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Autore: VigilanzaCostante    02/02/2021    12 recensioni
Remus Lupin era convinto di non meritarsi degli amici, per quello li aveva limitati a tre: un numero già di per sé alto e spaventoso, considerando che aveva dovuto dire loro il suo segreto più macabro.
Regulus Black invece, di amici non ne aveva nemmeno uno, pur essendo convinto di meritarseli. Tutti credevano fosse timido – se ne stava sempre attaccato al muro della sala comune di Serpeverde come carta da parati – ma in realtà era solo tremendamente selettivo.

Remus e Regulus sono anime affini, reietti che indossano silenzi, ed è proprio questo a farli diventare amici.
|Accenni Remus/Sirius|
[Seconda classificata al contest "Back to Black" indetto da parsefani sul forum di EFP]
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Regulus Black, Remus Lupin | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Carta da parati

 
 
Remus Lupin era convinto di non meritarsi degli amici, per quello li aveva limitati a tre: un numero già di per sé alto e spaventoso, considerando che aveva dovuto dire loro il suo segreto più macabro.
Regulus Black invece, di amici non ne aveva nemmeno uno, pur essendo convinto di meritarseli. Tutti credevano fosse timido – se ne stava sempre attaccato al muro della sala comune di Serpeverde come carta da parati – ma in realtà era solo tremendamente selettivo.
Regulus sembrava spuntare come un fungo ogni volta che i Grifondoro si spostavano: durante le loro scorribande, dopo le lezioni di pozioni, la mattina a colazione. Non era ben chiaro se stesse seguendo il fratello o cercando di instaurare una conversazione con lui.
«Regulus fatti degli amici tuoi tra le Serpi, non stare sempre in mezzo ai piedi» sibilava di continuo Sirius, con il naso all’insù e l’impetuosità che gli colava da ogni poro scoperto.
Poi James metteva un braccio intorno alle spalle di Sirius e lo attirava con fare protettivo a sé. Sembrava urlare la verità più scomoda e dolorosa: siamo noi la sua famiglia, adesso.
Regulus non abbassava mai il capo, teneva lo sguardo ben fisso e poi, con passo dinoccolato, se ne andava come niente fosse. Sono sempre stati eleganti i Black, spaventosi nella loro compostezza, nel loro equilibrio: anche quando le costole si incrinavano e il male serpeggiava rimanevano stoici e aristocratici.
Fu quel giorno, uguale a tanti altri e diverso da tutti, che Remus si rese conto che – se ci pensava bene – quattro come numero non era tanto più alto di tre e un amico in più non gli avrebbe arrecato alcun danno. 
 
«No, Lupin, non voglio un pezzo di cioccolato. Ti ha mandato Sirius?».
«No, sono qui di mia iniziativa».
«Che iniziativa sciocca» ma poi sorrise.
E quando sorrideva, Regulus Black, non era più semplice carta da parati.
Quando sorrideva, Regulus Black, ricordava fin troppo suo fratello.
 
Non si sa bene perché o come un’amicizia diventa tale. Forse essere amici, per due come loro, era trovarsi negli spazi grigi, nel non detto, nel dolore non manifesto. Erano anime affini, due reietti travestiti di silenzi e pensieri. Parlavano poco, si capivano molto. A volte ridacchiavano, divertiti dalla sagacia di Regulus o dall’autoironia di Remus.
Non si capiva in che rapporto fosse Black con gli ideali della sua famiglia, né tantomeno quali sentimenti contrastanti si agitavano al suo interno nei confronti del fratello.
Un giorno Remus gli disse che viveva in funzione di Sirius, di una sua risposta, di riuscire ad attirare la sua attenzione, un’attenzione che il maggiore non era in grado di dargli.
«Anche tu vivi in sua funzione, Lupin. Vedo come lo guardi».
Alzò le spalle, fingendo di non essere scalfito da quell’affermazione subdola. È vero, spesso a Remus capitava di sentirsi un’appendice di quel duo insperabile, James e Sirius, Sirius e James. Ma a lui non dispiaceva essere invisibile, silenzioso, schivo. Gli calzava bene quel ruolo, di saggio e pacato: era bello anche solo sembrarlo – quando invece dentro di lui si agitava l’inferno.
Con Regulus era più facile, per quello appena poteva lo usava come diversivo.  
 
