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Autore: LysandraBlack    08/02/2021    1 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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EPILOGO



 

Da qualche parte nelle Montagne di Vimmark, tre mesi dopo

 

Garrett aspettò che il puntino nero in lontananza si avvicinasse abbastanza da riconoscerne la forma, prima di fare un cenno col capo al corvo e spostarsi di lato, liberando abbastanza spazio sulla ripida e stretta cengia che sporgeva appena dalla parete a picco sulla quale si trovava.

«I fuochi di ieri notte erano un piccolo gruppo di cacciatori di pelli, ne ho visti almeno tre ma credo ce ne sia un quarto. Archi e frecce, probabilmente di Markham, ma non mi sono avvicinato abbastanza da essere certo del loro accento.» Spiegò Jowan, rassettandosi il mantello di lana.

Era ormai il mese della fioritura ma a quell'altezza il vento sferzava ancora gelido i picchi montuosi, infischiandosene dei boccioli di embrium e radice elfica che spuntavano ostinati tra le rocce.

«Li hai visti?» Gli chiese Garrett, facendo vagare lo sguardo oltre le cime, verso il mare che si stendeva in lontananza luccicando come un serpente al sole.

«No, probabilmente sono ancora sottoterra.»

Sospirò pesantemente. «Non possiamo aspettare ancora, dobbiamo lasciare i Liberi Confini. Starkhaven non ci metterà molto a radunare quell'esercito, e Ostwick e Markham sono ad appena tre giorni di cammino.»

«Arriveranno, Garrett.»

Si grattò infastidito la barba, lunga e sfatta, scuotendo poi il capo. «Sono in ritardo di quasi una settimana. Domani partiamo all'alba, se proseguiamo lungo le Vimmark dovremmo riuscire ad arrivare almeno fino ad Hercinia, forse addirittura al delta del Minanter, anche se in questa stagione sarà in incubo da attraversare.»

Jowan storse la bocca. «Sarebbe molto più facile se-»

Garrett si ritrovò a serrare il pugno destro con uno spasmo, una scarica di elettricità che gli percorse l'intero braccio fino alla punta delle dita, dolorosamente conficcate nei palmi. La soppresse rabbiosamente, ritraendosi dall'Oblio quanto più poteva. «Niente magia. Ha già causato abbastanza danni. Ce la faremo a piedi, come le persone normali.» Calcò sull'ultima parola, squadrandolo come ad accertarsi che l'altro avesse afferrato la minaccia.

Jowan sospirò. «Non puoi tenerlo così per sempre. Non è una soluzione.»

«Lo è fin quando non ne troviamo una migliore.» Ringhiò in risposta, dandogli le spalle e arrampicandosi verso il costone della montagna.

Arrivò in cima col fiato corto e i muscoli indolenziti, restando per qualche lungo istante a fissare la stretta valle sotto di loro, seguendo poi il profilo della costa verso Ovest, dove, a parecchie miglia da lì e nascosta al suo sguardo, sapeva esserci Kirkwall.

Si sedette con le gambe a penzoloni, tirandosi su il cappuccio orlato di pelo grigio, sperando che Adaar si decidesse a comparire.



 

Il cielo si stava tingendo dei colori aranciati del tramonto quando scorse il piccolo gruppetto alla base del pendio.

Represse un moto di disgusto sentendo il Velo tendersi e contrarsi mentre una larga colonna di ghiaccio si sollevava da terra, trasportando comodamente Adaar e i suoi compagni fino all'imboccatura della grotta dove Garrett e gli altri due avevano trovato riparo.

«Posticino incantevole per cadere di sotto e spezzarsi l'osso del collo.» Commentò Zevran, guardandosi attorno. «Vedi di non perdere l'equilibrio, mastro nano.»

«Nel caso, posso usare le tue orecchie come appiglio.» Ribattè Stök, scendendo cautamente dal basamento di ghiaccio e appiattendosi contro la parete, cercando istintivamente rifugio sotto la pietra arcuata che fungeva da ingresso.

Adaar, dopo aver atteso che tutti si fossero tolti di mezzo, interruppe il flusso magico. Una cascata di pezzi di ghiaccio piombò verso il basso, evaporando ancora prima di toccare il suolo. «Dovresti arrivarci, prima.»

«Così mi ferisci dritto nell'orgoglio, piccoletta.»

La Tal-Vashot non si diede peso a rispondergli, chinando un poco il capo a salutare Garrett. «Abbiamo dovuto fare una deviazione prima di entrare nell'ultima galleria.»

«Siete stati seguiti?» Chiese lui, ansioso.

Le labbra dell'altra si incurvarono impercettibilmente verso l'alto. «Non più.»

«Davvero un peccato che con quelle armature non potessero farsi una bella nuotata, l'acqua era cristallina come uno zaffiro.» Ghignò Zevran appoggiandosi per un attimo sulla spalla di Jowan, che li aveva raggiunti, e sfruttando l'occasione per sussurrargli qualcosa all'orecchio, senza curarsi di nascondersi agli occhi degli altri. «I Templari non sanno proprio godersi la vita.»

«Venivano da Kirkwall?» Chiese Garrett, uno spiacevole nodo alle viscere che ormai lo accompagnava da settimane ovunque andassero.

L'elfo annuì. «Un paio sembravano di Orlais, però. Avranno unito le forze, dato gli scarsi risultati dei loro colleghi. Nessun Cercatore per il momento, ma non resterei qui ad aspettarne uno.»

«Quella che ha interrogato Varric è ancora in città?»

