Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Kim WinterNight    02/02/2021    7 recensioni
Martin aveva sempre pensato che sua madre fosse ottusa, ma quando aveva scoperto che lui era omosessuale aveva compreso appieno il significato di quella definizione. [...]
Ormai però aveva fatto la sua scelta: prima di trasferirsi nel nuovo appartamento con il suo fidanzato, l’avrebbe comunicato a sua madre.
Sorrise amaramente, rendendosi conto che prima avrebbe dovuto dirle che aveva un ragazzo.

- QUARTA CLASSIFICATA e vincitrice dell'Oscar per il miglior protagonista al contest "La colonna sonora della mia storia" indetto da Anatra.Valeria sul forum di EFP.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Martin&Joe'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
You like to think you’re never wrong
 
 
 
 
 
 
Martin aveva sempre pensato che sua madre fosse ottusa, ma quando aveva scoperto che lui era omosessuale aveva compreso appieno il significato di quella definizione.
La signora Petra Rose Harris era una donna piuttosto insignificante, sia fisicamente che caratterialmente: ci teneva a essere sempre in ordine e ben vestita nonostante fosse la moglie di un muratore e non avesse molti soldi per comprare abiti di buona qualità; era particolarmente apprensiva quando si trattava dell’educazione e di ciò che andava fatto per compiacere gli altri e per fare una buona impressione sul prossimo.
Quando Martin era ancora bambino, lei lo aveva spesso ripreso per la sua vivacità ed esuberanza, riportandolo all’ordine con frasi dure e autoritarie; per contro, suo marito era sempre stato mite e non aveva mai opposto grande resistenza quando si era trattato di porre dei limiti al figlio.
Harry Harris era – come spesso la donna lo aveva definito – un debole, uno di quegli uomini che lavoravano sodo e non pensavano mai alle cose importanti. Questo, però, Petra glielo diceva quando erano soli, lontani da orecchie indiscrete: non voleva assolutamente che i vicini di casa o gli amici di famiglia intuissero che tra loro le cose non andavano.
Pretendeva che Martin la aiutasse a gestire la casa per poterlo poi raccontare alle sue amiche e vantarsi delle prodezze di suo figlio; voleva che tutti ammirassero la sua famiglia perfetta e che la invidiassero per il bravo marito che aveva, oltre che per il figlio educato e composto che lei stessa riusciva a manipolare a suo piacimento.
Quando Martin si era accorto di quanto sua madre fosse poco interessata al suo bene quanto al parere che la gente poteva avere sulla loro famiglia, aveva deciso di non agitare le acque e di resistere; prima o poi se ne sarebbe andato da lì, si sarebbe costruito una vita lontano da quella sorta di prigione e avrebbe smesso di prestare attenzione al carattere unidimensionale e scialbo di sua madre.
E quando aveva conosciuto Joe – il suo Joe – all’età di ventiquattro anni, aveva capito che poteva reagire.
Se Joe ce l’aveva fatta e si stava impegnando per costruirsi un futuro nonostante tutte le difficoltà che la vita gli aveva posto di fronte, anche lui poteva esserne in grado.
Non lo aveva mai rivelato al suo compagno, ma lo stimava e ammirava tantissimo per la sua determinazione e il suo coraggio; Joe era forte, sempre pronto a buttarsi a capofitto nelle situazioni e a mettersi in gioco.
Nonostante fosse cieco, nonostante avesse un sacco di paure e una famiglia peggiore della sua.
Martin, in fondo, doveva ritenersi fortunato: suo padre era una brava persona e gli era ancora accanto, mentre Joe aveva perso il suo quando aveva solo dodici anni; da allora era stato costretto a condividere l’esistenza con una madre opprimente e insopportabile, sempre pronta a mortificarlo e a impedirgli di crescere. Cecilia Sandys era sempre stata una donna timorosa e aveva trasmesso le sue paure al figlio, rendendolo più fragile di quanto in realtà non fosse.
Eppure Joe ce l’aveva sempre messa tutta, aveva fatto il possibile per vivere la sua vita senza lasciarsi influenzare da chi l’aveva messo al mondo.
Quei pensieri infestavano la mente di Martin mentre, seduto nel salotto del padre, ripensava a tutto ciò che era successo e che sarebbe accaduto di lì a poco.
Harry Harris, stanco dopo una giornata di lavoro in cantiere, lo raggiunse e si buttò sul divano accanto al figlio.
Martin intrecciò le dita e si strinse meglio le ginocchia al petto. Si sentiva un bambino smarrito e avrebbe tanto voluto che Joe gli fosse accanto in quel momento, eppure aveva preferito non coinvolgerlo. Sapeva com’era fatto il suo ragazzo: si sarebbe infuriato di fronte al rifiuto di Petra Rose, Martin ne era certo.
«Sei sicuro di volerlo dire a tua madre? Quando ha scoperto che eri gay, per poco non ti buttava fuori di casa» disse suo padre.
Martin annuì. «Non mi importa. Non può buttarmi fuori di casa, vivo già per conto mio e ho un lavoro. Sono stanco di questa situazione. Ho voluto dirlo prima a te perché… beh, io e te andiamo d’accordo.»
«È giusto che tu sia felice. Joe ti rende felice, quel ragazzo è…» Il più grande tentò di trovare le parole giuste, ma tutto ciò che riuscì a produrre fu un sorriso intenerito. «Unico, ecco. So che sembra banale, però è così.» Poi si voltò a guardare suo figlio negli occhi – iridi scure immerse nelle proprie gemelle – e gli poggiò una mano sul ginocchio. «Sei fortunato, piacerebbe anche a me trovare…»
Martin lo vide chiaramente mentre veniva sommerso dalla consapevolezza di ciò che stava per dire; suo padre si ritrasse e distolse lo sguardo, abbassando appena il capo.
«Papà…»
«Non dovevo dirlo, scusa. Non voglio che tu pensi che… Martin, sono stato bene con tua madre. Per un po’ ha funzionato, poi mi sono reso conto che non potevo più darle ciò che meritava» replicò il più grande in tono mesto.
«Non puoi farci niente. Mi hai insegnato che non è colpa nostra se ci piacciono gli uomini. A me piace Joe, a te magari capiterà di incontrare uno come lui, insomma, qualcuno che sappia apprezzarti davvero.» Fece una pausa. «Non come la mamma.»
«Non devi pensare che lei sia un mostro, Martin…»
Il ragazzo scrollò le spalle e lasciò ricadere le gambe sul divano. «Non un mostro, ma una persona arida sì. È possibile che non provi dei sentimenti, eh? Dimmelo tu!»
