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Autore: Yumeji    30/01/2021    0 recensioni
Un nobile vampiro al quanto snob, poco dopo il suo risveglio, trova le sue proprietà in rovina e il nome di cui va' tanto fiero infangato da accuse di crimini di cui non tiene memoria. Non ha però il tempo di farsi un quadro completo della situazione che un seccatore piuttosto molesto giunge a volergli fare la pelle. Non il miglior modo con cui iniziare la propria non-morte.
Essendo ignaro persino di come sia spirato, gli toccherà indagare su ciò che gli accaduto e, cosa ben peggiore, sporcarsi i vestiti nel farlo.
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Racconto nato da un prompt ma che poi ha preso un'altra strada.
Probabile cambio di rating in seguito, con accenni MxM, massiccia presenza di ambientazioni dark gotiche e di elementi del giallo noir.
Genere: Commedia, Mistero, Noir | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Non-con
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Snob: Persona che nell'atteggiamento o nel comportamento ostenta un'aristocratica, spesso eccentrica e non di rado ridicola distinzione e raffinatezza, nel tentativo di identificarsi con una categoria sociale superiore.




Se vi era qualcosa che Hugo detestasse più dei nobili, esseri capricciosi e dispotici capaci solo di guardare tutti con disprezzo dall'alto in basso, erano dei cazzo di vampiri aristocratici!

Non gli era forse bastato scassare le palle a quei disgraziati dei loro sudditi in vita natural durante? Dovevano pure ritornare dall'oltretomba a maledire le esistenze dei mortali in quella nuova grottesca forma?
L'essere di fronte a lui, conosciuto un tempo come l'arciduca Evlampiy von Borimir, lo fissava in silenzio con delle iridi azzurro ghiaccio, di cui aveva anche la medesima glaciale espressività. Il corpo del tutto immobile nella staticità della sua non vita, privo del respiro, il fare però giudicante di chi si riteneva offeso dalla semplice vista di chi aveva di fronte.
Per quanto all'epoca della sua dipartita Hugo fosse stato un bambino neppure decenne, ricordava ancora bene le passeggiate fatte dal giovane "signore", il quale si degnava di attraversare le sue proprietà solo per vantarsene con i propri ospiti.
Il villaggio in cui la famiglia di Hugo era vissuta per generazioni era di ché di più pittoresco e colorato vi fosse in quelle terre; il luogo perfetto dove tentare un approccio con la dama o il bel giovane di turno con cui il nobile era solito accompagnarsi.
Nel lavorare come sguattero in una delle locande più rinomate di quel ricco luogo, prestigiosa per via della sua posizione sulla piazza, di fianco a dei splendidi giardini che parevano in eterna fioritura; a Hugo non erano mancate le possibilità di rimirare quel galletto tronfio e starnazzante, il quale una volta lo aveva pure scacciato malamente. Il suo aspetto trasandato rovinava il sapore del vino, aveva detto, e forse per quel motivo non aveva provato nulla quando aveva saputo della sua morte.
La poca gentilezza che quel individuo strafottente e narcisista aveva sempre rivolto alla plebe gli era valso un disprezzo generale, per quanto sempre ben celato dietro a parole di cortesia e finta reverenza. Infondo i soldi facevano comodo.
Nella sua mente si era impressa un'immagine particolare dell'arciduca che, passeggiando alla luce del sole, aveva iniziato a bastonare un cagnetto, tanto spudorato da tagliargli la strada. La povera bestiona era vecchia e malandata, sprovvista di una delle gambe anteriori ed era stata quella sua deformità ad irritarlo, portandolo alla violenza. Lui che era un nobile impeccabile, dal viso perfetto e fascino senza fine, non accettava l'esistenza delle cose "brutte", le riteneva un affronto alla sua persona. Ne urtavano la delicata sensibilità, come il profumo troppo dolce di cui si copriva era solito bruciare le narici di chi gli si avvicinava.
Per quanto fosse un individuo antipatico, era però innegabile la bellezza che la natura gli aveva  donato, la quale non era stata intaccata neppure nella morte.
I suoi lunghi capelli biondi, tanto chiari da parer bianchi, il vanto di cui faceva sfoggio ancor più delle vesti pregiate, erano in perfetto ordine, lisci e ben pettinati. Acconciati in una coda bassa, legati da un sottile nastro carminio, come nel giorno in cui era stato sepolto. Il viso aveva mantenuto i tratti eleganti di allora, congelato nell'aspetto di un giovane poco più che ventenne, lo sguardo però a farsi aguzzo nell'osservarlo immerso nell'ombra, le labbra sottili tirate in una smorfia di disapprovazione. Quell'espressione poco si confaceva ai suoi modi in vita, quando un sorriso artefatto era sempre pronto a mostrarsi.
