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Autore: IamNotPrinceHamlet    30/01/2021    1 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nel capitolo precedente: Angie incontra Jerry all’uscita della tavola calda dopo il lavoro. Inizialmente lui cerca di farle credere di essere passato di lì casualmente, ma è chiaro che l’abbia fatto apposta. Le dice di aver scritto dei pezzi nuovi di cui non è del tutto convinto e di avere un demo in macchina. Angie si lascia convincere ad andare a sentirli assieme a lui. Si tratta di tre pezzi: uno dedicato all’amico scomparso Andy Wood, uno dedicato a suo padre e un altro… non si sa, perché Jerry, pur tentato di farglielo ascoltare, ferma il nastro prima che inizi il cantato vero e proprio. Questo perché la terza canzone ha a che fare con lei. Durante l’ascolto Jerry si apre e si sfoga con la ex, al tempo stesso trovando assurdo che riesca a farlo solo con lei. Angie gli dice che qualsiasi cosa sia successa tra loro, lei resterà sempre una sua amica e ci sarà comunque quando lui avrà bisogno. Jerry la riaccompagna a casa e sta quasi per baciarla, ma non succede nulla. Una volta rientrata a casa Angie s’interroga sulla sincerità della promessa fatta a Jerry e su quanto sia davvero disposta ad esserci sempre per lui e a passare sopra al dolore che le ha causato, su quanto sia disposta a sacrificare pur di essere sempre la brava ragazza che “fa la cosa giusta”. Angie telefona a Eddie e i due hanno una scaramuccia sul secondo nome misterioso di lei e sul nomignolo che lui usa per caso e che, vista la reazione della ragazza, decide di adottare ufficialmente. La situazione però precipita improvvisamente quando Angie, candidamente, rivela a Eddie di aver visto Jerry. Il cantante si incazza e la tratta in malo modo al telefono, attaccandole in faccia. Meg dice alla coinquilina che la sua amica Jane di New York l’ha cercata e pensa stesse parlando al telefono proprio con lei poco prima. Angie si irrigidisce, conferma la versione ed esce con la scusa di aver dimenticato di comprare le sigarette, per poi invece andare a chiamare Jane da una cabina. Il mattino dopo Eddie aspetta Angie sotto casa per scusarsi. Il ragazzo ammette il suo problema con la gelosia, lei lo perdona e i due fanno pace. Eddie sente che Angie sta nascondendo qualcosa, ma non vuole forzarla e spera sia lei a parlargliene quando le sembrerà il momento giusto.

***

Regno di Talmaren, anno decimo della Nuova Era

Non senza fatica il principe Alexander si passò il dorso della mano sulla bocca per rimuovere il sangue che vi era schizzato poco prima, fortunatamente non il suo. Il combattimento l’aveva lasciato stremato e privo di forze, ma non c’era tempo per riposarsi: Basil era sicuramente un guerriero tanto abile quanto spietato, nonché un sadico e un porco, e vederlo ridotto a una bambola di pezza senza vita, accasciata scompostamente sul pavimento della camera del suo oscuro sovrano, poteva senza dubbio far tirare un piccolo sospiro di sollievo a gran parte della gente delle Lande dell’Ovest e non solo; tuttavia, era soltanto lo stupido lacchè di quel mostro di Kaspar, che era ancora dannatamente vivo.

Kaspar, re di Talmaren, detto Il Sanguinario, colui che appena salito al trono dette il via a una guerra che si trascinava da ormai dieci anni, aveva già distrutto cinque dei sette regni conosciuti, tra cui Senaria, patria di Alexander. Il conflitto mirava ufficialmente alla pura espansione, ma in realtà nascondeva un obiettivo totalmente differente. Tale scopo giaceva di fronte agli occhi impietriti del principe e aveva le sembianze, seppure irriconoscibili, della donna che amava, incatenata per le braccia alla testiera in ferro del letto di sua maestà. Le gambe erano state lasciate libere, presumibilmente perché, anche se le avesse usate, quella fanciulla avrebbe potuto fare ben poco. Il volto di Coriliana era una maschera informe di capelli e sangue raggrumato mentre il corpo faceva mostra di un orribile velo di lividi. Di fatto, eccetto che per una volgare collana di grosse pietre nere che lui non aveva mai visto, la ragazza era completamente nuda. Lo sguardo di Alexander si era fermato sul suo petto generoso, quel seno dove spesso aveva trovato conforto e riposo dopo la battaglia, con la mente sgombra da ogni pensiero, finché non riuscì a scorgere un movimento impercettibile della collana. Su e giù.

Era viva.

Non c’era tempo per festeggiare, ma nemmeno per tirare il fiato e leccarsi le ferite, Alexander si precipitò sul letto e si avventò sulle catene, nel frattempo la chiamava per nome per cercare di destarla dal suo sofferto torpore, rifugio mentale dalle sevizie e dagli abusi di ogni tipo che Kaspar e la sua cricca dovevano averle inflitto nelle ultime settimane. Non fu facile liberarla, si adoperava con la spada cercando di assestare colpi efficaci, ma doveva ovviamente fare attenzione a non fare del male alla sua Coril. Sua… Non era sua, non poteva esserlo, lei era speciale, una futura regina, anzi, una futura dea, era a un altro livello, non sarebbe stato possibile, non più. Ma il suo cuore sarebbe appartenuto a lei e a lei soltanto, per sempre.

Finalmente la catena che imprigionava il polso sinistro cedette sotto i fendenti di Alexander, il braccio cadde di colpo sul letto, anche per il peso del bracciale e del pezzo di catena che le era rimasto attaccato.

