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Autore: Carmaux_95    30/01/2021    15 recensioni
In fin dei conti anche quella musica naturale e liquida le era sempre piaciuta.
“Non esiste il brutto tempo, ma solo diversi tipi di bel tempo”, gli aveva detto più di una volta. “In una goccia di pioggia si possono vedere i colori del sole”.
Sperò che, memore delle sue parole, al posto di correre a ripararsi sotto una tettoia, un giorno Emilio si sarebbe fermato sotto il temporale e, reclinando il capo, avrebbe permesso a quelle lacrime naturali di rigargli le guance, recapitandogli gli unici baci che, vegliando su di lui dall'alto, gli avrebbe potuto donare.
[SECONDA CLASSIFICATA e VINCITRICE DEL PREMIO "MIGLIOR PROTAGONISTA" al contest puzzle indetto da Anatra.Valeria sul forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Milano quotidiana'
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MOTHER LOVE


 

Autunno 1997


 

La finestra lacrimava cancellando i contorni della vita dietro il vetro appannato.

Aveva aspettato la compagnia della pioggia per piangere a sua volta.

Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe desiderato con tutta se stessa che quelle gocce che così delicatamente picchiettavano rovinassero la tela che raccontava il suo dolore. Non potevano cancellare lo sconforto come facevano con i polverosi disegni di gesso che gli artisti realizzavano sui marciapiedi del parco?

I gomiti appoggiati sulle ginocchia e il viso nascosto fra le mani, Diego era ancora seduto vicino a lei, di fianco al letto. Le sue nocche erano arrossate, livide e sanguinanti, segno che doveva aver sfogato la sua rabbia contro il muro dei bagni dell'ospedale.
Avrebbe voluto chinarsi su di lui e ricercare il calore dei suoi abbracci che l'avevano sempre fatta sentire al sicuro, ma non era abbastanza forte per condividere quello che provava, non in quel momento.

Diego, dal canto suo, non se ne sarebbe andato – non l'avrebbe mai lasciata sola – ma nemmeno avrebbe parlato.

Non sarebbe servito a niente parlare, anche avessero saputo cosa dire.

Robin abbassò lo sguardo, facendo annegare le pupille nelle lacrime che ancora tremavano sulle palpebre inferiori.

Ripiegando le labbra verso l'interno per trattenere un gemito si accarezzò la pancia: l'ultimo bacio d'addio.

Fino a qualche giorno prima avrebbe ricevuto in risposta un piccolo calcio, uno dolce scalpiccio fuori controllo: ancora poche settimane e Diego avrebbe preso una pausa dal lavoro in polizia per dedicarsi, con lei, alla loro nuova famiglia.

In quel momento, invece, venne assordata dal silenzio.

Le moine con cui entrambi avevano vezzeggiato la sua pancia gonfia sarebbero state le uniche coccole che quel bambino avrebbe mai ricevuto.

Da chi avrebbe preso il colore degli occhi?
Da chi quello dei capelli?

Sarebbe diventato un bambino scatenato come lo era stato il suo papà o un piccolo fagottino di dolcezza che, come la sua mamma, solo negli anni della pubertà avrebbe attraversato un periodo di ribellione?

Aveva mai sentito le loro voci, tutte le volte che, sorridendo e prendendosi in giro, gli avevano parlato durante i primi due trimestri?

La pioggia, che in tutti i manuali di letteratura che Robin aveva studiato nel corso degli anni era sempre lodata come simbolo del ciclo naturale della vita e, ancora di più, come emblema rinascita, ora le strappava il proprio futuro.
Lei, con la sua pazienza sconfinata e il sorriso sereno di chi non si faceva abbattere da niente e da nessuno, sentiva l'anima sgretolarsi come la pietra vittima dell'azione di secoli di acqua piovana.

Per la prima volta nella sua vita si domandò se avrebbe imparato nuovamente a sorridere.

Chiuse gli occhi, lasciando che altre lacrime le solcassero le guance.

Ci sarebbe mai stata, lassù, una mamma che si sarebbe presa cura del suo bambino al posto suo?