Ad un'occhiata più attenta, neppure gli abiti che aveva indosso erano troppo adatti al nobile come lo ricordava, il quale non accettava mai di vestire tessuti meno pregiati della seta. Per quanto i vestiti fossero di elegante fattura e composti di materiali fra i più dispendiosi, il tempo e forse gli insetti li avevano intaccati. Il bianco della camicia non era più tanto bianco così come, sul bavero della giacca una volta di un rosso accesso, la preferita dell'arciduca, era comparso un foro causato da una tarma.
A differenza degli abiti però il suo fisico alto e snello invece non appariva affatto intaccato dalla decomposizione cui andava incontro ogni cadavere. Rimaneva splendido come lo era stato più di un decennio prima, seppur il pallore della pelle e la freddezza degli occhi, cui iridi tradivano nel loro azzurro la sua non-morte, ne avevano compromesso il fascino giocoso e gioviale.
La mancanza di segni sulla sua pelle, divenuta color del marmo, diceva ad Hugo che l'ex-arciduca non avesse tardato ad imparare come nutrirsi in quelle poche settimane dal suo ritorno in quel mondo. Purtroppo era arrivato tardi.
- L'inferno non era di tuo gusto Eva? - lo apostrofò con quel nomignolo che sapeva detestare, impregnandolo di disprezzo, ed evitando di usare il "lei" consapevole come l'avrebbe ritenuto un oltraggio. E dal modo in cui  Evlampiy sembrò volerlo linciare con un'occhiata seppe di esserci riuscito. Il giovane arciduca era sempre stato facile alla rabbia e ai capricci, perciò si tendeva a non notare quando le sue conquiste scomparivano senza mai più mostrarsi, era facile credere ne avessero avuto abbastanza e se ne fossero andati.
- Come può un vivente puzzare di tomba più di un corpo che ne occupava una? - gli domandò ignorandone la provocazione, ma non riuscendo a nascondere il proprio disgusto. I non-morti erano assai sensibili all'odore dei cimiteri, poiché gli ricordava il loro stato, e per quanto respirare non gli fosse necessario per vivere, se voleva discutere con lui era costretto a farlo. Ed innervosirlo era proprio uno degli intenti di Hugo.
- Beh, è una cosa che può accadere quando si lavoro in un camposanto, e ti dirò di più sono io stesso a scavare le fosse - lo informò, avvertendo un incomprensibile piacere nel notare, ora che erano quasi coetanei, di essere almeno una decina di centimetri più alto di quel signorotto ignobile. Era arrivato il suo turno di guardarlo dall'alto in basso.
- Che lavoro misero - fu il suo commento nel schioccare la lingua, l'equivalente di sputare a terra per i villici. Per quanto si stessero perdendo a discutere ad Hugo non era sfuggito come avesse spostato il peso da una gamba all'altra, aveva forse intenzione di attaccarlo o si trattava di un rimasuglio dei modi che aveva da vivo?
- Può darsi, ma è pure mio compito assicurarmi che i morti non si destino dal loro sonno e ciò è di certo utile alla comunità - gli rivolse un sorriso sprezzante, la cintura legata alla vita a produrre un leggero tintinnio, le diverse fiale in vetro spesso, ricolme di liquidi dai svariati colori, ad urtare fra loro.
- Allora mi correggo, non è il lavoro ad essere misero, ma chi lo svolge ad essere un incapace - convenne Eva spostandosi, con il suo caratteristico fare pomposo, un lungo ciuffo dal viso dietro all'orecchio. Probabilmente, con i suoi sensi messi in allerta, stava cercando di comprendere se Hugo fosse da solo o meno.
- Purtroppo posso impedire solo ai cadaveri che seppellisco di ritornare, su quelli sepolti da altri mi limito ad osservare che non se ne vadino a fare una passeggiata - alzò le spalle indifferente, lasciandolo fare, tanto non avrebbe sentito nulla che potesse metterlo in allarme. Purtroppo era stato costretto a presentarsi a lui senza alcuno a fargli da supporto, aveva sparso le ceneri del suo maestro giusto quel mattino.
- Continua a sembrarmi che la mia presenza qui dimostri tu non sia in grado di adempiere al compito assegnatoti - non aveva tutti i torti e ciò irritò un poco Hugo, il quale fra tutti i non-morti che non avrebbe mai voluto affrontare, il suo nome era in cima alla lista. Non era certo di riuscire a controllare il rancore che provava per lui.
- Ero fuori città, va bene? Non devo giustificarmi con te - sbottò, il fare un poco infantile, rivelando così tutti i suoi miseri diciotto anni di vita.
- Beh, sei arrivato tardi e dei genitori hanno perso i loro giovani figli o figlie, se non con me allora devi per lo meno scusarti con loro - un leggero sorriso si palesò sulle labbra del vampiro, irritandolo ulteriormente, si stava giocandolo di lui! - Anzi, per darti un aiuto a farlo potrei mozzarti la testa a piazzarla su un palo di fronte alle loro case, sarebbe il modo perfetto per fare ammenda non credi? - chiocciò accompagnando la sua idea ad uno schioccò di dita.
