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Autore: Verfall    27/01/2021    9 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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2. 27 marzo 1983 - Hideyuki
 
Erano da poco passate le due del pomeriggio quando Hideyuki uscì di casa con un peso in meno sul cuore: aveva ritrovato Kaori dopo una notte insonne, distrutto dall’angoscia e dai sensi di colpa. Si sentiva emotivamente esausto ma l’adrenalina gli impediva di percepire la stanchezza fisica. Gli sembrava incredibile come la situazione avesse avuto quel felice epilogo; si era sentito morire quando Kaori l’aveva additato come un assassino, guardandolo con degli occhi colmi di orrore e repulsione.
“Mi avrà considerato alla stregua di un mostro in quel momento. Avrei preferito essere inghiottito da una voragine venti, cento volte, piuttosto che sentirmi dire quelle parole”.
Alzò gli occhi, il cielo era ancora di un azzurro intenso e il sole brillava esattamente come il giorno precedente, ma ne avvertì il calore solo in quel momento: nelle ore passate non aveva fatto altro che pensare a Kaori, a come poterla trovare in quel dedalo di strade che era Shinjuku, a come poter riconquistare la sua fiducia e, soprattutto, a come trovare un nuovo lavoro, dato che si era visto costretto a rompere la collaborazione con Ryo. In realtà erano mesi che non faceva altro che riflettere su cosa fosse giusto fare, se continuare il suo lavoro e trovare un modo per introdurlo a Kaori, oppure rinunciarvi per il bene di sua sorella. Non era mai riuscito a decidersi. Il problema principale, lo sapeva bene, consisteva proprio nell’impossibilità di scegliere; entrambe le possibilità lo facevano star male e trovava doloroso dover rinunciare a una parte della sua vita così importante. Eppure, dopo la piega tragica del pomeriggio precedente, la forza della disperazione aveva deciso per lui, senza esitazione: era affezionato al suo lavoro attuale e soprattutto a quel pazzo del suo partner, ma Kaori era più importante. Colei che era la sua famiglia – o meglio, quel che ne restava e che doveva proteggere, preservare dalle brutture del mondo il più possibile – occupava il primo posto nelle sue priorità e sarebbe stato sempre così. Quando la collaborazione con Ryo aveva iniziato a ingranare, per lui erano già iniziate le prime preoccupazioni. Odiava mentire a sua sorella, non se lo meritava, e ogni qualvolta si decideva a introdurre l’argomento quegli occhi onesti e fiduciosi lo facevano totalmente desistere. Dentro di sé temeva che, una volta saputa l’entità della sua occupazione, quegli occhi avrebbero perso quella purezza che lui trovava incantevole; Kaori si sarebbe resa conto di quanto la società potesse nascondere una seconda faccia, più oscura e putrida e, impulsiva com’era chissà come avrebbe reagito! Lui, d’altro canto, aveva fatto il possibile per scindere il lavoro dalla famiglia, la porta di casa aveva rappresentato lo spartiacque tra quei due mondi agli antipodi e lui, come un equilibrista aveva cercato di destreggiarsi il più possibile.
Sospirò e, mentre aspettava pazientemente che il semaforo diventasse verde, lanciò una sfuggevole occhiata alla vetrina di un negozio. Distolse subito lo sguardo. Non gli piaceva la sua immagine riflessa, quel suo aspetto dimesso. In realtà non si era mai piaciuto ma col tempo aveva imparato a convivere con il suo aspetto, sebbene davanti alla macchina fotografica provava ancora un certo disagio. Kaori lo sapeva bene e nonostante ciò continuava ostinatamente a voler fare foto insieme; lui cercava sempre di rifuggire queste dimostrazioni di affetto – così le chiamava lei – ma immancabilmente veniva riacciuffato e costretto a posare con quella sua espressione tra il comico e l’impacciato, diventata ormai il suo segno distintivo.
Attraversò l’incrocio e un lieve sorriso gli sollevò le labbra sottili. Ah, non riusciva mai a dirle di no, aveva un vero debole per quella ragazzina che ormai stava diventando una giovane donna, e che gli dava così tanto da fare. Si rese conto che stava camminando a passo fin troppo spedito, così decise di rallentare, non aveva alcuna fretta e voleva perdersi ancora un po’ tra i suoi pensieri.
“Ancora non capisco come abbia fatto Kaori a mutare la sua opinione sul mio lavoro nel giro di una mezza giornata. È una ragazza così testarda, di solito è quasi impossibile farle cambiare idea” si diceva mentre imboccò pigramente la trafficata Shinjuku-Dori Ave, in direzione dell’uscita est della stazione. Gli sembrava ancora impossibile, eppure lei era tornata sui suoi passi e l’aveva accolto come se nulla fosse successo, anzi, l’aveva travolto con epiteti non proprio degni di una ragazza a modo, dicendogli che l’aveva fatta preoccupare. Lui?! Quando era stata lei a farlo sbiancare come un lenzuolo, togliendogli minimo dieci anni di vita per lo spavento!
