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Autore: Kimando714    27/01/2021    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 66 - WHAT IS THIS THING CALLED LOVE?




 
Venezia sotto la pioggia era uno spettacolo a tratti inquietante: deserta, con i canali che si riempivano sempre più d’acqua fino a rischiare di straripare, e i pochi sfortunati che sotto quel temporale dovevano cercare un modo per rincasare senza rimanere troppo impantanati.
Era una sensazione simile a sprofondare nelle acque, quella che lo stava avvolgendo.
Sprofondare nel silenzio dell’appartamento, vuoto se non per la presenza di Filippo nella sua stanza a studiare, con la pioggia battente di gennaio che non sembrava avere alcuna intenzione di smettere di scendere nell’immediato.
Nicola non ricordava con precisione quando si era sdraiato sul letto nella sua camera, rifilando a Filippo una qualche scusa per rinchiudercisi dentro per ore. Si sentiva spossato e stanco, la fatica delle ultime settimane che cominciava a farsi palpabile.
Per lui la sessione era finita quella mattina, poche ore prima di quel momento stesso, con l’ultimo esame scritto da dare e che aveva completato senza troppo entusiasmo, con l’unica certezza che, se lo avesse superato, lo avrebbe fatto con un altro voto basso come era stato per i primi due esami della sua intera carriera universitaria. Una media mediocre che non era abituato ad avere, ma che in quei giorni considerava addirittura miracolosa, viste le premesse.
Non si era aspettato nulla di diverso, tutt’altro che intenzionato a farsi inutili castelli in aria. Andava bene così, quando era tutto il resto che non stava andando da tempo.
Ed ora era il tempo vuoto che lo aspettava, quello che lo separava dalla fine degli esami dall’inizio dei corsi del secondo semestre – giorni in cui non avrebbe avuto nulla con cui cercare di riempire la testa-, che lo stava spaventando. Lo teneva bloccato come in una bolla d’aria da cui non riusciva ad uscire, tenendolo fermo lì, in quell’appartamento che poteva definire come la sua nuova casa. La sua nuova realtà, quella stessa realtà che stava odiando.
Aveva deciso che non avrebbe seguito Filippo a Torre San Donato nel weekend di quella settimana, e benché a Venezia sarebbero rimasti anche Alessio e Pietro, si sentiva più solo che mai.
Era una sensazione a cui si stava abituando, un’apatia che aveva sempre fatto capolino nei momenti in cui non era riuscito a scappare dai suoi stessi pensieri. Si era rassegnato, esattamente come si era rassegnato a rimanersene lì, steso sul letto della sua stanza, svogliato e senza alcun obiettivo, ascoltando la pioggia cadere fuori dalla finestra e iniziando a mal sopportare quel cielo plumbeo e tetro – rappresentazione naturale della sua disfatta personale.
Avrebbe solo voluto andarsene via lontano da tutto e da tutti, lontano da quel temporale ininterrotto, lontano da tutti quei pensieri.
Si chiese, in un attimo di riflessione, se anche a Torre San Donato stesse piovendo in quel momento. Se i chilometri che separavano i due luoghi fossero annullati dalla presenza comune dello stesso temporale, dello stesso cielo oscurato, della stessa gelida freddezza invernale.
Si chiese, con sguardo perso nel vuoto, se anche Caterina stesse osservando le vetrate screziate di pioggia come stava facendo lui in quel momento.
Si rese conto che quella era una domanda alla quale non avrebbe mai trovato risposta, e che il non poter rispondere era, inevitabilmente, anche colpa sua.
La pioggia continuò a cadere, la stessa pioggia che sentiva cadere dentro di sé, inarrestabile.
 
I’ve been your lover for the last time
All your pretending, God knows that we tried
I’ve been the doctor for the last time
If we weren’t so good at it we’d have both been fine
 
Erano passate settimane, ma continuava a fare male la consapevolezza di aver sbagliato tutto, di aver agito nel peggiore dei modi senza rendersene conto in tempo, prima che andasse tutto a rotoli.
Era stato superficiale, troppo preso da se stesso, troppo indifferente a quelli che erano i veri problemi – come aveva fatto ad essere così cieco?.
Ora si sentiva come un viaggiatore smarrito in mezzo ad un luogo sconosciuto, così estraneo da averne paura e da non riuscire a tornare indietro o andare avanti, e tutto ciò che gli rimaneva erano solo ricordi ormai lontani.
Lontani quanto lo era Caterina.
Voltò gli occhi alla finestra, nauseato da quella pioggia che non aveva ancora smesso di scendere. Bramava le giornate di sole, quelle dell’estate, quando ancora le cose erano risolvibili, quando ancora stavano bene.
Avrei potuto evitarlo?”.
Non rispose a quella domanda che si era posto ogni giorno da quando aveva visto Caterina l’ultima volta, un mese prima. Si sentiva incapace di trovare una risposta che potesse essere realistica; e a che sarebbe servito, ormai?
Il passato non sarebbe cambiato.
Non avrebbe potuto cambiare ciò che era già, non poteva cancellare dalla sua mente le parole taglienti che gli aveva urlato Caterina quell’ultimo giorno della loro storia. Non avrebbe potuto nemmeno eliminare le tracce del modo in cui lui stesso l’aveva ferita.
Forse era quello l’unico motivo che lo faceva desistere dal provare a lottare, o anche solo contattarla per sapere come stava: pensare di farla stare ancora peggio era insopportabile anche solo da immaginare. Avrebbe sacrificato volentieri se stesso, anche a costo di stare ancora peggio, pur di vederla di nuovo felice, anche da lontano. Senza di lui.

 
I knock you down
Bruise you with my words
 
Immaginare la sua vita senza Caterina gli era sempre sembrato impossibile, dopo averla conosciuta. Non l’aveva mai ammesso a se stesso, ma in quel momento, con il nodo in gola che si faceva sempre più stretto, non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse stato stupido nel credere che lei ci sarebbe stata sempre – quando invece lei non c’era più, non con lui.
L’amava ancora, ma forse non bastava. Non bastava a cambiare le cose successe, e non sarebbe mai bastato per averla di nuovo nella sua vita.
Forse, in tutto quel nulla, l’unica soluzione era ripartire da se stesso. Ripartire da se stesso, e da quello stesso amore che sentiva ancora, per poter cambiare ciò che lo attendeva, migliorarsi e aspettare, se mai fosse arrivato, un momento in cui Caterina gli avrebbe aperto uno spiraglio anche solo per parlare.
E forse, in fondo, l’amore era anche quello: lasciare andare chi amavi dopo aver sbagliato, ammettere gli errori commessi e farli propri per non ripeterli ancora.
 
What is this thing called love that you speak?
‘Cause we’re out of it
We’re out of it
 
*
 
Appoggiò i palmi aperti sulla superficie del banco, la freddezza con cui la sua pelle si scontrò che ebbe l’effetto immediato, come uno shock improvviso, di darle una scossa e riportarla alla realtà.
Cercò di nuovo di concentrarsi sulla lezione, forse nell’ennesimo tentativo a vuoto, forse in una speranza che aveva poche possibilità di sbocciare.
Tenne lo sguardo fisso davanti a sé, la penna poggiata lasciva sopra la pagina dagli angoli scarabocchiati del quaderno che usava per prendere i suoi appunti; le pareva di udire solo in lontananza la voce dell’insegnante, il ticchettio della pioggia fuori dalle finestre, e il fruscio delle penne dei suoi compagni di classe che scivolavano sulla carta.
Era grata del fatto che, almeno per quell’ora, Giulia e Valerio fossero molto più concentrati sulla lezione rispetto che su lei: doveva essere facile, per i loro sguardi allenati che la conoscevano bene, notare anche le più piccole sfumature del suo umore, la sua mente così piena di pensieri da non aver più spazio per altro.
Si perse nell’ascoltare il ritmo della pioggia che cadeva contro i vetri. Non aveva più smesso di piovere da giorni, da quel sabato pomeriggio in cui lei e Giovanni si erano incontrati – dal tempo che avevano passato a casa sua.
Era Giovanni che la pioggia le stava ricordando – lui e tutto quello legato al suo nome, come la confusione che non l’aveva più abbandonata da quel giorno.
Esalò un sospiro impercettibile: si chiese se quel suo disorientamento fosse stato avvertito anche da Giulia, da Valerio, da Giovanni stesso. Ne era quasi sicura, anche se non poteva esserne certa.
Era difficile continuare a fingere che nulla di tutto ciò fosse accaduto, soffocare tutto ciò che si stava tenendo dentro perché per nessuna ragione al mondo l’avrebbe mai detto a qualcuno – né a Giulia né ad Alessio, né nessun altro-, quando era la cosa a cui non riusciva a smettere di pensare, di ricordare, su cui si domandava perché.
Si chiese se anche Giovanni si fosse posto le sue stesse domande, se anche lui aveva i suoi stessi dubbi e le sue stesse incertezze, ma qualcosa le diceva che, dietro il sorriso che le aveva rivolto anche in quegli ultimi giorni, le risposte che doveva essersi dato dovevano essere diverse dalle sue.
“Proviamo sentimenti diversi l’uno per l’altra”.
Si morse il labbro inferiore, fingendo di scrivere qualche appunto sul suo quaderno per non dare troppo nell’occhio.
“Lui è innamorato di me”.
Scrisse qualche parola a caso, perché dopo aver perso il filo della lezione di storia le sembrò ormai impossibile ritrovare la concentrazione che le sarebbe servita per seguire di nuovo.
“E io?”.
Il volto di Giovanni che si era formato nella sua mente, con il volto sorridente con cui l’aveva guardata quella mattina stessa quando si erano salutati all’entrata di scuola, si trasformò sempre di più nel viso di qualcun altro – in quello di Nicola.
 
What is this thing called love that you speak?
‘Cause we’re out of it
We’re out of it
 
Non era come con Nicola, questo Caterina non poteva negarlo a se stessa, per quanto provasse ancora rabbia nei suoi confronti, la rabbia ancestrale che ora era mischiata ad un senso di mancanza e malinconia che somigliava più ad una coltellata in pieno petto. 
Giovanni non era Nicola, e non lo sarebbe stato mai.
Per quanto gli fosse grata per esserle stato accanto quando nessun altro c’era stato, non credeva possibile provare gli stessi sentimenti che provava per Nicola.
Forse era quello il motivo per cui non si era fermata con Giovanni: il bisogno di colmare il vuoto che sentiva era stato più forte del bisogno di ritrovare il proprio equilibrio da sola. Le mancava così tanto sentire calore da qualcuno? Le mancava così infinitamente una persona che la facesse sentire importante?
Le mancava così dolorosamente Nicola, arrivando a buttarsi tra le braccia di qualcun altro e fingendo che fosse lui ad essere lì con lei, ancora una volta?
In cuor suo sapeva che avrebbe dovuto evitarlo, perché illudere Giovanni, e continuare a farlo, sarebbe stato solo crudele; ma come poteva arginare quella ricerca d’illusione?
Con Giovanni poteva fare finta, tenendo gli occhi chiusi, che le mani sul suo corpo fossero quelle di Nicola. Poteva fingere che le labbra che aveva baciato non fossero quelle di Giovanni, ma quelle della persona che un tempo l’aveva fatta sentire amata e protetta, rispettata e apprezzata.
Giovanni poteva sostituirlo, ma non poteva essere lui.
Forse sarebbe stato solo qualcosa di temporaneo, forse nei mesi futuri avrebbe smesso di pensare a Nicola. Forse si sarebbe addirittura innamorata di Giovanni, o di qualcun altro, e l’avrebbe pian piano dimenticato.
Forse, un giorno, Giovanni sarebbe diventato il suo nuovo punto di partenza.
Ma non lo era ora, quando il ricordo di Nicola era ancora così vivo, e quando ancora faceva così male.
Ritornò con la mente a tutto ciò che aveva costruito insieme a lui, negli anni passati insieme, e un senso di solitudine l’attanagliò.
Era difficile voltare pagina, pur sapendo che lasciarlo era stata la miglior cosa da fare per se stessa. Ma era anche così difficile accettare l’idea di dover andare oltre, e smetterla di illudersi che lui fosse ancora lì?
Poteva davvero l’amore, quello disilluso e ferito, portarla a cercare in qualcun altro quella persona che ormai non aveva più?
L’unica certezza in quel momento era che, nonostante tutto, forse la voglia di voltare le spalle al passato non sarebbe bastata.
 
We built this city, now we tear it to the ground
This fight is over, hear the bell ringing out
It’s the end of the final round
 
*
 
“Sto solo perdendo tempo”.
Pietro sbuffò tra sé e sé, alzando gli occhi dal quaderno, rimasto aperto e quasi del tutto ignorato ormai da quasi due ore. Si tolse gli occhiali che usava per leggere, stropicciandosi gli occhi stanchi con gesti lenti. Rimase immobile, puntando lo sguardo sui vetri della finestra davanti a sé; la pioggia battente aveva sempre avuto il potere di farlo concentrare maggiormente in tutto ciò che faceva, soprattutto nello studio. In quel momento, però, seduto alla scrivania della sua stanza, cominciava a prendere sempre più coscienza che quel tentativo di ripasso dell’ultimo minuto stava fallendo miseramente. Dubitava sarebbe riuscito a passare l’ultimo esame che lo attendeva domani, un corso opzionale che aveva scelto pensando di poterlo superare senza troppi problemi.
Era solo l’ultima delle tante cose su cui si era sbagliato.
Sospirò di nuovo, abbassando il volto: si era fatto trasportare così tanto dai suoi stessi pensieri che non si era nemmeno reso conto di aver preso a disegnare stupidi ghirigori senza alcun senso agli angoli delle pagine del quaderno con la penna che ancora teneva stretta tra le dita.
La mollò un secondo dopo, in un gesto di stizza misto a spossatezza, portandosi di nuovo le mani a coprirsi il volto, colto da un disorientamento più forte di qualsiasi altra sensazione che poteva smuoverlo in quei minuti che sembravano infiniti.
Ascoltò il ticchettare della pioggia, ancora una volta, chiedendosi dove Alessio potesse essere in una giornata simile, così grigia e così offuscata dal temporale. Era una domanda totalmente inutile, perché la risposta era piuttosto semplice e intuibile: con lei.
Lasciò cadere le mani sulla scrivania, gli occhi persi nel vuoto e nei ricordi di qualche ora prima, quando Alessio era rincasato dopo un esame solo per qualche minuto, giusto il tempo di cambiarsi e uscire di nuovo. Lo aveva salutato velocemente, senza spiegargli nient’altro; Pietro non aveva avuto nemmeno il tempo di chiedergli come fosse andato l’esame, se sapesse se anche a Nicola fosse andato bene. Non c’era stato tempo per nulla, solo per capire – in silenzio, senza bisogno di domande o conferme- che Alessio aveva altro per la testa. Gli era bastato il rossore del viso di Alessio, e quella sorta di imbarazzo con cui gli aveva parlato, per intuire cosa avesse in programma – chi stesse per incontrare.
Lo incuriosiva ogni volta il modo sottile ed implicito con cui Alessio si riferiva ad Alice: era raro pronunciasse il suo nome, ancor più raro che parlasse di lei, ma ogni volta che lei c’entrava c’era sempre una sorta di disagio ad accompagnarlo. Sembrava quasi si vergognasse di dire che si stava frequentando con qualcuno – perché era quello che stava facendo, no? La stava frequentando. Era l’unica risposta logica a tutta quella serie di elementi che, sennò, non avrebbero avuto alcun senso. 
Appena Alessio aveva chiuso la porta d’entrata dietro di sé, facendo risuonare il tonfo in tutto l’appartamento, Pietro se ne era rimasto immobile, almeno per i primi minuti.
Non aveva fatto niente. Non aveva nemmeno pensato a niente.
Forse perché quella confusione che sentiva dentro di sé sembrava impedirgli di fare qualsiasi cosa, anche di pensare ad altro.
Avrebbe dovuto sentirsi felice per Alessio, felice che finalmente avesse trovato qualcuno che sembrava veramente interessato a lui, qualcuno che forse avrebbe potuto farlo stare bene. Farlo stare bene più di quanto fosse stato in grado …
“Non c’entro nulla con lui”.
Scosse il capo, incredulo lui stesso per aver anche solo pensato ad un paragone così azzardato – così assurdo.
Avrebbe dovuto sentirsi felice per Alessio, ma si sentiva tutto tranne che quello. E il senso di colpa non facilitava le cose.
La prima volta che si era sentito così, anche se in maniera più lieve, più immatura, era stata anche la prima volta in cui Alice aveva salutato Alessio incrociandosi per i corridoi dell’università. Erano già passate quasi tre settimane da quel momento, ma Pietro si era come fossilizzato lì, incapace di smuoversi. E poi c’erano state tutte le altre volte, e ad ogni volta non era stato difficile notare il modo in cui Alice guardava Alessio ogni volta: aveva riconosciuto quello sguardo speranzoso e piacevolmente sorpreso quando Alessio aveva ricambiato il saluto.
Forse aveva colto quei particolari perché era lo stesso sguardo che Pietro ricordava di aver sempre avuto le prime volte in cui Alessio lo aveva incrociato lui. Lo stesso senso di imbarazzo e lo stesso smarrimento stranamente piacevole.
E non gli sarebbe cambiato nulla, se il sorriso di Alessio che le rivolgeva sempre fosse stato uno di gentilezza. Ma si era aggiunta una vena di dolcezza nel modo di rivolgersi a lei, una novità improvvisa come se Pietro si fosse perso un pezzo fondamentale, ed aveva iniziato ad esserci da poco, forse solo da qualche giorno. Non che Alessio avesse fatto riferimento a qualche evento in particolare, certo che no. Non lo faceva mai.
A lui riservava sempre lo stesso sguardo restio che da qualche settimana aveva fatto capolino, come a volerlo tenere fuori dalla questione a tutti i costi.
Li aveva ancora in mente, quegli occhi azzurri. Gli avevano fatto più male di qualsiasi altra cosa, ed erano stati la conferma maggiore.
Glielo diceva sempre ad Alessio, che lui con quegli occhi parlava.
Poteva dire cose meravigliose, con quegli occhi luminosi.
E poteva dirne altrettante di maledettamente dolorose.
 
You knock me down
Cut me with a stare
You patch me up
Now it’s my turn
 
Quanto tempo sarebbe passato prima che Alessio si innamorasse, nonostante Alice non sembrasse per niente la persona più adatta a lui?
Era solo questione di tempo.
“Tempo”.
Pietro alzò gli occhi verso la finestra, perdendosi nei dettagli dei labirinti d’acqua che le gocce di pioggia avevano costruito, nel loro lento scivolare verso il basso.
Il tempo forse avrebbe cambiato le cose. Forse con il tempo avrebbe imparato lui stesso a conoscere Alice, a non considerarla come un’improvvisa intrusa che non riusciva né a mal sopportare ma neanche ad apprezzare. 
O forse sarebbe rimasto lì, in quello stato confuso e incerto, capace solo di odiare se stesso per quel disorientamento che lo stava portando fuori strada.
Odiarsi per non essere finalmente felice di vedere Alessio risollevato del tutto – anche se non grazie a lui.
 