«Quando scoprirà che siamo amici si sentirà tradito, sei sicuro di poterlo sopportare?».
Beffarda e maliziosa l’insinuazione del Serpeverde, stonava quel cipiglio provocante sul suo viso da bambino.
«Me ne farò una ragione» e poi sorrise.
E quando sorrideva, Remus Lupin, non era solo un lupo mannaro.
Quando sorrideva, Remus Lupin, azzerava le cicatrici sul suo volto.
 
 
«Dove sparisci una volta al mese?» Regulus glielo chiese giocherellando con la sua bacchetta e sbocconcellando distrattamente un pezzo di cioccolato fondente. Aveva iniziato a esserne dipendente anche lui, ormai, dato che il nuovo amico lo perseguitava.
Notò impercettibilmente, ma fece finta di notarlo, l’irrigidimento di Remus: non era più stravaccato vicino a lui, i suoi muscoli si erano tesi ed era quasi balzato in aria. Mpf, Grifondoro.
Regulus non era in grado di capire il segreto di Remus – era troppo piccolo per studiarle a scuola e i genitori evitavano di parlargli di quelle creature – ma sospettava che ci fosse qualcosa sotto. Severus Piton da giorni se ne andava in giro sconvolto sibilando minacce e insulti contro quel quartetto e non gli era sfuggita la coincidenza con l’assenza di Remus ai loro incontri.
«E cosa avete fatto a Piton?».
Era intelligente Regulus, troppo intelligente pensava Remus, che sperava di poter nascondere quel suo segreto ancora per un po’. Erano anni che si frequentavano di nascosto e non gli aveva chiesto niente, non poteva continuare a essere così? Tutto semplice? Poi si ricordò che l’aveva considerato, che ne aveva tenuto conto quando aveva scelto di aumentare a quattro il numero di suoi amici.
Quella sera non gli diede una risposta, e neanche la sera dopo ancora, finché non si rese conto che più non glielo diceva più Regulus tentava di intuirlo da solo. Allora, a quel punto, glielo disse: perché i segreti diventano pesanti e l’amicizia – la loro amicizia – aveva bisogno di essere leggera.
«Per quelli come te io sono solamente un ibrido, un mostro» concluse laconico Remus.
«Almeno non sei un nato babbano, Remus, a quel punto mia madre non mi perdonerebbe proprio!». E lo disse con una leggerezza disarmante, agghiacciante, perché per lui la normalità era odiare, perché gli avevano insegnato sin dalla culla ad avere un capro espiatorio. Ma pensava davvero quelle cose sui nati babbani?
«Ci credi davvero? A tutte quelle stronzate sulla razza pura».
Regulus alzò le spalle: cosa pensa un ragazzino di tredici anni? Non pensa, a meno che qualcuno non glielo faccia pensare.
«A storia della magia continuiamo a studiare di come i babbani ci volessero vedere morti per la nostra magia, e allora abbiamo stretto il cerchio, siamo diventati un’élite. Ora non più, perché lasciamo aperta la porta del nostro mondo a chi non ne fa parte. E cosa ne sarà di noi? La magia è un valore aggiunto e noi stiamo lasciando che la sviliscano».
Monologo di parole ripetute a memoria, perché un pensiero del genere – per quanto lontanamente sensato – non proveniva da lui. O forse sì?
«Un nato babbano non decide di esserlo, la magia si manifesta da dentro di lui e cosa ci può fare? Trattenerla, ignorarla, non sarebbe più pericoloso?». Si chiese se sapesse che sua madre era babbana, che lui non solo era un ibrido ma anche un mezzosangue.
Regulus non rispose, troppo concentrato sulla punta dei suoi mocassini rovinati, un tempo appartenuti a Sirius. Ne avevi altri, ma li indossava per emulare quell’aria da benestante sregolato che il fratello assumeva così naturalmente.
Aveva solo tredici anni, Regulus, quasi quattordici, ma un tarlo nel suo animo lo stava divorando e ancora non sapeva che si annidava dentro di lui il seme della giustizia.
 