«No, beh, da giovane era… diversa» esalò Harry, passandosi una mano tra i capelli brizzolati mentre un sorriso amaro si dipingeva sulle sue labbra.
«Poi è cambiata e ha deciso di rovinare la vita a entrambi» borbottò Martin.
«Non avercela così con lei. Finirà per dare la colpa a me solo perché abbiamo un bel rapporto.»
Martin scosse il capo e si mise in piedi. «Adesso vado da lei. Prima le parlo, meglio è.»
«Potresti sempre fingere di vivere da solo, non sei obbligato a farglielo sapere. Figliolo, senti…» Suo padre si alzò a sua volta e gli posò le mani sulle spalle. «Non devi giustificarti con lei. Non deve per forza accettare qualcosa che non può comprendere.»
Martin gli regalò un breve abbraccio e gli picchiettò sulla schiena. «Grazie, papà. Ti farò sapere come andrà.»
E, mentre lasciava l’abitazione, Martin già cominciava a pentirsi di aver preso quella decisione.
Ormai però aveva fatto la sua scelta: prima di trasferirsi nel nuovo appartamento con il suo fidanzato, l’avrebbe comunicato a sua madre.
Sorrise amaramente, rendendosi conto che prima avrebbe dovuto dirle che aveva un ragazzo.
 
 
La casa in cui abitava era come la ricordava, la stessa dove lui era nato e cresciuto e nella quale aveva visto la sua famiglia sgretolarsi.
Riconobbe il piccolo giardino sul davanti, il vialetto fiancheggiato da aiuole fiorite e ordinate, il portico pulito e la siepe che delimitava il confine con la proprietà dei Turner.
Si accostò velocemente alla porta d’ingresso e suonò il campanello, lanciando un’occhiata al giardino dei Turner e ricordandosi del giorno in cui aveva conosciuto uno dei suoi migliori amici; Ben, in effetti, era una delle persone più care che avesse e aveva rappresentato anche la sua prima vera cotta nei confronti di un ragazzo.
Sorrise appena, ma venne strappato a quei ricordi quando l’uscio si aprì e sua madre mise fuori la testa. Le bastò incrociare i suoi occhi scuri per impallidire e stringere più forte la maniglia.
«Ciao» salutò Martin, rendendosi conto che non si vedevano da parecchi mesi.
«Entra, prima che qualcuno ti veda! Ci manca solo che pensino male di me perché ho un figlio strano.» Detto questo, Petra si ritrasse e gli fece cenno di avanzare.
Il ragazzo sbatté le palpebre e rimase stranito per un attimo, infine fece il suo ingresso e spinse la porta per richiudersela alle spalle. Anche l’arredamento e l’atmosfera dell’abitazione erano rimasti invariati da quando se n’era andato quattro mesi prima: tutto era triste, ordinato, perfetto.
Nauseante e claustrofobico.
A Martin mancò quasi l’aria ed ebbe voglia di uscire di lì – forse era colpa anche della calura estiva che si abbatteva impietosa sulla città.
«Cosa vuoi? Ho da fare e sai che non mi va di perdere tempo» disse sua madre, dirigendosi in cucina come se lui non fosse neanche presente.
Martin avrebbe voluto dirle che era ridicolo che si preoccupasse dell’opinione dei vicini di casa o di chi la conosceva e che questo le impedisse di avere un rapporto con suo figlio; eppure tacque e affondò le mani nelle tasche dei jeans, seguendo la donna e frugando nella sua mente alla ricerca delle parole da usare. Voleva parlarle al più presto e fuggire da lì, almeno sarebbe andato a vivere con Joe con la coscienza a posto.
«Parli o hai perso la lingua?» lo incitò Petra, lanciandogli un’occhiata in tralice mentre finiva di spolverare la credenza.
Martin la fissò e la trovò patetica: i capelli a caschetto erano crespi per via delle tante tinte ed erano di un nero spento e finto, gli occhi color caffè non erano luminosi e amorevoli, il corpo dalle forme generose non era accogliente come quello di qualunque altra madre.
Gli si strinse la gola e deglutì a fatica, passandosi una mano tra le ciocche umide di sudore.
Poi sospirò e si avvicinò alla finestra. «C’è una mosca» osservò, notando che l’insetto sbatacchiava contro il vetro.
Petra fece una smorfia. «Mi fai perdere tempo e ho da fare.»
Lui tornò a fissarla e si fece determinato. «Vado a vivere con il mio uomo» affermò in tono piatto.
Petra Rose si portò le mani di fronte alla bocca e si abbandonò con la schiena contro il frigorifero. «Perché me lo dici? Non mi interessano le cose che fai con quelli come te. Compreso quel traditore di tuo padre» sibilò tra i denti.
«Papà non ti ha mai tradito» replicò Martin, mentre una furia sempre crescente si faceva strada nel suo petto. Non sopportava che si parlasse male di Harry, soprattutto perché era un brav’uomo ed era l’unico famigliare che lo appoggiasse nelle sue scelte di vita e nelle sue inclinazioni.
«Almeno dovresti avere la decenza di non farlo sapere in giro. Non ti vergogni?» lo apostrofò ancora sua madre, raddrizzandosi e incrociando le braccia sul petto.
«Stai parlando sul serio?» Martin fece un passo indietro e la mosca, spaventata da quel movimento brusco, volò via.
«Certo. Cosa penserà la gente di quello che stai facendo alla tua famiglia?»
«A me non interessa che tu lo accetti. Volevo solo che lo sapessi» tagliò corto il ragazzo, scuotendo la testa.
«Avrei preferito non saperlo. Ma almeno mi hai dato la conferma che non ho più un figlio» disse aspramente la donna, serrando le labbra e indurendo i lineamenti del viso. «Esci da casa mia» aggiunse perentoria.
«Mamma…»
«Io non sono più tua madre. Mi hai tradito, hai deciso di stare dalla parte di tuo padre. Quando ti accorgerai di aver sbagliato, sarà troppo tardi e io non ti perdonerò» sputò, facendo un ampio gesto con il braccio sinistro. «Vattene, ho detto!»
«Perché mi tratti così? Non vuoi che io sia felice?» mormorò Martin. Aveva improvvisamente perso tutta la sua determinazione, gli restava solamente un enorme vuoto nel petto, riempito solo da impetuose ondate di delusione.
«Non così. La nostra famiglia era perfetta e voi l’avete rovinata! Sparisci dalla mia vista, Martin Harris!» sbraitò, la voce incrinata dalla rabbia.