- Mi sembra che questa forma ti si addica - Hugo non poteva far nulla per mitigare la rabbia che gli stava irritando lo stomaco, ma per lo meno poteva giocare al suo stresso gioco. - Finalmente puoi lasciar sfogo al tuo sadismo senza più dover nascondere tutti quei cadaveri in giardino - poco dopo la morte dell'arciduca, la madre l'aveva seguito gettandosi da una delle torri del palazzo. Nella sua camera aveva lasciato una lettera d'addio in cui rivelava dove fossero finiti gli e le amanti del figlio, cui corpi fatti a pezzi erano stati usati per concimare il suo roseto.
Nel palesare con tanta disinvoltura il suo segreto, ad Hugo per un momento parve che qualcosa di simile ad un'emozione diversa dal disprezzo attraversasse il volto del nobile, ma non gli riuscì di decifrarla.
- In realtà non è semplice violenza ingiustificata - minimizzò con un gesto vago dello mano, - Sto solo difendendo la mia dimora da intruso, se poi decido di sollazzarmi un po' con lui perché mi ha mancato di rispetto quella e unicamente colpa sua - il tono della conversazione aveva perso quella finta colloquialità  di un semplice scambio di battute. Ora Eva non si faceva più remore a mostrargli il proprio istinto omicida, - Poteva non venire sin qui a disturbarmi - doveva aver compreso fosse venuto da solo.
- Vedo che il tempo trascorso sotto terra non ha intaccato il tuo modo di esprimersi, come la tua tendenza a colpevolizzare gli altri: "poteva non avere n aspetto tanto ripugnante", "poteva non essere povero" - notando come stesse estraendo gli artigli, pronto ad attaccarlo, Hugo tentò di prendere tempo,
- Da come parli deduco tu mi abbia conosciuto in vita - riuscì ad incuriosirlo, le braccia ad incrociarsi al petto mentre prendeva un'aria pensierosa, - Eppure io non mi sarei mai sprecato ad avere a che fare con un villico - lo squadrò meglio dall'alto in basso e, quando sollevò gli occhi per rivangare nella propria memoria, Hugo agì.
Rapido si lanciò in avanti, due daghe a spuntargli da sotto le maniche e a risplendere di un grigio argento quando la luce delle luna, che penetrava dall'enorme finestra al loro fianco, vi si rifletté sopra.
Il salone del vecchio maniero era pensato per accogliere balli e ricevimenti, si affacciava sull'immenso giardino della proprietà il quale, a causa della mancanza di una mano che lo curasse, si era ingrigito e la maggior parte degli alberi e delle piante erano seccate. Le spesse ombre che riempivano la stanza, separate da larghi spazi illuminati dal pallore lunare penetrato dalla finestre, dava il giusto tenore lugubre alla scena. La sala aveva proprio la grandezza giusta per uno scontro mortale tra un vampiro e un cacciatore, o almeno un apprendista tale, si disse Hugo, la lama che puntava dritta al volto del suo nemico. Nell'impeto dell'azione la matassa di capelli scuri, con cui si celava la parte sinistra del volto, si scostò rivelandone i lineamenti deformi e l'occhio mancante.
- Ah! Ricordo quell'orrenda cicatrice, sei lo sguattero trasandato, vero? - esclamò Eva esaltandosi nell'averlo riconosciuto, cambiando di nuovo l'espressione del viso mentre con eleganza afferrava il tendaggio della finestra e vi si riparava dietro. Non riuscendo a frenarsi Hugo vi finì contro, trovandosi avvolto da quel pesante tessuto che lo rese d'improvviso cieco, i piedi a scivolare facendolo franare in maniera indecorosa a terra.
- Patetico - sentì la voce di  Evlampiy, certo lo stesse guardando dall'alto in basso mentre si dibatteva, avendo purtroppo la peggio con la tenda nonostante le daghe a strapparla. Avvertendo un senso di ridicolo ed imbarazzo salirgli al viso, Hugo quasi pregò perché il vampiro lo attaccasse, quello però sembrava piuttosto voler godersi lo spettacolo delle sua umiliazione. Quale cacciatore, o futuro tale, si faceva mettere nel sacco in modo tanto idiota?

- Quindi, visto quanto sei cresciuto, saranno passati sì e no dieci anni dalla mia sfortunata morte - fece un rapido calcolo Evlampiy, continuando ad osservare il ragazzo dibattersi sotto al tendaggio e rifilandogli un calcio, facendolo così rotolare sul pavimento al centro della stanza. Un tempo su quel marmo ci si poteva specchiare e l'effetto che si creava durante le danze era la mistica illusione di creare dei ballerini fantasma, i quali si muovevano in perfetta sincronia con le loro controparti reali. In quel presente freddo e buio Eva però al posto del proprio riflesso vedeva solo uno spesso strato di polvere.
