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Autore: Raven_Stark22_    28/01/2021    1 recensioni
[BOKUAKA]
"Senza qualcosa per cui vivere, che senso ha continuare?"
Questa era la domanda che da mesi tormentava Akaashi.
E più trascorevano le settimane, più quel pensiero si faceva vivido nella sua mente.
Una sera, stanco di un mondo portava solo a sofferenza, decise di mettere fine al suo dolore.
Su quel tetto, per caso, si trovava Bokuto.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akinori Konoha, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-Stai pensando di suicidarti, vero?-

Ah.
Diretto.

Irrigidii le spalle.
Non mi ero minimamente accorto di quella presenza.

Una presenza decisamente, decisamente disinvolta.

La consapevolezza di non essere solo mi riportò velocemente alla realtà.

Voltai appena la testa, osservando la figura che aveva richiamato la mia attenzione.

Un ragazzo.

Avrà avuto meno di vent'anni, a giudicare dai lineamenti quasi infantili del viso.
Forse diciotto.

La prima cosa che notai fu il suo sorriso spensierato.

Poi venne tutto il resto: la corporatura solida e slanciata. Un'altezza superiore alla media, dei muscoli che avrebbero fatto invidia a chiunque.
Il naso leggermente all'insù e la mascella rigida.

Le iridi brillavano di un colore simile all'oro e i ciuffi appuntiti erano di un bianco sporco, alternati con meshes scure.

Una scelta di colori che non passava certo inosservata.

Eppure, il mio sguardo venne catturato da quello strano sorriso.

Pensai di non aver mai visto un'espressione simile.

Anche se, allora, non avrei saputo spiegarne il motivo.

Quando incrociai i suoi occhi, il tempo sembrò fermarsi per quelli che mi parvero minuti interi.

E l'unico pensiero che sorse spontaneo fu: "Che cosa sto facendo?"

Il respiro si mozzó in gola e avvertii un forte senso di nausea.

Fu l'altro ragazzo a rompere il silenzio per primo.

Il tipo si grattó la testa, evidentemente a disagio: -È una domanda tanto difficile?-

In circostanze normali, avrei saputo dare una risposta.

Ma quelle erano circostanze tutt'altro che normali.

E il ragazzo di fronte a me...beh, anche il ragazzo era tutt'altro che normale.

Mantenni le labbra serrate e mi limitai a non muovere un muscolo.

"Che cosa...che cosa sto facendo?"

L'eco di quelle parole mi rimbombó nella testa.

Ero stato davvero sul punto di...?

Strinsi la ringhiera con così tanta forza che le nocche mi divennero bianche.

Pian piano, la coscienza delle mie azioni azzardate andò a sostituirsi al senso di vuoto che avevo provato fino ad un istante prima.

Il respiro aumentò assieme al battito cardiaco.

Io, Akaashi Keiji, avevo pensato seriamente di...?

Lo sconosciuto mi staccó gli occhi di dosso per rivolgerli al panorama.
-Oh, okay.-

La mia testa scattò nuovamente nella sua direzione.

Che problemi aveva quel tipo?

-Okay...cosa?-
-Ah! Quindi sai parlare.- Il suo tono di voce non nascondeva una benché minima provocazione, tanto che mi domandai se il ragazzo che avevo davanti non soffrisse veramente di qualche tipo di disturbo mentale.

-Tu hai...hai appena...- Mi interruppi, alla ricerca di un qualche cambiamento nel suo volto.
Nulla.

Il ragazzo continuava a sorridere come se niente fosse. La sua espressione sembrava dire "Coraggio, ti ascolto, vai pure avanti."

Altro che scena tragicomica.

Lo sconosciuto mi porse gentilmente una mano. Osservai le sue dita tremolanti a causa del freddo e, quel semplice gesto, mi aiutò a riacquistare il pieno controllo di me stesso.

Solo allora realizzai di trovarmi a cento metri dal suolo.

Lo shock fu così improvviso, così sconcertante, che per poco non rischai di precipitare involontariamente dall'edificio.

Indietreggiai finché la mia schiena non si scontró violentemente con il parapetto del palazzo di Noburu e, completamente stordito, strinsi ulteriormente la presa sulla ringhiera.

Il vento gelido mi smosse i ciuffi neri sulla fronte; due passi nella direzione sbagliata, e mi sarei ritrovato sull'asfalto di una delle strade più frequentate del quartiere di Minato.

Non ero più in grado di controllare l'aria che fuoriusciva dai miei polmoni: inspiravo ed espiravo come un forsennato, gli occhi sgranati per il terrore.