Alexander si dedicò all’altra catena, in ginocchio sul letto impugnava la spada con entrambe le mani e colpiva con rabbia, finché anche questa si ruppe, quasi nello stesso momento in cui l’erede al trono di Senaria sentì qualcosa sfiorargli il fianco e accennare una debole stretta. La fissò per un istante, forse gli occhi di Coril erano ancora chiusi (chi poteva dirlo in quel macello), ma la sua mano lo stava cercando. In quel momento Alexander provò sollievo, assieme a una profonda vergogna: non vedeva la futura regina dei Kos da mesi, non ricordava quanto era passato da quando l’aveva tenuta l’ultima volta tra le sue braccia, da quando ne aveva saggiato il corpo con le dita e con la lingua, da quando si era insinuato dentro di lei per l’ultima volta. Ora la donna che amava era lì nuda sotto di lui e nell’osservarla, sebbene fosse in uno stato di incoscienza e straziata dalle torture di Kaspar, si era ignobilmente eccitato.

Tornò in sé quasi subito, cercò di sollevare Coril con delicatezza fino a metterla in posizione semi-seduta, dopodiché l’avvolse nel suo mantello di seta. Dovevano fare presto, ma non poteva portarla fuori dal palazzo così, sarebbe stato umiliante per lei, inoltre il freddo pungente dell’inverno di Talmaren avrebbe potuto peggiorare le sue condizioni di salute già precarie.

In un attimo si caricò l’amata sulle spalle come un fagotto e corse verso la porta della camera degli orrori. Gli sembrava più piccola, l’aveva presa in braccio più di una volta e mai a peso morto, e non l’aveva mai sentita così leggera, così fragile. Percorse correndo, ma con circospezione, il largo corridoio, rallentò quando gli parve di distinguere l’ombra in movimento di una persona, presumibilmente un uomo, proiettata da una torcia in fondo al passaggio, dove il corridoio voltava a destra. Tolse la mano dalla spada solo quando riconobbe Gabriel, suo fratello. Accelerò di nuovo, gli fece un cenno, Gabriel si bloccò e ricambiò sollevando appena il capo, poi si accorse che l’aveva trovata e gli diede il segnale di via libera. Se la situazione non fosse stata talmente agghiacciante da rendere impossibile solo pensarlo, Alexander avrebbe giurato di aver visto comparire sul viso del fratello un sorriso.

Il drappello capitanato da Alexander si era accampato sulle rive del fiume Neeto. Per evitare le ronde avevano pensato di raggiungere il castello attraversando la foresta. Lungo il cammino si erano d’un tratto imbattuti in questa piccola radura che spuntava dal nulla in mezzo al fitto bosco e il principe aveva deciso di stabilirvi la loro base operativa. La fortezza distava circa un’ora di cammino e Alexander aveva pensato che, per salvare Coriliana, un “attacco silenzioso” nel cuore della notte, con un pugno di uomini che giungessero al castello a piedi e vi si introducessero senza farsi notare, sarebbe stato più efficace di un assedio. Aveva scelto quindi una ventina di uomini che lo seguissero, incluso Gabriel, lasciando il resto della spedizione, destrieri compresi, alla radura.

Si malediceva per questa scelta mentre percorreva a ritroso il sentiero che si inerpicava sul Colle Zham, il basamento della dimora di Kaspar, cercando di non sbilanciarsi e cadere nel vuoto. Tirò un sospiro di sollievo quando finalmente terminò la discesa e iniziò il bosco, almeno fin quando non si rese conto che stare attenti a non inciampare sulle radici esposte e a non farsi schiaffeggiare dai rami sporgenti, assicurandosi che anche Coril non si ferisse, richiedeva altrettanto impegno.

Ripensò allo sguardo che il fratello minore gli aveva riservato quando gli aveva detto che si sarebbe occupato lui di Coril. Gabriel invece avrebbe coperto la loro fuga, assieme agli altri, per poi trovare la moglie di Kaspar. Se tutto fosse andato bene, sarebbe bastata qualche minaccia a voce grossa per farsi dire dove si trovava il consorte. Gabriel aveva recepito l’ordine e si era congedato con un mezzo inchino, non prima di aver lanciato al principe un’occhiata al veleno. Alexander doveva dimenticare quella donna, lo sapeva benissimo, e lo avrebbe fatto, non c’era bisogno che gli altri glielo ricordassero in continuazione. Si sarebbe fatto da parte un giorno, sapeva di essere fuori posto nel cuore di Coriliana, ma prima doveva prendersi cura di lei, farla stare meglio, prepararla al futuro che l’aspettava. Un futuro al comando, che non prevedeva la presenza del principe di Senaria al suo fianco, se non come alleato nella guerra contro il Sanguinario e la sua stirpe.

La profezia parlava chiaro.

Sentiva il rumore dell’acqua, il Neeto era vicino. Riconobbe su un tronco d’albero il segnale tracciato all’andata dal fratello e voltò a sinistra. Seguì un’altra indicazione e si ritrovò a costeggiare il fiume. D’un tratto sentì che Coriliana si muoveva e, per quanto poteva, si stringeva a lui. Ebbe la mezza idea di fermarsi. L’avrebbe fatta sedere per un momento, sarebbe sceso velocemente verso la riva per raccogliere dell’acqua nella borraccia, tornato da lei gliene avrebbe data un po’, a piccoli sorsi, e avrebbe usato il resto per lavarle via il sangue dal viso e dai capelli. Senza bagnarli troppo, era ovvio, o le sarebbe venuto un accidente con quel freddo. L’avrebbe rassicurata, mancava poco all’accampamento. Le avrebbe detto che era tutto finito e che sarebbe stata meglio, che quei viscidi vermi non l’avrebbero più toccata, che avrebbe ucciso Kaspar con le sue mani. Oppure sarebbe semplicemente rimasto accanto a lei, in silenzio, con gli occhi nei suoi mentre si abbeverava. Rallentò pensando alle sue labbra, bagnate, quando queste ultime si appoggiarono sulla sua guancia sinistra accennando un bacio asciutto. Poi sussurrarono:

Gabriel…”

Alexander sentì le ginocchia cedere. Improvvisamente il suo fardello gli sembrava troppo pesante, lo schiacciava, ciononostante accelerò il passo. Non si curò più delle fronde che lo colpivano in volto.