Per quanto avesse compreso come quel ragazzino non dovesse essere un semplice contadinotto, essendosi presentato a lui a viso aperto, e insospettito dalla fiale che portava con se, decise non fosse il caso di ucciderlo subito, pur essendo in vantaggio. Aveva delle domande da porgli.
- Dimmi una cosa, sguattero - gli si avvicinò calpestandolo dove pensava ci fosse una delle sue gambe, facendo pressione sull'arto per tenerlo bloccato a terra, - Com'è accaduto che in soli dieci anni le mie splendide proprietà incontrassero una simile miseria? - non era quella la reale domanda che voleva fargli, ma mettendola in altra maniera avrebbe rischiato di esporsi troppo. Un'unica persona gli era rimasta a cuore quando suo malgrado aveva perso la vita, e credeva che il motivo per cui avesse fatto ritorno fosse legato ad essa.
- Sai com'è a nessuno interessava preservare la tenuta del despota - commentò il ragazzo da sotto il tessuto, riuscendo a coglierlo impreparato quando, dando uno strattone al tendaggio, riuscì a fargli venir meno l'equilibrio. Veloce come una biscia sgusciò via, lanciandogli prima uno dei suoi coltelli per riuscire a mettere una certa distanza di sicurezza fra loro.
Infastidito Evlampiy avvertì un taglio asciutto formarsi sulla sua guancia, il quale prese a bruciargli come se fosse stato toccato da un ferro rovente, eppure le normali lame non potevano ferirlo.
Come sospettava quel orribile ragazzo sfigurato, per quanto imbranato, non era venuto da lui impreparato.
- "Despota"? - si irritò un poco a quella definizione, eppure a chi andava il merito se le sue terre erano state tanto pacifiche quanto ricche? L'aver intessuto un'infinità di legami d'amicizia e accordi commerciali con le più facoltose famiglie della regione, e pure oltre il mare, aveva dato sicurezza e stabilità ad un feudo altrimenti troppo piccolo e debole per mantenersi da solo. Quei bifolchi incompetenti avrebbero dovuto erigere una statua in suo onore! Pensò rabbioso, invece la cripta in cui si era risvegliato era fatiscente e soggetta all'incuria, un oltraggio imperdonabile.
- Diciamo che quella è la maniera meno volgare in cui ti chiamano, non mi va' di ripetere le altre, urterei la tua sensibilità - lo derise l'ex-sguattero, il tono ironico ed acido in un chiaro intento di irritarlo. Voleva farsi attaccare, intuì Eva, portandosi una mano al viso, constatando la presenza del taglio senza però avvertire nulla a bagnargli il palmo. Vero, i vampiri non sanguinano, si ricordò.
- Ne deduco che, come al solito, voi non abbietti rivolgiate a noi nobili simili epiteti solo quando vi voltiamo le spalle, perché dubito che mia madre vi lasci sparlare di me senza intervenire in alcun modo - infondo era lei che lo aveva sempre amato, senza mai abbandonarlo come invece avevano fatto tutte le persone che gli si erano avvicinate  nel corso degli anni. Interessate solo al suo sangue blu.
- Pensi che se la Signora fosse viva avrebbe lasciato la vostra dimora? - se il cuore di Eva avesse battuto ancora, in quel momento sarebbe stato attraversato da un tremito. Invece se ne stette immobile, come se l'essere tornato dall'oltretomba solo per vederla e venire a conoscenza della sua dipartita, non gli avesse provocato un senso di vuoto sotto ai piedi. Sua madre era morta?
Aveva dormito troppo e non era riuscito a dirle addio.
Sconvolto e confuso, trovandosi senza più un obbiettivo a dar un senso alla sua non-morte, nonostante i sensi sviluppati Evlampiy non avvertì gli spostamenti dello sguattero, il quale approfittò del momento per lanciargli addosso qualcosa estratto dalla sua cintura.
Di riflesso però, essendo entrato nel suo campo visivo, Eva colpì la boccetta facendola schiantare a terra, a qualche metro da se. Una sola goccia del liquido che conteneva, finitogli sulla manica della giacca, bastò per scioglierne il tessuto provocando un foro.
- Cos'è? Hai intenzione di squagliarmi il viso così da rendermi brutto come te? - non vi era derisione nel suo commento, solo gelo, anzi, non era neppure certo di aver parlato. Cosa stava facendo? D'improvviso non fu più in grado di comprendere i fatti lucidamente, la sua ultima parvenza di umanità appena dispersa e la mente non più in grado di articolare pensieri complessi. Per quale motivo si era sentito esitante, perso, un momento prima? Non lo ricordava. Perché si era messo a parlare con quel ragazzo deforme? Non lo ricordava. Sapeva solo una cosa: quel essere ripugnante aveva invaso la sua proprietà, ciò lo offendeva, doveva punirlo.