Era felice, certo, però il suo intuito gli suggeriva che poteva esserci lo zampino di un’altra persona dietro quel felice cambiamento: Ryo. Aveva la leggera sensazione che lo sweeper potesse aver conosciuto Kaori, e non solo attraverso i suoi sfoghi occasionali che negli ultimi tempi si erano fatti più frequenti. Sebbene fosse molto riservato per natura si sentiva libero di confidarsi con Ryo, specialmente nei giorni in cui il peso delle responsabilità e la stanchezza lo soverchiavano fino al limite. A quasi ventisette anni si sentiva vecchio il doppio; dalla morte di suo padre era stato tutto in salita per lui e diventare la colonna portante della famiglia non si era rivelato il più facile dei compiti. Non si sarebbe mai sognato di confidarsi con qualche coetaneo che non avesse mai sperimento la perdita nel modo doloroso che gli era stato riservato, infatti anche sul lavoro non si era mai sbottonato, mantenendo una facciata imperturbabile. Era sempre stato sicuro che non avrebbe mai trovato nessuno meritevole delle sue confidenze, fin quando non aveva conosciuto Ryo; ma lui non faceva testo. Si era subito reso conto quanto il suo partner fosse fuori dal comune e poteva solo immaginare quanto la sua esperienza di vita dovesse essere stata unica e terribilmente difficile, visto che non si era mai lanciato in nessuna confidenza particolare. Solitamente, durante i suoi sfoghi, lo sweeper o sbuffava o grugniva, se era intento a divorare – non l’aveva mai visto mangiare in modo civile –, mantenendo sempre un’aria insofferente e totalmente disinteressata. Lui però ascoltava, eccome se ascoltava, ma doveva recitare la parte dell’uomo insensibile e distaccato dalle cose terrene, eccezion fatta per le donne e il cibo; con loro non si risparmiava, mostrando un’inesauribile ingordigia. Hideyuki era certo che anche quell’aspetto, in apparenza così triviale, fosse una parte che il partner si era autoimposto, sforzandosi di mostrarla come la sua vera e unica natura; ma lui no, non si era lasciato ingannare dalla sua recita e Ryo doveva averlo intuito.
Come ex detective dal fiuto infallibile aveva avvertito una profondità ben più sfaccettata nell’animo del suo partner, in cui emergeva prepotente un vuoto interiore ed emotivo che restava, però, ostinatamente insondabile. Era sempre stato discreto nei suoi confronti, non si era mai aspettato che le sue confidenze fossero ricambiate con altrettante esternazioni e, sebbene non sapesse praticamente nulla del suo passato, gli era ormai chiaro che Ryo avesse bisogno di essere salvato da se stesso, dai suoi atteggiamenti autolesionisti ed esasperanti. Comprendendo che i discorsi edificanti sarebbero stati rigettati senza esitazione, Hideyuki aveva provato a fargli cambiare punto di vista attraverso i fatti, come il lavoro di squadra, le chiacchierate disinteressate, i bonari rimproveri sulla sua assenza di autocontrollo in determinate occasioni… il suo era un lavoro tra il serio e il faceto, volto a un unico obiettivo. Voleva incoraggiarlo a dare un’altra possibilità ai rapporti umani e convincerlo che, se lo rendeva partecipe delle sue confidenze, era perché lo considerava ormai il suo migliore amico, degno di fiducia e affetto. I primi mesi Ryo era stato molto sulle sue, ma negli ultimi tempi un leggero cambiamento nei suoi modi e nelle sue azioni l’avevano piacevolmente colpito. Certo, il suo partner cocciuto e orgoglioso non l’avrebbe mai ammesso e, anche se in apparenza sembrava comportarsi come sempre, aveva visto farsi strada in lui un nuovo spirito di autoconservazione. La strada però era ancora lunga e, se l’avesse lasciato in quel momento, l’uomo sarebbe tornato in fretta nel suo circolo vizioso, di questo ne era sicuro e difficilmente si sbagliava.
Se lo sweeper era dotato di abilità straordinarie nel maneggiare la pistola e individuare anche il più piccolo rumore, lui era infallibile nel decifrare la vera indole delle persone. Era un tratto che l’aveva aiutato negli anni in polizia, portandolo a distinguersi sul suo campo. Anche Saeko si era più volte stupita del suo intuito fuori dal comune, riservandogli fugaci sguardi di ammirazione nell’ultimo periodo in cui avevano collaborato. Già, Saeko… chissà se ogni tanto pensava al suo vecchio collega un po’ impacciato o l’aveva dimenticato, totalmente stregata dallo sweeper ben più fascinoso di lui. Sentì il cuore stringersi un po’ e interruppe il flusso dei pensieri; non voleva pensare a lei, non in quel momento almeno.
Alzò gli occhi dalle sue scarpe esattamente nel momento in cui vide, leggermente sulla sinistra, il grande edificio squadrato della stazione, ingabbiato nei caratteristici listelli metallici su cui capeggiava la scritta My City accompagnata dalle immancabili gigantografie di modelle, sempre ben apprezzate dal suo partner. Ritornando padrone delle sue azioni, e spegnendo i pensieri che così rumorosamente gli avevano fatto compagnia durante il tragitto, entrò con passo strascicato dentro la stazione, dirigendosi verso la lavagna degli avvisi senza neanche guardarsi intorno.
Osservò attentamente la superfice di ardesia ma, tra annunci di lavoro improbabili e oggetti in vendita tra i più disparati, non scorse alcun XYZ. La cosa non gli dispiacque, avevano lavorato a pieno ritmo negli ultimi tempi e gli eventi recenti gli avevano dato il colpo di grazia; sentì la necessità di un po’ di riposo.

