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Autore: Soul Mancini    30/01/2021    3 recensioni
Quella che si era instaurata tra loro era una guerra fredda.
Nessuno dei due sapeva affermare con esattezza quando tutto ciò fosse cominciato – forse dal primo sguardo che si erano scambiati, forse dalla prima sessione di prove in saletta, forse dal primo palco che avevano condiviso.
Era stato così semplice dar vita a quella tensione, come una scintilla: non era però altrettanto facile arrestarla.
Andò avanti per anni.
Giorno dopo giorno, il rapporto tra Mike e Jim si logorava – ma c’era mai stato un vero rapporto?
Giorno dopo giorno, i Faith No More si logoravano. [...]
Perché essere nemici, per loro, era più semplice che essere amici.
- SETTIMA CLASSIFICATA al contest "Titoli a catena" indetto da Freya_Melyor sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Martin, Mike Patton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mike&Jim
The gentle art of making enemies


 
 
 
 

Mike sembrava avere un talento naturale nel procurarsi dei nemici.
La maggior parte delle volte non lo faceva apposta, gli bastava essere se stesso per attirarsi addosso l’antipatia altrui: in fondo era soltanto un ragazzino senza troppa esperienza proveniente da una cittadina dimenticata da tutti, nessuno gli aveva insegnato che il mondo non era semplice come l’aveva sempre conosciuto e che non poteva comportarsi ovunque come se fosse a casa sua.
Certo, aveva anche tante buone qualità. Non appena era entrato a far parte dei Faith No More, quella strana band di San Francisco alla disperata ricerca di un cantante, aveva dimostrato una maturità sorprendente per i suoi vent’anni: aveva preso il suo ruolo sul serio, si era impegnato fin da subito per scrivere i testi e dare il suo contributo artistico nella stesura delle canzoni.
Lavorava duro e non si lamentava mai, perché amava profondamente ciò che faceva. Gli altri quattro componenti dei Faith No More ne rimasero impressionati, erano stati davvero fortunati a trovare un artista già così serio e maturo.
Ma, tra le tante pieghe – e pecche – del suo carattere, ce n’era una in grado di provocare parecchia irritazione in chi gli stava attorno: Mike scherzava, non si prendeva mai sul serio e non prendeva sul serio gli altri. E spingeva le sue burle oltre il limite, non conosceva il confine tra divertimento e fastidio; non sapeva quando fermarsi.
Chi riusciva a stare ai suoi giochi e a capire le buone intenzioni che lo muovevano, finiva per amarlo.
Chi invece non tollerava il suo scarso buon senso e non sopportava i suoi eccessi, finiva per odiarlo.
Questi ultimi erano coloro che lo divertivano di più in realtà, costituivano i suoi principali bersagli: a Mike piaceva portarli al limite della sopportazione. Dopotutto era soltanto un ragazzino impertinente che aveva ancora tanti aspetti di sé da comprendere e da smussare.
Tra i tanti che faticavano a digerire le sue bravate c’era Jim, riservato e stravagante chitarrista della band.
Jim, così statico e chiuso, era la sua perfetta antitesi.
 
 
Jim sembrava avere un talento naturale nel procurarsi dei nemici.
Era difficile comprendere se lo facesse apposta o meno – era difficile affermare qualsiasi cosa su di lui, a dirla tutta.
Nemmeno gli amici che lo conoscevano da anni erano in grado di decifrarlo, introverso com’era, e anche quando decideva di aprirsi non si riusciva a capire se parlasse sul serio o meno.
Avere a che fare con lui significava essere sottoposti a tante bizzarrie. A volte ciò lo rendeva divertente, altre volte ambiguo, ma di certo c’era che non lasciava entrare nessuno nel suo mondo e nei suoi pensieri.
Qualche volta però si irritava e lo dava a vedere senza freni. Era abbastanza permaloso, se la prendeva più spesso di quanto si potesse pensare – dopotutto voleva solo essere lasciato in pace.
Era fatto così: se non lo si infastidiva, lui se ne stava per i fatti suoi e non arrecava disturbo a nessuno; non si lamentava nemmeno quando gli si giocava qualche scherzo, finché non lo si portava sulla soglia dell’esasperazione.
Capire cosa gli desse realmente fastidio e cosa no, questo era un altro paio di maniche.
Un’altra delle – poche – cose certe era la sua volontà di fare musica. Jim amava suonare la sua chitarra, amava comporre e aveva le idee ben chiare in testa sulla direzione artistica che voleva prendere.
Fin troppo chiare, talvolta. Così come era difficile portarlo fuori dal suo guscio, era dura indurlo a rompere gli schemi e aprirsi a qualcosa di nuovo, a sperimentare. Tra i suoi tanti difetti, la difficoltà ad accettare ciò che era diverso dalle sue idee e convinzioni era il più evidente.
Tra i tanti che non riuscivano a interpretare o accettare le sue volontà c’era Mike, rumoroso ed esuberante cantante della band.
Mike, così dinamico e aperto, era la sua perfetta antitesi.
 