Con la perdita di coscienza fu la fame vorace, fino a quel punto repressa, ad affacciarsi a prendere il sopravvento su di lui, il desiderio di cancellare l'intruso dalla sua vista a tramutarsi nell'obbiettivo di renderlo la propria cena.


Da quella che gli avevano raccontato, poiché Hugo non ne aveva memoria, all'età di tre anni era sopravvissuto all'incendio delle propria casa. Un incidente provocato sembrerebbe da una disattenzione della matrigna, la quale poi era riuscita a trarsi in salvo a differenza di suo padre e del fratello maggiore, divorati dalle fiamme. A quanto sembrava lui invece era stato ritrovato riverso a terra, sul retro della casa. Secondo le ricostruzioni qualcuno dei suoi familiari, rimasti all'interno, l'aveva lanciato dalla finestra del secondo piano, senza però riuscire a seguirlo finendo forse soffocato dal fumo. Ciò gli aveva salvato la vita, il fuoco però era riuscito in parte a divorargli il viso, lasciandolo orribilmente sfigurato.
Nelle le settimane successive era rimasto a lungo sospeso in un oblio nero, in bilico fra le vita e la morte, risvegliandosi poi senza tener memoria di quella sciagurata sera. Nonostante fosse stato molto piccolo, Hugo ricordava ancora bene la paura e l'orrore che aveva provato nel vedere per la prima volta come si fosse ridotta la sua faccia.
La pelle dal sopracciglio sinistro sin quasi al mento si era sciolta, creando strani grumi e crateri di epidermide morta, la quale formava inquietanti ombre sul suo viso, spettro di ciò a cui era sopravvissuto. L'orecchio si era tramutato in un ammasso senza forma da cui quasi non sentiva, la carne a fondersi con se stessa otturando il timpano. Dell'occhio invece non c'era traccia, il medico che lo aveva preso in cura aveva dovuto rimuoverlo per evitare si infettasse. Qualcuno, fra chi lo aveva soccorso, qualche mese più tardi gli raccontò come il bulbo oculare fosse esploso, squagliandosi in un ammasso lattiginoso, simile ad un uovo sodo non abbastanza cotto.
Per tutta la sua infanzia e buona parte dell'adolescenza Hugo si era trovato costretto ad indossare una serie di bende per nascondere le cicatrici e l'orbita vuota, a cui si era pure squagliata in parte la palpebra. Solo un paio d'anni prima un uomo, che sarebbe diventato il suo maestro, gli aveva donato un occhio di vetro e lo aveva convinto a non coprirsi più in quel modo. Grazie alla sicurezza ricevuta da lui e al suo sostegno, ormai Hugo non si vergognava più del proprio viso. Se nascondeva la propria deformità si trattava per un semplice quieto vivere, poiché altrimenti sapeva avrebbe attirato gli sguardi dei curiosi. Si limitava comunque a tagliarsi i capelli tenendo un lungo ciuffo scuro a coprirgli quella parte del volto e null'altro, il resto della chioma era però corto,  essendo una seccatura occuparsene.
Ombre di quel incendio e della sua vita sino a quel punto gli invadevano la mente nell'oscurità dell'incoscienza in cui era scivolato. La puzza di fumo e di carne bruciata erano sempre una presenza viva nel suo subconscio, e quasi ogni sera venivano a tormentarlo senza però mai dargli un quadro chiaro degli eventi. Quasi la sua stesse mente puntasse a farlo impazzire.
Ancora perso nel dormiveglia avvertiva il suo corpo stanco e pesante, come se non si fosse riposato affatto. Le braccia doloranti sollevate sopra la sua testa, costrette in una posizione spiacevole, un gemito a sfuggirgli dalla labbra nel cercare di mettersi comodo. Il freddo della parete e del pavimento in pietra gli era penetrato nei vestiti, intorpidendogli i muscoli e rendendogli insensibili le natiche.
- Finalmente ti sei svegliato - all'istante la sonnolenza che rallentava le sensazioni di Hugo svanì, il suo occhio a spalancarsi nel cercare di mettere a fuoco il proprietario di quella voce. Quel luogo però era immerso nelle tenebre, senza alcuna finestra o candela a schiarire l'ambiente. Non aveva idea di dove si trovasse, ma si rese conto vi fossero della manette a cingergli i polsi, tenendolo ancorato al muro e costringendolo seduto a terra.
- Eva - mormorò avvertendo la voce bruciargli in gola, grattando come un legnetto appuntito su una corteccia. Sentiva sulle labbra il sapore del sangue, e la memoria faticava a riportare alla mente gli ultimi eventi. Cosa era accaduto?