Ora il veleno aveva tutto un altro sapore.

 

Coriliana è proprio una stronza. Scuoto il capo e sogghigno, mentre rimuovo il foglio dalla macchina da scrivere. Cos'ho da ridere poi non si sa. Vivo in un appartamento squallido di New York, mi affaccio da una qualsiasi delle due finestre e vedo solo mattoni, sono single, non ho neanche un gatto perché il mio padrone di casa non vuole animali. Sento un rumore strano, uno squillo. Il telefono? Ma io nemmeno ce l'ho il telefono, ogni volta che ho bisogno di fare una chiamata devo arrivare fino alla cabina di fronte al negozio di sedie all'angolo. Che poi che cazzo mi rappresenta un negozio che vende solo sedie? Non dico vendere arredamenti completi, ma almeno offrire anche sgabelli, poltrone, tavolini. No, da Pianeta Sedia trovi solo sedie. Come quella su cui sono seduta adesso, che viene proprio da lì. Compro sedie da Pianeta sedia e mi mantengo scrivendo stronzate. Come mi sono ridotta: da aspirante sceneggiatrice di Hollywood a scrittrice di romanzetti rosa da quattro soldi che pure Harmony si rifiuterebbe di pubblica-

 

Mi sveglio di soprassalto, sudata e boccheggiante.

“Ma che cazzo” commento ad alta voce il mio sogno di merda. Grazie tante Morfeo, si può sapere che ti ho fatto? Mi lascio ricadere sul letto e prendo fiato. La parte fantasy era anche interessante e il principe Alexander aveva il suo perché, anche perché somigliava un casino a Eddie; la parte del mio ipotetico futuro in disgrazia, invece, l'avrei evitata volentieri. Il trillo del telefono continua e per un attimo ho il terrore di trovarmi ancora nell'incubo squallido, ma poi capisco che è il mio vero telefono a suonare. Allungo la mano sul comodino e prendo il cordless al secondo tentativo, dopo che al primo mi era cascato per terra.

“Pronto”

“E’ già venerdì?” la voce del principe, ehm, volevo dire di Eddie, mi porta a un altro tipo di sogno.

“No, Eddie.” ripeto in automatico sbadigliando, continuando il nostro gioco degli ultimi tempi.

“Eheheh come no? Oggi sì!”

“Che?” sento che mi sto svegliando del tutto, anche se non vorrei, perché so che impegnandomi potrei chiudere gli occhi, riaddormentarmi, riprendere il sogno e arrivare velocemente al punto in cui quella stronza di Coriliana muore e Alex resta solo e consolabile da qualcuno a caso, come la figlia del fattore, che è tipo la copia della sottoscritta, ma magra, figa, con gli occhi azzurri e i denti dritti. Che poi chi li aveva i denti dritti nel medioevo? Mica c'erano gli apparecchi. Non c'erano neanche i dentisti. E’ già tanto se arrivavano a quarant'anni con quattro denti in bocca. E’ già tanto se arrivavano a quarant'anni e stop.

“Ma stavi dormendo? Guarda che oggi è venerdì sul serio”

“Non proprio, ma che ore sono?” posso capire l'impazienza di Eddie, soprattutto dopo la nostra piccola prima lite dell'altra sera, ma non pensavo arrivasse a chiamarmi a notte fonda per festeggiare il gran giorno.

“Sono le 8. Scusa se ti ho svegliato, ma pensavo fossi in piedi da un pezzo. Non hai mica lezione stamattina? Avevo capito che oggi fosse l'ultimo giorno…”

“COSA?! LE OTTO?” i miei neuroni si destano tutti assieme non appena capiscono che la sveglia non ha suonato e che sono in ritardo. Un'eventualità più unica che rara. Insomma è difficilissimo che io non punti la sveglia e, anche quando questo dovesse capitare, è impossibile che io non mi svegli ugualmente all'orario in automatico. Il panico è talmente immediato che mi alzo, afferro vestiti a caso e corro in bagno bestemmiando. Dopo cinque minuti pieni mi rendo conto di aver dimenticato qualcosa. Torno al volo in camera e cerco il telefono. Non lo trovo. Ritorno di corsa in bagno e in mezzo alla pila di vestiti recupero il cordless “Sei ancora lì?”

“Sì, lo sai che mi piace ascoltarti al telefono”

“Non avrai sentito granché, a parte un sacco di parolacce”

“Mmm non erano poi così tante”

“E io che mi spazzolo i denti”

“E la tua pipì”

“EDDIE!” l'elastico con cui mi stavo legando i capelli mi sfugge parte come un proiettile, finendo chissà dove.

“Eh ho sentito anche quella, che posso farci”

“DIO CHE FIGURA DI MERDA” mi nascondo la faccia con la mano, come se Eddie potesse vedermi.

“Questa è vera intimità di coppia”

“Ma non potevi riattaccare?” piagnucolo mentre sondo il pavimento del bagno in cerca dell'elastico.

“Nah, la telecronaca del tuo delirio era troppo divertente, micetta”

“Micetta invece non è divertita per niente” se comincio a usarlo pure io questo nomignolo siamo rovinati.

“Dai, per così poco?”