«Lasciami brutto porco! Maniaco!» una donna urlò poco lontano da lui. Sospirò rassegnato e socchiuse le palpebre.

“A quanto pare qualcun altro ha avuto la mia stessa idea ed è venuto qui” pensò, incrociando meccanicamente le braccia. Lo avrebbe aspettato lì, vicino alla bacheca, anche perché le voci si stavano avvicinando nella sua direzione.

«Su, non fare la preziosa mokkori-chan! Dovresti rallegrarti, oggi è il tuo giorno fortunato sai? Hai appena vinto il concorso Un sedere che parla e il primo premio è passare una notte con me, lo Stallone di Shinjuku!» disse la voce predatoria, emettendo un soddisfatto verso famelico.

Ancora con gli occhi chiusi Hideyuki sorrise debolmente e tese le orecchie, restando in attesa del prevedibile epilogo. Con precisione si susseguirono: l’ennesimo urlo esasperato della giovane donna; un clamoroso rumore di una borsa sbattuta con veemenza contro un viso; l’inevitabile tonfo di un corpo atterrato per terra; dei passi veloci correre verso l’uscita della stazione e l’immancabile sottofondo di un piagnucolio sconsolato. Aperti gli occhi vide Ryo appena oltre la bacheca, seduto per terra a gambe incrociate e col capo tristemente abbassato. In pochi passi lo raggiunse e gli si accucciò accanto.

«A quanto pare nessun messaggio oggi»

«Mmpfh» un rumore indefinito provenne dall’uomo corrucciato come un bimbo in castigo, con il volto ancora ostinatamente abbassato.

«Ryo?» chiamò Hideyuki sfiorandogli leggermente il braccio sinistro. «Non è la prima volta che vieni mandato in bianco, non ti sembra di esagerare un po’?»

L’interpellato alzò con uno scatto fulmineo il viso, piantandogli addosso due occhi iniettati di sangue. Hideyuki fece un salto indietro e per poco non cadde per terra.

«Esagerare Maki? Chi esagera sei proprio tu! Sei un demonio risucchia-forze, con che coraggio mi parli di lavoro quando sto affrontando tragedie più importanti, eh?» e prima che potesse rispondere continuò a urlargli contro «Marzo è quasi finito e sai quante ragazze sono riuscito a trovare? Solo diciassette, hai capito Maki? Diciassette!! Solo se fossi un uomo di mezza età con l’arnese fuori uso potrei considerarlo un buon numero, ma per me che sono un ragazzo ancora nel fiore degli anni e del vigore è un segnale di prossima sciagura! Tu, brutto uccellaccio del malaugurio, sei tu che mi hai fatto una fattura! Toglimela subito!» e prendendo i lembi del soprabito iniziò a scuoterlo, senza però interrompere quel furente sproloquio «Ora che ci penso è da quando ti conosco che il mio successo con le donne è peggiorato! Nonostante tutti i miei sforzi, a causa del tuo cattivo influsso a stento sono riuscito a rimediare qualcosa ogni giorno…»

“Meno male che le cose gli andavano male, che brontolone” pensò Hideyuki, mentre cercava di resistere alla furia bonaria del suo collega, provando a contenere un sorriso sornione che voleva far capolino.

«…Ma questo mese è iniziato davvero col piede sbagliato, dannazione! Visto che stamattina mi hai detto che lasciavi City Hunter mi sono messo subito alla ricerca di ragazze mokkori – e ne ho trovate alcune davvero notevoli – ma niente, la tua brutta influenza continua ad appestarmi! Liberami subito o sarò lo zimbello di tutta Shinjuku, ma che dico, di tutto il Giappone porca di quella miseriaccia ladra!»

Hideyuki decise che era stato bistrattato a sufficienza, così bloccò Ryo prendendolo per i polsi e in movimento rapido gli abbassò le braccia mentre si alzò in piedi.

«Sono venuto proprio per parlarti di questo. Dovrai sopportare ancora per un po’ la mia pessima influenza» e guardando lo sweeper di sottecchi aggiunse «Sai, sono riuscito a chiarire tutto con mia sorella. Le ho raccontato del lavoro e non ha sollevato ulteriori obiezioni, è stata sorprendentemente comprensiva, ha davvero fiducia in me… Però vedo che non sei sorpreso»

«No, per niente» rispose Ryo che nel frattempo si era alzato. «I quattro rifiuti di oggi erano un segnale chiaro che non te ne fossi ancora andato» e in soffio aggiunse «Meno male» enfatizzando solo l’ultima parola, pensando di non far capire al suo partner come la pensava davvero.

Purtroppo per lui, anche Hideyuki aveva un buon orecchio e non gli sfuggì quel sospiro sollevato.
Poco dopo i due uomini uscirono dalla stazione e iniziarono a percorrere la Shinjuku-Dori Ave lungo il tratto in cui costeggiava la ferrovia, dirigendosi verso Kabukichō. Si erano silenziosamente accordati per raggiungere il nuovo appartamento in cui Ryo si era trasferito un paio di settimane prima. Hideyuki l’aveva solo visto di sfuggita e ricordava fosse un condominio di sei piani con ampi balconi e un box auto a piano terra e, secondo le parole del neoproprietario, doveva essere parecchio grande per gli standard di Tōkyō, dove gli appartamenti tendevano ad avere metrature imbarazzanti. Lui stesso abitava con Kaori in poco più di 40 mq e ogni mese faceva i salti mortali per pagare l’affitto, oltre alle varie utenze; non osava immaginare come avrebbe fatto il suo socio a far fronte a tutte le spese con le mani bucate che si ritrovava.
“Forse dovrei fargli un corso accelerato di economia domestica visto che ci sono” pensò mentre imboccarono la Kabukichō Ichiban-gai Street e, una volta varcato il caratteristico arco rosso, iniziarono ad addentrarsi nel variopinto dedalo di strade sempre troppo strette e caotiche per i suoi gusti. In fin dei conti lui era un tipo abbastanza schivo e riservato; passeggiare per le piccole vie affollate in compagnia di quell’uomo imponente – e per di più ben conosciuto nell’ambiente– non lo aiutavano a passare inosservato. Si strinse ancor di più nelle spalle, i pugni ben piantati nelle tasche del soprabito sformato. Il suono di un rumoroso sbadiglio lo distolse dai suoi pensieri e, alzando lo sguardo, vide Ryo stiracchiarsi rumorosamente; era inutile, era sempre così plateale nel voler attirare l’attenzione su di sé. Hideyuki aveva ben capito ormai che il suo partner aveva un grande intùito nell’avvertire i suoi cambi di umore e, per cercare di tiragli su il morale, indossava la maschera del buffone: era l’arma che impiegava più spesso, specialmente quando si preoccupava per qualcuno, in modo da nascondere con cura le sue reali intenzioni. Però, osservandolo bene, gli occhi erano leggermente arrossati e cerchiati, forse quel sbadigliare non era poi così artificioso.