Le gambe mi tremavano irrefrenabilmente e mi sentivo sul punto di vomitare il pranzo di Natale del 2009.

Sotto di me, i primi lampioni iniziarono ad illuminarsi, nonostante il sole stesse ancora tramontando dietro i grattacieli.

Le automobili sfrecciavano come saette lungo la strada, rallentando solo per permettere ai pedoni di attraversare.

Nel palazzo di fronte, tre giganteschi schermi televisivi e svariati cartelloni pubblicitari dominavano il crocevia.

Malgrado il cielo stesse sfumando in un'insolita colorazione rosata, nessuno gli prestó attenzione.

Nessuno si fermó ad ammirarlo.

Nessuno alzó la testa.

Nessuno mi vide.

"Stavo per...stavo per saltare..." Conclusi, perdendo quel poco di razionalità che mi era rimasta.

Volevo accasciarmi contro il parapetto, permettere alle mie emozioni di sopraffarmi, ma in qualche modo le mie gambe me lo impedirono.

Erano paralizzate.
E costantemente rivolte verso la strada.

-Hey...- Mi richiamó il ragazzo strambo, sporgendosi sulla ringhiera per cercare di congiungere le nostre mani.

Eravamo relativamente vicini, seppur separati dalle barre di ferro che dividevano il cornicione del palazzo dal tetto sicuro dove si trovava lui.

Se avesse voluto, gli sarebbe bastato allungarsi di poco per agguantare entrambe le mie braccia e impedirmi di cadere.

Ma non lo fece.

Aspettó che fossi io a fare la prima mossa.

Ma le mie mani erano incollate al parapetto di ferro.

-Come ti chiami?- Domandó, inclinando la testa lateralmente. Per un attimo, pensai che somigliasse vagamente ad un gufo.

Se avessi provato ad aprire la bocca, non ne sarebbe uscito alcun suono.

Lo fissai terrorizzato, consapevole di star facendo una terribile prima impressione.

Non che avesse chissà quale importanza, in una situazione del genere.

-Io mi chiamo Koutaro- Fece allora lui, non ricevendo alcuna risposta -Bokuto Koutaro.-

Annuii, forse per fargli capire che avevo afferrato il concetto ma che non avevo la minima intenzione di proferire parola.

Il ragazzo, però, non ritrasse la mano: -Sono stato un po' schietto, prima.-

Probabilmente stava alludendo alla frase che aveva aperto la nostra conversazione.

"Ma no. Davvero?" Pensai, distraendomi momentaneamente dai rumori della città sottostante.

-Mi dicono che sono un tipo molto impulsivo e che dovrei imparare frenare la lingua, ogni tanto.-

"Ti direi che hanno ragione."

Il ragazzo si addossó al parapetto e tentò ancora una volta di porgermi la mano: -Ecco...non ti conosco e non posso sapere a cosa stai pensando, ma...- Arrivó quasi a mettersi sulle punte dei piedi pur di avvicinarsi di qualche millimetro al mio cappotto.

-...Che ne diresti di parlare da questa parte del tetto?-

La parte lucida della mia coscienza sapeva benissimo che quel Bokuto Koutaro stava cercando di salvarmi da una morte certa.

Ma la parte ancora sotto shock del mio cervello mi impedì di assecondare il suo desiderio.

Una folata di vento più forte delle altre rischiò di farmi perdere l'equilibrio.

Il cornicione su cui poggiavo i piedi si stava facendo sempre più piccolo e l'aria sempre più irrespirabile.

-Hai scelto di venire qui per vedere il monte Fuji?- Domandó Bokuto all'improvviso, indicando con l'altro braccio l'ombra che si stagliava dietro i grattacieli.

A chilometri di distanza, il vulcano giapponese era avvolto dalle nuvole che lasciavano intravedere solo un breve tratto di roccia.

"No. Veramente, non ci ho minimamente fatto caso quando ho pensato di suicidarmi" Avrei voluto rispondergli.

-Lo sai, ho fatto un'escursione da quelle parti, una volta.- Inizió a raccontare il ragazzo, abbandonando l'idea di tendere il braccio.

Per un istante temetti che si fosse arreso, ma mi ricredetti subito: Bokuto afferró la ringhiera con entrambe le mani e, tramite un piccolo slancio, fece forza sui bicipiti per tirarsi su.

Lo fissai sconvolto mentre, con un'agilità a dir poco sorprendente, il ragazzo si arrampicava sul parapetto incastrando i piedi negli spazi vuoti.

Arrivato in cima alla ringhiera, si servì di un semplice salto per atterrare al mio fianco, stando ben attento a non mancare il cornicione.