- Ti vedo confuso, cacciatore - d'improvviso la piccola fiamma di un fiammifero apparve, mostrando il volto pallido dell'ex-arciduca, il quale prese ad accendere le tre candele di un candelabro che stringeva alla base, poggiandolo poi sul tavolo in legno al proprio fianco.
Le pareti da cui erano circondati erano di semplice pietra grezza, appena levigata, e un basso soffitto a volta sembrava pesare sopra alle loro teste dando un senso claustrofobico alla stanza, cui ampiezza doveva essere attorno ai sei metri. L'aria era umida e fredda, abbastanza perché il fiato di Hugo prendesse a condensare ad ogni respiro.
"Delle segrete" non gli fu difficile da intuire, nonostante non fosse a conoscenza ne esistessero in quel palazzo luoghi del genere erano sempre simili fra loro. Dovevano trovarsi sottoterra, nascosti alla vista delle sontuose stanze colmi di marmi e ricchi tendaggi. La parte oscura e diabolica della magione, quella che aveva dato i natali al mostro di fronte a lui, i luoghi in cui Eva aveva compiuto quei atti indicibili che gli avevano valso il merito d'essere ripudiato persino dalla morte.
- O forse sbaglio a chiamarti così? - dopo avergli lasciato una manciata di secondi a rimirare l'ambiente tetro il vampiro riprese e parlare, sollevando nel mentre la cintura di Hugo dove stavano ancora tutte le sue boccette e gli utensili. Impresso sul cuoio vi era il disegno della testa di un drago infilzato da tre spade: il simbolo di chi aveva giurato di proteggere gli uomini dalle creature del demonio; Cavalieri nati dall'ammirazione nei confronti di San Giorgio, per emularne le gesta e lottare in nome di una giusta causa contro le forze del maligno.
- Per quanto ne porti lo stemma, sei risultato al quanto incompetente nel atto pratico - continuò sprezzante, la sua voce a rimbombargli nel cranio in maniera dolorosa, portandolo quasi alle lacrime. Si sentiva come un ubriaco con un pesante dopo sbornia.
- Sono un apprendista - mugugnò, sperando se ne stesse zitto, cosa che però non fece,
- Ah, quindi la tua gilda pensa che per eliminare un uomo della mia levatura mentale e sociale basti un moccioso appena del mestiere? - il suo egocentrismo suonava un po' ridicolo in quel frangente, ma Hugo non dubitava si sentisse offeso proprio per quella ragione. La sua voce rabbiosa gli colmava la testa picchiandogli sulle tempie come il martello di un fabbro sul metallo rovente per modellarlo.
- L'incarico è stato dato al mio maestro, ma lui è morto la settimana scorsa, ho quindi deciso di occuparmene io - non si fece scrupoli a rivelarlo, tanto ciò non poteva danneggiare in alcun modo quel uomo nella cui figura aveva trovato il padre perso in tenera età, e a cui aveva dovuto dire di nuovo addio troppo presto.
- Visto come è finita credo tu abbia sopravvalutato di molto le tue potenzialità - osservò Eva, incapace come lo era stato in vita di comprendere il dolore altrui, - Ti ricordo, villico, che sei stato messo in difficoltà da un tenda - l'imbarazzo dovuto alla propria incapacità portò Hugo a riscuotersi, tentando di far forza sulle manette ancorate alla parete. Sembravano però resistere alle sue futili ribellioni.
- Perché sono ancora vivo? - domandò, volendo mettere fine a quel supplizio umiliante.
- Perché, per mia natura, non sono in grado di venir a contatto con le cose o le persone che mi fanno ribrezzo - e dicendo ciò Eva prese a spolverarsi con attenzione la manica del giustacuore azzurro, decorato da sottili ed eleganti ricami dorati simili ad edera rampicante. Doveva aver approfitta fosse svenuto per trovare degli abiti che, se non per un po' di polvere accumulata, mantenessero in parte il decoro e la ricchezza cui era abituato. Nel notarlo per qualche motivo Hugo se ne sentì irritato, quanto poteva essere snob e superficiale? Era un non-morto, un cadavere che camminava! Perché gli doveva interessare tanto ciò che indossava?
 - E tu, con quella faccia che ti ritrovi, mi fai senso tanto da vincere la sete di sangue - continuò ignaro delle ingiurie che gli venivano rivolte mentre, dopo il giustacuore, estraeva un fazzoletto dall'ampio paramano della camicia per chinarsi a ripulire pure la punta delle scarpe dal tacco alto, sulle quali forse era caduta un'invisibile ragnatela.
A quel punto, se non si fosse trovato disidratato tanto da essere a corto di saliva, Hugo gli avrebbe sputato dritto su quelle eleganti calzature da bambola. Il suo atteggiamento era irritante, gli provocava una sorta d'orticaria. In più era la prima volta che sentiva di un vampiro capace di vincere il desiderio di sangue perché provava troppo disgusto nei confronti della vittima. Sapeva taluni di loro avessero preferenze per chi scegliessero come pasti, ma non gli era mai capitato un vampiro schizzinoso. L'Io da "nobile aristocratico" di Eva era forse più forse del suo status da vampiro? E ciò era da ritenersi una buona o una cattiva cosa?
