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Autore: Petricor75    04/02/2021    0 recensioni
SCRITTO A QUATTRO MANI CON REAPERONZOLO
Post Alien Resurrection Director's Cut. Ripley8 e Call fanno i conti coi fantasmi dei loro rispettivi passati. E mentre cercano di capire come affrontare il presente e trovare un posto dove costruirsi una parvenza di vita, hanno l'opportunità di conoscersi meglio e sostenersi a vicenda. Potrebbero anche innamorarsi, nel frattempo.
Alien e i suoi personaggi non mi appartengono e questa storia è stata scritta senza scopo di lucro.
I commenti sono bene accetti, fateci sapere se vi piace la storia e perché. Basta solo un minuto, c'mon! ^__^
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO UNO

La terra scivola via dal suo pugno chiuso, si disperde nel vento.

"Sai, una persona potrebbe facilmente far perdere le proprie tracce qui intorno, se lo volesse"

Come la creatura si è dispersa nel Vuoto, poco prima. -Perché?-

"Cosa ne pensi?"

Per mano sua. -Perché?-

"Cosa dovremmo fare?"

"Non lo so, anche io sono una straniera qui", è stanca. No, è esausta. Vuota. Dovrebbe... vorrebbe, essere morta. Così da non sentire più niente. -"Come puoi sopportare di essere quello che sei?"-

"Ripley...", Call le sfiora timidamente il braccio con la punta delle dita, nel goffo tentativo di esserle in qualche modo di conforto. Il clone sussulta, ma lei si obbliga a mantenere il lieve contatto. L'immagine del suo volto contorto dal dolore, mentre solo pochi minuti prima ha affrontato quella creatura, l'ha spiazzata, lì per lì, ma le ha fatto realizzare che, da qualche parte, dietro a quella facciata imperturbabile, si nasconde ancora la vecchia Ellen Ripley, umana, e a volte vulnerabile. Sa che il suo conforto difficilmente farà la differenza, ma è tutto quello che può offrirle, in questo momento.

"Sai, va bene provare tristezza, dopo quello che è successo. Quella creatura... lei... tu... non avevi scelta", le dice sottovoce, osservandola annuire con il viso contratto. La sua mano scivola in mezzo alle sue scapole.

"Dovresti riposare un po'", l'androide suggerisce, addolcendo il tono e accarezzandole le spalle.

Il clone deglutisce sonoramente, inala un profondo sospiro e raddrizza la schiena. Una parte di lei vorrebbe solo scrollarsi di dosso quella mano premurosa. Ma quando Call interrompe il contatto, per alzarsi dalla roccia sulla quale sono entrambe sedute, lei ne sente immediatamente la mancanza.

"Vado a fare una stima dei danni. Quando sei pronta per rientrare, ti trovo un posto per dormire, okay?", l'Auton la guarda finché Ripley le fa un cenno affermativo col capo, dopodiché le da le spalle, dirigendosi verso la Betty. Prima di sparire oltre il boccaporto, si volta un'ultima volta verso di lei, e accorgendosi che la donna la sta guardando, le abbozza un sorriso mesto, sperando invano di essere ricambiata.

La ragazza scompare all'interno della Betty, prima che Ripley si decida a ricambiare quel piccolo gesto di supporto. Si chiede come sia possibile che un androide abbia un repertorio così vasto di sorrisi. Ognuno adatto a una determinata situazione. Questo non è stato certo come quello che le ha visto indossare in più di un'occasione.

La prima volta che lo aveva visto, uno di quei tanti sorrisi, non era stata lei a provocarlo. Era stato Vriess, inconsapevolmente. Quando era sbucato da quell'ascensore, solo con qualche bruciatura da acido di xenomorfo addosso. Il primo, vero, genuino sorriso di cui i suoi occhi fossero mai stati testimoni. O almeno, il primo della sua recente esistenza. Il primo che riuscisse a ricordarsi chiaramente, per lo meno.

Assistendo a quello spettacolo, emozioni contrastanti avevano lottato dentro di lei. La meraviglia, nel vedere i suoi lineamenti ammorbidirsi ed espandersi, e distendersi, e le sue labbra carnose incurvarsi all'insù. E a quell'immagine incisa nella sua memoria, i suoi lineamenti rispondono istintivamente imitandone la mimica facciale.

Dura solo pochi attimi, prima che le torni in mente che solo qualche minuto prima che Vriess li raggiungesse, non era stato con lo stesso sguardo che aveva accolto lei all'interno del gruppo di fuggitivi. L'espressione di disgustata diffidenza che aveva riservato a lei, l'aveva colpita più delle parole poco gentili con le quali l'aveva descritta agli altri.