«Ci hai messo tutta la notte per sistemare Ito e i suoi scagnozzi?» gli chiese con fare canzonatorio. Sapeva che il suo partner tendeva a non essere sincero se notava la minima traccia di apprensione nel suo interlocutore.

«Chi? Quei buoni a nulla-aaarghh» rialzò le braccia poderosamente e, nel riabbassarle, per poco non diede un pugno in testa a un ignaro passante che ebbe il suo spavento giornaliero.

«Quei maiali non meritavano considerazione. In neanche mezz’ora li ho presi tutti a calci in culo, altroché!»

«Mmh» gli rispose «Allora hai passato la notte a festeggiare come tuo solito, eh?»

«Macché festeggiare! Non me lo ricordare Maki, ho dovuto fare il baby-sitter a quel dannato Sugar Boy per tutta la notte…ah che occasione persa! Mi ero preparato un programmino niente male, si vede che dovrò recuperare oggi» concluse sfregandosi le mani, in un tono che non lasciava spazio a dubbi.

Nel sentir nominare il ragazzo Hideyuki sentì riaccendersi quell’idea che gli si era insinuata nella testa, così decise di approfittare dell’occasione datagli dal socio per provare a togliersi il dubbio.

«A proposito Ryo, com’era questa ragazzina?» chiese con finta noncuranza.

Un mano lo arpionò per la spalla e lo fece voltare, mettendolo davanti a due occhi di brace.

«Makimura sei il peggiore!» gli urlò addosso «Da quando hai cambiato gusti e ti piacciono le minorenni? E per di più spilungone e metà uomo?! Ah, non pensavo avessi avuto un tracollo di questo tipo, io non posso certo lavorare con uomini come te, ho una mia etica e se continui così sarò io a chiudere la collaborazione!».

«Ma sei impazzito per caso? Non ho cambiato un bel niente, chiedevo solo per curiosità personale! Volevo provare a immaginare chi avessi accudito ieri» rispose, scrollandosi di dosso quella manaccia.

«Non c’è bisogno della tua immaginazione fuori luogo, caro il mio detective» e dopo un attimo di riflessione aggiunse solenne «Come risarcimento per continuare a ricordarmi tutte le mie sciagure vedi di prepararmi qualcosa di buono appena arriviamo a casa»

«E perché Ryo? Mi risulta che tu sappia cucinare, non hai certo bisogno che io…»

«È inutile che cerchi scuse! E poi, vieni a vedere casa così, a mani vuote? È buona educazione portare un regalo di buon augurio, vedi ti do l’occasione per non fare la figura del maleducato. E dovresti anche ringraziarmi perché in questo modo non dovrai spendere neanche un centesimo, visto che ho già fatto la spesa» ma non ricevendo risposta tornò alla carica e piagnucolando aggiunse «Sei un essere senza cuore! Non mangio da ieri mattina e ho una fame da lupi, sono praticamente sull’orlo del collasso e non ho le forze per prepararmi qualcosa. Inoltre, tieni a mente che per colpa tua ho perso diverse occasioni oggi e, mentre cerco di dimenticare le mie sciagure, tu mi ricordi la mia misera serata di ieri e…»

«Ok, va bene, va bene ti cucino qualcosa, basta che la finisci! Ti preferisco collerico piuttosto che in questo stato»

Un grugnito soddisfatto suggellò la fine della diatriba, mentre con passo più spedito imboccarono la più ampia Kuyakusho-Dori: ancora pochi metri e sarebbero arrivati a destinazione. Hideyuki ne approfittò per mettere un po’ d’ordine nei suoi pensieri, in quanto aveva trovato alcuni elementi a supporto della sua tesi.
“Ricapitolando, Ryo è stato in compagnia di questa ragazzina alta e dall’aspetto poco femminile, in pratica un maschiaccio…proprio come Kaori. Mia sorella è scappata di casa dopo che ero tornato per medicarmi le ferite, più o meno verso le cinque di pomeriggio, ed è riapparsa stamattina attorno alle nove e mezza davanti a casa. Io mi sono incontrato con Ryo per le otto e mezza, e il mio arrivo è coinciso esattamente con la sparizione della ragazzina che era stata con lui fino a qualche attimo prima – per quanto ne dica ora, Ryo l’ha definita una ragazza carina, non dimentico queste cose… e pensandoci anche Kaori è molto carina –. Quindi con le tempistiche ci siamo, se ipotizziamo che quella ragazza fosse davvero Kaori, scappando al mio arrivo avrebbe avuto modo di tornare a casa prima di me, senza mostrare il minimo segno di affanno per un’eventuale corsa”.
Strinse gli occhi, stranamente il discorso filava più che bene e gli elementi a disposizione cominciavano a combaciare.
“Per non parlare di quel fame da lupi! Mia sorella non ha mai usato una simile espressione – per quanto si comporti come un maschiaccio non ne ha mai usato il gergo – e per combinazione Ryo l’ha utilizzata proprio qualche minuto fa. Questa non mi sembra proprio una coincidenza. Ora resta solo da verificare un altro elemento per tramutare il sospetto in certezza, ma ancora non so in che modo…”

«Ehilà Maki non starai cercando di svignartela? Le promesse si mantengono.»

Hideyuki si voltò di scatto. Perso nei suoi pensieri non si era reso conto di aver continuato a camminare mentre il suo partner si era fermato di fronte a un portone a vetri, dove lo aspettava a braccia conserte.

