Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: marshi123    27/01/2021    0 recensioni
Se solo avesse avuto un’altra vita per ricominciare da zero, cercarlo e dirgli tutto. Ma la vita è crudele, anzi no: questo mondo è crudele. È sempre stato così, fin dall’inizio e non è mai cambiato.
Strinse troppo forte la penna e la ruppe.
Perché?
Perché così tante emozioni gli scorrevano addosso senza motivo?
Rimorso,
dolore,
calore.
Questo era ciò che sentiva sulla sua pelle, nel suo cuore e il ricordo di quegli occhi sicuramente non lo aiutava. Anzi, peggiorava le cose: quegli occhi grandi e verdi non gli uscivano dalla testa. Levi trascrisse tutto, ogni singola emozione che venne fuori. Sentiva il desiderio di toccare ancora quelle mani, mani dalla pelle delicata. Come se fossero rimaste sempre intatte da qualsiasi graffio o ferita.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Angolino dell'autrice:

CE L'HO FATTAAAAA!!
Dai qualcosina è stato chiarito, più o meno.
Spero che vi intrighi, avevo la scena finale in mente da quasi una settimana e non vedevo l'ora di metterla per iscritto!!
Scappo per permettervi di leggere il capitolo il prima possibile.
Prossimo capitolo in data 03/02/2021 per le ore 17:00, saluti!
Marsha


CAPITOLO 3
-
Maledetta tisana


Gli si spezzava l’animo vederlo in quello stato, era come vedere una montagna crollare alla valle. Era un uomo forte, magari il più forte di tutti, ma alla fine noi siamo solo umani. Siamo solo carne, che tornerà alla terra al fine del suo circolo. Era quasi inudibile sentirlo piangere, non voleva farsi sentire da sé stesso. Non voleva lasciarsi andare, credeva di aver imparato ormai dopo anni a resistere alle proprie emozioni dopotutto. Non riusciva a comprendere perché proprio ora non ci riusciva. Forse era colpa del ragazzino e chissà, un’epoca diversa. Per quale motivo avrebbe dovuto ora costringersi a tale castigo? Non era in guerra, non era nell’esercito e non combatteva da tempo ormai.

Sì lasciati andare, piccolo Levi. Piangi, piangi tesoro di mamma. Hai sofferto per così tanto tempo, non è vero? Ipotetiche frasi che peggioravano la situazione, ma che rimbombavano nella sua testa senza fermarsi. Era come se fosse ancora in quell’angolino, ancora dopo tutti quegli anni. Era rimasto lì, con quell’odore nauseabondo di quel corpo e la fame che lo divorava lentamente. Una tenaglia alla gola, stretta e appiccicosa che non lasciava andare il respiro. Singhiozzo, singhiozzo, ancora singhiozzo. Quasi quarant’anni passati in un lampo e la vita ancora ferma lì su quel pavimento sporco, in quella stanza infernale. Doveva uscirne, doveva, ma non voleva. Silenzio tra le pareti, mamma non c’era più. Che senso ha andare avanti? Qui sotto si muore, in superfice si muore e fuori da quelle mura si muore. Dove si sopravvive?  Di sicuro non qui dentro, ma forse in una speranza.

“Levi, ehi tieni "

Aveva la vista offuscata dai ricordi, da quel buio. Ma non era al buio, ma alla luce. Appoggiato con i gomiti su quella tavola imbandita per la cena e con affianco un ragazzino che gli offriva un tovagliolo. Per asciugarsi, per cancellare quei fardelli. Sentì il corpo tornare adulto, le mani farsi grandi e la voce mascolina. Non era più in quella stanza, era libero.  La speranza di essere libero, eccola lì di fronte a sé. Un bel ragazzo alto, dagli occhi verdi come le pianure selvagge, moro e dispiaciuto, comprensivo. Ritornò in sé e si risigillò nella sua stessa forza.

“grazie, Eren”

Di solito era il contrario, o almeno era quello che ricordava dai suoi sogni. Levi aveva accompagnato quel ragazzino fino alla fine. Lo aveva sorretto, lo aveva consolato, lo aveva supportato, lo aveva addestrato alla guerra. Anche se l’aratro del carro era guidato da tutta la sua determinazione, dalla sua rabbia, Levi era lì. Non avrebbe potuto, e nemmeno voluto a dire la verità, arrestare quell’aratro che ha cambiato il mondo. Se era lì ora su quella tavola e passava le sue giornate senza troppe preoccupazioni era solo per le sue gesta. Un mostro, fino alla fine. Come poteva, però, un mostro simile portare tanta pace? Levi non sapeva spiegarlo a parole, mai ci sarebbe riuscito. Si asciugò il viso, purificandosi da quelle lacrime nere.