Il giovane chinò il capo e si diresse lentamente verso l’uscita; non si guardò indietro, nonostante sperasse che la madre ci ripensasse e lo richiamasse.
Ignorò l’ambiente circostante – voleva dimenticare al più presto quella casa e quel momento – e se ne andò, mentre nella sua mente si faceva spazio un ironico pensiero: aveva raggiunto l’obiettivo, aveva detto a Petra ciò che doveva.
 
 
Quando passò a prendere Joe per portarlo nel loro nuovo appartamento, il riccio era entusiasta e non stava più nella pelle.
«Non è molto grande, certo, però ci staremo benissimo» spiegò Martin, rimettendo in moto l’auto.
«Martin…» Joe per un attimo si rabbuiò e intrecciò le mani in grembo. «Sei sicuro che vuoi davvero vivere con uno come me?» domandò mestamente, chinando il capo.
Martin avrebbe voluto fermare la macchina e prenderlo tra le braccia per rassicurarlo, ma la verità era che in quei giorni avrebbe avuto bisogno anche lui di sostegno e supporto; non aveva ancora raccontato a Joe della conversazione con sua madre e non sapeva come dirglielo, non voleva che si arrabbiasse e cominciasse a sbraitare per il modo ingiusto in cui era stato trattato. Sapeva che il suo ragazzo lo avrebbe rimproverato per non aver reagito e per non averla insultata, ma lui era fatto diversamente e non poteva farci niente.
La rabbia che aveva provato in quel momento se l’era tenuta dentro e non era riuscito a sfogarla in alcun modo, almeno finché non aveva raggiunto la spiaggia e aveva fatto una bella nuotata rilassante. Solo il mare riusciva a farlo sentire completo e tranquillo anche quando pareva che tutto il mondo fosse contro di lui.
«Martin?»
SI riscosse e si schiarì appena la gola. «Sì?»
«Sei sicuro?»
«Certo» rispose in automatico.
All’interno dell’abitacolo calò il silenzio, interrotto solo da Joe che armeggiava con l’interruttore elettrico del finestrino per abbassarlo.
Il viaggio non fu lungo e i due presto giunsero nel parcheggio del condominio in cui si trovava la loro futura casa.
Prima di scendere, Martin si voltò in direzione di Joe e gli accarezzò piano i capelli, invitandolo gentilmente a lasciarsi guardare. «Certo che sono sicuro, voglio farlo» disse in un sussurro. «È solo che in questi giorni sono nervoso e…»
L’altro gli afferrò la mano e la strinse con apprensione. «Cos’è successo? Perché non me ne hai parlato? Non farmi preoccupare!» lo bersagliò, agitandosi appena sul sedile.
«Stai tranquillo, ora va meglio. Non è niente. Senti, prima andiamo a esplorare il nuovo appartamento, poi ne parliamo.»
Joe annuì poco convinto. «Però…»
Martin ricambiò la stretta. «Per favore.»
«E va bene» acconsentì il riccio, aprendo lo sportello per uscire e aprire il bastone bianco.
Martin lo imitò e, una volta che entrambi ebbero richiuso la portiera, si avvicinò a lui per sfiorargli appena il braccio.
Insieme si diressero verso l’ingresso e raggiunsero l’ascensore; Joe, con entusiasmo, volle subito accertarsi che i pulsanti riportassero i numeri scritti in braille e storse il naso quando si accorse che non era così.
«Parleremo con l’amministratore e li faremo aggiungere, non preoccuparti» disse Martin, schiacciando lui il tasto per il quarto piano.
«Sarà meglio per lui» bofonchiò il riccio.
Poco dopo il box metallico si fermò e li lascio uscire.
«Bene, ci sono due appartamenti. Quello alla tua sinistra è il nostro» dichiarò Martin, portando fuori le chiavi dalla tasca dei bermuda.
Joe annusò l’aria e saggiò con il bastone la distanza che lo separava dall’ascensore e la porta d’ingresso; il suo compagno lo osservò affascinato, proprio come succedeva sempre in occasioni in cui il riccio esplorava qualcosa di nuovo a modo suo.
«Apri, dai!»
Martin ridacchiò. «Calma, calma. Ecco.» Si chinò per infilare la chiave nella toppa e, dopo averla girata, spinse la porta e permise a entrambi di entrare.
Joe cominciò subito a farsi largo nell’ambiente, usando il suo bastone come aiuto per evitare di sbattere; sfiorava piano le pareti, compiva piccoli passi e ascoltava i suoni circostanti. Era concentrato e Martin non volle disturbarlo in quell’istante tanto importante: nonostante il suo ragazze fosse cieco, voleva essere certo che conoscesse il luogo in cui si trovava, in modo da poter esprimere un parere e dirgli se gli piaceva oppure no.
Lo osservò attentamente mentre si spostava da una stanza all’altra, saggiando con le dita i pochi mobili presenti e comprendendo con il tatto la ruvidezza dei muri.
Joe si fermò al centro della cucina, dopo averla esplorata in lungo in largo, e lo chiamò.
Martin lo raggiunse e gli poggiò le mani sulle spalle, rimanendo dietro di lui. «Dimmi.»
«Non c’è il tavolo qui? Siamo in cucina, no?»
«No, ecco, il tavolo dovremo comprarlo» ammise il moro.
«Va bene.»
Martin lo prese per la mano che non stringeva il manico del bastone e lo condusse verso la portafinestra di fronte a loro. «Questo ti piacerà» asserì.
Joe si lasciò aiutare e guidare finché non si ritrovarono in un piccolo terrazzo da cui si accedeva tramite la cucina. Il riccio lasciò che il sole cocente di inizio luglio gli baciasse il viso delicato e si esaltò non appena comprese dove si trovava.
Martin sorrise e lo guardò intenerito. «Ti piace?»
«È fantastico!» Joe gironzolò per il piccolo balcone, mentre sul suo viso si formava un’espressione sempre più gioiosa. «È minuscolo, ma cazzo, è nostro!»
«Sì.» Martin lo afferrò per i fianchi e se lo strinse al petto, aggrappandosi a lui in una stretta che nascondeva – oltre alla felicità per quella nuova vita insieme – anche tutto il bisogno di sentirlo accanto.
Joe ricambiò con trasporto e scoppiò a ridere. «Cazzo, Martin! Stiamo veramente facendo questa stronzata?»
«A quanto pare, sì.»
Il riccio lo lasciò andare e riprese a esplorare l’appartamento, spostandosi verso la camera da letto. Urtò il bordo del materasso con il bastone e si ritrovò accanto alla finestra; girò la maniglia e la aprì, facendo scorrere l’anta verso destra. Allungò la mano e storse il naso, voltandosi per richiamare l’attenzione di Martin.
