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Autore: evelyn80    02/02/2021    6 recensioni
Quando Danny riceve la telefonata da Don Johnson, roadie di fiducia dei Chicago, non riesce a credere alle proprie orecchie: Terry è morto!
Si precipita alla villetta di Don, ma ormai non c'è più niente da fare. Il suo migliore amico se n'è andato per sempre.
Quarta classificata al contest “Titoli a Catena” indetto da Freya_Melyor sul Forum di Efp
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danny Seraphine, Terry Kath
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cenere ghiacciata





 

Quando Don Johnson l'aveva chiamato al telefono, Danny semplicemente non aveva creduto alle proprie orecchie: non poteva, anzi, non voleva farlo! Ma quelle parole continuavano a risuonargli nella mente, insistenti come un martello che batte su un chiodo: “Terry è morto!”.
Aveva preso l'auto ed era corso a Woodland Hills, il quartiere dove viveva il loro roadie più fidato.
E non aveva mai saputo come avesse fatto ad arrivare fin lì, attraversando mezza città, illeso.


Parcheggiò l'auto con due ruote sul marciapiede e si fiondò all'interno della villetta. Don lo aspettava sulla soglia.
«Io glielo dicevo, di smettere... glielo dicevo», blaterò il roadie, pallido come uno straccio lavato, il labbro inferiore che tremava a tal punto da rendere quasi inintelligibili le sue parole. Danny lo scansò e corse verso il salotto. Non appena arrivato sull'uscio si bloccò.
Terry era lì, seduto sul divano, entrambe le mani abbandonate in grembo, gli occhi sgranati in un'espressione di sorpresa, come se tutto fosse accaduto talmente all'improvviso da non essersene nemmeno reso conto.
“Ed è proprio così che è andata”, pensò Danny, osservando la pistola – la semiautomatica di Terry – abbandonata a terra tra i suoi piedi.
Don lo raggiunse e rimase ritto dietro di lui.
«È piombato qui all'improvviso», cominciò a raccontare, la voce concitata. «Mi ha detto che non dormiva da tre giorni e che non voleva tornare a casa, perché non aveva la forza di sopportare un altro litigio con Cammy».
Danny si mosse in avanti, accostandosi a Terry e mettendosi seduto accanto a lui, al suo fianco destro. Don continuò.
«Si è messo a sedere e ha blaterato non so per quanto, fumando come un turco. Poi si è messo a giocare con quel suo dannato revolver. Se lo puntava alla testa e poi faceva scattare il grilletto a vuoto. Gli ho detto di smettere», ripeté il roadie, «ma lui si è messo a ridere. Mi ha mostrato il caricatore, per farmi vedere che era vuoto. Poi ha preso la semiautomatica».
Con la coda dell'occhio, Danny lo vide ammiccare col mento in direzione dell'arma tra i piedi di Terry, ma non distolse lo sguardo dal volto dell'amico, da quella sua espressione stupita e dal forellino perfettamente circolare sulla tempia destra, unica macchia nera sul candore della pelle del ragazzone. Un ragazzone, sì, perché il suo cuore era troppo grande, e un corpo minuto non sarebbe bastato per contenerlo tutto.
«Ha tolto il caricatore anche a quella per farmi vedere che era vuoto, e poi se l'è puntata alla tempia. Ma doveva esserci un proiettile nella camera di scoppio... il botto è stato terribile!».
Danny non aveva ascoltato le sue ultime parole, intento com'era a fissare il tavolino da fumo davanti a Terry. Il suo revolver era appoggiato accanto a un posacenere pieno di cicche schiacciate e cenere ormai fredda. Le sue ultime sigarette. Tornò ad alzare lo sguardo sul volto dell'amico, sulla sorpresa che la morte aveva dipinto nei suoi occhi grigi. Allungò la mano destra e gli chiuse le palpebre: non perché avesse paura del suo sguardo, ma perché non voleva che quelle iridi ormai vuote fossero testimoni di quanto stava per accadere. Don aveva chiamato la polizia e gli agenti sarebbero arrivati a momenti.
A guardarlo così sembrava che dormisse, se non fosse stato per quel buchino rotondo che occhieggiava nella sua direzione e sembrava farsi beffe di lui. Gli strinse la mano destra nella sinistra e si appoggiò con la schiena alla seduta del divano. Voleva essere lui l'ultimo a stargli vicino: il suo migliore amico, uniti nella vita e anche nella morte.


Quando arrivarono gli agenti, lo fecero spostare di malagrazia. Danny si alzò dal divano e uscì fuori nel giardino della villetta. Non poteva stare a guardare mentre lo chiudevano nel sacco mortuario, il suo cuore non avrebbe retto a quella vista.
Ma quando in quattro lo portarono fuori a braccia, non poté fare a meno di notare che l'involucro in cui lo avevano racchiuso era troppo piccolo per lui, e che i suoi stivali da cowboy spuntavano inesorabilmente fuori dalla cerniera, come per dire al mondo che Terry non voleva morire, perché quello non era ancora il suo momento. Non alla soglia dei trentatré anni e con una figlia che sarebbe cresciuta senza poter conoscere il padre.
Allora tornò dentro, si mise di nuovo seduto sul divano e fissò lo sguardo sul tavolino da fumo. Ecco tutto ciò che rimaneva di Terry: cenere ghiacciata in un posacenere di cristallo.
Chiuse gli occhi e pianse.

 

Spazio autrice:

Mi ero ripromessa di non scrivere nulla di drammatico riguardo alla morte di Terry, ma poi ethors ha suggerito il titolo “Cenere ghiacciata” per il contest cui questa storia partecipa, e non appena l'ho visto mi si è accesa una sorta di lampadina e non ho potuto fare altro che assecondare la mia ispirazione.
La scena che racconto è, in chiave romanzata, più o meno ciò che ha proprio vissuto Danny Seraphine, batterista dei Chicago e migliore amico di Terry Kath, chitarrista della band, quando quest'ultimo si è involontariamente ucciso, giocando con la sua semiautomatica convinto che fosse scarica mentre invece un proiettile era rimasto in canna. Danny ha raccontato questo episodio nella sua autobiografia “Street Player, my Chicago story”.
È il 23 gennaio 1978: Terry è particolarmente su di giri quel pomeriggio, ha continuato a sniffare coca e non dorme da tre giorni, stimolato dalla sostanza. Si presenta a casa di Don Jonhson, roadie di fiducia della band, con cui ha molta confidenza. La situazione con sua moglie, Camelia (Cammy), è molto tesa, perché la donna non riesce ad accettare che il marito e padre di sua figlia, una bimba di appena 18 mesi, sia ridotto in quello stato per via della droga. Vittima della sua dipendenza, Terry soffre di una profonda paranoia che lo spinge a portarsi sempre dietro le sue pistole, un revolver e una semiautomatica. Si mette a giocare con la prima puntandosela alla testa, mentre Don lo prega di smettere. Il chitarrista ride e gli mostra il caricatore vuoto, dicendogli di stare tranquillo perché l'arma è scarica. Poi prende la seconda pistola, mostra il caricatore vuoto al roadie e se la porta alla tempia, senza essersi reso conto che un proiettile è rimasto nella camera di scoppio. E questo gesto gli sarà fatale. Avrebbe compiuto 33 anni una settimana dopo, il 31 gennaio 1978.
Don chiama Danny, sconvolto, e il batterista accorre a casa dell'amico roadie. Trova Terry seduto sul divano, la schiena appoggiata alla spalliera, le braccia abbandonate in grembo e gli occhi sgranati. Gli chiude le palpebre e si siede accanto a lui, prendendolo per mano, in attesa dell'arrivo della polizia.
Terry è talmente grande che non riescono a farlo entrare tutto nel sacco mortuario: è alto 182 cm, ma pesa più di 130 chilogrammi e ha il 48 di piede, e i suoi stivali da cowboy spuntano inesorabilmente fuori dalla tela mentre gli agenti lo trasportano e passano accanto a Danny. Questa è l'ultima immagine che il batterista ha dell'amico.
E niente, spero che la mia storia soddisfi la giudice e di aver reso giustizia al bellissimo titolo lasciato da ethors.

 
  
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