“Micetta è alquanto imbarazzata”

“Se vuoi posso scoreggiare al telefono, così siamo pari e non ti imbarazzi più”

“Ahahahah ma vaffanculo!” lo insulto quando finalmente trovo l'elastico, sopra il calorifero.

“Comunque è incredibile: anche tu dimentichi le cose come i comuni mortali”

“Già, hai visto? A volte capita perfino a me che qualcosa sfugga al mio controllo”

“Wow sei umana”

“Comunque ti devo lasciare, perché l'umana è in stra-ritardo e deve farsi la doccia”

“Ti scoccia se seguo in diretta anche quella?”

“Cos'è, anche il rumore dell'acqua ti rilassa?” passo il cordless da una mano all'altra mentre tolgo il sopra del pigiama e lo butto fra le cose da lavare.

“Sì, esatto. Proprio quello m'interessa. L'acqua che scorre. Mica il pensiero di te nuda sotto la doccia”

“Dai, non posso stare al telefono, devo correre” mi vengono in mente un sacco di battute sul gusto di Eddie per l'orrido, ma non ho voglia né tempo di farlo incazzare di prima mattina. Beh, prima, sono già le otto. Passate. Mi tiro giù i calzoni e li lancio con un calcio nella cesta dei panni sporchi..

“Comunque i denti potevi lavarli direttamente in doccia e avresti guadagnato minuti preziosi, si vede che sei una principiante dei ritardi”

“E spero di restare principiante. Ti chiamo dopo pranzo, ok?”

“E va bene… Wind?” mi tiro sù di scatto e le mutande che mi stavo levando rimangono arrotolate ad altezza ginocchia.

“…”

“Angie?”

“Uh…” mi guardo attorno persa e imbarazzata, come se mi fossi trovata all'improvviso nuda di fronte a Eddie. Ed è proprio così, in fondo.

“ASPETTA, HO AZZECCATO??”

“Quasi”

“CHE VUOL DIRE QUASI? Ci ho preso o no?”

“Ci hai preso… a metà” finisco di spogliarmi completamente e prendo l'asciugamano.

“In che senso a metà?”

“Te lo spiego dopo, dai, devo andare” entro in vasca e appoggio l'asciugamano sullo sgabello qui a fianco.

“Col cazzo, me lo spieghi adesso”

“E’ metà del nome” sono in piedi, nella vasca, in ritardo, con il telefono in una mano e il doccino nell'altra, non possiamo rimandare questa conversazione?

“Cioè sei WindQualcosa o QualcosaWind?”

“Esatto”

“Esatto cosa? La prima o la seconda?”

“Ciao Ed, a dopo”

“A DOPO UN PAIO DI PALLE, ANGIE?!”

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“Grazie, eh? Arrivederci!” il mio saluto ad alta voce va dritto alla schiena del tizio che ha appena comprato una stecca di Pall Mall Extra Mild e se ne va indisturbato senza rivolgermi la parola. Io lo capisco che uno possa non aver voglia di parlare, socializzare o interagire come un essere umano di tanto in tanto e sono praticamente la portabandiera dell'idea che non puoi giudicare gli altri, specialmente gli sconosciuti, perché in fondo non sai che cazzo stanno passando. Però, perfino nei miei momenti più bui, un buongiorno e un grazie alla commessa, al cameriere o alla cassiera di turno non li ho fatti mai mancare, perché queste persone fanno già lavori di merda, sfruttati e mal pagati, e non mi sembra giusto privarli di quel minimo di dignità che gli spetta. Senza contare che essere gentili è gratis. La giornata dell'ultimo cliente deve essere davvero di merda però, perché non mi risponde e quasi non fa caso alla persona che sta entrando nel mini market, andandoci a sbattere praticamente addosso.

“Ehi, attenzione!” appena lo sento inveire contro l'uomo delle sigarette, alzo lo sguardo sul suo viso e sono io che vado a sbattere in pieno contro un paio di occhioni verdi e furbi.

“Sei in anticipo Stone, la tua ragazza stacca tra mezz'ora” Hannigan gli rivolge la parola prima di me, che ho la bocca occupata a mangiarmi una pellicina del pollice.

“Uhm, non possiamo fare un po’ prima? Abbiamo il soundcheck alle sette” Stone guarda l'orologio che sta sulla parete proprio dietro di me e si aggiusta il berretto dei Chicago White Sox sulla testa, quello che si mette ogni volta che vuole far incazzare un po’ Eddie, che ultimamente vuol dire ad ogni concerto.

“Oh Grace, non sapevo facessi parte del gruppo anche tu, cosa suoni?”

“Grace non fa parte della band. Lei suona… me, fa vibrare soavemente le corde del mio cuore, musica per la mia anima.” Stone continua a parlare col mio capo come se io non ci fossi, ma la cosa anziché indispettirmi mi diverte, come se stessi guardando una puntata del Muppet Show, che è più o meno come mi sento ogni volta che Stone parla a qualcuno di me “E se non vibro, non riesco a esibirmi”

“Se Grace si esibisce nel prezzare i cereali e li riassortisce, vi lascio andare a vibrare dove cazzo volete, ok?” anche il boss parla di me in terza persona come se non fossi presente, ma a questo punto finalmente reagisco.

“Ok, grazie. Lo faccio subito” mi guardo il dito per verificare se me lo sono mangiucchiato tutto assieme alla pellicina e vado spedita in magazzino.

Stone. Che diavolo ci fa qui Stone? Cioè, lo so cosa ci fa qui, ma quello che mi chiedo è… come? Insomma, sparisce per giorni, per metabolizzare tutto quello che gli ho detto, e non è che voglia fargliene una colpa, cioè lo capisco anche. Ma poi che fa? Si ripresenta così come se niente fosse per portarmi al concerto? Senza avvisare prima? Non mi ha neanche chiesto se ci voglio andare, se ho altri impegni. Non mi ha praticamente parlato. Altro che cuore, gli farei vibrare la prezzatrice sui denti ora come ora.