«Che c’è?» domandò il moro, facendo qualche passo avanti.
«Dove sono le zanzariere?»
Martin aggrottò la fronte e si accostò a lui, osservando meglio la finestra. «Beh… mi sa che non ci sono, Joe» ammise.
L’altro scosse la testa. «Stai scherzando, vero?!»
«Calmati, dai, possiamo…»
Ormai l’altro era partito in quarta e non lo ascoltava più. «Ma è possibile che in questo cazzo di posto sia tutto fatto male? Non ci sono i numeri in braille nell’ascensore, non c’è il tavolo e ora questo!» sbraitò, lasciando cadere il bastone e spingendo via Martin.
«Joe…»
«No, senti, ma che cazzo di casa è questa? Mi sembra di vivere nel terzo mondo!»
Martin si trattenne per non portarsi le mani alle orecchie, infastidito dal tono stridulo e fin troppo alto che il suo compagno stava utilizzando.
«Cos’è, nemmeno mi rispondi adesso? Io non ci vivo in un posto senza le zanzariere, quelle bestie mi mangeranno e mi sveglieranno ogni notte!» proseguì, gesticolando animatamente e andando a sbattere con la mano sul bordo del davanzale. «Cazzo, che male!»
«Joe! La smetti di urlare?»
Calò il silenzio: alla fine Martin aveva ceduto e alzato la voce anche se non avrebbe voluto – anche se avrebbe dovuto sbottare in quel modo con qualcun altro.
E Joe, stranito da quell’atteggiamento, tacque e parve fissarlo preoccupato, anche se non poteva assolutamente vederlo.
Martin portò gli occhi sulle proprie mani che tremavano appena, inspirò ed espirò un paio di volte per calmarsi e si accorse di un fastidioso nodo che gli serrava la gola.
«Martin, i-io…»
«Scusa.» Il moro avrebbe voluto usare un tono più fermo e tranquillo, ma la sua voce era fuoriuscita incrinata e spezzata.
L’altro fece un paio di passi in avanti e cercò a tentoni il suo corpo. Gli portò le mani sulle braccia e i suoi lineamenti delicati si distorsero in una smorfia preoccupata. «Stai tremando, cosa…»
«Non è niente, okay?»
«Non ti credo! Che succede?»
Martin sbuffò e fece per scrollarselo di dosso, senza però riuscirci. «Sono nervoso, te l’ho detto. E tu non facevi che strillare senza motivo…»
«Senza motivo proprio non direi» puntualizzò Joe.
«Sì, ma lo vuoi capire che possiamo montare le fottute zanzariere quando vogliamo? Non fare sempre un dramma per ogni singola cosa!» proseguì Martin, ormai sempre più seccato e desideroso di allontanarsi da lui per evitare di litigare ancora.
«Okay, okay! Ma vuoi dirmi che cosa ti è successo e perché sei nervoso?» insistette Joe.
«No, non voglio, okay? Basta!»
Joe sbatté le palpebre e chinò il capo verso sinistra, senza però lasciar andare le braccia del compagno. «Martin… va bene, ho gridato. Hai ragione. Ma non trattarmi così.»
«Io…» Fu in quel momento che il nodo che serrava la sua gola si sciolse e Martin non riuscì a trattenere le lacrime: le lasciò scivolare silenziose e sperò con tutto se stesso che Joe non se ne accorgesse.
Ma ancora una volta stava sottovalutando il suo ragazzo, il quale cercò di scuoterlo appena per incitarlo a parlare. Non ottenendo alcuna reazione, portò lentamente le mani al suo viso e impallidì quando si rese conto che era bagnato.
«Martin…» Senza perdere tempo, lo attirò a sé e lo abbracciò forte, cominciando ad accarezzargli la schiena scossa dai singhiozzi. «Ti ho fatto piangere? Cazzo…»
«No, non…»
«Lo sai che urlo e faccio l’isterico, ma non ce l’avevo con te! Ti prego, Martin…»
Il moro tirò su col naso e lo prese tra le braccia, lasciandosi cadere sul letto poco distante e tenendolo il più vicino possibile. «Abbracciami» lo implorò, avvertendo tutta la tensione di quei giorni abbandonarlo pian piano.
«Lo sto già facendo» sussurrò Joe, intensificando maggiormente la stretta. «Se hai bisogno di sfogarti, fallo. Io sono qui» lo rassicurò Joe, facendogli appoggiare il viso sul suo petto e baciandolo tra i capelli.
Martin non replicò e continuò a piangere per un po’, mentre il suo compagno lo cullava e gli asciugava delicatamente le lacrime che gli rigavano le guance punteggiate di barba. Si sentiva smarrito, ma allo stesso tempo era come se finalmente avesse trovato il suo posto nel mondo: poteva superare qualsiasi cosa tra le braccia di quell’uomo splendido.
Era vero che spesso litigavano o battibeccavano per stupidaggini, ma Joe era la persona più buona che conoscesse e aveva una forza d’animo capace di contagiare chiunque lo conoscesse.
Quando riuscì a calmarsi, sollevò il viso e baciò il suo ragazzo sulle labbra. Lo assaporò lentamente, dolcemente, percependo le proprie lacrime nella bocca di entrambi. Era rassicurante poter condividere tutto con lui e in quel momento si chiese perché non gli avesse ancora confidato quanto accaduto con sua madre.
Joe poteva capirlo più di chiunque altro.
«Ho detto a mia madre che andremo a vivere insieme» ammise, dopo aver lasciato a malincuore le labbra morbide dell’altro.
«È per questo che stai così? Io le do un cazzotto, giuro» replicò Joe con veemenza, tenendo il suo viso tra le mani e carezzandolo lievemente.
«Sì. Mi ha trattato malissimo, mi ha detto che non sono più suo figlio e che dovrei vergognarmi di far sapere certe cose in giro. C’era da aspettarselo» raccontò il moro.
«Che donna di merda» disse Joe senza mezzi termini.
«È fatta così. Ho sbagliato a illudermi che potesse capire, mio padre aveva ragione…» esalò Martin, sistemandosi supino sul materasso. Attirò il compagno a sé e sospirò. «Non fa niente, passerà anche questa.»
«Ti ha ferito. Vorrei che provasse quello che provi tu, non sopporto che…»
Martin allungò le dita ad accarezzargli le labbra. «Non importa, davvero. Tu sei con me, stiamo per cominciare una nuova vita insieme e anche mio padre ci supporterà.»