«Su vieni, il giro turistico sarà parecchio lungo» aggiunse, senza dargli il tempo di rispondere.
 
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Un paio d’ore dopo Hideyuki si ritrovò in una cucina uscita direttamente da un film dell’orrore, ingegnandosi nel trovare un modo per trasformare in qualcosa di commestibile i quattro ingredienti che era riuscito a reperire nel frigo. Raramente aveva visto un posto così lercio. Il piano di lavoro era di un macabro color ambrato tendente al nero e molto appiccicoso, i fornelli risultavano completamente incrostati e con accenni di ruggine negli spigoli interni. Il lavello, poi, era una meraviglia della botanica in quanto, tra una pila di piatti che reclamavano un lavaggio da giorni, faceva capolino una spugna abbandonata al proprio destino, sulla cui superfice erano cresciuti tre simpatici germogli di natura indefinita, attestando come la vita fosse davvero possibile anche nelle condizioni più estreme. Completavano l’arredo della stanza un frigo piuttosto rumoroso, una panca, un tavolo, una sedia e diversi scatoloni – quest’ultimi sembravano aver vita propria e avevano colonizzato tutti gli ambienti della casa. Non avrebbe mai immaginato che Ryo potesse possedere così tante cose.

«Ah non preoccuparti Maki, non c’è bisogno che pulisci qui»

Si girò verso la porta della cucina dove vide lo sweeper appoggiato mollemente al muro, in boxer e coi capelli ancora bagnati. Dopo il gran tour della casa era corso in bagno dicendo che non sopportava più la puzza di cane morto che si sentiva addosso, e lui non aveva avuto nulla da obiettare perché era vero.

«Ah non mi preoccupo per niente, non avrei pulito in ogni caso. Non sono certo la tua domestica e poi come regalo mi hai chiesto qualcosa da mangiare, io mi limito a questo» disse fintamente piccato.

«Sempre così generoso Maki!» e sbuffando aggiunse «Però dovrò trovare al più presto qualcuno che mi aiuti a ripulire questo mausoleo… Non ce la farei da solo, è troppo grande e i vecchi inquilini l’hanno tenuta come un porcile questa casa»

Effettivamente Hideyuki era rimasto sorpreso da quella nuova sistemazione che consisteva in due appartamenti molto grandi e spaziosi posti agli ultimi piani, un terrazzo di uso esclusivo, un poligono di tiro al piano interrato e, per concludere, un box auto di notevoli dimensioni a piano terra. Tutto questo spazio a disposizione di una sola persona che, fino a poco tempo prima, abitava in un monolocale decadente nel residence peggiore del circondario.

«Ma dimmi un po’ Ryo, come sei riuscito ad prendere in affitto questa reggia? Rispetto alla topaia in cui stavi prima devo ammettere che hai fatto un salto di qualità notevole» chiese mentre cercava di smuovere dal bollitore un blocco di riso secco e stantio.

«Beh, era giunto il momento di un cambio di immagine. Quella stamberga poteva andar bene per qualche ladruncolo disperato, ma per City Hunter ci voleva qualcosa di meglio»

Lo sweeper si sedette a cavalcioni sulla sedia e puntellando i gomiti allo schienale continuò, lievemente più serio «Comunque l’ho scelta soprattutto per l’affitto inesistente»

Hideyuki lo guardò con fare interrogativo.

«Non c’è affitto?»

«Nossignore. Devi sapere che l’intero edificio è stato costruito ad opera di un gruppo laterale alla yakuza, pesci piccoli intendiamoci, e devo ammettere che hanno fatto le cose per bene. Dalla fondamenta agli infissi si tratta di un palazzo completamente abusivo, persino le carte al catasto sono state modificate da impiegati compiacenti. Bene, questo edificio fungeva sia da abitazione che da quartier generale dell’intera banda che, in questo modo, gestiva comodamente lo spaccio di droga nei locali più malfamati di Kabukichō – infatti parte dell’attuale poligono era adibito a magazzino –. Stando alle informazioni che ho ricevuto, il gruppo operava da più di due anni e avrebbero anche potuto continuare a condurre la loro lurida vita tranquilli se non avessero deciso di pestare i piedi alla persona sbagliata»

«Non ho difficoltà a immaginare chi sia questa persona» gli rispose guardandolo con un sorrisetto appena abbozzato.

«Eh già. Pensavano di essere più furbi dei loro compari, così avevano iniziato a fare la ricotta sul ricavato dello spaccio, diminuendo notevolmente la percentuale destinata alla casa madre; poveri illusi, credevano che i capi non se ne sarebbero mai accorti, davvero non c’era un cervello funzionante tra di loro! Morale della favola: sono stati scoperti e, per evitare di essere trucidati seduta stante, si erano offerti di portare la mia testa al loro capo. I loro piani, però, non sono proprio andati come speravano» gli occhi di Ryo fiammeggiarono un istante quando concluse «Nel luogo dove ora hanno eterna dimora non hanno più bisogno di questo palazzo, ed era un peccato tenerlo vuoto visto che volevo lasciare il monolocale. I loro compari, quando hanno capito che ero intenzionato a trasferirmi qui, non si sono sognati di reclamare la proprietà, anche perché ho fatto loro un favore eliminando dei rami che sarebbero stati potati ad ogni modo»

«Quindi gli altri appartamenti sono vuoti?»

«Non tutti. Conoscevo un po’ di gente che sapevo essere rimasta senza casa per i motivi più vari, perciò ho detto loro che, se potevano permettersi di pagare le bollette e non rompevano le scatole, potevano venire qui, e…» appena, però, ebbe notato il sorriso del partner si affrettò ad aggiungere «E comunque l’ho fatto solo perché non mi andava di gestire da solo questo mausoleo! E poi non è detto che non cominci a far pagare loro l’affitto… ah insomma quanto mi fai parlare! Possibile che non sia ancora pronto niente? Tra poco inizierò a mangiare il tavolo!»