E il sorriso di poco prima si spegne velocemente. Non si sarebbe mai aspettata che potesse guardarla così. Non dopo averle mostrato tanta misericordia, nella sua cella. -"Posso porre fine a tutto, al dolore, a quest'incubo, questa è l'unica cosa che posso offrirti"- Ma forse, se l'era cercata, vista l'ambiguità con cui l'aveva trattata durante quel loro primo incontro e il modo brusco con cui alla fine l'aveva sbattuta fuori dalla sua cella.

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"Vriess, le trasmissioni?", l'androide si avvicina all'amico, ancora seduto alla postazione di comando della malconcia navetta.

"Sono tutti concentrati sullo schianto dell'Auriga. Penso che possiamo stare tranquilli per qualche giorno. La Betty si fonde perfettamente con questo paesaggio, sarà molto difficile che ci notino. Se siamo fortunati, abbiamo il tempo per rattoppare almeno i danni peggiori", l'uomo la informa con voce stanca.

"Okay, dov'è Johner?", la ragazza domanda guardandosi in giro.

"La tua cabina è un bordello, Ironside!", il gigante borbotta rientrando dal retro della nave, trasportando sopra la testa una vecchia sedia a rotelle. "Gli scudi termici sono andati a puttane sul ponte B. Metà degli alloggi è uno schifo, tutto inghiottito dalle brecce sullo scafo, per poco non ci passava anche questa", conclude sbatacchiando il vecchio presidio accanto al compagno pirata.

"Com'è messo l'alloggio di Elgyn?", il ragazzo gli domanda pensieroso, trasferendosi agilmente sulla sedia a rotelle.

"L'unica salva, insieme alla mia e a quella di... tostapane qui", l'uomo si avvicina rozzamente all'androide, squadrandola da capo a piedi, con espressione disgustata.

Call ne ha abbastanza, con un gesto repentino gli salta al collo, scaraventandolo sonoramente a una parete. Con una mano stretta attorno alla sua gola e l'altra saldamente ancorata ai suoi organi genitali, ogni tentativo di Johner di liberarsi è inutile.

L'uomo smette di dibattersi quasi immediatamente, improvvisamente preoccupato per la sorte dei propri genitali, più che per la difficoltà a respirare.

Ripley raggiunge a grandi falcate la Betty, allarmata dal clangore che ha udito provenire dall'interno. La voce dell'androide le arriva all'orecchio ancora prima che abbia raggiunto l'entrata. Si blocca, incuriosita dal tono calmo di Call. Tende l'orecchio, il corpo contratto, in silenzio.

"Tostapane si è rotta le palle della tua maleducazione, stronzo! E siccome non ha più motivo di nascondersi dietro la facciata della ragazzina indifesa, sarà meglio che tu impari a tenere a freno la lingua, se ci tieni a tenerti attaccate addosso tutte le tue inutili appendici", la giovane sibila a pochi centimetri dall'orecchio di lui.

L'ibrido sbuffa un sorriso, piacevolmente divertita, sorpresa e incuriosita dalla sua audacia. Un moto di orgoglio nei suoi confronti fa inaspettatamente capolino in qualche parte della sua coscienza. Si riscuote, ansiosa di vedere, oltre che di udire, e varca la soglia della navetta.

"Anche sociopatici e psicopatici parlano spesso in terza persona, io non la prenderei in coglionella, fossi in te", l'ibrido fa il suo ingresso, lanciando prima un'occhiata veloce a Johner, ancora premuto contro la parete del mezzo, per poi fissare gli occhi in quelli dell'androide, con un sopracciglio alzato e un sorrisetto ammirato tra le labbra.

Call lascia subito la presa sull'uomo, colta di sorpresa. La guarda, sentendosi giudicata nel suo scatto aggressivo, stupita nello scoprire che Ripley è tutt'altro che sconvolta dal suo gesto di ribellione.

Il meccanico si raschia la gola, portandosi una grossa e rozza mano al collo, dolorante per la formidabile stretta di Call. Si azzarda a guardarla in cagnesco, sfruttando il momento di distrazione della ragazza per l'ingresso del clone. -Piccola Call un cazzo! È più forte del previsto, fottuto robot!-

"Okay, Vriess, va' a riposarti un po' nell'alloggio di Elgyn. Vai anche tu, Johner. Io inizio a ripulire", Call ordina in tono perentorio.

"Che c'è, ora comandi tu?", Johner ringhia sputando saliva. Proprio non gli va giù, cazzo, di farsi comandare da una puttanella a batteria!

"Allora non hai proprio capito un cazzo!", Ripley esclama esasperata.