Joe si sollevò e si stese sopra di lui, facendogli schiudere le cosce per potersi sistemare meglio contro il suo corpo. Martin si godette il suo bellissimo viso delicato incorniciato dai boccoli castano chiaro e le sue iridi azzurre che sembravano leggergli dentro nonostante la cecità.
Fece scorrere i polpastrelli sulla guancia magra di Joe e si ritrovò a sorridere.
«Vuoi ancora vivere con me? Anche se ho fatto un casino per le zanzariere?» chiese il suo ragazzo in tono lievemente lamentoso.
Martin rise appena e lo strinse forte al petto. «Non senti quanto è comodo questo letto? Non vedo l’ora di inaugurarlo con te» mormorò, sporgendosi per baciarlo sulla tempia.
«Okay, ora basta, altrimenti ci toccherà farlo adesso e non mi sembra il caso…» Joe si divincolò a malincuore dal suo abbraccio e tornò a mettersi in piedi, muovendo il piede sul pavimento per cercare il bastone. «Mi aiuti a cercare quel dannato arnese?»
Il moro si raddrizzò a fatica e si impose di ignorare il velo di eccitazione che l’aveva avvolto nel ritrovarsi con il corpo del compagno sul proprio.
Mentre gli porgeva il bastone bianco, si rese conto che era veramente impaziente all’idea di cominciare quella nuova avventura con lui, non gli importava più di ciò che sua madre gli aveva sputato in faccia.
Avrebbe continuato a fare male – un male fottuto –, però prima o poi sarebbe stato sempre meno fastidioso. Avrebbe semplicemente imparato a conviverci, se ne sarebbe fatto una ragione.
Petra Rose Harris – anche se ormai insisteva per essere chiamata Plum, il suo cognome da nubile – aveva deciso di allontanarlo per sempre da lei.
Aveva smesso di essere sua madre.
 
 
Abitavano da pochi giorni nella nuova casa – tutto era ancora a soqquadro e Martin aveva chiesto una settimana di ferie per poter sistemare l’appartamento insieme a Joe – quando il suo fidanzato decise di mettere su un po’ di musica.
Non aveva idea di chi cantasse, però il brano che scorreva in sottofondo e si espandeva dalla cassa bluetooth aveva qualcosa di ipnotico e particolare; Martin non si intendeva di band o generi musicali, ascoltava ciò che trovava in radio, in particolare nella sua stazione preferita: poteva sempre trovare le novità discografiche del momento e questo gli bastava.
Martin si affacciò alla camera da letto e notò che Joe, mentre canticchiava a bocca chiusa, sistemava alcuni vestiti nell’armadio. Si era ambientato abbastanza in fretta, anche se questo aveva significato procurarsi diversi lividi e andare a scontrarsi con ostacoli del tutto nuovi per lui.
«Cosa stai ascoltando?» domandò il moro.
«Rammstein» replicò Joe senza badare troppo a lui.
«Si chiama così la canzone?»
Il riccio ridacchiò. «No, Rammstein è il nome della band.»
«Sono scandinavi o qualcosa del genere? Non è inglese questo» chiese ancora, facendo qualche passo all’interno della stanza e tentando invano di afferrare qualche parola del brano.
«Sono tedeschi» spiegò il suo ragazzo, appendendo con estrema cura dei pantaloni.
«Ah. E tu sai cosa stanno dicendo?» Martin si avvicinò ed esaminò il lavoro finora svolto da Joe, annuendo. «Che bravo, stai mettendo tutto in ordine» lo canzonò.
«Grazie, mamma. Comunque, no che non lo so. Dovrei cercare le traduzioni dei loro testi, però…»
Il moro si strinse nelle spalle. «Come fai ad ascoltare una canzone senza sapere il significato del testo?»
«Sei tu quello strano, dato che non ti lasci mai trascinare dalla musica. Dalle sensazioni.» Joe si sedette sul bordo del letto. «Vieni qui.»
Martin obbedì e si accomodò al suo fianco, sorridendo divertito. «Che hai in mente? Sembra che tu voglia farmi uno di questi discorsi sulla vita, di quelli che fanno i genitori quando scoprono che i loro figli non sono più bambini…»
«Ma tu sei ancora un bambino» lo rimbeccò il riccio, inclinando il capo verso sinistra e assumendo un’espressione maliziosa.
«Senti chi parla. Dai, cosa vuoi dirmi?»
Joe sorrise e gli circondò la vita con un braccio, trascinandolo ancora più vicino a sé; intrecciò le dita alle sue e si schiarì appena la voce. «Chiudi gli occhi, vedente» lo incoraggiò.
Martin aggrottò la fronte, ma decise di dargli retta: era curioso di sapere cosa avesse in mente.
«Ascolta soltanto, senza pensare» sussurrò ancora il suo ragazzo.
Il moro annuì e si concentrò: la voce di quel tizio tedesco era ipnotica e profonda, aveva un timbro particolare e duro, ma che nascondeva anche una vena diversa: più dolce, sensuale, intensa.
Tornò alla realtà soltanto quando la canzone finì.
«Rimettila» soffiò Joe.
Martin afferrò l’iPhone del suo ragazzo e si ritrovò di fronte alla schermata di Spotify, dove in quel momento era in riproduzione Points Of Authority dei Linkin Park. Cliccò sul pulsante per tornare indietro e fece ripartire la canzone dei Rammstein.
«Rosenrot? Si dice così?» chiese, pronunciando la parola come fosse inglese.
«Ascolta e lo capirai. Lascia il telefono e chiudi gli occhi» replicò Joe.
Martin annuì e si immerse nuovamente nel brano in riproduzione.
Ancora una volta si sentì trascinare dalla voce ipnotica di quell’uomo, dal modo in cui pronunciava parole che non comprendeva e che – si accorse – non gli importava di capire in quel momento.
Prestò maggiore attenzione alle proprie sensazioni e si scoprì a rabbrividire più volte, come se la canzone ce l’avesse sottopelle.
Avvertì l’impulso di aprire gli occhi e per un attimo lo fece, rendendosi conto che la magia scompariva subito. Così abbassò le palpebre e abbracciò più forte Joe: non sarebbe mai riuscito a ringraziarlo abbastanza per il modo in cui gli insegnava a vedere il mondo con occhi diversi.
Quando la canzone terminò nuovamente, Martin si rese conto che gli occhi gli pizzicavano un poco.
«Allora? È davvero così importante capire cosa significa il testo?» domandò Joe mentre la canzone successiva si espandeva dalla cassa bluetooth.
«No.» Martin scosse appena il capo. «Però sarei curioso di scoprirlo» ammise.