 
Quella che si era instaurata tra loro era una guerra fredda.
Nessuno dei due sapeva affermare con esattezza quando tutto ciò fosse cominciato – forse dal primo sguardo che si erano scambiati, forse dalla prima sessione di prove in saletta, forse dal primo palco che avevano condiviso.
Era stato così semplice dar vita a quella tensione, come una scintilla: non era però altrettanto facile arrestarla.
Andò avanti per anni.
Giorno dopo giorno, il rapporto tra Mike e Jim si logorava – ma c’era mai stato un vero rapporto?
Giorno dopo giorno, i Faith No More si logoravano.
 
Tutto nasceva da delle divergenze artistiche.
Al cantante piaceva cambiare, sperimentare, aprire nuove strade per il futuro della band – era l’ultimo arrivato e aveva portato una ventata d’aria fresca.
Al chitarrista le cose andavano bene come stavano, aveva un tipo di musica ben definito in testa e lo voleva realizzare – era uno dei membri più anziani, c’era da sempre e riteneva di poter esprimere liberamente la sua opinione.
Non trovavano un accordo, mai.
Allora Mike si indispettiva – perché gli era toccato un chitarrista così ottuso? – e gli andava contro, faceva ironia su di lui, gli giocava scherzi… e sì, forse cercava anche l’appoggio degli altri componenti della band.
Jim non ci stava proprio, ai cambiamenti che Mike voleva apportare.
Mike non ci stava proprio, alla totale contrarietà di Jim verso qualsiasi proposta.
Era un tira e molla senza fine, senza tregua – senza nessuno scopo, se non dichiarare guerra al proprio nemico.
 
Del resto Mike era nato per questo: ferire gli altri senza accorgersene.
E Jim era soltanto uno dei tanti che portavano addosso le sue cicatrici.
 
Del resto Jim era nato per questo: rifiutare gli altri senza accorgersene.
E Mike era soltanto uno dei tanti che restavano chiusi fuori dal suo mondo.
 

° ° °
 
 
Ma sotto sotto, anche se non lo avrebbe mai ammesso, Mike si era affezionato a Jim. Solo un po’.
Era un tipo singolare e appariva un po’ burbero, però lo incuriosiva e lo intrigava molto: aveva provato, nel primo periodo, a conoscere le sue sfaccettature e addentrarsi nelle pieghe della sua personalità. Forse nel modo sbagliato, ma ci aveva provato per davvero.
Lo chiamava affettuosamente – e ironicamente – Big Jim, per via della sua altezza e del fatto che fosse il più anziano della band. E non poteva negare che, nel momento in cui era entrato a far parte dei Faith No More, l’aveva preso come una sorta di punto di riferimento: Mike era così piccolo rispetto agli altri, non conosceva nessuno e non sapeva ancora di chi fidarsi, che direzione prendere.
Per una volta la staticità di Jim era stata la sua ancora di salvezza.
Certo, spesso gli faceva saltare i nervi, ma forse non avrebbe mai potuto fare a meno di quel ragazzone dall’aspetto sinistro e ostile, con quella chioma di ricci, gli occhi sempre nascosti dietro le lenti scure e sempre abbigliato di nero.
Ma era decisamente troppo orgoglioso per dirglielo.
 