“Sempre il solito” pensò Hideyuki “non riesce proprio ad ammettere che anche lui faccia delle buone azioni disinteressate” e prendendo la padella si diresse verso l’affamato.

«Ecco, l’omu-raisu è pronto, e non guardarmi in quel modo, più di così non potevo fare. Ricordati di fare ogni tanto la spesa e di non spendere tutti i soldi che guadagni tra locali e scommesse»

«Sì sì, non farmi da balia Maki» e afferrando la padella continuò «Certo che potevi sforzarti di fare le cose per bene e impiattare come le persone civili!»

«Si dà il caso che non ci sia un piatto pulito in questa cucina e, a meno che tu non voglia prenderti il colera, è meglio che mangi nella padella. Non che sia più pulita, ma almeno il fuoco l’ha disinfettata»

«Mmm, sempre a badare a questi dettagli… e tu non mangi niente? Che c’è, hai avvelenato il cibo per caso?» gli chiese puntandogli sul volto una bacchetta che catapultò un pezzo di frittata sui suoi occhiali.

«Non ricorro a questi mezzucci per farti fuori» gli rispose togliendosi gli occhiali e mentre iniziò a pulirli pazientemente aggiunse «No, ho promesso alla mia cara sorellina che sarei tornato per la cena. Dopo tutto quello che le ho fatto passare il minimo che possa fare è prendermi cura di lei, soprattutto oggi»

Hideyuki rimase un momento immobile, le lenti degli occhiali ancora tra i lembi della camicia, e fu colto da un attimo di esitazione. Stava facendo la cosa giusta? Sarebbe stato abbastanza forte da lasciare Kaori totalmente fuori dal suo mondo ora che lei sapeva tutto? Sì, sentiva di essere pronto, ma dentro di lui c’era sempre quel minuscolo senso di inadeguatezza latente.
“Sarò abbastanza forte per entrambi?” si chiese, senza aspettarsi una risposta.

«Temo che tu sia troppo buono per questo lavoro Makimura, sappi però che io non tollero debolezze»

Quelle parole lo colsero alla sprovvista, come un colpo di pistola sparato alle spalle. Gliele aveva dette Saeko il giorno in cui avevano iniziato a lavorare insieme. Ricordava ancora quella sensazione di fastidio che gli era salita fin nel cervello nel sentirla dire così. Durante gli anni dell’accademia era stato in ottimi rapporti con la giovane donna e da subito l’aveva considerata uno spirito affine ma, quando presero servizio presso la centrale, l’aveva trovata terribilmente cambiata. Lui, che poteva sondare nell’animo delle persone, in quel caso si era scoperto totalmente incapace; era come se lei avesse innalzato una barriera impenetrabile e lui, troppo coinvolto emotivamente, non riusciva ad affrontarla col distacco necessario. Aveva scolpito nella memoria il tono e lo sguardo con cui Saeko aveva accompagnato quella frase, seguita da un veloce e freddo inchino a cui lui non aveva risposto. Che ne era stato di quella bellissima ragazza entusiasta e fiduciosa degli anni precedenti? Hideyuki su un punto era certo: lei aveva avuto modo di conoscerlo a sufficienza per capire che la sua gentilezza non era affatto sintomo di debolezza, anzi; era il suo lato più umano a salvarlo dalla voragine di brutture e violenza che lo circondavano quotidianamente. Da quel fatidico giorno aveva lavorato più duramente di chiunque altro per provare a tutti… ma no, non era vero… per provare a lei, solo a lei, quanto si fosse sbagliata su di lui, quanto valesse nel suo campo. Le mancava molto e il solo ammetterlo lo faceva stare ancora peggio.
“Oh, Saeko…”.
Un rutto sonoro lo riportò immediatamente alla realtà, facendolo sobbalzare sulla panca.

«Ehi Maki, ti confesso che sono sorpreso. Pensavo fosse impossibile trovare qualcuno che sapesse cucinare meglio di me, e infatti continuo ad avere ragione. Puoi fare di meglio» disse Ryo ben stravaccato sulla sedia, tenendo tra le labbra strette uno stuzzicadenti a mo’ di sigaretta.

«Bah, sempre a lamentarti. Vedi che è stato difficilissimo rendere commestibile quel riso vecchio e le due uova che avevi. Tranquillo questa è l’ultima volta che cucino per te» e così dicendo si alzò e prese a camminare pigramente raggiungendo il salotto adiacente, dove iniziò a osservare senza reale interesse la pila di scatoloni che ingombravano la stanza. Non gli sfuggì un alone scuro sui listelli del parquet di ciliegio.
“Sicuramente avrà versato del caffè per terra, è davvero maldestro nelle cose più semplici” pensò emettendo un leggero sbuffo. Delle orecchie ben allenate lo colsero senza difficoltà dall’altra stanza.

«Sei davvero sicuro Makimura? Non mi devi niente. Faresti ancora in tempo a lasciare» il tono questa volta era basso e molto serio.

Hideyuki capì che allo sweeper non era sfuggito il suo breve cambio di umore ma, per quanto perspicace, non poteva immaginare il giro contorto dei suoi pensieri. Sorrise mentre, attraverso l’ampio finestrone del salotto, vide il sole svanire placidamente tra l’orizzonte frastagliato dei grattacieli, tingendo tutta la città di un etereo violetto. Sentì una calma risoluta impossessarsi del suo spirito: non era mai stato più sicuro delle sue azioni, ora ne era convinto.