Sentì Eren vicino, voltando lo sguardo notò la tazza fumante che gli stava porgendo. La tisana. Maledetta tisana, quanto eri serena tra quelle mani. Saresti stata lo stesso tra quelle di Levi? L’afferrò e la osservò fumante. La bevve, ma a suo gusto era troppo dolce, davvero troppo.

"Hai messo tutto il barattolo del miele per caso? Questa notte mi verranno le carie nel sonno.”

“S-scusa, adesso la rifaccio”

“No.” Sta zitto. “Va bene così” Era perfetta. Tranquilla e calmante.

Ci voleva Eren per ottenere un infuso simile? Maledetta tisana. Meno male che ci sei. Anche il ragazzino aveva la sua tazza calda in mano, ma non si sedette di nuovo al tavolo. Vedendo il quarantenne in quello stato voleva farlo stare il più comodo possibile, anche se non era casa sua. Gli indicò con gli occhi il divano alla loro destra, di sicuro sarebbe stato più comodo di una tavola con i piatti vuoti.

“Che ne dici? Non saresti più comodo sul divano?”

“Guarda che io dormo sulla sedia tutte le sere, per me è come un letto.”

“E se ti sporcassi la maglia mentre sparecchio? Vorresti stare ancora su quella sedia?”

Fece una faccia di disgusto diretta verso il vuoto, quell’uomo odiava proprio lo sporco. Appoggiò la tazza, facendola scivolare lentamente sul legno in un rumore lieve, le tazze per lui si poteva dire che sembrassero principesse. Guai rovinare una tazza, se non meno romperla! Tirò indietro la sedia sbuffando, sempre con quella faccia infastidita, e si alzò dal tavolo facendo un gran fracasso. Per fortuna abitava al piano terreno e nemmeno in un condominio, Eren era sicuro che altrimenti i vicini non sarebbero stati molto contenti.  Prese la tazza e si buttò a capofitto sul divano, affondando nella spugna. Non fece cadere nemmeno una goccia di infuso, il moro era convinto che si trattasse di qualche magia nera. Non era umana una cosa simile, a chiunque sarebbe caduto sia sul divano che sul pavimento. Si sentì a disagio, lo continuava a guardare con uno sguardo innervosito come se le cose gli stessero fuggendo di mano. 

Ed effettivamente era così, perché non solo era riuscito ad entrare in casa, a farlo sfogare e a sparecchiare. Era riuscito a incollarlo sul divano e a lavargli i piatti, senza che glielo ordinasse.  Non che gli dispiacesse a dire il vero, ma comunque si trattava di un estraneo in casa e si stava comportando in modo troppo imprudente nei suoi confronti. Lasciargli carta bianca non era un’idea saggia, se fosse solo venuto a fare razzia in casa sua non avrebbe avuto i riflessi pronti. In quel momento era ancora su quel divano e ormai aveva finito il liquido nella tazza, decise di usarlo come scusa per andare in cucina e osservare cosa stesse facendo esattamente. Il ruscio dell’acqua e il profumo di sapone erano da garanzia ancora prima di entrare, superò l’uscio della porta e lo vide con un piatto insaponato nella mano sinistra e nella destra la spugna.

Strofinava facendo molta schiuma, era inevitabile che una bolla sarebbe svolazzata fuori dal lavandino.  Gli svolazzò vicino al naso e, come un bambino, la fece scoppiare con l’indice mentre teneva ancora la spugna in mano. Bup. Aveva una faccia indifferente, almeno fin quando non si voltò e notò il caporale alle sue spalle basito. Con una mano stesa sull’altezza della porta e il resto del corpo all’interno della cucina.  Non era di sicuro una scena che si addiceva a un uomo, la vergogna fu tale che ben presto sentì le orecchie arrossarsi. Per sopportare finì di sciacquare il piatto e lo mise in pila insieme alle altre stoviglie lavate.

“Oi, smettila di giocare ragazzino. Dammi un altro goccio di infuso”

Eren non se la prese, ma gli passò subito la caraffa.Per fortuna era ancora bello caldo e ne era avanzata una porzione anche per lui. Non gli dispiaceva, alla fine non era malvagio come temeva. Inoltre, era riuscito a farlo stare per una sera in quella casa.  Non male per due ciuffetti di erba.