“Vuoi una mano?” mi volto di scatto quando sento la sua voce e per un pelo non realizzo la mia fantasia di un secondo fa.

“No, grazie” regolo le rotelline sul prezzo giusto e comincio a etichettare le scatole.

“Non ne hai un altro di quegli aggeggi? Aspetta, te li metto in fila, così fai prima.” Stone inizia a impilare le scatole tutte nello stesso verso, in modo da facilitarmi il compito, quando ha raggiunto tre pigne si allontana e va a recuperare due scatoloni vuoti, dove infila le confezioni già prezzate.

“Com'è che sei molto meglio di me a fare il mio lavoro?” vorrei dirglielo con una smorfia, con un tono arrogante, con aria seccata, invece alla fine glielo dico sorridendo. Perché è così che mi viene, perché mi è mancato e sono contenta che sia qui, perché se è qui vuol dire che è tutto a posto. O no?

“Sono solo più bravo a organizzare, tutto qui.” fa spallucce e mi da il bacio che stavo aspettando da quando l'ho visto sulla porta, mentre fa scivolare la sua mano lungo il mio braccio fino a portarmi via la prezzatrice “Vai a riempire gli scaffali, qui continuo io”

“Ok, capo”

 

“Era ora, che è successo? Hannigan ti ha fatto prezzare il resto del magazzino? E sì che te l'ho insegnato il metodo” Stone commenta il mio apparente ritardo quando lo raggiungo in macchina.

“Scusami, ma dovevo almeno darmi una sistemata. A saperlo prima, sarei uscita di casa in maniera un po’ più presentabile” continuo controllando il lavoro fatto con la matita per gli occhi nello specchietto laterale.

“Che significa a saperlo prima? Sono settimane che ti parlo di questo concerto” Stone mi risponde allibito e io non capisco se ci fa o ci è.

“Del concerto lo sapevo, non sapevo se mi avresti voluta lì…”

“Che cazzo dici, eravamo anche d'accordo che saresti venuta al soundcheck”

“Sì, ma ci eravamo messi d'accordo prima

“Prima?” quindi ha deciso di fare finta di niente e andare avanti come se nulla fosse successo?

“Prima del nostro discorso. Sai, il discorso…”

“E allora? Il discorso non ha cambiato niente”

“No?”

“Certo che no, non credo che all'Ok Hotel ci sia un regolamento che vieta l'ingresso ai portatori di protesi” la risposta alla mia domanda di poco fa è che ci è. Perché anche se lo fa apposta, lo fa proprio perché è così: un cazzone.

“E tra di noi?”

“Noi non abbiamo stipulato regolamenti”

“Tra di noi non è cambiato niente?” l'unica maniera di interagire con Stone in questi casi è ignorare cosa dice e andare avanti seguendo il tuo percorso logico, aspettando che lui ti reputi abbastanza degno e decida di venirti dietro.

“No, perché?” sbuffa perché stavolta è costretto a rispondere seriamente.

“Beh, non lo so, sei sparito per giorni, non ti sei più fatto sentire”

“Ho avuto da fare, lo sai”

“Non dire cazzate, me l'hai detto chiaramente che avevi bisogno di schiarirti le idee”

“E allora se lo sapevi, non c'era nulla di cui preoccuparsi, no?” Stone sorride e pensa di risolvere tutto con un'alzata di spalle e accendendo l'autoradio, ma ha sbagliato a capire.

“Quindi?” gli chiedo spegnendo la radio e guadagnandomi un'occhiata stupita.

“Quindi che?”

“Te le sei schiarite?”

“Sì”

“E?”

“E… ora ce le ho chiare” improvvisamente è diventato avido di parole?

“E non potresti illuminare anche le mie, di grazia?” lo illuminerei anch'io, dopo averlo ricoperto di benzina, se non la smette di fare così.

“Dobbiamo farlo proprio adesso? Ho il concerto stasera e ho un sacco di cose per la tes-” non lo faccio neanche finire di parlare e ho già slacciato la cintura e aperto la portiera, approfittando del fatto che siamo fermi a uno stop “Dove credi di andare adesso?”

“Vado a casa, ci rivediamo quando hai la mente libera” rispondo chiudendo la portiera e incamminandomi sul marciapiede verso la fermata del bus più vicina, seguita dall'auto, che procede a passo d'uomo col finestrino abbassato.

“Grace, torna in macchina, su”

“Salgo se hai intenzione di parlare, se no passo” gli rispondo, mentre le altre macchine che sopraggiungono gli suonano il clacson e lo sorpassano bestemmiandogli dietro.

“E va bene, parlo, basta che sali”

“Non lo so” potrebbe essere molto più convinto e convincente di così, se solo volesse.

“Ok, OK!” Stone spegne il motore, mette le quattro frecce e scende dalla macchina, per andarsi poi a sedere sull panchina della fermata “Allora? Non volevi parlare? Vieni su, parliamo” tocca lo spazio accanto a lui facendomi segno di raggiungerlo e sedermi.

“Sei tu quello che ha qualcosa da dire, io quello che dovevo farti sapere te l'ho già comunicato. E capisco sia una cosa difficile da digerire, credimi, lo so. Però mi aspetto anche una certa franchezza da parte tua. Insomma, sei qui, quindi ho capito che vuoi portare avanti questa cosa con me, ma-”

“Che cazzo vuol dire che l'hai capito? Perché avevi forse dei dubbi?” Stone mi strattona e mi fa sedere sulla panchina mentre io mi ci stavo avvicinando lentamente.

“Beh, hai detto che avevi bisogno di tempo per pensare”

“Pensare a quanto sono stato deficiente, a quante volte ti avrò ferita senza volerlo, magari anche la sera stessa, usando le parole o gli sguardi sbagliati, reagendo in maniera troppo esagerata o troppo composta. Pensare a quanto devi fidarti di me, al valore che devi dare alla nostra relazione per arrivare a dirmi una cosa del genere, a quanto devi aver ponderato la scelta del modo e dei tempi. Pensare a come posso fare per farti capire che anch'io ci credo e mi fido di te alla stessa maniera. Pensare a come comportarmi con te in maniera diversa e allo stesso tempo non cambiare di una virgola e continuare a essere il solito stronzo. Pensare a cosa posso dare io a te in questa storia, di altrettanto significativo, a come posso aiutarti, o almeno capirti, a qual è il mio valore aggiunto in tutto questo. Pensare a come posso starti vicino in questa cosa, ma senza darti fastidio, trovare la chiave. Oh e credo di averla trovata, sai? Ecco, queste sono le cose a cui ho pensato, beh, una parte, ma fra queste cose stai pur certa che non c'era assolutamente il dubbio se stare con te o no, perché quello non è mai stato messo in dubbio, neanche per un secondo”

“Ah” ha ritrovato le parole. E per fortuna.

“Ah?”

“E qual è?” sono io adesso ad essere senza parole. Anzi no, ne ho tre.

“Cosa?”

“La chiave, che hai trovato”

“Gaby Pearce”

“Chi?”

“La mia nemesi in seconda elementare”

“Uh, il piccolo Stone aveva una cotta!” non so dove cavolo voglia andare a parare, ma pensare a baby Stone mi mette istantaneamente un sorriso sulle labbra.

“No no, non è il caso di bambino che tira le trecce alla bambina perché la ama, la odiavo proprio. E infatti Gaby ha tentato di uccidermi”

“Che?”

“Mi ha letteralmente scaraventato giù dall'altalena durante la ricreazione”

“Ahahah magari era il tipico caso di bambina che prende a calci il bambino perché lo ama”

“Beh, doveva amarmi un sacco visto che mi ha causato un trauma cranico di grado severo e mi sono fatto quasi un mese in ospedale, più due di riabilitazione”

“COSA?”

“Già. Quando mia madre mi ha raggiunto al Virginia Mason era sconvolta, mi ha visto sveglio e mi ha abbracciato. Io l'ho guardata e l'ho chiamata pane. E’ svenuta”

“Pane?”

“Non so se questa cosa abbia un nome, la botta aveva danneggiato la parte del cervello che si occupa del linguaggio. Capivo tutto e riuscivo a parlare, ma le cose che dicevo non avevano senso. Non mi ricordavo come si chiamavano le cose oppure me lo ricordavo e pensavo una parola, ma me ne usciva un'altra”

“Pane”

“Esatto. Due mesi di logopedista per tornare come prima. Anzi meglio. E meno male perché ti puoi immaginare uno come me privato dell'uso della parola”

“Posso immaginare, come toglierti l'aria che respiri praticamente”

“Eheh appunto. Comunque va beh, è stata una roba non grave e transitoria, non ho avuto nessuna conseguenza”

“Questo lo dici tu” scherzo per allentare la tensione e sono contenta di trovare il mio stesso ghigno riflesso sul viso di Stone.

“Ehi, non si scherza su queste cose!” mi spintona per scherzo per poi catturarmi di nuovo e tirarmi più vicino a sé sulla panchina.

“Chi lo dice? Ti ricordo che mi manca un piede, praticamente ho un free pass per qualsiasi cattiveria”

“Ah è così?”

“Già, e visto che anche tu hai una piccola storia triste del passato, hai il permesso di prendermi per il culo e prendere la cosa con leggerezza. E’ questa la chiave, giusto?”

“Oh mio dio, no! Sei totalmente fuori strada, nemmeno io sono così cinico, vergognati!” Stone mi spinge via di nuovo, ma io mi sento disorientata davvero.

“E allora qual è il senso?”

“Il senso è che so cosa vuol dire ripartire da zero, Gracie. Non voglio tirarmela, ma credo che poche persone capiscano cosa significhi dover attraversare il processo di imparare di nuovo a fare cose basilari. Camminare e muoverti nel tuo caso, parlare nel mio. Perché io ero più piccolo di te e molte cose me le sono scordate, ma la fatica e la frustrazione no, quelle me le ricordo bene. In pochi sanno cosa significa spingere te stesso fuori dalla comfort zone per raggiungere degli obiettivi. Lo sai che avevo appena iniziato a suonare la chitarra? Ho dovuto ricominciare da capo anche lì, perché a quanto pare la parte sinistra del mio cervello andava da una parte e la destra dall'altra e ho imparato a mie spese che questo non è un bene quando devi suonare un cazzo di strumento”

“Mi sembra che tu abbia recuperato alla grande” gli prendo le mani con cui stava accennando una sorta di air guitar e gli accarezzo le dita lunghe e affusolate.

“Sì, ma mi sono dovuto fare il culo, sicuramente non quanto te, ma non è stato facile. Anzi no, cazzata, lo è stato in fondo, è stato facile, ma solo perché io ho deciso che doveva esserlo, ho deciso che potevo fare qualsiasi cosa e che ce l'avrei fatta. Bastava capire quando potevo spingere e quando invece dovevo abbassare l'asticella di un paio di misure, e io l'ho capito, l'ho imparato. E con questo non voglio giustificare il mio essere un perfezionista del cazzo maniaco del controllo. Però, tant'è” Stone intreccia le dita con le mie e allarga le braccia, come per dire eccomi, sono così, è questo quello che ti offro. E io non chiedevo di meglio.