Nel vederlo però sistemarsi, con spostamenti impercettibili, il foulard bianco che si era stretto al collo, era più propenso per ritenerla una pessima situazione, la vanità di quel individuo lo urtava. Anche se forse doveva ringraziare quella se era ancora vivo, Eva non lo riteneva adatto al suo sangue blu.
- Quindi, quali sono le tue intenzioni? - sbuffò, avvertendo una sorta di sollievo nel pensare che, per lo meno, non avrebbe più potuto rimirarsi ad uno specchio poiché i non morti non possedeva più alcun riflesso. "Oh, quale terribile tragedia per il suo ego", pensò non trattenendosi dal rivolgergli un mezzo sorriso. - Vuoi torturarmi da bravo sadico? - dopo la morte del suo maestro non aveva una grande considerazione della propria vita, e forse era questo uno dei motivi che lo avevano spinto a gettarsi in quella missione da solo, senza cercare aiuto. Si considerava già carne morta, non aveva quindi remore a sfidarlo con fare arrogante, almeno si toglieva qualche soddisfazione.
- E' già la seconda volta che mi dai del sadico - osservò Eva, interrompendo quello strano rituale di accorgimenti microscopici sul proprio abbigliamento,  - E ricordo che hai accennato a dei cadaveri - finalmente aveva portato il suo sguardo, di quell'azzurro innaturale, su di lui, - A cosa ti riferivi? - lo prese però alla sprovvista con una simile domanda. Non se l'aspettava.
- Il tempo passato in una bara ti ha forse ammuffito il cervello? - si sforzò di ridere Hugo tanto per sfotterlo, pur non trovando lo stesso intento sprezzante negli occhi del vampiro. - Nella sua lettera d'addio vostra madre ha voluto rivelare che fine avessero fatto tutti i e le vostre amanti - si sentì comunque in dovere di spiegargli tenendo sempre un tono derisorio, un sottile dubbio ad attraversarlo. Forse Eva davvero non ricordava. Alle volte ai non-morti serviva tempo per riportare alla mente tutti gli eventi della propria vita.
- Probabilmente la poverina si è tolta la vita anche perché non era in grado di tenere da sola un simile segreto - aggiunse, provando una profonda pietà per la donna, la quale un po' gli ricordava la propria matrigna, cui senso di colpa per l'incendio l'aveva consumata al punto da renderla pazza. Anch'ella aveva provato a togliersi la vita impiccandosi, ma Hugo, che all'epoca dei fatti aveva si e no dodici anni, era riuscito a chiamare aiuto in tempo perché la tirassero giù da quella trave. Da allora era rimasta in uno stato catatonico senza più proferire parola fino alla sua morte, avvenuta quasi un anno dopo quei fatti.
- Quanti corpi? - Eva interruppe quel filone di pensieri rivolti alla donna che gli aveva fatto da madre, artefice di quel incidente per cui suo padre e suo fratello erano morti.
- Come? - per un momento gli parve di non capire.
- Quanti corpi sono stati ritrovati, idiota?! - sbottò l'ex-arciduca, il suo volto perfetto attraversato dalla rabbia che ne tramutarono per un momento i lineamenti, tradendone la mostruosità.
- In totale quattordici, otto erano donne, la metà di quelle erano delle cameriere che per un periodo avevano lavorato nella magione, mentre i restanti sei, giovani uomini - gli venne naturale essere sincero, evitando di punzecchiarlo, la notizia aveva fatto tanto scalpore che chiunque ne conosceva i dettagli. D'altronde si trattava di un motivo in più per odiare quell'arciduca pomposo e colmo di boria, un fatto sanguinolento su cui tutti si erano gettati sopra come assettati su di un pozzo.
L'espressione da cui fu attraversato il volto di Eva confermò però il dubbio di Hugo,
- Non lo sapevi? - quella non era la faccia di chi faticava a rammentare, era invece quella di un individuo del tutto ignaro, misero nella propria ingenua cecità.
Senza più alcun cenno di eleganza, Evlampiy si abbandonò sulla panchina che costeggiava il tavolo, ignorando gli strati di polvere e luridume che ne coprivano la seduta e per cui gli si sarebbero insozzati i vestiti. Il suo sguardo appariva confuso, ferito, quasi qualcuno gli avesse appena mozzato il fiato dandogli un calcio nello stomaco mentre era riverso a terra. Ciò però non era fattibile, i vampiri non avevano bisogno di respirare. Sembrava avvertire il corpo pesante, come se faticasse a sorreggersi, quasi quella vitalità data dalla non morte fosse sul punto di abbandonarlo facendolo tornare ad essere un semplice, per quanto splendido, cadavere.