«Ryo mi hai frainteso. Non voglio lasciare il nostro lavoro, ormai so che il mio posto è al tuo fianco» e prendendo la stanghetta degli occhiali tra il pollice e l’indice proseguì «Vedi, il sole non illumina solo i grattacieli; con un po’ di fatica la luce raggiunge anche i vicoli più angusti, e non contenta riesce a filtrare persino attraverso le grate dei tombini, rischiarando debolmente luoghi che sarebbe meglio tenere al buio. Pochi ingenui raggi decidono di sacrificare la loro vanità per incontrare gli abissi. Già da tempo ho deciso che mi sarei comportato come quei raggi incoscienti: avrei portato un barlume di giustizia e speranza di consolazione tra gli ultimi, tra i più deboli e con qualunque mezzo, non m’importa di lordarmi. So bene che il mio piccolo intervento non farà davvero la differenza su larga scala, ma quelle parole di gratitudine, quei sorrisi, quelle lacrime di sollievo più che i compensi in denaro mi convincono che il mio lavoro non è inutile»

Si girò, le mani dietro la schiena. Ryo lo fronteggiava, una spalla appoggiata allo stipite della porta e le braccia conserte.

Si guardarono negli occhi e Hideyuki concluse «Sono convinto che il nostro lavoro sia necessario e attualmente noi siamo i soli a poterlo fare. Ecco perché non voglio lasciare»

Ryo gli rispose con uno sguardo tra i più eloquenti, lasciando scorgere nei suoi occhi una luce diversa dal solito che, pochi attimi dopo, si inabissò nel nero di quelle pupille impenetrabili. L’ex detective sapeva che quei rari istanti erano gli unici momenti in cui il suo partner lasciava uscire il cuore allo scoperto, e si chiese quanto dovesse soffrire Ryo nel dover costantemente nascondere con forza la sua vera indole. Perché si ostinava così duramente? Quell’uomo restava ancora un mistero irrisolto.
Lo sweeper distolse lo sguardo e lo raggiunse strascicando le ciabatte, con gli occhi ostinatamente volti verso il finestrone.

«Sempre il solito sentimentale!» disse in un sospiro e abbassando la testa proseguì «Eh povero me, vorrà dire che dovrò attendere ancora un po’ per la mia bella mokkori-partner. Comunque» aggiunse, mentre si allungò per prendere un pacchetto di Lucky Strikes abbandonato su uno scatolone «Domani sarò impegnato per tutta la mattina. Ci vediamo al Central Park per le due, per te va bene?»

«Sì, nessun problema. In mattinata faccio un salto in stazione per controllare eventuali messaggi» gli rispose iniziando ad indossare il soprabito.

«Spero non andrai a sterminare altri spacciatori, non è un’attività salubre appena svegli»

«Neanche per sogno!» esclamò Ryo, buttando fuori il fumo dalle narici, prendendo così le sembianze di un toro imbufalito «Ho cose migliori da fare, sto lavorando a un progettino che una volta terminato sarà un capolavoro»

«Ovvero?» gli chiese scettico.

«Ovvero, uomo di poca fede, faccio prima a fartelo vedere perché so che non capiresti»

“Chissà che gli frulla nella testa” pensò Hideyuki mentre vide il socio prendere al volo le chiavi della macchina e dirigersi spedito verso la porta.

«Che ne diresti di metterti almeno i pantaloni?»

«Fin quando sono a casa mia posso stare come voglio. E poi…» aggiunse con un’espressione inebetita «C’è sempre la possibilità di incontrare qualche bella ragazza per le scale, vedendomi in tutto il mio splendore nessuna potrà resistermi! Anzi, visto che ci sono forse dovrei togliermi anche questi stupidi boxer…»

Hideyuki gli corse incontro travolgendolo e lo tirò per un braccio lungo i primi gradini.

«Non ti azzardare a fare una cosa del genere!» gli urlò contro «Su, andiamo a vedere il tuo progetto ma, santo cielo, non toglierti quel coso di dosso!»

«Eh Eh che c’è, temi di cambiare definitivamente gusti? Lo so, dai ragazzini androgini ai bei maschioni come me il passo è breve»

Esasperato, l’ex detective gli rispose con uno sgambetto che fece rotolare lo sweeper fino al pianerottolo sottostante.

«Bastardo» sibilò Ryo mentre si rialzava massaggiandosi il fondoschiena.

«Come sono maldestro, povero me!» gli rispose candidamente, passandosi una mano dietro alla nuca.

Una volta giunti in garage Ryo si diresse verso la Mini Cooper e, dopo averla aperta, invitò il partner a saltarci su. Hideyuki si sistemò nell’abitacolo e quasi subito venne colpito da una sensazione di déjà-vu olfattiva molto forte. Nell’ambiente ristretto della macchina, la quotidianità dello sweeper era condensata in un miscuglio peculiare di odori: fumo di sigarette, polvere da sparo, colonia di pessima qualità e un indefinito sentore di pelle proveniente dalle tappezzerie. Non era la prima volta che entrava in quella macchina, ma perché era sicuro di aver già sentito quell’odore recentemente? Poi l’illuminazione. “Kaori!” pensò e per poco non lasciò sfuggire il nome di bocca. Quando quella mattina l’aveva abbracciata e aveva affondato il viso nell’incavo della sua spalla ossuta, aveva inalato dalla felpa quell’odore così caratteristico che sul momento lo aveva lasciato interdetto. Non le aveva mai sentito addosso quell’odore, ecco perché l’aveva considerato subito un possibile indizio per aiutarlo a ricostruire i suoi movimenti. In quel momento tutti gli elementi combaciarono perfettamente e il sospetto si tramutò in certezza. Si appoggiò alla spalliera del sedile reclinando il capo all’indietro; si sentì stranamente più rilassato.
“Kaori…allora sei stata qui!”

«Maki non ti ho portato qui per fare un pisolino eh!» una voce nota gli trapassò l’orecchio destro, riportandolo alla realtà.