«Lily Evans è nata babbana, Piton era suo amico».
«Ora non lo sono più?».
«No, ora non lo sono più».
E Regulus pensò che Severus Piton fosse proprio uno sciocco a farsi abbindolare da una stupida sanguemarcio. O forse non riuscì nemmeno a pensarlo, perché sapeva che non era vero, lei non era stupida e lui non era sciocco. Solo – forse – umano.
 
 
Sirius Black fu cancellato dall’arazzo di famiglia una mattina di metà luglio. Aveva lasciato dietro di sé un po’ di cenere, dei genitori delusi (ma non sorpresi) e l’amarezza di un fratello che era rimasto solo.
Sirius Black volò veloce dal suo amico Potter, l’unico pronto ad accoglierlo senza se ma, senza ricordarsi che un fratello ce l’aveva già ed era troppo piccolo e con troppi pochi amici per andarsene via.
Walburga lo aveva guardato e gli aveva accarezzato lievemente la guancia: «Almeno ci sei rimasto tu, so che sarai migliore».
È una consolazione l’amore di una madre a discapito di un fratello perduto?
Regulus scrisse e cancellò mille volte una lettera che non spedì mai: non a Sirius, ma all’unica persona che sentiva di poter chiamare amico.
Remus, intanto, era disteso sul divano di casa Potter ad ascoltare le lamentele di un altro Black.
«Con me hanno chiuso. Non mi vedranno più, lo posso giurare. Nemmeno Regulus, che non fa altro che ripetere e scimmiottare le loro parole merdose».
Peter sussultò a quello scatto d’ira e James annuì vigorosamente. Remus continuò a guardare il soffitto, cercando di razionalizzare e ragionare. Rispondi, dì cosa pensi. Ma non lo fece.
«Lunastorta tu che pensi?». A chiederlo fu James, che lo conosceva fin troppo bene e che sembrava l’unico veramente interessato alla sua opinione – gliela chiedeva sempre, quando non la esprimeva subito, perché a suo dire c’era bisogno di qualche punto saldo in quel disordine adolescenziale.
«Penso che Regulus abbia solo quattordici anni, Sirius».
«Tu a quattordici anni non odiavi una persona solo per il semplice fatto che esistesse, Remus».
«Io no, ma tu sì».
Sirius inarcò il sopracciglio, scioccato e infastidito da quelle accuse infondate.
«Ho mai odiato Lily Evans? Non mi pare. Accetterei pure che si sposasse il nostro Ramoso senza remore». E sghignazzò dando un pugno sulla spalla al suo compare.
«Sono anni che insulti Piton senza un apparente motivo. O te lo sei dimenticato?»
«Oh suvvia Lunastorta, mica starai paragonando le due cose!» Scattò su James.
«Sto solo dicendo che Regulus ha quattordici anni e nessuno, nemmeno tu, gli ha mai insegnato a pensarla diversamente! Invece di inveire contro di lui avresti potuto fare qualcosa per lui». E si alzò in piedi con l’intento di andarsene. Era scomoda quella situazione, spigolosa, ed era stanco di vedere quei due spalleggiarsi senza provare nemmeno ad ascoltarlo. Sirius si alzò allo stesso modo, scattando ed ergendosi verso di lui.
Remus se ne andò prima che potessero fare qualsiasi cosa. E mentre oltrepassava velocemente il cancelletto dell’abitazione, un macigno gli cadde sulle spalle. Aveva appena allontanato tre amici per difenderne uno?
 
Caro Regulus,
tuo fratello sta bene e rimarrà dai Potter fino al ritorno a Hogwarts. Volevo che tu lo sapessi, dato che sarete preoccupati.
Mi dispiace molto, spero tu stia bene.

Remus.
Non ricevette risposta.
 