“Ti aspetto sul divano, voglio sapere di tua madre”

“Sì. Ho finito, il tempo di asciugarli e sono in sala da te”

Gli conveniva.  Stava osando troppo il marmocchio, non amava la gente che gli faceva aspettare. Inoltre erano le 23.00 passate, Levi temeva che non si sarebbe reso conto dell’orario tardivo. Fuori quei due fiocchetti di neve si erano trasformati in una brutta bufera gelida con vento forte e nebbia fitta.  Se fosse partito per andare a casa non avrebbe saputo con certezza che vi sarebbe arrivato sano e salvo. L’ipotesi che si perdesse lo preoccupava enormemente, forse perché lo vedeva più come l’Eren del passato e non di quello che chiunque avrebbe pensato. Un estraneo.

“eccomi” si svegliò dai pensieri.

“Finalmente, altri due minuti e mi avrebbero mandato la pensione”

Eren non riuscì a trattenere una risata e Levi non potè fare a meno di incidere nella sua testa quell’immagine. Tuttavia rimase inerme continuando a sorseggiare quella tisana troppo dolce, ma al ragazzo non diede fastidio. Anzi, si fiondò anche lui sul morbido divano, facendo ballare i due cuscini giacenti. I ciuffi sulla fronte, che scappavano dal codino, gli parvero delle altalene. Soavi ondeggiarono durante l’atterraggio nel morbido sofà, affascinante. Si girò alla destra, verso Levi, sorridendo ancora spensierato. Troppo attraente. Il sorriso iniziò ad assottigliarsi, che peccato... quella visione lo faceva star bene. 

“Sei pronto?”

“datti una mossa, Jaeger”

“Cavolo, Mikasa non ti ha tralasciato nemmeno il cognome eh”

Cosa?

“va bene, va bene. Se proprio insisti!”

Cosa? Aspetta un secondo.

“Quando ero piccolo, non abitavo qui in zona. Io e Mikasa abitavamo insieme ai miei genitori a Paradiso, in un paesino sulla montagna.”

Lui non gli disse mai il suo cognome

“Un giorno vi fu una forte scossa sismica, furono troppi i danni alle case.”

Levi lo chiamò come il ragazzo che appariva negli incubi notturni “Un grosso masso causato dallo sciame sismico si staccò dalla montagna, rotolando fino a valle.”

I dubbi lo assalivano, mentre ascoltava attentamente il moro. C’era la probabilità che vi fosse un minimo di collegamento, viste le attuali coincidenze.

“Cadde sopra casa mia e mia madre non riuscì a fuggire.”

Era simile alla versione del sogno, ma ben diversa e molto più drastica. La madre di Eren secondo il rapporto militare fu divorata viva da un gigante, in quanto impossibilitata alla fuga dalle gambe spappolate da un masso, caduto sull’abitazione della donna. C’era qualcosa che non tornava nella testa di Levi, aveva come la sensazione che alcuni ricordi fossero stati modificati. Altre cose della sua vita generale non coincidevano molto con la realtà. Per esempio, possedeva dei ricordi di una città sotterranea in cui passò momenti critici della sua infanzia, ma non coincideva con la realtà attuale. Infatti, sin da quando ebbe memoria non si era mai mosso dalla città di Marley. Lì nacque e li crebbe, nessuna zona sotterranea all’oscuro del sole o cose simili. Persino un ricordo di mura altissime, ma che non ne ricordava il significato. Solo ora i suoi incubi iniziarono a svelare qualche mistero della sua vita, facendogliela apparire come un misero fantoccio. In quel momento persino il racconto di quel ragazzo non sembrava veritiero, per errore della sua stessa bocca.Stava per fare una scelta e sapeva che non si sarebbe pentito nell’affrontarla. La verità sarebbe salita a galla, questo era ciò che gli insegnò sempre il suo amico Erwin.

“Mi stai prendendo in giro, ragazzino? Sbaglio o dissi che tua madre era stata assassinata?” 

Eren era visibilmente confuso, non sapeva più a quale ricordo credere, non fece altro che farfugliare qualcosa ad occhi spalancati. Aria al vento, ma fu la conferma per il capitano che le sue supposizioni erano esatte. I suoi incubi non erano semplici schizzi di un uomo ormai stanco, bensì di una possibile realtà nascosta.