«Su, dai, apri il vano portaoggetti» lo esortò Ryo.

«Eh?»

«Sei diventato sordo adesso? Ah la vecchiaia che brutta bestia» e così dicendo allungò il braccio possente e aprì con uno scatto la piccola ribalta, tirando fuori una tavola su cui erano fissati alcuni circuiti elettronici, tra i quali spuntavano dei piccoli cavi.

«Questo è…» fece Hideyuki con fare interrogativo.

«…Il capolavoro che ti avevo accennato» concluse Ryo, più tronfio che mai.

«Quello che vedi ora è lo scheletro di un monitor che mostrerà la planimetria di Tōkyō, diciamo che puoi paragonarlo a un radar. Tramite l’antenna integrata sarà possibile individuare con la massima precisione chiunque abbia indosso una di queste» e aprendo la mano mostrò una piccola ricetrasmittente delle stesse dimensioni di una moneta da 1 yen.

«Ogni trasmittente corrisponderà a un segnale luminoso sullo schermo, a cui vorrei aggiungere anche un segnale sonoro per comodità. Il raggio di azione è ancora modesto, però, non oltre i 500 m, ma ci stiamo lavorando e con qualche miglioria credo si possa arrivare al chilometro. Inoltre sto pensando di aggiungere una chicca per i miei momenti di piacere…eh sarà una meraviglia!»

Hideyuki lo ascoltò con attenzione e una buona dose di ammirazione. Lui non era mai stato particolarmente appassionato di tecnologia e ricordava ancora con terrore quando era stato costretto a utilizzare quei nuovi computer DOS durante gli anni in polizia; il doversi destreggiare con quella diavoleria ingombrante, dai mille comandi e con quella miriade di stringhe di calcolo da inserire, tutte uguali tra loro, era una vera tortura per i suoi occhi miopi. Da quel poco che aveva capito, però, il progetto di Ryo gli sembrava molto valido e utile. Per di più sapeva bene che il suo partner, pigro com’era, se si imbarcava in un lavoro complicato era perché ne valeva davvero la pena.

«Sì mi sembra una buona idea e ci potrebbe facilitare la vita, per esempio per i pedinamenti. Però se ho capito bene hai detto ci stiamo lavorando, quindi non è tutta farina del tuo sacco?»

«Calmo, calmo. L’idea è mia, ma naturalmente mi sto facendo aiutare da chi è più competente di me in materia. Sono totalmente ignorante e per far quadrare tutto con precisione ci vuole qualcuno che sappia fare i calcoli» e richiudendo il cassetto concluse «Dato che domani siamo liberi ne approfitto per recarmi dal Professore; dovrebbe aver ultimato l’interfaccia definitiva e se non sorgono imprevisti credo che per maggio sarà terminata la versione prova»

Hideyuki annuì semplicemente e dopo aver ricordato al socio la virtù di arrivare puntuale agli appuntamenti prefissati – sebbene era certo che avrebbe ritardato, come sempre – uscì dalla vettura e prese congedo dal partner. Appena mise piede fuori l’edificio la città lo accolse col suo turbinio di luci al neon che illuminavano quasi a giorno le strade, mentre un cielo di velluto nero sembrava avvolgere le loro vite. In quel momento si sentì terribilmente esausto, necessitava assolutamente di riposo e a passo svelto iniziò a scivolare tra la folla che iniziava a riunirsi nel quartiere notturno, non vedendo l’ora di stendersi nel letto. Guardò l’orologio: erano le sette e un quarto, non pensava di aver passato così tanto tempo con Ryo ma alla fine era sempre così, in sua compagnia non si annoiava mai e il tempo volava via.
“Ryo” si disse “chissà se tu hai capito chi era in realtà quel ragazzino.”
 
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Steso nel letto Hideyuki non riusciva ancora ad addormentarsi. Kaori era stata molto cara con lui quella sera e l’aveva stupito preparandogli un ramen davvero buono. Era proprio una brava ragazza, non poteva essere più fiero di lei. Nonostante fosse cresciuta in un ambiente prevalentemente maschile serbava quel candore e quell’innocenza così femminili, eppure così difficili da ritrovare nelle altre ragazze, molto più smaliziate della sua sorellina. Peccato, però, che si vergognasse di mostrare la sua vera natura e tendeva a chiudersi un po’ con gli altri, mostrandosi più dura e scontrosa di quanto non fosse davvero.
“Non so perché ma mi ricorda qualcun altro” pensò tra sé. Ryo. Ormai era un po’ di tempo che nei suoi pensieri rimbalzavano ogni giorno quei due. In realtà c’era anche un terzo nome, se possibile ancora più ingombrante degli altri, ma aveva deciso di rinchiuderlo nell’angolo più remoto della sua mente; peccato che si divertisse a saltar fuori nei momenti più inaspettati, proprio com’era successo poche ore prima. Sentì il cuore farsi più pesante, così chiuse gli occhi e sospirò.
Che sollievo era stato per lui l’aver scoperto che Ryo si fosse preso cura di Kaori – certo l’aveva fatto indirettamente, ma la sostanza era quella. Non aveva mai avuto dubbi sulla buona indole del partner e ora poteva esserne più che sicuro. Se fosse stato l’uomo senza scrupoli e misantropo che andava decantando non avrebbe avuto cura di una ragazzina sconosciuta e impulsiva. Improvvisamente sentì il suo fardello di responsabilità farsi un po’ più leggero. Non era più il solo a poter proteggere sua sorella e questa consapevolezza lo fece sorridere.
“Quel testone l’avrà capito prima di me? Credo che…” ma non riuscì a proseguire, poiché i pensieri si sospesero e sfumarono nel sonno che lo raggiunse.
   
 
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