«Puoi sempre cercare su Google. E dimmi, ti piace?»
Il moro si volse a guardarlo e fece scorrere le dita tra le sue ciocche castano chiaro. «Non è male.»
Lo vide aprirsi in un bellissimo sorriso. «I Rammstein devono piacere a tutti, non può esistere qualcuno che li odia! Anche un ignorante come te non può niente contro la loro genialità» lo prese in giro.
Martin aggrottò la fronte e gli tirò i capelli. «Come mi hai chiamato? Ripeti se hai il coraggio!»
«Ignorante. Sei ignorante come una sedia.» Joe scoppiò a ridere e lo spinse scherzosamente.
«Che dici? Le sedie non possono avere una psiche.»
«Appunto» ribatté Joe, trattenendo un’altra risata.
«Che coglione» bofonchiò Martin.
Il suo ragazzo cercò con le mani il suo viso e si sporse per baciarlo piano. «Sono contento che ti sia piaciuta. È una canzone bellissima.»
«Non è male» ripeté il moro, soffiandogli un altro bacio a fior di labbra.
Si scambiarono dolci attenzioni per un po’, poi Martin si scostò a malincuore dal suo compagno.
«Che c’è?» sussurrò Joe.
«Ti rendi conto che noi due guardiamo lo stesso mondo, ma lo vediamo con occhi diversi
Joe ghignò. «Io veramente non vedo un cazzo» ironizzò.
Martin gli pizzicò la guancia. «Stupido, sono serio! Tu mi insegni sempre modi nuovi di vedere le cose. E io, beh, spero di fare lo stesso.»
«Certo che lo fai. Da quando ti conosco mi sento più… normale
Stavolta fu Martin a ghignare. «Ne siamo sicuri? Normale, tu?»
«Ecco, lo sapevo!» Joe sospirò e si mise nuovamente in piedi. «Dai, continuiamo a sistemare, altrimenti non ti basterà una settimana di ferie.»
«Che hai capito?» Martin lo prese per i fianchi e lo trascinò a sedere sulle proprie ginocchia, schiacciando le labbra sul suo collo. «Ho chiesto dei giorni di riposo solo per stare con te» mormorò.
Il riccio inclinò il capo all’indietro e sospirò, lasciando che gli scostasse le ciocche chiare per poter marchiare meglio la sua pelle.
Intanto la musica continuava a fare da sottofondo alla loro nuova vita, ma ormai nessuno dei due vi prestava particolare attenzione, presi com’erano l’uno dall’altro.
 
 
Erano appena usciti dal supermercato quando Martin la vide: l’inconfondibile caschetto rovinato dalle tinture, le forme generose e l’andatura impettita, sua madre camminava sul marciapiede accanto a una donna che non aveva mai visto prima.
Si dirigevano nella loro direzione, forse stavano per entrare a fare la spesa.
Nonostante lei cercasse di dissimularlo, Martin notò il suo viso impallidire non appena lo riconobbe.
Si irrigidì al fianco di Joe e si fermò a pochi passi dall’uscita del market.
«Che succede?» domandò il suo ragazzo, rendendosi conto del repentino cambiamento del suo atteggiamento – era incredibile quanto Joe riuscisse ad accorgersi di un sacco di cose, nonostante non potesse affatto scorgere le sue espressioni o i suoi movimenti.
«C’è mia madre» borbottò il moro.
«Allora? Che vuoi fare?»
Ci rifletté per un attimo: in un primo momento pensò di ignorarla e dirigersi in fretta verso l’auto, poi cambiò idea; forse poteva sembrare stupido, ma sperava che in fondo al cuore di Petra Rose ci fosse ancora un po’ d’affetto per il suo unico figlio.
«Provo a parlarci. È con una tizia che non ho mai visto» sussurrò, poi si voltò in direzione di lei e sorrise appena. «Ciao, mamma» esordì non appena furono a pochi passi di distanza.
La donna si fermò e lo scrutò da capo a piedi, dipingendosi in viso un’espressione confusa. «Dici a me?» chiese.
«Petra, tesoro, non mi avevi detto che hai un figlio! Che bel ragazzo!» cinguettò la signora che era con lei, una tipa tozza e grassottella con il viso rotondetto e simpatico.
«Infatti non ho un figlio» affermò l’altra, fulminando Martin con un’occhiata truce. «Questo ragazzo dev’essersi confuso. Fa caldo, il caldo fa venire le allucinazioni» proseguì.
«Ma lo sa che lei è proprio una stronza?»
Martin sobbalzò nell’udire la voce del suo ragazzo fare capolino alle sue spalle. Joe si affiancò a lui e strinse con forza il manico del bastone, le labbra serrate in una smorfia rabbiosa.
«Joe, lascia stare…» lo implorò.
«Petra, tesoro, non capisco cosa sta succedendo» borbottò l’amica di sua madre con aria confusa.
«Ah, nemmeno io. Andiamo a fare la spesa, i giovani non hanno più rispetto e credono di avere il diritto di disturbare le persone più grandi di loro» sibilò tra i denti, riprendendo a camminare verso l’ingresso del supermercato.
«Perché mi fai questo?» esalò Martin, allungando una mano per fermarla.
Lei, tuttavia, continuò a ignorarlo e a borbottare tra sé e sé, sproloquiando su quanto fossero maleducati e inopportuni quei due ragazzini insolenti.
«Se ne pentirà, glielo assicuro! E allora sarà troppo tardi!» sbraitò Joe, tremando per la furia che stava divampando nel suo petto.
Martin lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e dovette far leva su se stesso per non farsi scivolare i sacchetti della spesa dalle dita sudate. «Andiamocene di qui» affermò.
«Ma Martin, non puoi lasciare che ti tratti così! Portami da lei, giuro che la prendo a cazzotti!»
«Joe, basta. Andiamo a casa e non pensiamoci più.»
L’altro comprese che non era il caso di replicare oltre e si limitò a seguirlo, utilizzando il suo bastone per schivare gli ostacoli e farsi strada verso il parcheggio.
Una volta saliti in auto, Martin abbandonò la testa contro il volante e non gli importò che fosse rovente per via delle temperature mostruose di fine luglio. «Non può averlo fatto davvero…»
Joe subito si sporse verso di lui e gli passò le dita tra i capelli, tirandoli indietro. «Non sa cosa si perde. Tua madre è proprio come la mia: un’idiota» commentò stizzito.