 
E forse, anche se nemmeno lui ne era consapevole, Jim si era affezionato a Mike. Solo un po’.
Il cantante aveva tanto da offrire, irrequieto e creativo com’era, e lui in fondo era curioso di scoprire il suo potenziale. Se solo fosse stato in grado di reggere tutte quelle novità e quei cambiamenti…
Nel primo periodo ci aveva davvero provato, ce l’aveva messa tutta per stare appresso alla sua esplosività; la pazienza di cui era dotato, tuttavia, non gli era bastata – si era definitivamente esaurita quando aveva constatato che le sue idee non venivano più prese in considerazione come un tempo.
Eppure, quando Mike era entrato nella band, Jim l’aveva visto come un ragazzino spaesato su cui gettare un occhio di riguardo. Era stato lui stesso a presentarlo agli altri e coinvolgerlo in quell’avventura, dopotutto aveva fiducia in lui – era la sua scommessa.
E non pensò mai di essersi sbagliato, perché Mike aveva dato una scossa ai Faith No More e li aveva portati a un successo che non si erano nemmeno mai sognati.
Certo, i suoi scherzi di cattivo gusto lo sfinivano, ma forse non sarebbe mai riuscito a fare a meno di quel ragazzino dagli occhi scuri e penetranti, il sorrisetto impertinente di chi è pronto a sfidare il mondo e l’abbigliamento fuori dagli schemi.
Ma era decisamente troppo orgoglioso per dirglielo.
 
 
 
“Me ne vado. Non appena finisce il tour, lascio la band.”
Erano passati quattro anni e mezzo da quando avevamo cominciato a lavorare insieme e nessuno dei due era riuscito a smussare i suoi difetti.
Anzi, li avevano ingigantiti col solo intento di darsi fastidio a vicenda.
Si erano portati l’un l’altro allo sfinimento pur di non fare il primo passo. Perché essere nemici, per loro, era più semplice che essere amici.
Mike si voltò lentamente. Il parcheggio era deserto, fatta eccezione per il loro tour bus, e un cielo limpido e trapuntato di stelle li sovrastava.
Jim aveva una spalla poggiata alla carrozzeria del loro mezzo e teneva una sigaretta tra le labbra, lo sguardo puntato su nulla in particolare.
Non sapeva perché avesse pronunciato quelle parole, o meglio, non sapeva perché le avesse dette proprio a Mike. Avrebbe voluto aggiungere dell’altro, ma si lasciò bruciare la gola dal tabacco e tacque.
Forse perché l’umiliazione era troppa: Mike Patton aveva vinto.
Quest’ultimo lo scrutò, cercando di leggere la sua espressione nella penombra. Ma tanto, anche se fosse riuscita a scorgerla, non sarebbe riuscito a decifrarla.
Ma c’erano cose più importanti da interpretare in quel momento, come le emozioni che provava.
“Davvero?” disse soltanto in tono piatto, sollevando un sopracciglio.
Avrebbe dovuto esultare: si era impegnato per indisporre Jim a suon di scherzi e accuse apposta per indurlo a cedere. Ma ora che il suo desiderio si era avverato, le parole e la gioia gli rimanevano imprigionate in gola; non voleva davvero esultare.
Eppure aveva vinto lui, Jim Martin aveva perso.
Nessuno dei due però sapeva quando fosse cominciata la sfida e soprattutto quale fosse il premio in palio.
Jim annuì, seguendo il filo di fumo della sua sigaretta fino a immergere lo sguardo nello scuro cielo estivo. Avrebbe voluto dire che non era vero, che non si sarebbe arreso e che sarebbe rimasto, che avrebbe provato a cambiare e aprirsi anche alle idee degli altri. Avrebbe voluto urlare al mondo che i Faith No More erano la cosa più importante per lui, poi avrebbe voluto scusarsi con Mike e ammettere di essere stato un idiota a non averlo mai accettato e non essergli andato incontro.
Ma non fece niente.
Mike lo osservò e si accorse che le mani gli tremavano appena, ma non sapeva il perché. Avrebbe voluto aprir bocca e lasciar fluire all’esterno tutto ciò che sentiva: avrebbe voluto chiedere a Jim di restare, avrebbe voluto dirgli che senza di lui non sarebbe stata la stessa cosa, che lui contava più di quanto gli avessero fatto credere negli ultimi anni. Avrebbe voluto chiedergli scusa, a nome di tutti, per il modo in cui si erano comportati, e poi avrebbe voluto dirgli che era ancora parte della famiglia.
Ma non fece niente.
Forse era troppo tardi per le scuse, o forse era troppo tardi per loro per cambiare.
Non dissero niente, e non seppero mai cosa si erano persi.
Non scoprirono mai quante cose avevano in comune, quanta musica li avrebbe potuti unire, quanto sarebbe stato facile capirsi con uno sguardo, quanto sarebbe stato bello ridere insieme.
Scherzare in modo sano, essere complici, essere amici.
Mike si accostò a lui, sospirò e poggiò a sua volta la schiena contro il tour bus. Aveva una gran voglia di abbracciarlo – e lui in genere non aveva mai voglia di abbracciare nessuno.
Jim gli lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio e continuò a fumare in silenzio. Aveva una gran voglia di piangere – e lui non piangeva mai.
L’ennesima occasione di chiarirsi andata persa, insieme a tutto ciò che li avrebbe potuti accomunare in quattro anni e mezzo.
E alla fine entrambi avevano perduto talmente tante cose che nessuno dei due aveva l’impressione di aver vinto.
 