 


 

*


 

Autunno 2009


 

La finestra lacrimava decorando le pareti di quella camera asettica con un gioco di luci e ombre, di riflessi opachi e spiragli luminosi. Il delicato rumore delle gocce di pioggia che picchiettavano come pennelli sulla tela vitrea inondava l'ambiente, silenziosamente avvolto dalla quiete.
Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto immaginare di trovarsi a casa, sdraiata nel proprio letto e avvolta dal morbido piumino scuro che tanto piaceva anche ad Emilio.

Sollevando le palpebre, venne riportata in quella triste e candida anonimia. Il materasso non era morbido come il suo e le lenzuola erano ruvide, ma tutto considerato non voleva perdersi d'animo.

Emilio, ore prima, aveva accostato una sedia al letto così da esserle il più vicino possibile mentre parlavano, mentre giocavano una rapida partita con un consunto mazzo di carte, mentre leggeva per lei come lei faceva per lui quando era bambino.

I pensieri della donna, ora che il figlio si era abbandonato al sonno appoggiando la testa sul suo ventre, tornarono proprio a quando era un bambino. Gli sfiorò il capo con la stessa delicatezza con cui, diciotto anni prima, si accarezzava la pancia che lo proteggeva.

Non voleva svegliarlo.
Ci avrebbero pensato i dottori che sarebbero arrivati a breve per informarlo che l'orario delle visite era ormai giunto al termine.

Non servivano altre parole, non in quel momento.

Avevano parlato a lungo, con gli occhi velati e la voce che, bloccata in gola, sembrava non voler uscire se non graffiata e rotta; cancellate le lacrime con una carezza, si erano scambiati risate e sorrisi, muti “ti voglio bene” che avevano tenuto loro compagnia fino a che la stanchezza non aveva avuto la meglio.

Non sarebbero serviti discorsi nemmeno quando i dottori lo avrebbero svegliato. Si sarebbero abbracciati e lei gli avrebbe scostato i capelli dalla fronte per depositarvi un bacio. Sapeva che avrebbe letto nel suo sguardo la fiducia di rivederla la mattina dopo e lei non avrebbe avuto il cuore di strappargli quella speranza, pur consapevole che, invece, quello sarebbe stato un bacio d'addio.

Non sarebbe riuscita a vedere una nuova alba riflessa negli occhi verdi del figlio, sempre rimasto al suo fianco per tutti i giorni che si era svegliata in quella camera d'ospedale.
Non avrebbe festeggiato un altro suo compleanno o altri piccoli traguardi come il superamento della prova pratica per la patente. Lo aveva consolato dopo il fallimento del primo tentativo, ma non avrebbe avuto modo di prenderlo affettuosamente in giro per la foto orrenda che, come da legge, sarebbe stata impressa sul documento. Per questo, se non altro, poteva ancora affidarsi a Filip: sapeva di poter contare su di lui, che non avrebbe abbandonato il suo migliore amico e che quando lei non ci sarebbe più stata lo avrebbe accolto a casa propria come un fratello.

Mordendosi un labbro si domandò se chiedere che trovasse anche qualcuno che si sarebbe preso cura di lui come una madre o come il padre che non aveva mai avuto fosse troppo...

La malattia che le stringeva il cuore, rendendole sempre più faticoso respirare, l'avrebbe sopraffatta quella notte – lo sentiva – e non voleva che accadesse in presenza del figlio. Voleva che ricordasse il suo sorriso non il suo viso che lentamente si spegneva. Voleva che ricordasse il calore di quell'ultimo bacio e non il gelo delle sue dita, a poco a poco sempre più insensibili.

Egoisticamente le dispiaceva l'idea che la sua voce non l'avrebbe accompagnata fino alla fine, ma in fin dei conti anche quella musica naturale e liquida le era sempre piaciuta. Emilio, al contrario, odiava la pioggia autunnale e detestava i brividi che alcune gocce più coraggiose gli provocavano insinuandosi fra i vestiti. Era nato con la neve, dopotutto: apparteneva all'inverno e si rispecchiava nelle sue forme e contraddizioni. Dove la neve era una candida meraviglia, la pioggia non poteva che rappresentare unicamente il “brutto tempo”.

Non esiste il brutto tempo, ma solo diversi tipi di bel tempo”, gli aveva detto più di una volta. “In una goccia di pioggia si possono vedere i colori del sole”.