«Forse ha ragione, forse ho sbagliato tutto, io…»
Ma Joe non gli permise di continuare e lo strattonò per i capelli. «Non dire stronzate. Ci manchi solo tu a farmi incazzare, porca puttana!» Spostò le mani ad artigliargli il braccio e lo scosse. «Non hai fatto niente di male, niente! È lei che non vuole vedere oltre il suo naso. Ti rendi conto che una madre non rinnegherebbe mai suo figlio di fronte a qualcun altro? Lei non voleva che la sua amica sapesse chi sei per non essere giudicata una con il figlio strano! Che intelligente!»
Martin sapeva che Joe aveva ragione, tuttavia non riusciva proprio ad accettare quella situazione; sentiva le forze abbandonarlo e la speranza dissolversi sempre più in fretta: si era illuso e ancora una volta era rimasto deluso.
«Voglio parlare con mio padre» riuscì a esalare, raddrizzandosi sul sedile. Allungò la mano destra e strinse quella di Joe, voltandosi lentamente a guardarlo. «Grazie per esserci sempre» aggiunse.
«Posso capire come ti senti, vivo le stesse cose con mia madre.»
Martin annuì: lo sapeva, il suo ragazzo era più o meno nella medesima situazione, con la differenza che non poteva neanche contare sulla presenza rassicurante di suo padre. Comprese di essere fortunato perché poteva sempre rivolgersi a qualcuno che lo accettava davvero, qualcuno che aveva il suo stesso sangue e che lo amava incondizionatamente.
Sorrise lievemente. «Sei stato coraggioso a dire quelle cose a mia madre.»
«Petra Rose non è più tua madre, okay? Lei ti ha cancellato, bene: fallo anche tu!» affermò Joe perentorio, sbuffando infastidito.
«Non sarà facile.»
«Ma non hai altra scelta. O vuoi forse continuare a soffrire così? Vuoi ancora permetterle di trattarti male? No, perché io sinceramente ho soltanto voglia di mollarle un pugno in bocca!»
Martin si sporse verso di lui e lo baciò sulla tempia. «Grazie, davvero.»
«Adesso smettila di fare lo sdolcinato e andiamo a casa, così puoi chiamare Harry e chiedergli di venire a cena da noi dopo il lavoro» disse il suo ragazzo, sciogliendo la stretta tra le loro dita.
«Ma non abbiamo il tavolo!» protestò Martin.
«In questi giorni lo compriamo, tranquillo. Ma se ordiniamo una pizza, il tavolo non servirà.» Joe si strinse nelle spalle e si sventolò la mano di fronte al viso. «C’è un caldo fottuto. Andiamo o no?»
Martin mise in moto e abbassò i finestrini, rendendosi conto ancora una volta di quanto fosse fondamentale per lui la presenza di quel ragazzo così forte e determinato.
Avrebbe tanto voluto essere come lui.
 
 
Suo padre, seduto sul divano, prese un altro boccone di pizza. «Non mi hai ancora detto com’è andata con Petra» farfugliò.
Martin alzò gli occhi al cielo. «Perché tutti avete il vizio di parlare mentre masticate?»
«Tutti chi?»
Joe ridacchiò, stravaccato sulla sua poltrona preferita – era in velluto rosso e Martin si domandava spesso come potesse sopportare quel tessuto sulla pelle durante l’estate.
«Joe è come te. Non è che è lui tuo figlio e non lo so? Tanto ormai ho perso la madre, tanto vale perdere anche il padre…» commentò, rendendosi conto troppo tardi di essere risultato più aspro di quanto desiderasse.
«Figliolo, non dire così» tentò di rassicurarlo Harry, rivolgendogli un’occhiata colma di preoccupazione.
«È vero, non sai cosa ha fatto quella stronza quando ci ha incontrato fuori dal supermercato e tuo figlio l’ha salutata!» intervenne Joe, per poi mandare giù l’ultimo boccone della sua pizza.
«Non voglio parlarne, vi prego…»
«Raccontami cos’è successo.»
Martin sospirò, capendo di non poter più sviare l’argomento; forse gli avrebbe fatto bene sfogarsi con suo padre, anche perché ancora non gli aveva riferito la conversazione avvenuta con Petra Rose più di una settimana prima.
Così cominciò a vuotare il sacco, riversando sull’unico genitore che gli era rimasto tutta la frustrazione, tutto il dolore e il male che quella donna gli aveva fatto. Aveva sempre cercato di essere un bravo figlio, un ragazzo educato e rispettoso, sempre e solo per compiacerla e per farla felice; eppure non era servito a niente, lei lo aveva rinnegato senza pensarci due volte solo perché non poteva sopportare che in giro si spargesse la voce che avesse un figlio come lui.
Si ritrovò a pensare – tristemente – che almeno la madre di Joe non si vergognava di lui, non cercava di nascondere al mondo il loro legame; certo, era bigotta e convinta di poter guarire suo figlio dall’omosessualità presentandogli delle ragazze, però almeno non aveva smesso di parlarci, di cercarlo, di amarlo – non del tutto, Martin era certo che lo facesse a modo suo.
Non poteva giustificare il comportamento di Cecilia Sandys, però ciò che sua madre aveva fatto era decisamente peggio.
«Petra è sempre stata così» disse suo padre non appena Martin concluse il suo racconto.
«Dovrebbe conoscere mia madre: andrebbero d’accordo» ironizzò Joe, stringendo appena i pugni.
«Sapevo che avrebbe reagito così. Ha fatto lo stesso con me quando le ho detto che volevo lasciarla.»
Martin guardò suo padre negli occhi. «Non mi hai mai raccontato tutta la storia.»
«C’è poco da dire: le ho chiesto il divorzio perché non la amavo più come meritava e lei ha fatto una tragedia. Ha cominciato a disperarsi perché tutti avrebbero detto di lei che era una povera incapace, che non sapeva neanche tenersi un marito. Quando le ho spiegato che il problema ero io e che mi ero accorto di essere attratto dagli uomini, non ha battuto ciglio. Mi ha detto: l’importante è che non si sappia in giro e mi ha buttato fuori di casa.»
Joe sbuffò rumorosamente e incrociò le braccia al petto. «Il parere della gente prima di tutto, certo! Harry, non dovevi dirmelo: ho ancora più voglia di spaccarle la faccia.»
Martin era scosso: non poteva credere che la mente di Petra Rose arrivasse a tanto.
«Figliolo, vedi… devi capire che tu non hai fatto niente di male. Lei non sopporta che si parli male della famiglia perfetta che si è creata, tutto qui. Preferisce rinnegarci, piuttosto che ammettere la realtà dei fatti. Non è che Petra non accetti le persone omosessuali, il discorso è leggermente diverso.»