 
Regulus Black si era unito ai Mangiamorte alla giovane età di sedici anni. Quando la voce girò tra le mura di Hogwarts i professori fecero finta di non sentire e gli studenti più spaventati gli stettero ancora di più alla larga. Suo fratello Sirius, dall’altro lato, aveva appena firmato la sua iscrizione al nascente Ordine della Fenice.
«E tu che lo difendevi Rem» disse al suo amico e amante dopo una notte spesa a parlare sotto le coperte.
Remus non rispose, incastrato tra le braccia robuste e sane di un ragazzino che troppo velocemente era diventato uomo. Non lo disse ma ripensò a quell’amicizia nascosta, quegli incontri segreti nelle cucine di Hogwarts a mangiare e giocare a scacchi magici.
Era sparito Regulus, non si era fatto più sentire né vedere e aveva fatto finta per anni di non averlo mai conosciuto. Più Remus cercava parlargli, più lui si avvicinava a quella combriccola di neo Mangiamorte.
Non sei questo, Reg aveva pensato Remus, lo voleva urlare ma lui non urlava, preferiva offrire cioccolata e sorridere fino a far sparire le cicatrici.
«Non le pensi quelle cose, Reg» aveva detto ad alta voce, non troppo alta però, quando era riuscito a braccarlo per i corridoi miracolosamente in solitaria.
«Ti ha mandato la tua mogliettina? Non credo, Sirius ora frequenta solo la feccia, non parla più con il sangue del suo sangue.»
Era ferito, lo vedeva dal suo sguardo stanco e dalle occhiaie che non poteva nascondere. Era sempre più elegante, nessun vestito smesso di Sirius addosso, sempre più raffinato, sempre più simile ai Black non rinnegati.
Remus si era arreso con lui e, nell’apprendere la notizia che ormai era perduto tra quella schiera annerita di Mangiamorte, se ne dispiacque.
Ma il corpo di Sirius era caldo e sapeva di casa – che importava il resto?
 
Lupin,
mi sono pentito, credo. L’Oscuro Signore è capace di cose che vanno troppo oltre rispetto a quello che mi ero immaginato. Avevi ragione tu, io non le penso queste cose. Aiutami.
Parole cancellate e poi buttate sul fuoco ardente.
 
Regulus Black morì da eroe nelle profondità dell’abisso. Cosa pensò in quegli ultimi secondi di vita non fu ben chiaro neanche a lui. Un calore però lo irradiava, una luce buona che dall’interno combatteva con quei mostri infernali: era il seme della giustizia che si era trasformato in una pianta rigogliosa, che strepitava per fiorire anche al di fuori del suo corpo.
Pensò a sua madre, cadendo nel buio, alle parole vuote che aveva pronunciato con gloria e al dolore che l’avrebbe investita sapendo della morte di un figlio.
Pensò a Kreacher, pregando che riuscisse a portare a termine il suo lavoro.
Pensò a Sirius, alle risate da bambini e al silenzio da adulti. Sperava che potesse saperlo, un giorno, che aveva capito.
E infine pensò a Remus, un po’ inaspettatamente e un po’ controvoglia, lo ricordò con quel pezzo di cioccolata in mano e le cicatrici a graffiare la sua aria stanca – e sorrise. Perché quando sorrideva, Regulus Black, non era più un mero nome integro su un arazzo rovinato.
 
«Sirius, ho saputo la notizia, mi dispiace» disse Lily, e poi James e poi Peter.
Sirius non sembrava colpito, cercò la mano di Remus e la strinse forte tra le sue. Un attimo di debolezza, poi una risata per smorzare la tensione.
Remus fu pervaso da una scarica di malinconia e ricordi: quando sorrideva, Sirius Black, ricordava fin troppo suo fratello.
 
 



 


NDA:
Ho in mente un’amicizia tra Regulus e Remus da una vita: forse perché penso che Remus non sarebbe stato assoluto come Sirius nel condannarlo, forse perché mi sembrano anime affini. Ho tentato questo esperimento – anche se è la prima volta che scrivo di Reg – e spero di essere riuscita a renderlo IC!
Un bacio
Mati
   
 
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