"Comando io!", Vriess s'impone, sforzandosi di mantenere un tono deciso. I suoi occhi dardeggiano tra i compagni superstiti, nel tentativo di sembrare più sicuro di quello che è in realtà. "Dopo Elgyn e Christie, spetta a me il comando della Betty. E Call ha ragione, abbiamo bisogno di riposare. Vattene a dormire, Johner", l'uomo lo liquida, convalidando le decisioni dell'androide, che di rimando, con un cenno affermativo del capo, gli trasmette il suo appoggio.

Johner sputa per terra, squadrandoli tutti e tre da capo a piedi, in un un'ultima manifestazione di sfida, dopodiché sparisce a grandi falcate.

Vriess si congeda poco dopo, manovrando il mezzo arrugginito e cigolante. È una fortuna che tra le cabine rimaste intatte ci sia proprio quella di Elgyn, non tanto perché ha il letto più grande e comodo di tutti, che già di per sé, sarebbe un incentivo più che sufficiente, ma soprattutto per via di quel che si aspetta di trovare nella cassaforte di cui al momento è l'unico a conoscerne l'esistenza, l'ubicazione e soprattutto la combinazione.

"Vieni", l'androide le volta le spalle, avviandosi nel corridoio buio.

"A quanto pare non hai bisogno di aiuto, per prenderti qualche ricordino", Ripley scherza, sentendola sbuffare. "Sapevo che eri una cazzuta", aggiunge, mentre varcano la soglia di quella che sembra essere una piccola sala ristoro. Call raggiunge un alto armadietto, lo apre e si allunga, nel tentativo di raggiungere il ripiano.

"Cazzuta, ma nana", il clone scherza, venendole in aiuto. La guarda dritto in faccia, con un sopracciglio alzato e un'espressione di finto scherno, mentre alza un braccio e agguanta una manciata di involucri, apparentemente tutti uguali, depositandoli nelle mani della giovane.

La ragazza alza gli occhi al cielo, con aria divertita. Stranamente, non è infastidita dalla battuta di Ripley, tutt'altro. Dopo tutto quello che è successo, il fatto che la donna abbia ancora voglia di scherzare, è più che ammirevole.

Incoraggiata dalla sua reazione, il clone decide di continuare a scherzare.

"Certo che potevano costruirti anche un po' più alta, i tuoi creatori", commenta ridacchiando. Call sbuffa un sorriso, arrossendo e mordendosi il labbro inferiore.

"Non fare quella cosa", l'altra le dice, cercando di riconoscere la sensazione che quella reazione ha provocato.

"Quale cosa?", Call risponde in tono canzonatorio.

"Quella roba che fai con la faccia quando sei imbarazzata", Ripley specifica. Voleva solo farla ridere, ma come già era capitato in precedenza, aveva appena assistito a molto più di quello che aveva cercato di ottenere. -"Vuoi un altro ricordo?"- Occhi brillanti sopra un sorriso incerto, rossore improvviso sulle guance, un piccolo morso sul labbro inferiore. E per un attimo, solo per un attimo, Ripley si era dimenticata di respirare. "Mi distrae", aggiunge, non sapendo bene perché, ma sapendo che è la verità.

L'androide muove un passo, invadendo il suo spazio personale, sfidandola in tutta la sua altezza, si ferma a pochi centimetri dal suo corpo imponente, col capo rovesciato all'indietro per poterla guardare dritta negli occhi.

Ripley vince l'impulso di indietreggiare, lievemente confusa dall'atteggiamento dell'altra, e per un attimo i suoi occhi si fissano sulle sue labbra.

"Beh, va' a lamentarti coi miei creatori", Call esclama scherzosa porgendole uno degli incarti. "Mangia", le ordina.

Il clone obbedisce, tornando seria, seguendola di nuovo nel corridoio. Perché cazzo hanno dovuto farla così realistica? Continua a dimenticarsi di avere di avere a che fare con un robot, maledizione! Una costruzione, una programmazione, per Dio! Scuote il capo, allontanando il disagio di quel pensiero.

La barretta che sta masticando è fottutamente difficile da mandare giù, più per la sua consistenza farinosa che per la totale assenza di sapore. Dopo aver rovistato alla ricerca di indumenti puliti in due alloggi dalle pareti danneggiate, Call le fa cenno di entrare in un terzo.

Che significa -quella roba che fai con la faccia quando sei imbarazzata-? È la mia cazzo di faccia! Vai a sapere che avevano in mente i miei creatori! E che significa -mi distrae-? Call non si è mai trovata a farsi domande di questo genere, in precedenza. Nessuno degli umani che ha conosciuto si è mai lamentato della sua faccia!

"Puoi farti una doccia, se vuoi", l'androide le dice, depositando l'ammasso di indumenti sulla branda. Attraverso la minuscola porta interna che ha appena aperto, la donna scorge un piccolo bagno. Call torna verso di lei dopo aver riempito un bicchiere.

"Cerca di riposare, io resto di guardia per la notte", aggiunge porgendole l'acqua.