L’unica cosa che avevano guadagnato era un nemico da aggiungere in cima alla lista.
Perché l’arte in cui entrambi riuscivano meglio – ancor meglio della musica – era quella di procurarsi dei nemici.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Sono morta!
Ci ho messo quattro ere geologiche per scrivere questa sottospecie di storia introspettiva che non serve a niente XD e nemmeno mi piace, perché nella mia testa doveva essere più approfondita ed “emotiva”, ma non ce la posso fare AHAHAHAHAH! Anche perché questi due non aiutano: se già Mike e Jim sono complicati da gestire singolarmente, figuriamoci INSIEME! Mamma mia, avrei bisogno di un corso formativo (???) per capirli, ammesso e non concesso che loro stessi si siano mai capiti AHAHAHAH!
E spero che questa “incomprensibilità” dei personaggi si sia intuita nella storia, era un po’ il mio intento ^^
Ci tenevo troppo a scrivere questa storia – ci pensavo da tempo – perché il rapporto conflittuale tra Mike e Jim mi intriga sempre un sacco. È risaputo (almeno per i fan dei FNM) che non si sono mai sopportati, che si sono sempre messi i bastoni tra le ruote e la loro convivenza nella band non è mai stata tranquilla… ma allo stesso tempo, quando li vedo nello stesso contesto, mi fanno tanta tenerezza e mi piace pensare che abbiano almeno provato a partire col piede giusto. Ci spero, che sotto tutti questi strati di ironia ci fosse un minimo d’affetto.
Per quanto riguarda coloro che non conoscono il fandom (giudice compresa), posso dire che gran parte di ciò che ho riportato qui è vero: Mike è stato l’ultimo membro a prendere parte alla formazione “dei tempi d’oro” dei Faith No More, sul finire del 1988. Se non erro, è stato proprio Jim a “pescarlo” e suggerirlo agli altri componenti della band, quando erano alla disperata ricerca di un cantante.
Mike, neanche compiuti i ventun anni, si è subito messo all’opera per comporre testi e linee vocali di The Real Thing, album uscito nell’89 e che ha portato la band al successo.
Sono andati avanti così fino all’estate del ’93. In questi anni hanno inciso Angel Dust (1992), a mio avviso uno degli album più belli *-* ma ormai già in quel periodo le tensioni erano insostenibili, così al termine del tour promozionale dell’album Jim ha deciso di lasciare la band, nell’estate del ’93. O meglio, non si è ben capito se lui abbia mollato o l’abbiano cacciato, ma la versione in cui Jim lascia la band è la più accreditata.
Sta di fatto che da allora le loro strade si sono inesorabilmente divise (purtroppo, perché insieme erano il top T.T).
È vero anche che Mike si rivolgeva a Jim chiamandolo “Big Jim”; non so perché di preciso, ma è vero sia che il chitarrista fosse il più alto della band, sia il più anziano ^^
Il titolo della storia (che è stato suggerito dalla mia cara Kim per il contest a cui questa storia partecipa) è, guarda caso, il titolo di un brano dei Faith No More, presente nell’album King For A Day… Fool For A Lifetime (1995), in cui però Jim non era più presente. Anche per questo ho voluto cogliere la palla al balzo per scrivere su questo fandom e su questi personaggi!
Infine, spero sia chiaro anche il modo in cui ho diviso/impaginato la storia, dividendo tra focus su Mike (a sinistra), focus su Jim (a destra) e focus senza distinzione (al centro).
Dovrebbe essere tutto! Grazie a chiunque sia giunto fin qui (ancora vivo, soprattutto XD), grazie a Kim per il titolo e a Freya per il bellissimo contest! :3
Alla prossima!!! ♥
 
 
   
 
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