Esattamente come avevo fatto io dieci minuti prima.
Solo che lui ci aveva impiegato meno tempo.

Bokuto si era posizionato al mio fianco, lo sguardo saldo sul paesaggio, e aveva ripreso tranquillamente il discorso: -Ho visitato la cascata di Shirato. Mi ricordo ancora il rumore incessante dell'acqua.-

Strabuzzai gli occhi, non riuscendo a credere a ciò che stavano sentendo le mie orecchie.

Quello era più pazzo del sottoscritto.

-Lo sapevi che non è alimentata da un fiume ma da una sorgente sotterranea? Così il livello dell'acqua resta sempre lo stesso, anche in caso di pioggia.- Bokuto ridacchió e si giró nella mia direzione: -Ho visitato Shirato due inverni fa, ma non mi ricordo molto.-

La mia faccia trasmetteva incredulità, che Bokuto interpretò come stupore: -Forse perché tornato a casa mi ero beccato una brutta influenza. In effetti, dovrei tornare a visitarla in estate.-

-Cosa...c-che...che d-diavolo...- Balbettai con un filo di voce, osservando il ragazzo dalla testa ai piedi.

Ero arrivato persino a corto di parole per descriverlo.

Bokuto alzó un sopracciglio, aspettando pazientemente che proseguissi.

-Perché...perché diamine sei venuto da questa parte?- Mi lasciai sfuggire e, senza rendermene conto, allentai la presa sulla ringhiera.

Bokuto parve accorgersene, perché mi offrì nuovamente la sua mano: -Dal momento che non sembravi intenzionato a darmi retta, ho pensato fosse meglio passare dalla tua parte. Possiamo parlare qui, se vuoi.-

Scossi la testa, più confuso di quanto non lo fossi già: -Non...non capisco, io...Non mi sembra il caso di...-

-Perché? C'è una bella vista.- Mi interruppe lui, indicando il tramonto.

Quella sua constatazione inappropriata mi provocò una risatina isterica: -A cento metri di altezza?-

-Hey, sei tu che hai scelto il posto.- Rise lui, tendendo le dita della mano.
-Ora mi dirai come ti chiami?-

Alternai lo sguardo dai piedi alla sua mano, indeciso.

Non mi era mai capitato di incontrare qualcuno messo peggio di me.

E che mi avesse impedito di saltare dal ventiduesimo piano.

Alla fine, seppur titubante, mollai la presa dal parapetto per ricambiare la stretta: -Akaashi, Keiji.-

-Bene, Akahshi, che ne diresti-
-È Akaashi.- Lo corressi, realizzando solo in seguito quanto quella situazione potesse sembrare comica.

-Akaaashi.- Ripeté Bokuto, serio. -Che ne diresti di continuare la conversazione sul tetto? Intendo...sul tetto sicuro, ecco.-

Il mio battito non era diminuto rispetto a prima, ma il respiro si era calmato.

Lanciai una rapida occhiata al traffico sottostante e subito i brutti ricordi presero ad intasarmi la mente.

Io non...non desideravo morire?

Non ci capivo più niente.

Bokuto portò le mani in avanti, sulla difesa: -O-oppure possiamo stare qui, non vorrei metterti fretta.-

-No, io...- Sospirai sconsolato, dando le spalle alla strada e morendomi le labbra. In quel momento avrei solo voluto dimenticare tutto. -...Va bene.-

Bokuto, fortunatamente, non aggiunse altro.

Non chiese alcuna conferma e non mi trascinó con la forza.

Si fidó e basta.

Lo strambo si arrampicó per primo e, in cima alla ringhiera, si sporse per controllare che stessi seguendo il suo esempio.

Allungai la mano destra e la mia pelle entrò in contatto con il ferro freddo del parapetto.

Le gambe mi tremavano ancora, ma mi sforzai di mantenere una presa salda e fare in modo che gli sforzi di Bokuto non fossero stati vani.

Non mi voltai fino a quando non mi fui trovato a cavalcioni della sbarra più alta. Dopodiché, facendo attenzione a non scivolare, mi calai lentamente giù dal parapetto.

Una volta atterrato con entrambi i piedi, mi resi conto di aver trattenuto il fiato fin dall'inizio.

-Fiuuuu!- Esclamó il ragazzo accanto a me, piegandosi in due come se avesse appena corso una maratona -Non sai quanti anni di vita mi hai fatto perdere!-

Quella sua affermazione andò ad appesantire ancora di più il senso di colpa che mi stava divorando l'anima.

-Cioè, non intendevo questo!- Si corresse Bokuto, sollevando il busto -Voglio dire, non fraintendermi...-

Fissai il pavimento e nascosi il naso dentro la sciarpa.

Mi sentivo un perfetto idiota.

-No, davvero, ho parlato senza pensare!- Si giustificó ancora, preoccupato.

-Non scavalcheró nuovamente il parapetto per questo motivo, non preoccuparti.- Lo tranquillizzai, il senso di colpa che continuava a salire.

Bokuto sospiró sollevato e allora potei notare che le sue mani stavano tremando quanto le mie.

E ne ero io la causa.

Non riuscivo neanche ad immaginare quanta pressione dovessi avergli messo sulle spalle.

-Menomale che torno sempre per questa strada. Di solito vengo sulla terrazza panoramica per guardare il tramonto perché è gratuita e sconosciuta ai turisti, ma cavolo...non avrei mai pensato che oggi sarebbe finita così.-

-Mi...mi dispiace...-Mormorai con la voce rotta dalla tristezza.

Bokuto si accorse della mia espressione abbattuta e si affrettó a nascondere le mani tremanti nelle tasche del giubbotto: -Cosa? Stai scherzando? È a me che dispiace!-

Alzai un sopracciglio, confuso: -Perché mai dovrebbe dispiacerti?-

Il ragazzo scrolló le spalle: -Sicuramente il racconto della cascata di Shirato ti avrà annoiato.-

Strabuzzai gli occhi, per poi scoppiare in una piccola risata liberatoria.

Mi inginocchai a terra e ben presto quella risata si trasformó in una serie di spasmi convulsivi.

Mi presi la testa fra le mani e permisi allo stress accomulato di prendere il controllo del mio corpo.

-Che cosa...c-che cosa...cosa ho fatto...- Sussurrai, mordendomi l'interno della guancia per impedirmi di urlare.

Bokuto si precipitò rapido davanti a me e si inginocchió a sua volta, appoggiando con fare protettivo le sue mani sulle mie spalle.

-N-No, hey, hey, non sentirti in colpa!- Balbettó, sforzandosi di mantenere un tono di voce calmo.

Alzai la testa e lo guardai in quei grandi occhi dello stesso colore del granoturco.

Avrei voluto ringraziarlo.

Dirgli che gli ero esternamente debitore.

Ma tutto quello che mi uscì fu un: -Non...non sei arrabbiato con me?-

-Io? E come potrei?- Ribatté Bokuto, stupito dalla mia domanda -Anzi, scusa se sono stato così indelicato. Ma avevo letto su wikihow che bisogna essere diretti per prevenire un suicidio.-

Ancora una volta rimasi spiazzato dalla sua spontaneità.

Certo, il suo gesto poteva sembrare parecchio assurdo ma, pensandoci bene, era stata la sua affermazione a farmi aprire gli occhi.

Gli sorrisi riconoscente e il mio cambio di espressione sembrò mettere Bokuto a suo agio.

-Ti ringrazio.- Riuscii finalmente a dire, rilassando le spalle.

Bokuto si spostò appena per sedersi al mio fianco: -Quanti anni hai, Akaashi?-

Mi sistemai con le gambe incrociate, ignorando il fatto che il pavimento fosse congelato: -Ne ho appena fatti diciassette.-

-Uh, quindi sono un to senpai!- Constató allegramente.
-Suppongo.-

-E dimmi, Akaashi di quasi diciassette anni, perché eri pronto a schiantarti su una delle strade principali di Tokyo?-

Aspettai qualche istante prima di rispondere.

Perché avevo provato a suicidarmi?

La verità è che non lo sapevo nemmeno io.

O meglio, non lo avevo veramente capito.

La mia vita non era perfetta, ma non c'era nulla di cui potessi seriamente lamentarmi.

Lamentarmi seriamente, intendo.

I miei genitori si erano separati, ma trascorrevo tempo a sufficienza con entrambi.

Ero praticamente invisibile per loro, eppure in diciassette anni non mi avevano mai fatto mancare niente.

Insomma, non era certo stata la carenza di affetto a farmi salire ventidue piani di una terrazza panoramica.

La mia media scolastica aveva avuto alti e bassi, però potevo ritenermi pienamente soddisfatto.

Forse non ero circondato da tanti amici, ma non mi sentivo escluso più di tanto.

Perché farlo, allora?

Non è una decisione che si prende da un giorno all'altro.

E la reale causa non era legata ai trascorsi della mia vita.

Ci avevo pensato parecchio prima di compiere quel passo fatale.

E più erano passate le settimane, più quel pensiero si era fatto vivido nella mia mente.

Come un desiderio insistente, che sarebbe potuto cessare solo in una maniera.

-In realtà...- Sentii un enorme groppo alla gola che non riuscivo a mandare giù -Per una serie di motivi, ma... allo stesso tempo per nessuna ragione, credo...-

Bokuto mi guardó dritto negli occhi per una decina di secondi.

-Io volevo solo...smettere di vivere, ecco. È così stupido. Non ho serie motivazioni che mi abbiano spinto a questa decisione, solo che...non riuscivo più a reggere il peso della vita. Io non...non ho mai trovato un valido motivo per vivere, immagino.-

Non ebbi il coraggio di controllare la faccia di Koutaro, così proseguii imperterrito: -Sono un idiota, un idiota caduto in depressione. Perché non riesco a trovare motivi validi per continuare questa vita? Non è successo niente eppure mi sento come se tutto fosse vuoto e grigio.-

Affondai il naso nella sciarpa e tirai un lungo sospiro: -Qualche giorno fa, su un sito anonimo, ho beccato una ragazza che chiedeva quanto tempo ci volesse per annegare. E una delle risposte è stata "tutto si risolve, se ti è capitato qualcosa di brutto basta dimenticare."-

Sentii gli occhi farsi lucidi: -Perché la gente non capisce che a volte non è questione di un qualcosa da dimenticare? Che a volte semplicemente si muore perché non ci sono motivi per proseguire una vita inutile?-

-Ogni giorno è uguale agli altri. Cosa si perde alla fine? Tutto ciò che faccio serve per impiegare il tempo nell'attesa che il giorno finisca. Il problema è che quando un giorno finisce ne inizia un altro e tutto si ripete. Io non... non riesco a vedere un futuro...-

Nemmeno mi accorsi di aver alzato il tono di voce.

-Il mondo è crudele, le persone indifferenti e ogni cosa porta solo a sofferenza. Sento di non avere uno scopo e...insomma... tutto questo per...- Tirai su con il naso, convinto di essermi preso un raffreddore -Senza qualcosa per cui vivere, che senso ha continuare?-

Pensai che il ragazzo sarebbe scoppiato a ridere o mi avrebbe dato del pazzo.

O che avrebbe preferito farsi da parte per permettermi di scavalcare ancora una volta il parapetto.

Invece, disse: -Oh, okay. Così è molto più semplice.-

Mi accigliai, disorientato: -Davvero?-

-Certo!- Esclamó lui, entusiasta -Voglio dire, a patto che tu non mi stia mentendo, non dovrebbe essere così difficile uscire da questa situazione.-

-Cosa ti fa credere che non ti stia mentendo?-

Bokuto si grattó i ciuffi di capelli sparati verso l'alto: -Beh, perché dovresti?-

Se quel ragazzo avesse voluto prendermi in giro, sarebbe stato molto più facile capire cosa gli passava per la testa.

Ma il suo tono di voce era talmente sincero da mandarmi in completa confusione.

-Non...non ne ho idea...- Borbottai, preso alla sprovvista.

-Ecco!- Fece Bokuto, rallegrandosi di nuovo -Quindi non sarà un problema.-

-Io...io mi stavo per suicidare.- Gli feci presente, giusto per rinfrescargli la memoria.

-E faremo in modo che non ti passi più per la testa un pensiero simile.-

Mi rabbuiai all'improvviso quando collegai la sua affermazione ad un terribile presentimento.

-Intendi impedire che accada ancora chiamando la polizia? V-vuoi informare i miei genitori?-

-Hey, hey, hey! Rilassati!- Mi calmó lui, battendomi una spalla con fare amichevole -Nulla del genere. Lo hai detto tu stesso, no? Non hai trovato un motivo per cui valga la pena vivere.-

Bokuto si rimise in piedi e mi porse una mano, che accettai con un po' di riluttanza.

-Basterà trovarlo, allora.- Completó soddisfatto, e si avvió verso la porta che dava sull'interno del palazzo. -Datti una mossa, la terrazza di Noburu chiude alle sei e mezza nei giorni feriali.-

Rimasi immobile.

-Chi è che dovrebbe trovarlo?-

Bokuto, ancora di spalle, giró la testa per tranquillizzarmi con uno di quei suoi luminosi sorrisi: -Noi, ovviamente. Dovremo continuare questa conversazione. Non penserai mica di poterti liberare di me dopo tutto quello che è successo, spero. Coraggio, Akaaahshi!-

Non mossi un muscolo.

Era un tipo strambo, sì.
Ma gli ero fin troppo riconoscente.

Al contrario, io ero stanco e confuso.

Ma riuscii quasi a sorridere.

-È Akaashi.- Corressi Bokuto, prima di seguirlo verso l'uscita.

   
 
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