“Come sospettavo, c’è qualcosa di strano” 

Eren non riusciva proprio a comprendere a cosa si potesse riferire Levi. Per casualità buttò l’occhio sull’ orologio a pendolo alla sua destra, era davvero tardi. La sua ragazza sarà stata sicuramente in pensiero. Se si fosse preoccupata troppo c’era l’alta probabilità di poter perdere la bambina in grembo. Guardò fuori e vide la tempesta di neve che infuriava. Non sapeva davvero cosa fare, nonostante la posta in gioco fosse davvero alta. Se solo avesse potuto avere qualcuno che le recapitasse un messaggio in massimo un’ora, oppure comunicare da lontano. Fu così che gli venne finalmente l’idea giusta. Un telefono. Non tutti lo possedevano in casa, nonostante esistesse già da una cinquantina d’anni. Non tutti potevano permettersi di averlo a portata di portafoglio, così come avere un’automobile.

In giro per il paese vi erano sparse delle cabine telefoniche da poter usufruire, ovviamente a pagamento. Non costavano tantissimo e per fortuna Eren, nel suo giaccone, possedeva qualche monetina. Avrebbe solo dovuto resistere al freddo per una ventina di minuti: vicino a dove lavorava ce n’era una.  Sapeva però che il quarantenne non l’avrebbe fatto andare via facilmente, era ostinato alla sua compagnia. La sensazione che c’era stata durante l’intera la serata era quella di un incontro dopo svariati anni di due amici, di due compagni d’avventura. Come se ne avessero passate di tutti i colori, ma allo stesso tempo anche quell’aria di disagio, immancabile in certi momenti. Esattamente come quell'istante, in cui Levi lo stava tartassando di domande su gli incubi che faceva la notte, incitando che quella tisana dolce avrebbe fatto presto effetto.

Non riusciva a comprendere quale fosse l’eccessivo interesse ai suoi sogni. Non amava parlarne, sognava cose molto intense. Ogni sera sognava di salvare sua madre da quell’enorme masso in vari modi, oppure addirittura di volare libero tra gli alberi afferrando due spade affilate. In quei sogni si sentiva libero come non mai. Gli sarebbe piaciuto poter vivere quelle sensazioni. Il vento tra i capelli, la luce del sole, la scoperta del mare con i suoi amici e la sconfitta di esseri giganteschi dall’alito putrefatto. Li detestava, con tutto la sua anima. Non importava in quale situazione se li ritrovasse in sogno, li voleva morti e perdeva incredibilmente il controllo. Agire impulsivamente era la regola numero uno, fin quando non appariva un uomo che lo faceva ragionare, guidandolo durante la battaglia.

Lo ammirava e non osava disobbedirgli, come fa un soldato col suo capitano. Quell’uomo glielo ricordava molto, nonostante sapesse che i sogni sono frutto della propria immaginazione. Non riusciva a non ascoltarlo, a non mollare i suoi discorsi e ben presto la mezzanotte passò in fretta. Il ticchettio della lancetta sull’orologio non si sentiva, almeno Eren non lo percepiva. Pendeva da quelle labbra, come se fosse ipnotizzato da quella voce profonda. Rimasero lì su quel divano anche dopo aver finito tutta la tisana fino all’una di notte, quando Eren iniziò a preoccuparsi per Mikasa. Inoltre, se la tempesta avrebbe continuato a sfogare la sua ira in quel modo, non avrebbe avuto alternativa che dormire a casa di Levi.Più guardava l’uomo e più sapeva che la cosa non sarebbe finita in modo morale. Levi si alzò finalmente da quel divano, dopo quasi 4 ore, mise nel lavandino della cucina le tazze e tornò da Eren in sala.

“Come immaginavo ti sei piantato qui in casa mia questa sera. Ti porterò delle coperte, in modo che tu non soffra il gelo durante il sonno.”

L’aveva fatta grossa, non si comportò in modo molto rispettoso.  A dire la verità, però, non gli importava affatto. Sentiva di volersi avvicinare a lui perché era misterioso ed intrigante. Avrebbe davvero voluto vederlo senza quella maschera indifferente, ma con un volto immerso nell’eros. Magari chissà, pronunciando anche il suo nome.

“Eren, dormi in piedi? Sveglia, ragazzo!”

Lo riportò con i piedi per terra sbottando in quel modo, era proprio quello che gli serviva. Forse non erano i pensieri giusti da fare con un uomo che poteva essere perfettamente suo padre, vista la differenza di età enorme.