What is this thing called love that you speak?
‘Cause we’re out of it
We’re out of it
We’re out
We’re out of it
We’re out
We’re out of it
 
*
 
Ritornare in quella stanza, in un giorno piovoso come se fosse ancora lo stesso sabato pomeriggio, era sempre un tuffo al cuore.
Si fece scivolare di più lungo il materasso, le braccia aperte e la mano sinistra che andò inevitabilmente a toccare la parte del materasso lasciata ora libera – dove Caterina non c’era più.
Appena Caterina aveva richiuso dietro di sé la porta d’ingresso, dopo essersene andata, Giovanni era tornato in camera sua subito. Aveva avvertito la testa girare,  mentre percorreva i corridoi della casa deserta; aveva salito le scale fino al piano di sopra, stendendosi su quel letto dove poteva ricordare immagini di un passato appena avvenuto.
Immagini che avrebbe fatto fatica a scordare.
 
Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose
Si fa un po’ meno presto a convincersi che sia così
 
L’odore di sperma e di corpi aleggiava ancora tra quelle quattro mura, e la sensazione di starsene in un letto ancora sfatto, fatto di lenzuola in un grumo in fondo al letto, lo faceva sentire solo più a disagio.
Si sentiva confuso, estremamente confuso.
Non era la prima volta che si incontravano in quel modo, eppure ogni volta che succedeva, dopo che Caterina se ne andava, non riusciva mai a pensare razionalmente.
Ogni volta che era successo, in quei pochi giorni, dopo c’era solo disordine.
Pensare di aver condiviso quel letto con Caterina lo spaventava e rendeva felice allo stesso tempo, in un connubio indissolubile di sentimenti contrastanti nei quali non riusciva a trovare una rotta. Forse perché, per quanto doloroso fosse anche solo pensarlo, non sapeva se quello che stavano facendo era solamente un qualcosa di pura fisicità o se invece fosse finalmente qualcosa in cui aveva sperato a lungo.
 
Io non so se è proprio amore:
faccio ancora confusione
 
Gli faceva ancora strano pensarla così: aveva sempre immaginato che, se un giorno si fosse ritrovato anche solo a passare del tempo solo con lei, mai si sarebbe sentito nel modo in cui, invece, si sentiva ora che era finalmente accaduto.
Aveva associato Caterina sempre e solo alla gioia: la gioia di vederla, di poter stare con lei, di poterla guardare senza dover rendere conto a qualcun altro. Ma non era quella la realtà.
E il problema più grande, almeno per lui, era proprio il fatto che i suoi sentimenti, per quanto contrastanti, fossero sinceri.
Non aveva scelto lui di innamorarsi, ma aveva scelto di avvicinarsi a lei in un momento come quello. E forse era stato proprio quello il punto di rottura, il momento in cui aveva sbagliato dal principio, perché poteva anche sapere cosa volesse dire essere innamorati di qualcuno, ma sapeva anche, nonostante non riuscisse ad ammetterlo e gli facesse paura anche solo pensarlo, che Caterina non lo poteva ricambiare.
Non ancora, forse mai.
Gli aveva permesso di avvicinarsi di più solo in quei mesi, e allo stesso tempo, continuava a tenerlo a debita distanza. Una distanza che Giovanni percepiva ancora, ogni minuto ed ogni secondo che passava.
Sarebbe stato un idiota se non avesse capito di chi fosse innamorata Caterina.
Ancora.
Mentiva a se stesso ogni volta che cercava di convincersi, ogni volta che sperava che Caterina stesse pensando a lui, a loro due insieme, mentre si erano ritrovati da soli in quella casa il sabato prima e quello stesso pomeriggio, e nei precedenti.
Avrebbe detto una menzogna affermando che finalmente la vedeva ricambiarlo in pieno, in ogni sfaccettatura. Era solo qualcosa di cui tentava di convincersi, quando la realtà era fin troppo evidente, e fin troppo lontana dall’universo idilliaco in cui aveva sperato.
Forse poteva essere solo questione di tempo prima che Caterina smettesse di vedere Nicola al posto suo.
O forse era solo questione di tempo prima che lei si accorgesse di non poter sopportare di continuare a fingere in quella maniera – l’avrebbe persa definitivamente, quando quel momento sarebbe arrivato.
Si sentiva un ingenuo, Giovanni, uno stupido ingenuo innamorato: poteva sopportare il fatto che la persona di cui era innamorato fosse ancora innamorata del suo ex? Poteva reggere il confronto con Nicola?
Era tutto così complicato, ed indefinito, forse troppo provato per trovare una risposta.
Forse era il sentirsi impreparato a tutto quello. Non aveva mai preso seriamente in considerazione una possibile relazione con Caterina: il loro avvicinamento e l’allontanamento da Nicola erano stati eventi che si era succeduti troppo velocemente anche per lui, semplice spettatore fino a quel momento.
Gli doleva ammetterlo, ma la chiave di tutto era sempre Nicola, ancora.
Sembrava quasi che la sua presenza fosse ancora lì, proprio davanti a Giovanni stesso, pronto ad ostacolarlo.
“Ma io non mi sono comunque tirato indietro” si ritrovò a pensare con una punta di accusa rivolta a se stesso.
Aveva preferito fare l’egoista.
E ora, se stava così, su quel letto sfatto, non poteva che biasimarsi.
 
Non va più via l'odore del sesso che hai addosso
Si attacca qui all'amore che posso, che io posso
 
Quanto si stava odiando in quei giorni, non riusciva a capirlo nemmeno lui. Si stava detestando con tutte le sue forze, per ciò che stava facendo, e per ciò che non aveva avuto il coraggio di fare.
Giovanni si alzò di scatto dal materasso, passandosi nervosamente una mano tra i capelli scuri, sentendo un conato di vomito risalirgli dallo stomaco, fino a raggiungere quasi la gola.
Respirò a fondo, cercando di calmarsi, di pensare ad altro. Sapeva già che sarebbe servito a ben poco.
Si alzò poco dopo, dirigendosi verso il bagno: forse una doccia calda lo avrebbe aiutato a distrarsi, almeno per poco. Forse l’acqua sarebbe riuscita a togliergli di dosso quell’odore penetrante, insieme al profumo di Caterina mischiato al suo.
Si infilò sotto la doccia pochi minuti dopo, con il corpo esausto e la mente ancora più stanca. Richiuse gli occhi per qualche secondo, rivedendo immagini di lui, di lei, di loro su quel letto. Il calore che emanava l’acqua, non faceva altro che rammentargli del calore che aveva provato poco tempo prima.
Giovanni sentì la testa sul punto di scoppiargli.
Riuscì ancora una volta a ricordare se stesso e Caterina, i corpi intrecciatati. Si erano baciati parecchie volte, ed ogni volta Giovanni era stato sicuro di poter percepire quanto lei fosse distaccata. Erano rimasti lì su quel materasso in silenzio, in un silenzio quasi imbarazzante.
Doveva imbarazzante per Caterina pensare di andare a letto con qualcuno che non fosse Nicola, forse quanto lo era per lui rimanere lì accanto a lei, sapendo che la persona a cui lei stava pensando era un altro, e non lui.
 