Gli pettinò i capelli, scostandogli una ciocca dietro le orecchie delle quali tanto si vergognava quando era piccolo.

Come era riuscita ad insegnargli a non curarsi delle provocazioni altrui, sperò che in futuro Emilio avrebbe rivalutato anche la pioggia.

Sperò che, memore delle sue parole, al posto di correre a ripararsi sotto una tettoia, un giorno si sarebbe fermato sotto il temporale e, reclinando il capo, avrebbe permesso a quelle lacrime naturali di rigargli le guance, recapitandogli gli unici baci che, vegliando su di lui dall'alto, gli avrebbe potuto donare.


 

*


 

Autunno 2019


 

La dolce sinfonia della pioggia che, dalla finestra leggermente aperta, entrava nella camera accompagnata da una tenue brezza lo svegliò lentamente, come facevano le eteree carezze di sua mamma quando era bambino.

Emilio si passò una mano fra i capelli, mugugnando quando sfiorò inavvertitamente il livido bitorzoluto che si era procurato quando aveva perso i sensi.

«Bentornato».

La voce di Diego lo portò ad aprire gli occhi, appesantiti dalle massicce dosi di antistaminici che gli erano stati somministrati qualche ora prima quando era stato ricoverato.

Robin allungò una mano per accarezzargli una guancia: «Come ti senti?»

«Un po' intontito...» Scuotendo la testa, si tirò su, mettendosi a sedere. «Non pensavo sareste rimasti qui: si trattava solo di un ricovero precauzionale...»

«Scusa, di punto in bianco vai in shock anafilattico mentre lavoriamo e pensavi che ce ne saremmo semplicemente tornati a casa? Se non altro volevo accertarmi di non esserne l'artefice: so di essere un capo severo, ma non avevo ancora mai mandato nessuno dei miei agenti in ospedale».

Emilio sorrise di fronte al solito schietto sarcasmo di Diego e inclinò il viso, appoggiandolo contro il palmo di Robin.

Forse non aveva ancora il coraggio di rivelarlo ad alta voce, ma era felice che quella sua nuova famiglia fosse lì al suo fianco.




 



 

Buona sera!

È quasi l'una di notte quindi cercherò di tenere queste note il più brevi possibile (il che per me potrebbe rivelarsi difficile... XD)!

Dunque! Che dire?

IO NON SO SCRIVERE ANGST!
Lo so, ne sono consapevole! XD
Tuttavia, quando ho visualizzato i pacchetti per il contest di Anatra.Valeria... si adattavano così bene alla backstory di questi miei personaggi che ho deciso di provarci comunque.

Purtroppo per via della sessione d'esame, questa storia è stata scritta abbastanza di fretta (spero, anche se temo, che non si noti troppo...) quindi non nutro chissà che aspettative – quando mai un mio scritto non mi sembra una schifezza? XD – ma tutto sommato sono comunque contenta di aver partecipato: dopotutto ci si deve pur mettere alla prova ogni tanto, no? ^^

Il testo è stato volutamente impaginato come vedete, con il testo allineato a sinistra per quanto riguarda la sezione dedicata a Robin, a destra per la mamma di Emilio e, infine al centro con il pov di Emilio.

Allo stesso modo, volutamente le prime due sezioni mostrano dei passaggi simili e che si richiamano (o, almeno, spero che si noti che alcuni punti si rimandano a vicenda XD).

E allo stesso modo 2.0, volutamente l'ultima sezione è un po' vaga: non volevo concentrarmi sul perché Emilio si trovi in ospedale o su a cosa sia allergico (così come non ho voluto approfondire sul perché medico per cui Robin abbia perso il figlio o su quale fosse la malattia della mamma di Emilio), quanto sul fatto che non sia solo.

Sono sicura che mi sto dimenticando qualcosa di importante, ma in questo momento ho troppo sonno e non mi ricordo (nel caso, a mente fresca, approfondirò domattina XD).

Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui a leggere!

Grazie di cuore anche a chi vorrà lasciarmi un piccolo parere o consiglio!

E un grazie in particolare alla mia cara MogliA Sabriel, lei sa perché ♥♥♥

A presto! ^^

Carmaux


 

P.S.

Storia partecipante alla Seasons Die One After Another Challenge Edition! di Laila_Dahl sul forum di Efp


 


 

  
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