“Io non sono una perfetta perfezionista però”

“E vai bene così. Io non pretendo di sapere e capire tutto di te, anche perché sei completamente pazza, ma capisco lo schema di pensiero che sta dietro a questa cosa, a questa parte di te. Posso capire quando spingerti e quando abbassare l'asticella, e tu puoi fare lo stesso con me. Capisco cosa vuol dire seguire il proprio istinto anche quando gli altri ti dicono di fare il contrario, magari anche per il tuo bene. E penso che anche tu possa capirlo, anzi, ne sono sicuro. E per me è una cosa importantissima. Perché nessuno nella mia vita è mai stato capace di distinguere tra quando sono testardo per il gusto di esserlo o di dimostrare che ho ragione e quando invece spingo su me stesso per raggiungere un obiettivo vero”

“Tra testardaggine e determinazione”

“Già. Vedi che tu mi capisci? Da quando ho ripreso in mano la chitarra da bambino non ho mai più smesso. Mai. Non ho smesso quando si sono sciolti i Green River. Non ho smesso quando Andy è morto. Non ho smesso quando mio padre mi consigliava di tornare al college. Ed ora è il mio mestiere e lo sarà per sempre. E non c'entra il successo, Mark Arm può dire quel cazzo che vuole, a me interessa farlo perché fra tutte le cose che so fare, e ti dirò, non sono certo poche, è quella che mi riesce meglio”

“Mmm presunzione, ne abbiamo?” gli riesce tutto bene, specialmente con me.

“Io la chiamo consapevolezza”

“Sei consapevole che dopo questo discorso non potrò mai lasciarti perché non troverò mai un altro che mi parli in questa maniera?”

“Dici che ho alzato troppo l'asticella?”

“Se l'abbassi ti ammazzo”

“Adesso andiamo, sono in ritardo per il soundcheck e Jeff starà già dando fuori di matto” Stone sorride e si alza in piedi, invitandomi a seguirlo.

“Jeff lo sa? Dico, di questa cosa…”

“Nah, non lo sa nessuno, a parte la mia famiglia. E quella stronza di Gaby Pierce. Sai che non mi ha mai neanche chiesto scusa?”

“Io avrei iniziato da lì in poi a chiamarla stronza anziché usare il suo nome, dando la colpa al trauma”

“Sei… un genio del male, cazzo. Perché questa cosa non è venuta in mente a me? E soprattutto, dove diavolo eri nel 1974 se non nella mia vita?” Stone si ferma a un passo dall'auto, si gira e mi abbraccia stretto.

“Kenosha, Wisconsin”

“Oh. Cavolo questo sì che cambia tutto. Ehm… non so se posso stare con una del Wisconsin, non ti offendere, ma non credo di farcela” mi lascia andare di colpo e si affretta a salire in macchina.

“Scusa se non ti ho confessato prima questo segreto, ero preoccupata di come l'avresti presa” salgo anch'io e non posso fare a meno di seguirlo anche in quest'ultima cazzata, come sempre.

“E facevi bene a preoccuparti. Però se vuoi possiamo rimanere amici”

“Metti in moto, Stone” seguirlo, ma senza perdere l'orientamento.

“Possiamo andare a caccia di tassi insieme qualche volta, se ti va”

“Ti amo” seguirlo ovunque.

“Anche se non so distinguere un tasso da un procione?”

“Te lo insegno io”

“In questo caso, ti amo anch'io”


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Quando sento Angie al telefono nel primo pomeriggio riesco a convincerla a venire all'Ok Hotel con me e i ragazzi già dal soundcheck, ma non riesco a convincerla a dirmi il suo cazzo di nome.

“Ok deve essere per forza Windqualcosa perché sei Angelina W. Pacifico, quindi inizia per doppia vù” le dico non appena esce dal portone del suo palazzo.

“Ciao anche a te, Eddie”

Windflower? O Windchill?” le chiedo mimando un brivido di freddo, neanche tanto per finta, vista l'aria frizzante del tardo pomeriggio, per poi avvicinarmi e baciarla.

“Acqua e acqua” risponde dopo aver alzato gli occhi al cielo. La bacio di nuovo e lei si guarda attorno in maniera un po’ subdola per non farsi notare da me. Illusa. Non lo sai che noto tutto?

“Sono nel furgone che ci aspettano. E poi è venerdì, no?” le sorrido e la bacio di nuovo e stavolta mi sembra un po’ meno tesa.

“Già, hai ragione” risponde con un sorriso dei suoi e mi accarezza una guancia, prima di baciarmi ancora a sua volta.

Windstorm?” le chiedo, lanciando poi un'occhiata al cielo per cercare di prevedere come girerà il tempo.

“No. E adesso taci perché se gli altri vengono a sapere anche questa sei morto.” mi raddrizza il collo della giacca e mi prende per mano “Da che parte?”

“Laggiù, dopo il bowling, all'angolo… Windsurf

“Ahahah figurati!” scuote la testa e attraversa la strada con me tenendo lo sguardo fisso sul furgone e, anche se non dice nulla e cerca di dissimulare, lo so che nella sua mente sta facendo un veloce calcolo di angolazione e prospettiva per capire se da lì possono averci visti che ci baciavamo. Tra parentesi io l'ho già fatto mentre arrivavo ed è sicuro come l'oro che ci hanno visti.

“Va beh, però dopo me lo dici, ok?”