“Scusami, effettivamente il sonno sta prendendo il sopravvento. Ti ringrazio davvero”

Levi sbuffò e andò a prendere le coperte, nel frattempo Eren iniziò a vestirsi. Doveva avvisare Mikasa: poveretta, ansiosa e rabbiosa com’era sicuramente sarebbe stata capace di ammazzare Levi al primo colpo. Diciamo che si trattava di una ragazza molto possessiva, rispetto all’apparenza. Agli occhi di tutti sembrava la tipica mogliettina orientale, delicata e piena di onore, che alla prima prova inequivocabile di pericolo correva in soccorso del suo amato. Oppressiva, per niente libertina come situazione: al ragazzo era impossibile fare molte cose, in effetti. A volte la odiava a morte, ma allo stesso tempo sentiva di amarla profondamente. Preoccupato alla visione della compagna in lacrime, si vestì velocemente del suo cappotto e si coprì per bene. Non sarebbe bastata la buona forza di volontà ad evitare un raffreddore, con quel vento.

Aprì la porta, esclamando “Torno subito, vado a fare una telefonata Levi!” chiuse la porta e iniziò a camminare contro il vento gelido.

Fortuna vuole che il vento soffiasse contro al moro, che non poteva far altro che seguire quella strada, vista la nebbia impenetrabile. Era impossibile vedere a due metri da sè stesso, non sarebbe stato minimamente in grado di riconoscere la sua posizione nella via. Si allontanò da quella casa a malapena di duecento metri e vi si trovò già in una tenaglia stretta dalla nebbia. Non riconosceva la direzione giusta, la nebbia era troppo fitta e la neve cadeva incessante. Per terra si scivolava, quel poco di neve che si posò a inizio nevicata si trasformò in ghiaccio scivoloso. Mise un piede in modo sbagliato sul suolo ghiacciato e scivolò. Cadde a terra sull’osso sacro, causandogli un dolore atroce. Aveva solo un cappottone, nemmeno guanti o cappello. Le mani erano già viola, nonostante stesse camminando a malapena da dieci minuti. 

Si massaggiò la parte dolorante e provò a rialzarsi. Doveva andare avanti, Mikasa lo aspettava a casa. Sentì strattonarsi il braccio e vide... Levi! Non fece in tempo a parlare che gli arrivò un cazzottone sul naso. Per fortuna niente sangue, ma cavolo che male. Alzò nuovamente lo sguardo e vide un diavolo, un demone, Levi.

“CHE PENSAVI DI FARE, TESTA DI CAZZO?!”

Non vide mai nessuno così infuriato, nemmeno Mikasa. 

“Devo chiamare la mia ragazza, ho bisogno di un telefono!”

Fremeva alla voglia di tirargli un altro cartone, non si trattenne affatto.

“Bastava chiedere moccioso, torniamo in casa. Qua si gela, se resteremo troppo a lungo rischiamo l’ipotermia.”

Il tragitto del ritorno fu silenzioso, nessuno dei due azzardava porre parola. Non era difficile notare, nonostante la maschera indifferente, che il nanetto era ancora infuriato. Quell’espressione rimase, anche dopo essere entrati in casa. Fece entrare prima Eren, per poi chiudere a chiave la porta.

“Renditi conto dei rischi che corri. Agire impulsivamente non servirà a molto. Devi usare la testa, Eren. Vedi di ricordarlo.”

Appoggiò il suo giaccone sull’attaccapanni e si diresse verso una delle altre stanze della casa. “Il telefono è nel mio ufficio, in fondo al corridoio a destra. Se hai bisogno chiamami, sarò in doccia per qualche minuto.”

Prese una pila di lenzuola e asciugamani appoggiata sul lavandino del bagno e gliela porse. “Tieni. Qui ci sono le coperte e gli asciugamani per poterti lavare. Sapone, spazzolino e dentifricio. Azzardati a dormire sporco sul mio divano e ti prendo a calci.”

“R-ricevuto”

“Bene.”

Si rinchiuse nel bagno e sentì Eren allontanarsi. Tirò un sospiro di sollievo: per fortuna lo aveva trovato. Con quella nebbia non è stato per niente facile riconoscerlo. Si sarebbe perso se non fosse arrivato, dannazione. Come può un ragazzo della sua età essere così imprudente ed impulsivo. Non bastava il discorsetto fatto poco fa: domani mattina gli avrebbe fatto capire due cosine. Ormai era stanco morto.  Voleva solo lavarsi dal sudore, aveva corso come un pazzo sotto la neve, pur di riacchiapparlo. L’acqua calda della doccia lo avrebbe tranquillizzato insieme al buon profumo del sapone. Se c’era una cosa che adorava erano i prodotti che profumavano di fresco come limone o muschio bianco, ma anche bagnoschiuma all’iris erano ben accetti. 

Il pulito e l’ordine erano una routine del suo essere, questo comprendeva soprattutto il suo look. Ogni settimana si sistemava il taglio di capelli e si radeva in alcune parti del corpo. Per quanto riguarda la barba la detestava, di conseguenza si radeva ogni sera prima di andare a dormire. Sciacquò la lametta dai residui della barba e riprese a trusciarla sulla guancia. Per fortuna la sua pelle non gli dava problemi, sarebbe stato facile altrimenti avere irritazioni cutanee vista la frequente rasatura. La sciacquò di nuovo, mentre sentiva Eren nella stanza a fianco che parlava al telefono. Che ragazzo irresponsabile, al posto della fidanzata Levi lo avrebbe già ucciso.

Da quello che potè origliare dal bagno, la ragazza non era affatto arrabbiata, ma sollevata. Era rimasta anche lei a casa di un loro amico, vista la bufera. Tornare a casa sarebbe stato troppo rischioso per una donna incinta, chiunque fosse con lei a quanto pare aveva insistito a farla restare. Inoltre, se fosse successo qualcosa non era da sola, come Eren pensava. Sembrava che questo amico con cui stava ridacchiando al telefono si chiamasse Armin e che abitasse vicino alla piazza del paese. Non era molto distante da lì, il giorno seguente Eren sarebbe andato a prenderla per portarla a casa. Il tutto ovviamente sperando che la tempesta si calmasse. Si salutarono e terminarono la telefonata, sentì Eren tirare un sospiro di sollievo.

Sciacquò la lametta, ancora. Se la passò sul collo. Ora che era più tranquillo, gli venne in mente che il ragazzo non aveva un cambio per la notte. Dormire sul suo divano con dei vestiti sporchi da tutta la giornata non era l’opzione giusta. Assolutamente no, non vi erano dubbi che sarebbe andata così. Avrebbe sicuramente trovato qualcosa per il ragazzo, nonostante in confronto a Levi fosse più alto. Finalmente quel pigiama che gli andava largo avrebbe avuto il suo momento di gloria, per i piedi non aveva un paio di scarpe che potessero calzargli. Rispetto a Levi, aveva un piede enorme, data l’altezza. Dei calzini sarebbero andati a pennello, che gli andassero bene o meno. La casa di Levi doveva essere priva di lerciume, soprattutto di puzza di piedi.

Diede un’ultima pulita alla lametta, la asciugò e la ripose nell’armadietto del bagno. Si sciacquò la faccia dai residui rimasti in volto e si mise un dopobarba al muschio bianco. Mettere del profumo forse sarebbe stata una buona idea, chissà. Però, per andare a letto non aveva molto senso a dire la verità: il giorno dopo avrebbe dovuto rimetterselo.  Allungò la mano verso la boccetta trasparente, dal contenuto color verde chiaro, e se ne mise due spruzzi sul collo. Aveva la netta sensazione che quel bel moro non fosse venuto a caso, se le cose sarebbero andate in tal modo allora tanto valeva la pena essere pronti. Perlomeno, forse ad essere pronto avrebbe dovuto essere il novellino perché, in tutta sincerità, Levi non si sarebbe trattenuto molto a lungo ancora.

Chiuse la boccetta, la ripose e si rivestì. Si guardò allo specchio: sapeva ciò che voleva. 

 

<<  Diamine, sembrava un vero e proprio inferno.
Rod Reiss,
il suo gigante era di dimensioni enormi,superiore di gran lunga al titano colossale. 
Eren, sporco di sangue in fronte, piangeva come una femminuccia.
Incapace di gestire la situazione con il sangue freddo.
“E’ inutile. Non possiamo scappare ormai”
Sarebbe stata davvero la fine dunque?
No, Levi non aveva dubbi.
Credeva molto nel ragazzo.
“Lo sai, detesto dirtelo ogni volta, ma... Eren...”
Si voltò verso il ragazzo,
lo guardò dritto negli occhi sperando nel fato e
allo stesso tempo spalancando le braccia in segno di accolta.
O la va o la spacca.
Aprì la bocca dicendo qualcosa fissando nelle iridi Eren.
“...”
Andrà bene qualsiasi cosa, non c’è più tempo. 
Eren continuò a guardarlo negli occhi, captando il suo messaggio.
La determinazione si ricaricò in lui.
Occhi spalancati, lacrime agli occhi, corse verso il vuoto.
Hai la mia fiducia, moccioso.
Non morire.  >>