Joe si sporse in avanti sulla poltrona. «Ho capito: lei potrebbe anche non avere niente contro i gay, ma non sopporta il peso dei giudizi degli altri. Cosa penserebbero se sapessero che suo marito e suo figlio sono gay? Crederanno che anche lei sia una strana
«Proprio così. E noi, mio caro Martin, non possiamo proprio fare niente per lei.» Harry chinò il capo e si tirò indietro i capelli brizzolati con un gesto brusco. «Ormai ha queste convinzioni e solo lei può decidere di cambiarle.»
«Non lo farà mai» concluse Martin, grattandosi il mento con fare pensoso. «Avete ragione.»
«Lo diciamo per il tuo bene» aggiunse Joe.
Martin guardò prima il suo ragazzo, poi suo padre: erano due persone meravigliose, le più importanti della sua vita insieme a Ben.
Non avrebbe saputo come fare senza di loro.
«Harry?» chiamò Joe.
L’uomo si voltò nella sua direzione e gli appoggiò una mano sul braccio. «Sì?»
«Gli saltiamo addosso?»
«No, vi prego!» Martin sollevò le mani per tentare di ripararsi dall’attacco, ma poco dopo si ritrovò stretto in un abbraccio soffocante, stritolato tra i corpi familiari e rassicuranti di suo padre e del ragazzo che amava.
Cedette e tutti e tre rovinarono sul divano, lui schiacciato sotto gli altri due e loro a soffocarlo in una stretta di cui aveva assolutamente bisogno nonostante l’afa che permeava l’appartamento.
Joe cominciò a fargli il solletico e a mordergli le guance finché tutti non scoppiarono a ridere, alleggerendo finalmente l’atmosfera cupa e malinconica che aleggiava fino a poco prima.
Harry si sollevò a fatica e continuò a sghignazzare, lasciandosi cadere sfinito sulla poltrona rossa. «Sono vecchio, mi avete distrutto!» esclamò.
Martin prese meglio Joe tra le braccia e lo tenne accanto a sé, rivolgendo un’occhiata divertita al padre. «Vecchio, ora non esageriamo!»
«Guarda che tra una ventina di giorni compirò cinquantanove anni» replicò l’uomo.
«E allora? Harry, sei un giovanotto!» scherzò Joe con una risata.
Martin ridacchiò. «Meno male che ci siete voi…»
«Ci saremo sempre.» Joe lo baciò lievemente sulle labbra. «Perché ti amiamo e non vogliamo che tu soffra. Vero, Harry?»
L’uomo si alzò dalla poltrona e annuì, scompigliando i capelli a entrambi. «Certo. Adesso però me ne vado, domani mi devo svegliare alle sei. Mi aspetta un’altra dura giornata di lavoro.»
I due fecero per alzarsi, ma lui scosse il capo e sorrise intenerito.
«Ti accompagno, papà!»
«State tranquilli e rilassatevi. Godetevi il vostro tempo insieme, questa nuova casa e non pensate alle cose negative.» Lasciò loro un’ultima carezza sul capo e, recuperate le chiavi della macchina, si avviò verso l’uscita a passo spedito. «Buonanotte.»
«Buonanotte, Harry!» gridò Joe in risposta.
«Ciao!» gli fece eco Martin.
Una volta soli, rimasero in silenzio ad accarezzarsi e scambiarsi dolci effusioni.
Martin si sentì infinitamente grato per ciò che aveva e comprese che doveva seguire il consiglio del suo ragazzo: ignorare sua madre, perché non poteva fare altro. Non poteva obbligarla a volerlo, non poteva costringerla a essere fiera di lui.
Doveva soltanto concentrarsi sulle persone che contavano davvero e per cui lui era importante.
Come suo padre, Ben e Joe.
Joe che era la sua roccia, la sua ancora di salvezza, anche se tutti pensavano che fosse il contrario; Martin aveva deciso fin dal primo istante di proteggere quel ragazzo perché aveva avuto l’impressione che fosse fragile e debole.
Gli era bastato conoscerlo meglio per accorsi di quanto si era sbagliato.
Mentre lo cullava tra le braccia e lo baciava lentamente, si disse che voleva essere più forte e determinato per il suo uomo.
Anche lui voleva essere la sua roccia e supportarlo quando ne aveva bisogno.
Non avrebbe permesso a nessuno di farlo sentire sbagliato – mai più.
Nemmeno a colei che, ormai, non era più sua madre.
 
 
 
 
 
 
♥ ♥ ♥
 
Ed eccomi qui a presentarvi una nuova storia dal punto di vista di Martin.
È stato difficile scriverla perché mi fa sempre male sapere che uno dei miei personaggi soffre in questo modo, però ce l’ho fatta e sono contentissima!
Questo testo è ambientato a luglio 2019, periodo in cui Martin&Joe vanno a convivere e inaugurano la loro casetta – ancora non avevano comprato il famoso tavolo rotondo XDD
Qui abbiamo conosciuto – purtroppo – quella dinosaura della madre di Martin, un bell’esemplare giurassico che fa decisamente concorrenza alla signora Cecilia Sandys, sua controparte nella vita di Joe.
Voi direte: com’è che questi due hanno entrambi una madre degenere? Ebbene, lettori, nella vita tutto è possibile, ve lo posso assicurare perché io conosco un sacco di persone legate tra loro da amore o amicizia che hanno situazioni famigliari simili -.-
Per fortuna che c’è quel mito di Harry Harris, sempre pronto a supportare suo figlio e a stargli accanto in ogni occasione!
Il fatto che il padre di Joe sia morto quando il figlio aveva solo dodici anni l’ho accennato anche in altre storie, e sicuramente questo non l’ha aiutato a tener testa alla madre… povero :/
La frase in corsivo, “Guardiamo lo stesso mondo, ma lo vediamo con occhi diversi”, faceva parte del mio pacchetto per il contest di Valeria, che ringrazio per avermi tanto ispirato e permesso di approfondire un altro aspetto della vita dei miei bimbi *___*
La canzone dei Rammstein che hanno ascoltato, intitolata Rosenrot, potete ascoltarla qui (fatelo, è bellissima):
https://www.youtube.com/watch?v=af59U2BRRAU
Se vi interessa, vi lascio anche il link di Points Of Authority dei Linkin Park (il gruppo preferito di Joe :D) dal cui testo è tratto anche il titolo della storia:
https://www.youtube.com/watch?v=yoCD5wZEgo4
Spero che la storia vi sia piaciuta e che tutto sia risultato chiaro e scorrevole ^^
Vi ringrazio anche solo per aver letto, alla prossima ♥
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight