane sulle quali spalmare l’ottima marmellata casereccia della madre di Baston, non facevamo che parlare della partita, ripercorrendola azione per azione, quasi secondo per secondo. Mary, prevedibilmente, si era seduta accanto a me, e dopo pochi minuti, mostrando una stanchezza forse non completamente reale, mi appoggiò la testa sul petto, stringendomi con il braccio sinistro. Un po’ sorpreso, impiegai qualche secondo per reagire, poi però le passai il braccio destro sulle spalle, anche se le mie giunture sembravano reagire con qualche difficoltà. La sentii irrigidirsi, ma con la coda dell’occhio la vidi sorridere. I ragazzi erano troppo impegnati a ripercorrere il match per rendersi conto della situazione, ma Hermione e Ginny, sedute di fronte a me dall’altra parte del fuoco, ridacchiavano senza ritegno, invitandomi chiaramente con lo sguardo a fare qualcosa. Le avrei volentieri strangolate.

Da parte mia, più passavano i minuti più la mia mente sprofondava nel caos; se una parte continuava a rammentarmi quanto fosse sbagliato stare abbracciato ad una ragazzina di tredici anni e quanto sarebbe stato un gesto vergognoso se avessi deciso di spingermi oltre, un’altra aveva pensieri diametralmente opposti, che potevano essere riassunti con una semplicissima frase: ‘Baciala, imbecille!’. Sembrava essere anche il muto suggerimento delle due iene ridens travestite da studentesse che avevo davanti. Già, fosse stato facile! Anche ammesso che fossi riuscito a superare le mie remore morali, eravamo comunque in mezzo ad un mucchio di ragazzi. Non avrei mai avuto il coraggio di compiere un gesto simile in pubblico! Per Mary si sarebbe con ogni probabilità trattato del primo bacio, e lo stesso valeva, tecnicamente, per Joshua! Non potevo veramente farlo, entrambi probabilmente saremmo sprofondati sotto terra per l’imbarazzo. Eppure non potevo nascondermi di essere molto, forse troppo tentato. Distrattamente, quasi senza accorgermene, iniziai a giocare con i capelli di Mary, e la sentii rilassarsi. Nel mio cervello sembrava essersi scatenata una guerra civile: Matteo Simoncini urlava che stavamo facendo qualcosa di tremendamente sbagliato, mentre Joshua Carter, pur vergognandosi come un ladro, sottolineava che non poteva esserci nulla di più giusto. L’inevitabile conseguenza, ovviamente, fu che rimasi completamente bloccato, incapace sia di staccarmi da Mary, sia di fare qualcosa di più che passare le dita nei suoi capelli, finché, poco prima di mezzanotte, la madre di Seamus tornò alla tenda dichiarando che era ora di andare a dormire, visto che la mattina dopo avremmo dovuto svegliarci presto per smontare il campo e tornare a casa.

Mi sciolsi a malincuore dall’abbraccio e aiutai Mary ad alzarsi. A giudicare dagli occhi con i quali mi fissò mentre mi augurava la buonanotte, sembrava sperare in un gesto coraggioso da parte mia. Per un istante ebbi veramente la tentazione di baciarla, mandando al diavolo le mie riserve e senza neanche considerare che i suoi genitori potevano essere a pochi metri da noi. Quasi senza rendermene conto, le presi il viso tra le mani. Mary arrossì violentemente, e fu sufficiente per farmi uscire dalla sorta di trance che sembrava avermi colto. Cambiai bersaglio a metà del gesto, e le stampai un casto bacio sulla fronte. Dal suo sguardo, sembrò essere sia delusa che sollevata dalla mia decisione, ma riuscì comunque a sorridere e a salutarmi con un ultimo abbraccio prima di dirigersi verso la sua tenda. Prendendomi mentalmente a calci per la mia irresolutezza, entrai in quella di Seamus.

Il ragazzo, per quanto distratto dall’argomento Quidditch, sembrava aver notato più di quanto pensassi, visto che continuò a prendermi in giro finché non fummo pronti ad entrare nel letto a castello. Gli risposi solo distrattamente, e non soltanto perché avevo la mente impegnata con quanto era successo quella sera e con i miei dubbi sul giusto comportamento da tenere: la verità era che, da quando non ero più distratto dalla presenza di Mary, una sorta di strano ronzio sembrava avermi invaso la testa, troppo basso per essere realmente fastidioso, troppo costante per essere ignorato. Erano due mesi che il mio ‘Senso di Ragno’ mi lasciava in pace, ma non era passato abbastanza tempo perché non lo riconoscessi: era un avviso perfino più generico del solito, ma sentivo chiaramente che qualcosa non tornava, che stava per accadere qualcosa di inaspettato. Non avrei saputo in alcun modo dire cosa, ma avvertivo che non sarebbe stato niente di positivo. Quasi senza rendermene conto, mi fermai a metà del gesto di infilare la bacchetta magica nello zaino, la fissai per qualche secondo, poi la misi sotto il cuscino.

“Cos’è, hai paura di essere attaccato nel sonno?” sghignazzò Seamus, che era già salito sulla cuccetta superiore.

“Non si sa mai – risposi con un sorriso convincente mentre spegnevo la lampada ad olio posata su un mobiletto vicino al letto – I bulgari potrebbero decidere di volere la rivincita!”.

“Ha! Devono solo provarci – rispose il mio amico ridendo – Tra l’euforia per la vittoria e la quantità di alcool che hanno ingurgitato i tifosi irlandesi, rischierebbero di tornare a casa dentro un ditale!”.

Ridacchiai a mia volta e mi infilai sotto le coperte, tenendo però addosso i jeans per sicurezza: “Beh, speriamo che siano abbastanza furbi da evitare! Buonanotte, Seamus”.

“Buonanotte, Josh”.

 

Nonostante fossi molto stanco, le emozioni della giornata e il vago allarme che continuava a rimbalzare nella mia testa mi permisero soltanto un sonno leggero, perciò impiegai meno di un secondo a svegliarmi quando iniziarono le urla e le esplosioni. Seamus era ancora semi-addormentato, e si stava chiedendo con voce assonnata cosa stesse succedendo, ma io ero già saltato in piedi con la bacchetta in mano quando sua madre piombò nella nostra stanza con sguardo preoccupato: “Veloci, ragazzi! Vestitevi e venite fuori! Ci sono guai!”.

Nel tempo che Seamus impiegò a scendere dalla sua cuccetta, io mi ero già infilato le scarpe da ginnastica e mi ero buttato addosso un giubbotto, quindi fui il primo a raggiungere la signora Finnegan all’esterno. Quello che trovai fece saltare un paio di battiti al mio cuore: alla luce dei pochi fuochi ancora accesi, vidi un gruppo di maghi incappucciati e, apparentemente, con i volti coperti da inquietanti maschere bianche, che avanzava attraverso l’accampamento, facendo saltare in aria le tende davanti a se. Diverse erano già in fiamme. Sopra di loro, tenuti in aria dalle bacchette di diversi membri del gruppo, il proprietario del campeggio e la sua famiglia rotolavano come marionette.

“Mangiamorte” sussurrò con un filo di voce la signora Finnegan, e io, benché non riuscissi a ricordare il significato di quella parola, avvertii una scossa di paura scendermi lungo la schiena.

  
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