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Autore: Master Chopper    06/02/2021    0 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 39: I’m Waiting Here For You, And I’ll Remind You Of The Pain Forevermore

Nel distante angolo di spazio che mai sarebbe stato visto da umani o da dèi, una creatura senza più nome vedeva crescere suo figlio. Era stato il primo figlio che avesse mai amato, ed anche il primo figlio avuto dopo aver perso tutto ciò che era un tempo, per poi divenire il nulla all’interno del vuoto cosmico.

Idee e pensieri galleggiavano nell’enorme spazio tra il mondo dei mortali e quello degli immortali: sogni, speranze, augurii, promesse, desideri. Tutto ciò era braci della Fiamma della Sapienza, il Record of Ragnarok.

E come tutte le braci, per quanto possano danzare splendenti, finiranno sempre per ricadere in basso, ed accumularsi nella cenere.

“Padre, quando sarà per me il momento di distruggere il Concilio degli Dèi?!” Domandò il bambino nato nella cenere, guardando con entusiasmo il volto stanco ed annerito del genitore.

Voleva conoscere il “quando”, perché sapeva già il “cosa”. Era il motivo della sua nascita dopotutto. Avrebbe scalato quelle ceneri cadenti per raggiungere la cima dei Cieli, dove gli immortali che tanto si spintonavano per tentare di sorreggere l’ordine si sarebbero inchinati al suo volere.

Eppure era solo un bambino, con nient’altro da vivere se non il suo destino. La maledizione di suo padre.

“Angra Mainyu.” Gli rispose un giorno quel padre in cui tanto riponeva fiducia. “Tu non sconfiggerai mai gli dèi, e non distruggerai il Concilio.”

In quel momento, tutto ciò per cui aveva vissuto quel bambino si ridusse in frantumi, ed il suo castello di speranze, sogni e promesse si frantumò nella cenere.

“P-Perché?” Domandò tra le lacrime di disperazione.

Suo padre non sapeva il “quando”, ma sapeva il “cosa”.

“Perderai. Verrai sconfitto da dèi… e umani.”

 

 

I miti riportano Gaia come una dea primordiale forgiatasi attraverso il tradimento e la vendetta, ma queste storie nacquero fin troppo tempo dopo le reali vicende. Infatti, in quel momento non ci poteva essere nessun testimone, perché la creazione di tutto era appena incominciata.

Solo pochi protogenoi poterono vantare di assistere alla costruzione di un suolo da governare, ed un trono nei cieli da cui osservare il creato. Il Primo Concilio degli Dèi contava a tutti gli effetti i primi incaricati di gestire con i loro enormi poteri il suolo della Terra.

“Perché ti vedo così triste?” Gli domandò al sorgere del sole l’unico dio che potesse rischiarare il suo volto dalla solitudine delle ombre notturne. In momenti come quello, quando lui le asciugava una lacrima con il suo dito splendente, Gaia realizzava di essere davanti al dio più bello del creato.

E proprio Urano aveva scelto lei come sua compagna, giurandole amore e fedeltà per sorreggere assieme le leggi cosmiche del neonato universo.

“Urano, io…” Provò a confessargli timidamente: “Io non sono abbastanza forte per esistere a questo mondo.”

Il titano spalancò i suoi occhi brillanti come stelle, colpito nel profondo dall’angoscia delle parole di Gaia.

“Io sono stata assegnata qui, su questa Terra che un giorno miliardi di creature chiameranno casa… ma non sono degna di questo compito.”

“Perché dici ciò?” Notando come lei si fosse chiusa in se stessa, allora il giovane si sedette affianco a lei, avvolgendola in un abbraccio con il suo manto stellato. Fianco a fianco, i capelli verdeggianti di lei si baciavano con quelli silvestri di lui, e nei fiumi cristallini si rifletteva lo splendore degli astri.

“Io regnerò sempre al tuo fianco, non ti lascerò mai quanto è vera la legge che noi stessi abbiamo istituito… ti rispetterò per sempre, perché tale è il nostro regno!” Sembrava un cavaliere, fiero e leale.

“È proprio questo il problema.” Ma persino il suo splendore nobile veniva ostacolato dall’impenetrabile e stagnante animo nero di Gaia: la titanide gli rivolse uno sguardo che non lasciava trasparire nessuna emozione, come fosse una morta dagli occhi aperti.

“Io amo solo te. Amerò solo te. Non potrò mai amare nessun altro… neppure coloro che un giorno abiteranno il mio regno, e pretenderanno che il loro amore venga ricambiato.”

Per la prima volta nella storia, la Madre Terra odiò i suoi figli: quelli più prossimi alla nascita, che ospitava in ventre, e persino quelli futuri, i quali un giorno avrebbero sicuramente sofferto per tale anticipata maledizione.

Urano impallidì, e provò terrore.

Incubi nefasti che lo accompagnarono fino a quando, immerso in una notte che persino lui non riusciva a scacciare, si guardò riflesso nello specchio: il suo volto bellissimo era finito irrimediabilmente deturpato dalla paura. Ovunque chiudesse gli occhi per riposare, si sentiva trascinato nelle profondità abissali di un organismo che lo avvolgeva stretto per soffocarlo, da lì all’eternità.

Poi guardò sua moglie. Lei dormiva.

Ed infine i suoi appena nati figli. Anche loro dormivano.

Sarebbero stato potenti, tra le prime divinità mai generate. Ma sarebbero cresciuti e morti privi dell’amore di una madre. Provò ancor più pena per loro, che per se stesso.

 

 

Stava ancora attraversando il deserto quando realizzò di aver visto montagne, oceani, foreste ed innumerevoli tramonti. Il neonato mondo era stato percorso dai suoi passi, ma non aveva incontrato nessuno. Come nello spazio in cui era stato rinchiuso, non c’era stato nemmeno un volto con cui confrontarsi, o una voce da sentire e che gli dicesse ciò che lui voleva.

E mentre aspettava, e aspettava, e aspettava, ed il mondo cambiava, e si distruggeva, e rinasceva, lo percepì come un brivido sulla pelle.

L’umanità lo aveva riconosciuto. Non lo potevano vedere in quella forma, ma lo sentivano, lo riconoscevano, e gli potevano dare un nome.

Angra Mainyu era un mostro, pur non sapendolo, e non voleva essere ucciso dall’umanità.

Suo padre gli aveva inculcato l’idea che le divinità lo odiassero, e per questo lo avevano gettato via, lontano da tutto. Allora, forse, quei nuovi esseri che popolavano il mondo su cui si trovava ora, potevano essergli amici. E, sempre forse, diventando loro amico avrebbe prevenuto la sua disfatta qualora avesse provato a percorrere il suo destino.

Perché quello era ancora il suo destino, il motivo della sua nascita.

Così quel mostro che inconsapevolmente era odiato da qualsiasi creatura vivente, urlò “ti amo!” all’umanità.

Ma essa non ricambio, e lo odiò ancor di più. L’idea del Male era nata, assumendo le sembianze di ceneri sorridenti.

“In fondo odio e amore non sono la stessa cosa?” Angra Mainyu, o Merlino come in futuro sarebbe stato chiamato, aveva appena predetto come quell’odio che l’umanità nutriva per lui l’avrebbe mossa a danzare nel palmo della sua mano.

Doveva solo aspettare, ed avrebbe atteso ben oltre la nascita di colui che era destinato a sconfiggerlo, per eclissare una volta per tutte i due mondi che non lo avevano accettato.

 

 

Il suo dolore era immenso quanto il suo dominio. Gaia strepitava, aggrappata ai cancelli della Pianura Celeste mentre le sue lacrime si riversavano sulle guardie, intente a contenerla oltre quel suolo sacro.

La sua potenza scatenata nella sofferenza aveva già causato danni inimmaginabili, lì sulla terra, e persino le divinità non volevano incrociare il suo cammino in quello stato.

“Perché?! Perché l’avete esiliato?!” Si sgolava, tendendo le mani in avanti come per poter ancora cingere un corpo che ormai non esisteva più: non poteva più essere abbracciato, né sedersi accanto a lei.

Gli dèi la guardarono innervositi, e con voce tremante provarono a risponderle a tono:

“Urano ha ucciso il suo primogenito! E avrebbe continuato, se noi altri non l’avessimo interrotto!”

“Esatto! È stato deciso, di tempestivo accordo, di esiliare la sua anima!”

Quella notte Gaia aveva perso suo marito, assieme a suo figlio Crono. Poteva ancora sentire il peso di quei corpi morti tra le sue braccia: un freddo mai provato prima, come si addiceva alla morte di una divinità.

“M-Ma! Meriterà la redenzione! Non è stato nemmeno convocato il Presidente del Concilio per la decisione finale!” Disperata più che mai, ella si accasciò al suolo, con le braccia trattenute dalle guardie ed il viso che continuava a sgorgare lacrime sul terreno.

“Che succede? Mi sento chiamare da stamattina, ma non sapevate che ero occupato? Stavo giusto giusto creando il Giappo- oh! Che succede, Gaia?”

Con casualità e nonchalance, il più potente dio tra i presenti discese le gradinate fino al cancello.

Amenominakanushi si presentava in vestaglia e pantofole, con in mano una tazza di the fumante, motivo riconducibile all’appannamento dei suoi occhiali.

“Perché piangi?”

Quella domanda provocò un brivido freddo in Gaia. La gentilezza di Ameno le ricordò suo marito, e non poté trattenersi dal gemere tra i singhiozzi.

“La prego! La supplico! Li rivoglio indietro… quando ho partorito C-Crono, i-io… ho finalmente sentito che qualcosa a questo mondo mi appartenesse per davvero. Era finalmente qualcosa di mio… e mio soltanto.”

L’abbraccio di suo marito e la prima vista del volto di suo figlio: si trattava di ricordi indelebili nella sua mente, eppure li sentiva svanire tra le dita come granelli di sabbia rapiti dal vento.

“Che noia…”

Due semplici parole in risposta ad un dramma. Due occhi pigramente posati su di una dea distrutta e supplicante, ma che potevano vedere solo qualcosa di assolutamente privo di stimoli ed emozioni.

Ameno le voltò le spalle, con grande sorpresa non solo della titanide, ma di tutte le divinità circostanti, e si incamminò da dove era venuto.

“Non avete altro che richieste da quando ho creato tutto questo… e pensare che l’ho fatto solo per capriccio. Se avessi saputo che sarebbe stato così tedioso avere a che fare con tutti questi “per favore” e “ ti prego”, non l’avrei fatto. Ma andiamo… ti prego? Ovvio che mi preghi. Non potete fare altro che pregarmi… come se mi bastasse solo quello, e non avessi bisogno anche di un, chennesò, un the per andare avanti nella mia vita.”

Si ripulì le lenti dalla condensa mentre il suono morbido delle sue pantofole a forma di peluche lo accompagnava lontano. Lontano da tutti e da tutto.

In quel momento tanto significativo quanto assurdo nella storia, il Dio Creatore si disinteressò completamente del suo operato, e preferì sparire dalla circolazione per affidare ad altri le sue mansioni.

 Gaia non poté far altro che rimanere lì, e soffrire. Soffriva lei come soffriva l’intero pianeta, schiacciato da un qualcosa di ben più forte: la gravità della sua miseria.

 

 

L’atmosfera nell’arena del Valhalla non era mai stata così tesa, ed allo stesso tempo mescolata ad un vortice di dubbi e paura. Nell’incertezza comune, qualsiasi evento sarebbe stato possibile.

Vi era solo una certezza: le due figure, ora al centro del campo di battaglia, avevano la fine del mondo riflessa nei loro occhi iniettati di sangue.

Schiena contro schiena, Gaia e Angra Mainyu avevano gli sguardi puntati verso le porte da dove sarebbero entrati in scena i loro sfidanti. L’aura di morte che emanavano era tale da contorcere lo spazio, crepando sempre di più la terra sotto i loro piedi e congelando l’aria circostante.

Il Male incarnato aveva abbandonato le sue precedenti sembianze umane, con le quali l’avevano conosciuto i Cavalieri della Tavola Rotonda ed Arthur, per rivelare una mostruosità informe e fumosa. Guardarlo era come scrutare nell’abisso, ed ogni genere di aberrazioni ed incubi sgorgavano dalla sua carne, fondendosi e contorcendosi per trasformarlo nell’incubo supremo.

Fobetore si strinse nelle spalle rabbrividendo, assistendo alla paura originale, nata prima ancora che gli uomini potessero sognarla. Persino Nyx, la notte e Herebus, le tenebre, parevano non aver mai visto niente di simile in vita loro.

Al contrario, Gaia si gonfiava e palpitava come un gigantesco cuore verde, un organo in simbiosi con il suo elemento: terra, petrolio, fango e minerali purissimi emergevano dal nucleo incandescente del suo essere ad ogni vibrazione emessa, potente come tutti i terremoti mai sprigionati da una terra che si ribella.

La sua quieta era però silenziosa ed all’apparenza innocua, per quanto un occhio esperto avrebbe ben capito che in quella creatura era racchiusa la potenza di un pianeta, condensata ed accumulata sulle spalle della titanide da tempi ormai immemori.

Ptah, la dea della creazione egizia che aveva popolato il suolo terrestre, non avrebbe mai immaginato di vedere la manifestazione della forza di ciò che, da sempre, aveva considerato solo un terreno da coltivare e sul quale gli umani avrebbero proliferato. Strinse Ammit tra le braccia come un peluche, sperando per il meglio.

Intanto, assistendo a quell’emanazione di primordiale forza distruttiva, il signore dei demoni Baal rispose con un sospiro. Era torvo, appoggiato di schiena al trono dove galleggiava Chaos.

 

Ladies and gentlemen… sembra che non ci sia alcun modo di far spostare Angra Mainyu e Gaia dall’arena.” Comunicarono i presentatori Adramelech e St.Peter, chiaramente impacciati e a disagio dopo non aver ottenuto alcuna risposta in merito dalle divinità organizzatrici.

“E allora fate entrare in campo gli sfidanti, che c’è da aspettare?!” Due figure balzarono all’improvviso davanti ai microfoni, strappandoli di mano ai due addenti ai lavori. Si trattava delle due divinità vestite da teppisti giapponesi, Izanami ed Izanagi.

“Oi, oi! Entra paparino, che ci siamo rotti di aspettare!”

“Sì, noi vogliamo vedere le mazzate ignoranti!”

E alle urla dei due entusiasti dèi fondatori del Giappone, i portali si sollevarono in una nuvola di polvere.

Zarathustra affondò i piedi nudi nella terra, percependo in una scarica elettrica tutta la sofferenza che aveva impregnato quel campo: sangue, morte, dolore, passioni e speranze. Socchiuse delicatamente le palpebre, entrando in trance per qualche istante.

“Non mi piace il modo in cui state mancando di rispetto a ciò che umani e dèi hanno provato a costruire, qui…” Quando li spalancò di scatto, il suo volto si era corrucciato minacciosamente.

Dall’altra parte, Amenominakanushi entrò in scena dedicando appena un’alzata di occhi per i suoi problematici figli, per poi riportare l’attenzione su Gaia. Lasciò oscillare l’Amenonuhoko appena per farla scivolare giù dalla sua spalla, lungo il braccio e ancora più in basso, dove sfiorò appena il suolo con la punta della lama.

“Non mi piace ripetermi, e tantomeno sprecare il mio tempo. Sono cose che mi danno noia.”

Bastò quell’ultima parola per far scattare qualcosa dentro la titanide. Lì, nel profondo del suo cuore, o nucleo, dov’era sopita la vendetta antica quanto la storia stessa del mondo.

Allo stesso tempo, Angra Mainyu si era finalmente parato davanti uno scenario che, dalla sua discesa nel mondo, aveva visualizzato innumerevoli volte. Era la sua predizione, non un miraggio. Se avesse allungato la mano, avrebbe potuto toccarlo, lui, il distruttore del suo sogno.

Ed infatti allungò il braccio, rivestendolo con tutto il suo potere malvagio. Il male che zampillava la sua essenza era il più potente dei veleni, generato dall’odio e dalla corruzione di un destino perfetto.

Gaia invece spalancò il suo ventre, eiettando con un’energia sismica spaventosa tutta l’ira della natura. Una corrente oceanica nera come la pece trascinò al di fuori intere foreste e catene montuose, ma tutto ciò era stato compresso in un unico raggio di energia.

“Frashokerti!” Al profeta bastò un singolo pugno per far piegare in due quell’ammasso distorto di malvagità, strappandolo dal terreno e lasciandolo sospeso sul proprio arto, dal quale pulsavano nervosamente le vene sopra i muscoli evidenziati nello sforzo.

“Chikyū no Katachi (Terraforma!)” La naginata del Dio Primo fendette l’aria, anticipando l’attacco della titanide nella frazione di secondo prima che lei potesse muoversi. La velocità fu tale da sorprendere gli spettatori, siccome parve quasi che il suo attacco non avesse sortito nessun effetto, quando all’improvviso la natura che componeva Gaia cominciò a turbinare e a contorcersi tra spasmi di dolore.

 

“N-Non può… finire così!” Eppure, al termine di quello scontro atteso da tutta l’eternità, la fine della sua storia era giunta: Angra Mainyu venne respinto verso l’alto da una corrente di pressione atmosferica, una colonna generata dallo spostamento d’aria del pugno di Zarathustra.

“U…ra…no.” La materia che componeva Gaia implose, collassando sul suo stesso nucleo in un battito di ciglia. Si librò un suono appena udibile, alla pari di un soffio, dopodiché la titanide, riportata ad una più debole forma umanoide, percepì come tutte le sue energie l’avessero abbandonata.

In quell’esatto istante precipitò al suo fianco il corpo di un giovane dai capelli color cenere, piombando in un piccolo cratere. Egli ansimò in preda al panico, ancora convinto di star morendo, quando al contrario era stato lasciato intatto, fatta eccezione per la materia oscura che prima lo avvolgeva.

Era già finita: questa la constatazione nella mente dei due che ora riversavano nella loro stessa vergogna, sconfitti.

“Bhe, non volevo liquidare così brutalmente un climax che chissà quanti si aspettavano da tempo… ma che ci posso fare?” Si scusò Ameno, guardando con la coda dell’occhio il pubblico.

“Mi è stato chiesto indirettamente di fare sul serio…”

“Quindi anche tu sei tipo che non riesce a trattenersi di fronte ad una sfida?” Lo punzecchiò il suo sfidante, provocatorio. “Bene, sarà meglio così per…”

“Ma parli proprio sempre? Pensavo di essere sceso quaggiù per combattere, non per chiacchierare.”

Al seguito di quella brusca interruzione, da entrambe le estremità del campo di battaglia l’atmosfera venne deflagrata. Molto più intensamente di come avevano fatto Gaia e Angra Mainyu, due auree traboccanti di intenti omicidi riuscirono a deformare lo spazio circostante: tremò la terra e l’aria sembrò andare in pezzi.

L’informale divertimento dei due combattenti aveva lasciato posto a qualcosa di aldilà di ciò che umani e déi avevano provato fino a quel momento: era un bisogno naturale, imprescindibile di lottare, senza necessitare una spiegazione.

 

La titanide ed il magus vennero portati via, ormai privi di sensi, sulle gambe tremanti dello staff. Di fatto, la sola presenza di quei due al centro del campo di battaglia rendeva impossibile per chiunque anche solo spiccicare delle parole o guardarli direttamente.

“OOOIII!! Finalmente si fa sul serio, paparino!” Tuonarono però delle voci, rimbombando tramite l’amplificazione degli impianti nel colosseo.

Izanami ed Izanagi, ormai dopo aver rubato il posto ai precedenti annunciatori del torneo, sbraitavano ai microfoni tradendo tutta la loro eccitazione.

“Fallo nero! Polverizzalo! Smolecolarizzalo! Disintegralo! Metabolizzal-”

E tra i sospiri affranti di loro padre, Zarathustra invece scoppiò a ridere, non riuscendo a rimanere serio con una presunta telecronaca del genere.

“Fatemi spazio.” Sentenziò però qualcuno nella stessa sala di trasmissione occupata dai due fratelli.

“Eh? Ma che cazzo fa…” Ma Arthur ignorò qualsiasi protesta, sedendosi di peso accanto a loro e prendendo in mano un microfono.

Il Re Cavaliere, reso cieco dalla luce divina mostratagli da Uriel, si grattò con imbarazzo la barba, masticando un discorso stentato per qualche secondo, prima di sospirare:

“Nel corso di questo torneo è stato detto che noi esseri umani andiamo avanti nelle nostre vite, dall’inizio dei tempi, armati solo della nostra insignificante esistenza… a testa bassa, adattandoci alle piaghe che il fato ci riserva, e senza certezza alcuna nel domani. Eppure, se c’è qualcos’altro che ho scoperto in questo torneo… è che neanche gli dèi posseggono quella certezza.”

Dal letto su cui era adagiato tra le braccia di sua sorella, Fenrir sollevò a stento il capo, non potendo proiettare altra emozione nei suoi occhi, se non tristezza.

“La vita di un umano e quella di un dio non è molto diversa, in fondo… e se davvero loro ci avessero creati per farsi ubbidire e temere ciecamente, allora io non credo che saremmo così… imperfetti, proprio come sono loro.”

Prometheus ed Epimetheus si scambiarono un’occhiata con Zeus che forse voleva rivalutare l’intero motivo dell’esistenza di loro dèi.

“E ciò che ci rende imperfetti è solo e soltanto una forza di volontà, la quale ci conduce in strade simili: tradimenti, inganni, vizi, amori… sconfitte.”