“Sì. Se te lo meriti”

Quando arriviamo davanti al van, Mike e Jeff, seduti davanti, sono rivolti entrambi verso Dave, seduto nel mezzo, apparentemente molto concentrati in una conversazione. Tanto concentrati da non cagarci di striscio. Sicuramente stanno parlando di noi e non si sono accorti che siamo proprio qui. Chissà che faccia faranno appena aprirò lo sportello e-

“Dai, Lynch è un genio” ehm, no, mi sa che parlano di altro.

“Lynch è un genio, ma ci sta prendendo tutti per il culo secondo me, ora è palese” Mike ribatte all'affermazione di Jeff scuotendo la testa.

“A me è sembrata una scena perfettamente in linea con lo show. Quell'uomo è in contatto diretto con un altro mondo, la sua arte è piena di momenti della serie che-cazzo-ho-appena-visto” Dave cerca di mediare, ma i risultati sono scarsi a quanto pare.

“Un pomello? Un cazzo di pomello??” McCready sbotta facendo sobbalzare sia me che Angie, che cerchiamo l'uno lo sguardo dell'altra nello stesso istante, lei divertita e io perplesso.

“Ahahah mi piace perché fra tutte le cose nonsense come il gigante, la signora ceppo, i gufi, l'uomo nel sacco, l'uomo con un braccio solo…  a te fa incazzare il pomello!” Jeff sghignazza aggiustandosi il cappello sulla testa.

“Di che cazzo state parlando?” mi decido a intervenire nella questione e a comunicare la nostra presenza ai ragazzi, che non ci hanno ancora cagati.

“Della morte di Josie, nell'ultimo episodio” Angie risponde al posto dei miei compari, che si voltano appena a guardarci.

“Quando arriva Cooper, sembrava dormisse” il batterista inizia a spiegare.

“Invece aveva appena ammazzato uno” aggiunge Jeff.

“Che però non muore subito subito, eh, fa due passi giù dal letto prima” Mike ironizza cercando il mio appoggio, mentre gli altri due continuano ad aggiungere dettagli alla trama a turno.

“E confessa di averne ammazzati altri”

“Poi sembra si stia per sparare”

“Ma non lo fa”

“Però sembra”

“Però sviene”

“Ricade sul letto ed è morta”

“Poi lei e lo sceriffo scompaiono, un riflettore da chissà dove illumina l'agente Cooper e lì inizia il che-cazzo-sto-guardando”

“Bob ciccia fuori da sotto il letto e fa tutti i suoi versi alla Bob”

“E sembra molto soddisfatto di se stesso per l'interpretazione, devo dire”

“Ma scompare subito anche lui e chi spunta?”

“Il nano del cazzo” Mike irrompe nel serratissimo botta e risposta.

“E cosa fa? Quello che gli riesce meglio”

“Balla a caso sul letto”

“Fa il suo balletto del cazzo” è ancora ‘Cready a manifestare la sua poca ammirazione nei confronti del personaggio.

“Poi scompare”

“E ricompaiono Josie e lo sceriffo”

“E lo spirito di Josie viene misteriosamente teletrasportato nel pomello di un cassetto del comodino” e non può che essere sempre Mike a ritirare fuori il pomello incriminato.

“E lei cerca di venire fuori da quel minchia di pomello, ma non ci riesce e il pomello prende la forma della sua faccia” stavolta è Angie ad aggiungere ulteriori dettagli.

“E io dico che è successo? Chi è stato? L'ha fatto Bob? L'ha fatto il nano? Insomma che-cazzo-ho-appena-visto??” Mike pone le sue domande a tutti noi singolarmente, che non sappiamo rispondergli.

“E non avremo mai delle risposte” appunto, Jeff.

“Ed è quello il bello! Voglio dire, se cominciano anche a darci delle risposte non ha più senso guardarlo. Già l'aver svelato in anticipo chi fosse l'assassino di Laura è stata una grandissima stronzata secondo me” commenta la mia ragazza mentre fa per aprire il portellone di dietro e io la aiuto.

“Effettivamente è diventato un po’ moscio da allora” Krusen ammette mentre Jeff mette in moto e Mike da man forte a Angie nella sua critica.

“Secondo me Lynch non voleva dirlo fino alla fine, ma l'emittente l'avrà obbligato. E adesso ci sta perculando tutti per vendicarsi”

“Col pomello?” intervengo io, che mi sento un po’ tagliato fuori dalla conversazione, e così facendo suscitando un'altra mini-reazione isterica nel chitarrista.

“Quel pomello del cazzo!!”

“Dai, quale altra serie tv può vantare di aver fatto morire un personaggio trasformandolo in un pomello?” Angie cerca di calmarlo con una pacca sulla spalla, mentre io chiudo il portellone da dentro.

“Già, è la morte definitiva” ammette Jeff cercando di non ridere.

“Potevano anche attaccarci un bel cartello con scritto Fine su quel pomello”

“Ehm si è fatto tardi, direi che è ora di andare” richiamo l'attenzione del gruppo quando vedo che Jeff non ha ancora intenzione di partire. E continua a non farlo, invece si gira e si rivolge direttamente a me.

“Tu che ne pensi, Eddie?”

“Eddie non guarda ancora Twin Peaks, ma non temere, ho registrato tutte le puntate su cassetta, possiamo iniziare a colmare la tua lacuna quando vuoi” Angie mi fa pat-pat su un ginocchio e mi prende per mano e lo fa proprio davanti a Jeff, a cui il gesto non passa certo inosservato. Lo vedo chiaramente abbassare lo sguardo sulle nostre mani unite, anche se per un nano-secondo, prima di sorridere e voltarsi di nuovo in avanti.

“Comunque la mia preferita è la signora ceppo, lei è ancora un mistero” continua Angie mentre finalmente ci muoviamo. Il segreto che dobbiamo svelare oggi, invece, credo non sia altrettanto misterioso in fondo

  
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