Un’altra visione, molto simile a quella che ebbe in negozio quella mattina. Che situazione bizzarra e chissà cosa accadde in seguito, solo il cielo lo sa probabilmente. Uscì dal bagno, diretto verso il suo ufficio. Non era più lì, decise di andare a controllare in sala. Spense la luce, perché Jeager l’aveva lasciata accesa, per poi camminare ancora per quel corridoio vuoto con solo qualche quadro appeso. Superò la soglia della porta, ed eccolo lì Jeager con la bava alla bocca, spaparanzato sul divano. Mise le coperte in un modo orripilante, ma soprattutto non si era ancora lavato. Il pensiero che la sua bava potesse rimanere impressa nella spugna del divano gli faceva venire il voltastomaco. Prese un fazzoletto di carta e gli asciugò il volto, disgustato. Ci mancava solo questa. Nonostante l’insistenza del capitano, Eren non si svegliò minimamente. Avrebbe voluto sciogliergli quel codino, avrebbe dormito sicuramente meglio con i capelli sciolti. Sicuramente, però, Levi avrebbe dormito meglio se questo dannatissimo ventenne si fosse dato un’insaponata.

“Oi. Svegliati.”

“Mh...?”

“In riga a lavarti! Stai imbrattando tutto il divano con la tua bava puzzolente.”

“V-vado”. Si alzò frettolosamente e si diresse evidentemente in iimbarazzo verso il bagno.

“Aspettami un attimo lì.” Eren vide l’uomo andare verso un’ipotetica camera da letto e ben presto tornò con degli altri panni. Un pigiama e dei calzini.

“Tieni, spennacchiato. Sembra che ti sia scoppiata una granata addosso con i capelli che ti ritrovi”. 

Eren spalancò gli occhi e corse a vedersi allo specchio in bagno. Aveva proprio ragione, il codino ormai deformato e i capelli ben tesi da essa si erano trasformati in qualcosa di astratto. Più che una granata, sembrava avesse preso una brutta scossa elettrica e che ci fosse rimasto secco. Per decoro aveva i ciuffi dei capelli sbilanciati: a destra un ciuffo più lungo e a sinistra uno più corto. Porca eva, allora Mikasa non scherzava quando diceva che nel sonno non faceva altro che muoversi in modo irrequieto.

“Fanculo”

Si slegò il codino e lasciò cadere i lunghi capelli mori, che gli arrivavano alle spalle. Levi avrebbe giurato che se non fosse stato per la corporatura robusta avrebbe dubitato del suo sesso. Si notava facilmente che aveva dei lineamenti morbidi del volto, inoltre, gli occhioni grandi e pieni di ciglia che si ritrovava non aiutavano a renderlo mascolino. Non male. Chiuse la porta del bagno, dirigendosi di nuovo in sala. Si sedette sul divano e nonostante il novellino avesse dormito li per l’arco di una mezz’oretta le lenzuola si erano impregnate del suo odore. Prese un angolo del lenzuolo, tentato da quel profumo che gli ricordava del bergamotto, anzi no menta, no qualcosa di floreale. Era dolce, ma fresco e libero. Incredibile come gli piacesse, non lo disgustava affatto anche dopo qualche minuto.

Il lenzuolo era ancora caldo e Levi decise di stendersi. I capelli lontani dalla fronte e la mano dietro la nuca. Gambe accavallate verso l’alto, era talmente abituato a dormire sulle sedie che ormai questa era la sua posizione preferita. Era davvero tanto che non dormiva su qualcosa di morbido, saranno passati più di sei mesi oramai. Non sì coprì nemmeno e il sonno iniziò ad avere la meglio. Le palpebre si chiusero in fretta, senza nemmeno riuscire a trattenerle. Dopo un po' sentì dei passi, quanto tempo era passato? Mezz'ora? Un'ora? Vide Eren col pigiama, pantaloni blu scuro e maglia con maniche dello stesso colore. Petto e addome di colore bianco. Gli stava bene tutto sommato.

Aveva ancora i capelli sciolti, tanto valeva dire qualcosa per svegliarsi un po’. “Oh raperonzolo ha lasciato sciolti i suoi capelli, potresti fare la drag queen, sai marmocchio?” 

Eren lo guardò male e non poco, decideva lui per il suo stile di capelli. Non amava che gli si criticasse le sue scelte o opinioni. Controbattere era inevitabile. Non ebbe neanche un briciolo di esitazione, salì a cavalcioni sopra Levi che rimase inerme.

“Se per questo, Levi, tu potresti facilmente dare ordini ad un plotone. Ti ci vedrei come soldato...”