I quattro dèi soli mesoamericani potevano quasi percepire la presenza di Quetzalcoatl tra loro, mentre Sun Wukong assaporava quella vera vita degna di essere vissuta presentatagli solo da Ramsess.  C’era chi, come Vlad, rimpiangeva di aver ucciso l’unico che si fosse immolato per trasformarlo in un mostro meno mostruoso, ed un Gilgamesh che non odiava più né umani, né dèi, ma rivoleva soltanto Enkidu al suo fianco.

Masutatsu, che credeva non fosse possibile perdere altro nella sua vita, rise dell’ironia della sorte: uno come Guy Fawkes, proprio nel momento in cui aveva gettato all’aria la sua stessa esistenza, era diventato completo più che mai.

“Io non credo davvero ci sarà una fine a questa nostra imperfezione, e gli uomini continueranno a creare gli déi come essi generano gli uomini. Però, se proprio dobbiamo raggiungere una conclusione…” Ed il cavaliere si voltò verso i due déi creatori del Giappone: “… facciamolo insieme, come tutto ha avuto inizio.”

 

Per la prima volta dall’inizio del torneo, la cupola che segretamente metteva al riparo gli spalti dai combattimenti divenne visibile, presentandosi come un puzzle di pannelli luccicanti. Questi, risplendendo sempre più forte al punto da costringere gli osservatori a distogliere lo sguardo, presero a ruotare attorno al centro del campo di battaglia: sempre più veloce, quel tornado di luce raggiunse la sommità del cielo, per poi sgretolarsi in frammenti.

Oramai, nel campo di battaglia di terra e polvere, imbevuto di sangue e sofferenza, non c’era più nessuno.

Al posto degli sfidanti, degli schermi olografici mostravano a tutti gli spettatori dove essi fossero stati spostati.

 

“Come tutto ha avuto inizio, eh?” Rimuginava il Dio Primo “Io c’ero quando tutto ha avuto inizio… e né gli umani, né delle comuni divinità, possono immaginare cosa fosse davvero… l’Inizio.”

“Ora sei tu quello che si sta distraendo, però.” La voce di Zarathustra lo richiamò all’attenzione, facendogli rendere conto di dove si trovassero ora.

L’aria attorno a loro era molto più satura di ossigeno, in uno spazio non delimitato dalle mura circolari dello stadio. Le uniche mura in vista, infatti, erano pareti alte decine di metri, appartenenti a palazzi ed edifici vari. La strada di cemento sulla quale poggiavano era costellata di qualche vettura abbandonata, ed un cielo imperscrutabile rendeva impossibile definire l’orario: tuttavia, i lampioni non erano ancora accesi.

Si trovavano in una città del mondo umano, al momento disabitata siccome, ovviamente, tutti gli esseri umani della Terra stavano guardando proprio loro, ma da tutt’altra parte.

Quello sarebbe stato il loro campo di battaglia: l’intero pianeta, senza limitazioni.

“Mi piace questo posto!” Esclamò il profeta, con gli occhi lucenti come stelline, emozionandosi per qualsiasi meraviglia moderna che riuscisse a vedere.

“E questo cos’è?! E questo? Oooh, e questo come funziona??” Si domandava saltando da una macchina ad un bancomat, oppure ammirando con somma emozione un tombino.

“Sai che se perdi, nulla di tutto questo esisterà più?” Gli domandò il dio, al che lui cercò di ritornare serio e sbottò:

“Se volevi provocarmi al punto da farti gonfiare di botte senza pietà, ci sei riuscito alla grande adesso.”

“Ma fammi il piacere…”

GI tre annunciatori avvicinarono i microfoni alla bocca e, in un tripudio di speranza e timore, scandirono per l’ultima volta le parole:

“CHE IL RAGNAROK ABBIA INIZIO!!”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Mi dissocio dal ritardo nell’aggiornamento… no, sisghé, vi devo le mie scuse in realtà. Ho iniziato un nuovo anno all’università, e sono stato sommerso di lavoro con un progetto personale che, se vi va, potete sbirciare se cercate su Google: Danganronpa Repented Tartaros.

Ve la butto lì… non manca molto alla conclusione di questa storia!

Alla prossima!

P.S: Ah, ed il titolo è una citazione di ben due canzoni: “Everlong” dei Foo Fighters, e “I Will Fail You” dei Demon Hunters.

   
 
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