- Sono sempre stato cagionevole di salute - prese a spiegare portandosi una mano a sostenere il capo, reggendosi la fronte a coprire gli occhi. Hugo si chiese se non stesse piangendo, per poi ricordarsi i vampiri non potessero farlo, si rese conto però di quanto Evlampiy stesse soffrendo, colpito da un realtà di cui non sospettava. E in parte si odiò per essere capace di provare empatia per un mostro.
 - Mi capitava d'essere costretto a lunghi periodi a letto, settimane o anche mesi interi in cui non ero abbastanza lucido da rendermi conto di cosa mi accadesse attorno - in effetti Hugo ricordava come tal volta capitasse che il giovane signore scomparisse da un giorno all'altro, senza più farsi vedere. In paese si ipotizzava fosse partito per qualche viaggio assieme all'ultima fiamma. Con la scoperta dei corpi mutilati il pensiero collettivo era però cambiato, l'arciduca doveva aver passato quei periodi a torturare le proprie vittime senza mai lasciare la magione.
- Quando tornavo in me, chi mi era caro era scomparso senza neppure lasciare una lettera di saluti - e almeno su quello a quanto sembrava il popolino aveva visto giusto, era nei momenti in cui il Evlampiy scompariva che le sue conquiste amorose facevano una brutta fine. Ciò che sconvolse Hugo furono però le parole a seguire di Eva: - Mia madre mi raccontava se ne fossero andati perché non mi amavano quanto lei, e solo ora comprendo come facesse leva sulla mia momentanea debolezza fisica e mentale per convincermi a non cercare altre spiegazioni  - teneva il sorriso amaro tipico di chi si considerava un idiota e Hugo si sentì sconvolto da ciò che quell'espressione sottintendeva.
- No, no, no, no! - si ribellò, - Non vorrai farmi credere che la nobile signora centrasse qualcosa!? - gridò certo stesse cerando di manipolarlo, gli stava mettendo il dubbio solo per non passare come un'omicida!
Non riusciva a comprendere l'insensatezza di quel pensiero. Se aveva intenzione di ucciderlo in quel sotterraneo, perché Eva doveva voler convincerlo della propria innocenza?
Fu a quel punto che avvertì qualcosa schiantarsi contro la parete vicino a lui, cadendo poi a terra con un tonfo, il vampiro gli aveva appena lanciato un libro riccamente rilegato con una spessa copertina verde pastello e dalle sottili scritte in oro. Era in francese, fu in grado di riconoscerne la lingua Hugo senza però riuscire a tradurne il titolo, il simbolo disegnatovi sopra a risultargli però fin troppo familiare.
Il marchio, sussurrò appena fra se e se, volgendo poi uno sguardo a Eva, incapace di trattenere l'angoscia che gli stava salendo alla gola.
- Quel libro faceva parte delle letture di mia madre - gli spiegò continuando a tenersi la testa fra le mani. - Ho rovistato nella sua libreria e ve ne erano molti altri con il medesimo simbolo, non si era neppure premurata di nasconderli - Hugo lo ricordò solo in quel momento, ma la signora era in realtà la moglie di seconde nozze del vecchio arciduca. Per quanto Eva si riferisse a lei chiamandola "madre", in realtà era stata la precedente consorte a metterlo al mondo, spirando nel farlo.
Per una sfortunata circostanza la nobile Dijana, famosa per il grande acume e profonda bellezza, proveniente da una regione al di là delle montagne, non aveva avuto una prole propria.
Poco dopo il loro matrimonio l'arciduca era stato vittima di una brutta caduta da cavallo la quale, pur non uccidendolo, l'avevano paralizzato dalla vita in giù impedendogli quindi di generare altri eredi. La signora aveva però fatto buon viso a cattivo gioco, allevando il piccolo Evlampiy come se fosse stato figlio suo, con tutto l'amore gli potesse dare, viziandolo e coccolando in ogni i modi.
In paese Hugo aveva potuto sentire più di una volta come in molti ritenessero che la nobile signora avesse un po' esagerato nell'accontentare ogni capriccio del figlioccio. Nessuno però aveva mai messo in dubbio la genuinità del affetto da cui erano legati, poiché era innegabile quanto anche il futuro arciduca le si fosse affezionato. La devozione per la madre era forse l'unico pregio che gli si riconosceva anche una volta diventato adulto.
Ora però Hugo comprendeva fin troppo bene il turbamento da cui Eva sembrava  colpito, il marchio della magia oscura era impresso su quel libro e ciò poteva significare un unica cosa: la tanto cara e bella Dijana era una strega. E per chi si era donato all'esoterismo non era possibile avere una progenie, l'incidente di suo padre non centrava nulla, anzi, forse a quel punto si chiedeva se non fosse stata lei stessa a causarlo per nascondere il proprio segreto.


  
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