"Cosa possiamo fare per la tua ferita?", Ripley le domanda, ricordandosi dello sparo subito dalla ragazza. La osserva aprire e chiudere la bocca un paio di volte, come se fosse stata colta di sorpresa dalla sua domanda. Ingoia il contenuto del bicchiere in poche sorsate, sollevata di lavare via dalla sua bocca i resti dell'insipido pasto appena consumato.

"Si riparerà da solo quando mi ricaricherò", l'androide taglia corto.

"Ti fa male?", la donna chiede, curiosa.

"No, è solo... strano", la ragazza risponde un po' a disagio.

"C'è rischio che si aggravi, se ti muovi?", Ripley è stranamente in ansia, indecisa se sia per il pensiero di essere lasciata sola di lì a poco, o per l'idea che la ragazza, -l'androide-, sia in pericolo.

"No, si sta...", Call odia parlare di sé, della sua natura artificiale, sospira pesantemente e s'impone di darle una piccola spiegazione, "i nanobot nel mio circuito linfatico hanno già sigillato i vasi danneggiati", dice avviandosi verso la porta. "Riposa", insiste, e con un mezzo sorriso, si congeda lasciando l'alloggio.

Ripley si fa cadere pesantemente a sedere sulla brandina. Espira profondamente, colta all'improvviso dalla stanchezza fisica, oltre che mentale. Chiude gli occhi, ma l'immagine di Call che le sorride è ancora troppo vivida nella sua mente.

La prima volta che era stata lei a provocare quella reazione, non aveva deciso di farlo. Era capitato e basta. -"Sei programmata per essere un'imbecille?"- Assistere a quella meraviglia le aveva suscitato un'ilarità che non era stata capace di trattenere e non avrebbe neanche saputo come farlo, visto che a lei, era davvero la prima volta, che era capitato di ridere. -"Sei il nuovo modello d'imbecille immesso sul mercato?"-

Che strano suono avevano fatto le sue parole, uscendo dalla sua bocca mentre ridacchiava, sperando di prolungare il più possibile la reazione sul volto di Call.

Era stato allora, che si era accorta di quanto fosse diverso questo sorriso, da quello che le aveva visto in faccia quando il suo amico era riapparso, sano e salvo. Non era per niente lo stesso! Quella era stata solo un'espressione di sollievo e gioia nel vedere un amico sano e salvo. Questo era stato molto di più! All'inizio si erano solo incurvati gli angoli della bocca e una serie di tendini e nervi, sintetici e assolutamente invisibili e incredibilmente identici a quelli di una faccia umana, dotata di mimica eccezionale, avevano trasmesso l'espressione agli occhi. Ma quando Ripley aveva incalzato, la ragazza aveva chiuso gli occhi e d'istinto si era voltata dall'altra parte, cercando di vincere il sentimento, premendo insieme le labbra.

Come a volerle nascondere la reazione positiva che le sue battute le suscitavano. Come se si vergognasse, di aver reagito così. Come se non ne avesse diritto. Di ridere. In fondo, era solo un androide. Non c'era proprio un cazzo da ridere.

Si obbliga a sfilarsi gli stivali e gli abiti appiccicati addosso. Si obbliga a entrare nella minuscola doccia e a lavarsi via di dosso tutte le schifezze che ha accumulato durante le lunghe ore dell'attacco e della fuga. Non ha idea di quante ne siano passate. Non che abbia una qualche importanza.

S'infila un paio di slip e una maglia trovati tra il mucchio d'indumenti sulla branda, e senza preoccuparsi di spostarlo altrove, si sdraia, esausta. Il cuscino profuma di una vaga fragranza fruttata. La stessa che ha avvertito quando Call le ha fatto visita nella sua cella di detenzione, prima che tutto accadesse.

Anche quella volta si era soffermata a osservarle le labbra, più attentamente dell'occhiata fugace che le era sfuggita poco prima. Ma era stato diverso, allora. Quella piccola creatura era stata la prima, -la sola, cazzo-, che le avesse mostrato compassione e gentilezza. Che l'avesse trattata come una cosa viva e non come un oggetto da studiare, da punzecchiare, da stuzzicare, solo per vedere che reazione avrebbe avuto. E annotare meticolosamente tutto, a fini di studio. Ovvio che fosse incuriosita! Era stato come trovarsi davanti una specie completamente nuova. I suoi ricordi erano talmente ancora così confusi. Cosa era quell'essere? Perché le stava dicendo quelle cose? Perché si stava offrendo di concederle la morte? Aveva quasi ceduto alla tentazione, prima che il suo istinto di sopravvivenza prendesse il sopravvento.

Chiude gli occhi, rifiutandosi di indugiare oltre certi pensieri e dopo poco si addormenta pesantemente.

   
 
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