Levi indietreggiò solo un pochino, tenendosi su con i gomiti, guardando il ragazzo dritto negli occhi attendendo il fato. Eren sentì un brivido sulla schiena, come se lo sguardo e le intenzioni di quella scena fossero agganciate da parte di entrambi. Aveva una compagna però e tra non molto persino un neonato, era davvero opportuno seguire quell’istinto irrefrenabile? Digrignò i denti.

“Eren.”

 

<<  Eren stava per mordersi la mano e gombattere contro il titano femmina.
”Eren.”  >>


“Non stai sbagliando”


<<  Continuavano a cavalcare
“Non stai sbagliando” 
Eren continuò ad ascoltarlo,
lui capiva in qualche modo il suo carattere.
“perciò, se vuoi fallo.”  >>


“perciò, se lo desideri fallo. Scegli ora per non pentirtene domani.”

Un deja-vu? Una visione? Eren non seppe descriverlo, sembrava quasi un ricordo. Quell’uomo continuava a guardarlo negli occhi, mentre sentiva le ciocche di capelli scivolargli dalle spalle. Le sue iridi erano diventate belle grandi, facendo diventare quegli occhi gelidi in un mare tropicale cristallino. Sembravano supplicarlo, -procedi, soldato-. Sì, sembrava un ordine di un caporale, di un capitano. Sarebbe stato divertente, giocare. Si avvicinò al bruno e gli prese il volto con la mano. Non sarebbe ovviamente bastato per cambiare quella maschera di indifferenza che aveva il nanetto addosso. Avrebbe dovuto... insistere. Mise le labbra vicino all’orecchio, sfiorandoglielo. Intravide Levi che fece una smorfia, chiudendo l’occhio destro per il fastidio. Le sue orecchie e le sue guance erano bollenti.

“Giochiamo, Levi.”

Sentii Levi contorcersi, si avvicinò di più all’orecchio. Impertinente.

“Sono una recluta molto disobbidiente, Capitano Levi”

A tale pronuncia Levi, per motivi corporei, non aveva modo di contenere l’eccitazione ed Eren non mancò a notarlo. Giocò con l’orecchio e con la mano destra gli liberava la cerniera del pantalone. Levi, in preda alla foga gli afferrò il viso e lo legò in un bacio animalesco. Una bomba ad orologeria che attendeva solo di essere liberata. Quel profumo, Levi ne voleva ancora. Quel ragazzino, stava scendendo verso il basso e Levi lo aiutò spingendolo, tenendogli i capelli. Quella stanza diventò presto il teatro di un bel spettacolo, di cui solo le mura poterono sentire i due uomini ansimare. Eren capì che la parola “capitano” mandava alle stelle Levi, mentre l’altro lo attirava a se chiamandolo per nome.

“Eren” Espirò.

Probabilmente, Levi aveva ottenuto ciò che voleva alla fine. Gli scudi all’esterno della finestra però rimasero aperti, a causa del tempaccio, e qualcuno dall’altra abitazione affianco li stava osservando. Era una bambina, con affianco un padre dall’aria molto innervosita. Li stava osservando ormai da una buona mezz’ora la bambina, troppo sotto shock per parlare. 

“ Papà, cosa stanno facendo il signor Ackermann e quell’uomo?"

...

"Non capisco... perché si fanno male in tal modo?"

...

"Poi si baciano, sono nudi... e poi fanno quella cosa col seder-”

“basta così, Anna."

La bambina tremava, gliel’avrebbe fatta pagare. Sconvolgere così una bambina, per loro sfortuna li conosceva entrambi. Prese una fotocamera e scattò delle foto, pronte per incastrare Eren. Preparò dell’esplosivo, così avrebbe sistemato anche Levi. Li avrebbe distrutti. Era pronto a fare un bordello.

“Lasciate pure che tutti vi vedano, senza chiudere nemmeno la finestra. Povera la mia Anna, tremerà ancora per tutta la sera... Per colpa vostra.”

Levi si svegliò di fianco ad Eren sul divano, la luce della luna gli illuminava il volto ei suoi lunghi capelli. Tutto questo grazie ad una semplice tisana.
Impressionante: maledetta tisana, meno male che c’eri.

 

PREVIEW CAPITOLO 4
-

Esplosione



Gli mostrò le foto

“se non vuoi che Mikasa veda queste foto,

dovrai portare questa cassa nel magazzino del negozio”

“cosa c’è dentro?”

“non sono affari tuoi, se vuoi avere tuo figlio vivo."

   
 
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