E ci siamo mischiati la pelle le anime le ossa
Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue
Tu che dentro sei perfetta
Mentre io mi vado stretto

“Cambierà mai qualcosa?”.
Sotto la disillusione se ne stava ancora la speranza che magari, un giorno, le cose sarebbero cambiate: forse Caterina aveva solo bisogno di più tempo, e bisogno di sentire che anche qualcun altro poteva amarla di più e meglio di quanto non avesse fatto Nicola.
Forse un giorno le cose sarebbero cambiate, e la pioggia avrebbe smesso di scendere.
Ma fino a quel momento, sarebbe riuscito a sopportare di vivere con la certezza che il suo fosse un amore a senso unico? Sarebbe riuscito a guardarsi ancora allo specchio, pur sapendo che per quanto avrebbe potuto avere Caterina fisicamente con lui, non avrebbe avuto anche il suo cuore?
Quella piccola speranza sembrava non volersi spegnere, nonostante la paura e la sofferenza.
Ne sarebbe valsa la pena? Lo sperava.
Ma la pioggia continuava a scendere, e sembrava dover continuare ancora a lungo.
 
Non va più via l'odore del sesso che hai addosso
Si attacca qui all'amore che posso, che io posso
Non va più via davvero, non va più via nemmeno se...
Non va più via
 
*
 
«Quanto è strano da uno a dieci aver visto Caterina non salire in corriera e andarsene da tutt’altra parte a piedi?».
Giulia aveva esordito così in quel pomeriggio nebbioso, con il cielo così plumbeo che Alessio si meravigliava ancora che non avesse già cominciato a piovere. Doveva essere questione di pochi minuti, prima che il temporale ricominciasse come aveva fatto nei giorni precedenti.
Si sedette sul divano del salotto dell’appartamento suo e di Pietro, tenendo la fronte aggrottata mentre rileggeva per la terza volta il messaggio che Giulia gli aveva inviato qualche minuto prima. Doveva averci pensato un po’ di tempo prima di scrivergli, visto che erano passate le quattro e per quel che ne sapeva lei e Caterina dovevano essere uscite da scuola all’una e mezza come sempre. Forse aveva tentato di trovare qualche spiegazione senza consultarlo, fallendo e decidendo quindi di scrivergli.
Un po’ come succedeva per ogni cosa strana che stava capitando e che riguardava Caterina.
«In che senso? Non sai dove stesse andando?».
Aveva digitato quelle parole in risposta aspettandosi già che Giulia gli avrebbe detto che non aveva la minima idea di quel cambio di programma. Non poteva essere altrimenti, rifletté Alessio, sennò a che pro scrivergli per condividere con lui quella sua sensazione allarmata?
Giulia ci mise meno di un minuto per scrivergli un altro messaggio:
«Vorrei proprio saperlo. Forse è rimasta a Piano, ma non aveva accennato a nulla del genere e non mi viene in mente nessun motivo per cui non dovrebbe essere tornata a casa in corriera come sempre».
Alessio sospirò a fondo, il dubbio che cominciava ad insinuarsi anche in lui.
Prima che potesse pensare – o cercare di mettere insieme i pezzi- ricevette un secondo messaggio:
«L’ho vista con Giovanni ieri all’intervallo, per caso. Mi aveva detto che doveva andare in bagno, ma invece l’ho vista altrove con lui».
Stavolta non provò nemmeno a nascondere a se stesso la confusione che quell’insinuazione di Giulia gli stava causando. Non credeva fosse il vedere Caterina insieme a Giovanni la cosa strana: si conoscevano, e Giulia ne era fin troppo consapevole.
Era forse la bugia gratuita la cosa insolita? Alessio credette di sì. Perché mentire quando era conoscenza comune che Giovanni fosse la persona a cui dava ripetizioni, e con cui aveva iniziato da mesi a passarci diverso tempo insieme?
«Le hai chiesto come mai ti ha detto una cazzata?».
Per un attimo si chiese se Giulia sapesse che, con ogni probabilità, Caterina aveva incontrato Giovanni giusto il giorno prima di lasciare Nicola. Era una cosa ormai talmente ovvia che non gli sarebbe nemmeno servito avere conferma dai diretti interessati per saperlo.
E con ogni probabilità, visto le domande che Giulia si stava ponendo, intuì che di quella faccenda non doveva sapere alcunché.
Non le scrisse nulla, limitandosi ad attendere una sua risposta.
«No. Però è strano, credevo non si parlassero nemmeno più, o almeno non quanto prima … Non lo nomina da un po’».
Alessio corrugò ancor di più la fronte, davvero confuso. C’era qualcosa di strano, qualcosa che continuava a sfuggirgli, e che lo rendeva incredibilmente irrequieto. Ebbe la tentazione di lasciar perdere quella conversazione con Giulia e provare a chiamare Caterina subito, pur sapendo che probabilmente sarebbe stato solo un tentativo a vuoto. Era evidente che non volesse parlare con lui, che lo stesse evitando forse per prendersi del tempo per se stessa, ma tutto quel silenzio, quelle incertezze, cominciavano a farlo andare fuori di testa.
Poteva capire come si sentisse Giulia. L’unico problema era che lei, almeno, non doveva guardare quasi ogni giorno in faccia Nicola consapevole di averlo tenuto all’oscuro di certi dettagli.
Tra lei e Caterina, da quel che gli sembrava, era la seconda che poteva star nascondendo qualcosa, non certo Giulia.
«Però li hai comunque visti insieme».
Scrisse quelle parole con il fiato corto, buttandosi indietro fino a quando la sua schiena non incontrò la morbidezza dello schienale del divano. Avrebbe voluto affondarvici, dimenticare tutto e non dover più pensare a niente.
Alzò gli occhi al soffitto nel momento stesso in cui udì il vibrare del cellulare. Gli ci vollero diversi secondi per decidersi di afferrare di nuovo il telefono, lasciato sul divano, e prendere coraggio per leggere cos’altro gli aveva scritto Giulia.
«E continua ad andare in posti diversi da quelli in cui dice di andare».
Quello era solo il primo della serie di messaggi che gli aveva inviato.
«Giovanni vive a Piano, comunque … Magari è solo una coincidenza, però. Non si sono mai visti fuori da scuola».
“Ti sei persa un pezzo di tutta questa storia” si ritrovò a pensare, leggendo quelle ultime parole, e rendendosi conto che non credeva affatto che quella fosse una semplice coincidenza.
Scosse il capo, mentre si accingeva a leggere anche l’ultimo messaggio di Giulia:
«Se continuo a notare cose strane le parlerò. Continua a ignorarti e a non risponderti?».
Non riuscì a fare in tempo a formulare alcuna risposta, perché un attimo dopo aver finito di leggere avvertì il campanello risuonare nell’appartamento.
Imprecò sottovoce, prendendosi qualche secondo di incertezza prima di decidersi ad alzarsi dal divano, lasciare lì il cellulare e avviarsi verso la porta d’ingresso.
Era rimasto così preso – e così innervosito- dalla conversazione che si era completamente dimenticato che Alice doveva arrivare lì a momenti.
Arrivò di fronte alla porta d’ingresso in pochi passi, aprendola in pochi secondi e ritrovandosi Alice, sorridente e allegra come sempre, di fronte sulla soglia. Doveva essere entrata insieme a qualche altro condomino, o aver trovato il portone dell’edificio già aperto, per essere riuscita ad essere già lì al piano giusto senza prima citofonare – lasciandolo però senza nemmeno un minuto di tempo per cercare di dimenticare le parole che Giulia gli aveva appena scritto.
-Ehi- lo salutò lei, facendogli un cenno con il viso.
-Ciao- Alessio le rispose senza sufficiente slancio, vedendosi contraccambiare con un sorriso ora vagamente incerto – Scusa, mi ero distratto. Ho perso la cognizione del tempo-.
Il viso di Alice perse l’aria gioiosa con cui gli si era presentata, svuotata dell’entusiasmo che doveva averla animata dopo essere stata invitata lì.
-Sono arrivata in un momento sbagliato?- gli chiese, incespicando su un paio di parole per la fretta con cui le pronunciò.
In un certo senso sì, era decisamente arrivata nel momento più sbagliato possibile, rifletté Alessio. Ma non aveva senso ferirla così – come se non avesse già diversa gente sulla sua personale lista di persone a cui aveva fatto torti ultimamente-, né di dirle di andarsene subito dopo essere appena arrivata. Era stata colpa sua non essersi ricordato di lei e non aver disdetto quel loro incontro: Alice non era c’entrava nulla.
-No, figurati- scosse il capo, scostandosi di lato – Entra-.
Alice entrò con un’espressione un po’ meno angustiata di qualche secondo prima, aspettando che fosse Alessio a farle strada verso l’interno della casa. Richiuse la porta dietro di lei, ma non si fermò nel salotto, dove ancora giaceva il suo cellulare abbandonato sul divano. Più metri poteva frapporre tra sé e quell’aggeggio – e il ricordo della conversazione con Giulia-, meglio era.
-Nice- commentò sottovoce Alice, guardandosi intorno mentre attraversavano il salotto e il corridoio, fino alla stanza di Alessio – C’è anche il tuo coinquilino?-.
-No, è uscito poco fa- le rispose, domandandosi in quale occasione doveva averle evidentemente nominato Pietro, senza riuscire a ricordare – Non so quando tornerà-.
“Spero tra molte ore”.
Non ricordava nemmeno dove Pietro fosse andato, e se glielo avesse specificato prima di uscire. Sapeva solo che era stato uno scambio talmente breve che ad Alessio non era nemmeno venuto in mente di avvisarlo che aveva invitato Alice lì nel pomeriggio. C’erano buone possibilità, in ogni caso, che non si sarebbero incrociati, e che Pietro non avrebbe mai scoperto di quell’incontro.
-Ok- gli rispose Alice, seguendolo ancora dentro alla sua stanza. C’era disordine, Alessio se ne rese conto solo in quel momento: libri dell’università sulla scrivania, vestiti lasciati nel caos sopra alla sedia; si sentì sollevato nel notare che quella mattina almeno si era ricordato di rifare il letto.
Quella della sua stanza era un po’ l’immagine con cui avrebbe potuto descrivere la sua mente in quel momento: un disordine totale.
Alice si sedette sul letto continuando a guardarsi intorno, fino a quando non portò gli occhi su di lui, rimasto fermo in piedi a qualche metro da lei, le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta e la mascella ancora irrigidita.
-Sicuro di essere ok?- gli chiese ancora, confusa – You look nervous-.
“Perché lo sono”.
-Non è niente-.
Alessio si costrinse a sorridere, consapevole di essere stato convincente solo in parte.
-Solo … - scrollò le spalle, spostando lo sguardo lontano da Alice – Un po’ di cose per la testa-.
Si girò giusto in tempo per osservare Alice annuire, esitante:
-Vuoi parlare?-.
Alessio continuò a tenere lo sguardo altrove, sperando bastasse a celare ciò che gli stava passando per la testa.
-Magari sfogarti farebbe bene … - continuò Alice, con voce dolce.
Sì, pensò, magari gli avrebbe fatto bene. Magari raccontare a qualcuno tutto ciò che si stava domandando – se il senso di colpa sarebbe mai finito, di che genere di guaio si stesse cacciando Caterina e cosa diavolo stesse facendo in giro senza dire niente a nessuno, se Giulia si sarebbe mai resa conto che in un modo o nell’altro anche lui le aveva taciuto parecchie cose- l’avrebbe reso meno nervoso, meno sulle spine, meno colpevole.
Ma parlare era difficile. Era sempre difficile tramutare ciò che si teneva dentro in parole comprensibili a chi non navigava nella sua testa.
E poi cosa avrebbe potuto pensare Alice? Non poteva e non voleva raccontarle di quel che stava succedendo.
Non voleva dirle che le due persone che gli erano state più accanto nel periodo più buio della sua vita ora erano dall’altra parte della barricata, a vivere a loro volta il loro momento più difficile, e che non sapeva – non aveva la minima idea- di come poter ripagare anche solo un decimo dell’aiuto che loro avevano dato a lui. Che li stava ripagando solo con il silenzio e l’indifferenza, perché in fin dei conti quella era la loro vita e non la sua, e a lui non stava rimanendo altro che vederli sempre più crollare in pezzi.
Si sentì così angosciato a quell’ultimo pensiero che, per poco, non fu sul punto di chiedere ad Alice di andarsene e lasciarlo solo. Sentiva però che rimanere solo in quel momento non avrebbe fatto altro che renderlo ancora più inquieto, forse talmente tanto da spingerlo a fare qualche cazzata – tipo andare da Nicola a dirgli tutto.
-In realtà voglio solo smettere di pensarci- disse a mezza voce, tornando finalmente a puntare gli occhi su Alice – Almeno per un po’-.
-Are you sure?-.
La osservò alzarsi dal letto, camminare fino ad arrivargli di fronte, con un’espressione affranta e sinceramente preoccupata.
-Mi dispiace vederti così-.
Lo avvolse in un abbraccio, dapprima esitante e poi più sicuro quando Alessio non oppose resistenza.
Alice era una persona buona, forse anche troppo per uno come lui. Troppo per riuscire ad intuire che il suo egoismo stava avendo la meglio su tutto e tutti, e che anche in quel momento era presente, facendola restare lì come scusa per non dover pensare a tutto il resto.
-Va bene così- le sussurrò all’orecchio, ricambiando finalmente l’abbraccio.
E in quel silenzio, rotto solo dal ticchettio della pioggia che stava riprendendo a scendere, Alessio non si stupì nemmeno più di tanto quando decise, in un attimo di impulsività, di alzarle il viso e baciarla. Aveva cominciato ad abituarsi a quei contatti, così sporadici negli ultimi giorni in cui si erano visti, ma che ormai non erano più cosa nuova.
Lo era però il bisogno che avvertì nel baciarla in quel momento, aggrappandosi a lei come se fosse l’unica cosa che gli impedisse di affrontare ciò che lo tormentava.
Si sentiva in imbarazzo, impacciato e non del tutto sicuro di quel che stava facendo, ma non fece nulla per scansarsi o per tenerla distante quando Alice ricambiò, quando la sentì accarezzarlo sulle spalle e sul torace, con tocco leggero e in modo quasi delicato.
Non fece nulla per frenarla, e non fece nulla per impedirlo, e per la prima volta quel giorno si ritrovò a non pensare a nulla.
Non pensò a nulla mentre Alice decideva di approfondire quel bacio, e decise a sua volta di permettersi di alzare le mani per raggiungere il corpo di lei.
Non pensò a nulla mentre la spingeva piano nuovamente verso l’altro lato della stanza, le mani sui fianchi di Alice, raggiungendo in poco tempo il letto a qualche metro da dove si erano abbracciati.
Non pensò a nulla, se non al fatto che, per una volta, il senso di colpa si faceva meno stringente, soffocato da qualcos’altro che lo faceva sentire solo.
 
*
 
Girò le chiavi nella toppa della porta con una sensazione di sollievo, l’unico desiderio di potersi stendere da qualche parte – che fosse sul divano in salotto o nel letto della sua camera- che poteva finalmente essere realizzato nel giro di pochi minuti.
Pietro aprì la porta d’ingresso richiudendola piano, lasciandosi andare ad un sospiro profondo che per poco non si tramutò in un lungo sbadiglio. Si passò una mano tra i capelli, resi umidi dalla pioggia che aveva iniziato a scendere una mezz’ora prima, quando ancora era in giro per la città senza un ombrello a portata di mano. Si considerava anche troppo fortunato a non essere tornato completamente bagnato, ma il temporale della giornata aveva cominciato a farsi forte solo quando, ormai, era arrivato.
Si tolse il cappotto e le scarpe velocemente, prima di spostarsi verso il resto dell’appartamento. Arrivò in salotto convinto di trovarvi Alessio, ancora seduto sul divano esattamente come lo aveva lasciato quando era uscito. Rimase deluso, perché sul divano ora non c’era nessuno, solo il cellulare dell’altro lasciato lì e totalmente ignorato.
Pietro corrugò la fronte confuso: per aver lasciato lì il suo telefono, Alessio doveva essersi spostato solo temporaneamente. O poteva essere uscito a sua volta ed esserselo dimenticato; non sarebbe stato poi così strano, visto quanto era distratto ultimamente.
Camminò lentamente lungo il corridoio, ancora senza avvertire nulla che gli facesse presupporre la presenza di Alessio in una delle stanze restanti dell’appartamento. La cucina era deserta, e la porta aperta del bagno in fondo al corridoio lasciava intravedere il vuoto oltre la soglia.
Rallentò quando avvertì, seppur debolmente, un cigolio provenire oltre la porta chiusa della camera di Alessio.
“Quindi è a casa”.
Riprese a camminare con passo deciso, diretto verso quella stanza: sarebbero bastati pochi secondi per bussarvi, aspettare che Alessio gli dicesse di aprire, salutarlo e dirgli che, se non se ne era accorto, aveva lasciato il suo cellulare sul divano in salotto. Semplice e conciso, e poi nulla l’avrebbe fermato dal riposo che stava agognando.
Arrivò di fronte alla porta della camera, sul punto di alzare un braccio per bussare gentilmente sulla superficie. Non arrivò mai a compiere quel gesto, perché si ritrovò improvvisamente immobilizzato, congelato sul posto, non appena avvertì un gemito, troppo acuto per non poter essere qualcos’altro che non fosse una voce femminile.
Ce ne fu un altro nemmeno un secondo dopo, stavolta una voce più roca, intrinsecamente maschile, famigliare nonostante la porta chiusa la facesse arrivare alle sue orecchie più ovattata.
Erano ansimi che si stavano facendo sempre più udibili, sempre più distinguibili, una cantilena a cui Pietro non riusciva a sottrarsi, che sapeva gli sarebbe rimasta in testa anche ore – forse anche giorni- dopo quel momento.
Prima ancora di riuscire a formulare un pensiero, decidere cosa fare, con una voce lontana nella sua mente che gli stava intimando di scappare ed andarsene fuori di casa, fece l’unica cosa che gli venne istintivamente: si girò dall’altro lato del corridoio, infilandosi nella sua stanza e richiudendo la porta dietro di sé con delicatezza – quasi a premurarsi di non far intuire la sua presenza, comportandosi come un fantasma nella sua stessa casa.
Sentiva il fiato corto, le mani strette a pugno che cercavano febbrilmente tra le cose lasciate sulla sua scrivania qualcosa, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo a cancellare quei suoni. Non era sicuro che ci sarebbe riuscito: erano suoni che continuavano a vivere nella sua testa, nella sua memoria, suoni che ora arrivavano solo lontani e confusamente a lui nella realtà, fermati dalle due porte chiuse che aveva frapposto tra sé ed Alessio.
E Alice.
Chiuse gli occhi per qualche secondo, cercando di pensare a qualcos’altro, l’unica speranza di potersi distrarre a sufficienza per non ricordare ciò che era appena successo – che stava succedendo tutt’ora.
Era impossibile riuscire a farlo.
Continuò a cercare le cuffie del telefono incurante del fatto che stava mettendo in disordine tutto ciò che si trovava sulla scrivania in quel momento. Avrebbe forse riordinato più tardi, se mai fosse riuscito ad uscire da quella specie di trance in cui si trovava a galleggiare senza alcun controllo, ma in quel momento gliene importava davvero poco del caos che si stava seminando alle spalle.
Con un sospiro di sollievo le trovò dopo altri minuti, seppellite sotto alcuni quaderni che usava per l’università. Si mise steso sul proprio letto, raggomitolato per cercare di guadagnare un po’ di calore dal suo stesso corpo arrotolato, connettendo le cuffie al cellulare. Forse la musica non avrebbe fermato i pensieri, ma avrebbe perlomeno reso silenziosi i rumori provenienti dall’altra camera.
Lasciò la riproduzione casuale, interessato solo in parte a quale canzone potesse risultarne.
Chiuse gli occhi ancora una volta, la testa che girava ancora e la stessa sensazione che aveva provato quando si era ritrovato davanti alla porta di Alessio che ancora non se ne andava.
“Sei solo invidioso, perché lui se la sta spassando e tu invece non vedi una ragazza da mesi”.
Era quasi consolatorio pensarla così, ripetersi quelle parole tra sé e sé come un mantra – forse per convincersene definitivamente, forse per soffocare il dubbio che non fosse l’invidia ciò che era in ballo.
Forse era la rabbia che provava per il fatto che Alessio non gli avesse detto nulla, che aveva invitato lì Alice – a casa loro, senza dirgli niente e mentre Pietro era fuori- senza remore e di nascosto, sbattendosene completamente anche solo di avvisarlo.
Forse era tutto l’insieme delle circostanze, e forse era anche qualcos’altro, qualcosa che non avrebbe saputo spiegare, né descrivere, né che voleva davvero comprendere.
Provava un vuoto all’altezza dello stomaco che però non era riconducibile a nulla di tutto quello – né invidia, né rabbia, né fastidio.
Era lo stesso vuoto che aveva provato due giorni prima, quando Alessio se ne era uscito sempre per vedere Alice.
Era anche lo stesso vuoto che provava quando li vedeva scambiarsi sorrisi e saluti che sottintendevano altro, che li estraniavano dal resto della realtà e che lo costringevano a rimanere semplice spettatore impotente.
Si sentiva così vuoto che non riusciva nemmeno a provare il senso di colpa che aveva avvertito giorni prima.
Cercò di reprimere quella sensazione concentrandosi sulla musica, costringendosi a seguirne le parole pur controvoglia, ma consapevole che rappresentassero l’unica via di fuga per non fossilizzarsi troppo su tutto il resto.
“Where is my angel?
The end of the day
Someone come and save me, please
A weary sigh of a tiring day
I guess everyone's happy
Can you look at me? 'Cause I am blue and grey
The meaning of the tears reflected in the mirror
My color hidden with a smile, blue and grey”[1]

Mandò avanti la riproduzione dopo appena una strofa, troppo di cattivo umore per poter sopportare qualcosa che fosse altrettanto malinconico.
S’irrigidì di colpo quando iniziò la canzone successiva. Riconobbe le prime note al piano, una melodia inquieta tanto quanto la precedente, ed il ricordo che era stato proprio Alessio a consigliargliela a rendere il tutto ancor più lancinante.
Non ebbe la forza di mandare avanti.
Si limitò a sprofondare con la testa nel cuscino, chiudere gli occhi e cercare di trattenere le lacrime che avevano cominciato ad appannargli la vista.
Era più facile rimanere lì senza domandarsi a cosa fossero dovute, quelle lacrime che rischiavano di rigargli le guance.
Era più facile non pensare a niente, nemmeno al domani o all’ora, né ad Alessio e nemmeno ad Alice.
Non c’era confusione nel nulla in cui era catapultato in quel momento.
C’era solo il vuoto.
Oh, I hope someday I'll make it out of here
Even if it takes all night or a hundred years
Need a place to hide, but I can't find one near
Wanna feel alive, outside I can't fight my fear
Isn't it lovely, all alone?
Heart made of glass, my mind of stone
Tear me to pieces, skin to bone
Hello, welcome home”.[2]






 

[1] BTS - Blue & Grey
[2] Billie Eilish, Khalid - Lovely
Essendo canzoni uscite rispettivamente nel 2020 e nel 2017 di certo Pietro non se le sarebbe potute ascoltare nel gennaio 2014, ma ci siamo prese una licenza poetica. 
*il copyright delle canzoni (Editors - "What is this thing called love?", Ligabue - "L'odore del sesso") appartengono esclusivamente alle rispettive band e rispettivi autori.
NOTE DELLE AUTRICI

Un capitolo molto allegro, vero? Già. Siamo a pochi giorni di distanza dai fatti del capitolo precedente, e anche se non ne sono consapevoli, un po’ tutti i  protagonisti di queste pagine sembrano persi nei loro pensieri (piccolo dettaglio tecnico: le prime tre scene, pur da POV diversi e ambientati in luoghi diversi, sono contemporanee).
Sono pensieri, sia per Nicola e Caterina, tutt'altro che sereni. Secondo voi riusciranno a ritrovare un po' di tranquillità? Anche Pietro, poi, in contemporanea con loro due, si è lasciato trascinare da una moltitudine di pensieri, pensieri incentrati su Alessio e Alice. Il non comprendere totalmente la natura e l'intensità di questo nuovo rapporto fa emergere in lui non solo una visibile e comprensibile confusione, ma anche il lato più amaro della vita (soprattutto dopo questo finale estremamente poco felice per lui).
Non meno amari e confusi sono i pensieri che trovano spazio nella mente di Giovanni. Sono proprio questi pensieri che mettono in mostra, una volta per tutte, la totale assenza di malafede nel ragazzo, che non ha mai forzato la mano nel rapporto tra Caterina e Nicola. I suoi sono pensieri non molto ottimistici, ma con la speranza che, in futuro, Caterina potrà ricambiare i suoi sentimenti. Secondo voi succederà davvero, o Giovanni rimarrà deluso?
Il giorno dopo è descrivibile solo così: il dramma regna sovrano! Ebbene sì... In questo momento, infatti, gli unici lettori che possono definirsi soddisfatti e possono dormire notti serene sono quelli che shippano Giulia e Filippo. Per gli altri, invece, solo tanta amarezza!
Su quali avventure si concentrerà il prossimo capitolo?

Per scoprirlo tornate mercoledì 10 febbraio, ma nel frattempo diteci la vostra!
Kiara & Greyjoy


 
   
 
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