«Gli sta attaccata come una zecca al culo di un mulo, sì.» Rispose Stök con una smorfia. «Ho dovuto chiedere ai miei di distrarla per un'oretta e quasi ci rimettevano le mani, che caratterino focoso...» sogghignò, accarezzando con la lingua uno dei denti d'oro. «In ogni caso, abbiamo negoziato il vostro passaggio fino a Llomerryn, poi da lì dovreste cavarvela. Il capitano Amara ha chiesto metà dei fondi d'emergenza solo per trasportarvi, ma avrete la protezione dell'Armada una volta in mare aperto. E l'intera isola è un gioiellino di vizi e divertimento, non male per farci una vacanza, no?» Sollevò un sopracciglio, accennando alla grotta. «Sicuramente meglio di questa merda gelida.»

Alla parola “vacanza”, Garrett digrignò i denti. «L'importante è che non ci riconoscano.»

«Conciato così? Sei l'emblema di un selvaggio del Ferelden, non preoccuparti.» Lo prese in giro Zevran, scrollando le spalle e oltrepassando l'apertura nella roccia «Jowan, dimmi che avete qualcosa da bere, è stata una lunga giornata.»

Quello gli fece strada, andando verso il piccolo fuoco acceso sul fondo della grotta. Si chinò a recuperare una fiaschetta da uno dei giacigli, lanciandola all'elfo che la prese al volo.

Sentendoli entrare, la figura ammantata che dava loro le spalle si girò appena, gli occhi incavati che guizzarono per un attimo, illuminati dalle fiamme.

Stök si fermò all'ingresso, scoppiando poi a ridere fragorosamente. «Se vedessero in che condizioni si è ridotto il loro mostro, forse ci lascerebbero in pace!» Esclamò in direzione di Anders, muovendo poi la mano per indicare le pesanti manette che bloccavano i polsi del mago. «Bel giocattolino, forse un po' troppo per i miei gusti, ma non voglio giudicare. Dopotutto, un mese in una grotta nel culo dei Confini farebbero impazzire anche una Sorella della Chiesa.»

Garrett provò l'istinto di lanciarlo giù per la montagna e levarselo di torno.

Adaar dovette accorgersene, perché calò la mano sulla spalla del nano, troneggiando sopra di lui. «Non ora.» Si voltò poi verso Anders, esaminando attentamente con lo sguardo le manette, le rune incise sul metallo che brillavano debolmente. «Meglio che tagliargli le mani.» Commentò piatta.

Un brivido gli scese lungo la spina dorsale, al pensiero. «Il fatto che non si sappia controllare non implica che dobbiamo torturarlo.» Rispose, evitando di incrociare lo sguardo dell'altro e andando a recuperare le due lepri già pronte per essere messe sul fuoco, catturate quella mattina.

«Come se non fosse una tortura il fatto che mi parli a stento.» Sentì Anders ribattere con un filo di voce. Garrett strinse lo spiedo, infilzando la bestia con più forza del necessario. «Avresti dovuto lasciare che mi uccidesse.»

La lepre si schiantò violentemente contro la roccia, lo spiedo di legno in frantumi.

Garrett incrociò per un attimo gli occhi color miele dell'altro, trattenendo il fiato mentre una scarica di energia magica lo attraversava per intero, facendogli pizzicare il cuoio capelluto. Espirò dalle narici, furente, la mascella serrata mentre gli dava le spalle e, tirandosi indietro di scatto dall'Oblio, usciva dalla grotta a grandi falcate. Non riusciva a guardarlo. Non senza che lo stomaco gli si rivoltasse come un calzino e gli venisse da vomitare l'anima.

Senza nemmeno pensarci, tornò ad arrampicarsi sulla parete fino a raggiungere la roccia piatta a strapiombo sulla vallata, dove aveva passato il pomeriggio e gran parte di quelle due settimane ad aspettare che qualcun altro riuscisse ad organizzare loro un passaggio per uscire dai Liberi Confini.

Quello era stato il piano, per il momento.

Levarsi di torno, scappare dai Templari sicuramente sulle loro tracce, sparire dalla circolazione e sperare che la Chiesa avesse problemi più grandi che inseguirli in capo al mondo.

“Come se potesse esserci qualcosa di più importante che catturare chi ha fatto saltare in aria una cattedrale...” La mano si chiuse attorno ad un sasso, scagliandolo poi il più lontano possibile giù dal dirupo, osservandolo soddisfatto colpire uno spuntone di roccia e andare in mille pezzi.

Quale fosse il loro futuro una volta arrivati a Llomerryn, al sicuro presso una pirata pagata profumatamente con i profitti di anni di lavoro, era tutta un'altra storia. E a dirla tutta, non era neppure certo se lo meritassero, un futuro. Di certo, sarebbero dovuti scappare di nuovo, non sperava di poter trascorrere più di un paio di mesi, magari quattro o cinque ad essere ottimista, sempre che gli agenti della Divina non pagassero più di lui per farseli consegnare dai pirati o decidessero di toglierli dalla circolazione di propria mano.

Jowan aveva dipinto un chiaro quadretto: se davvero la mano sinistra della Divina, l'Usignolo, e il suo Artiglio li volevano morti, non c'era luogo abbastanza sicuro dove avrebbero potuto nascondersi.

Nemmeno Orzammar, e la lettera di Natia Brosca era stata quantomai diretta nel vietargli di trascinare la città dei nani in una faida con la Chiesa, come se il Carta non avesse già aiutato abbastanza. “La prossima volta, ficcatevi la testa nel culo invece che metterci dentro degli spiriti”, aveva finemente concluso dopo avergli negato asilo ma concesso un lasciapassare per le loro basi, a patto che non ne abusassero e vi trascorressero il tempo strettamente necessario.

L'unica soluzione permanente, ed era chiaro come il sole a tutti, sarebbe stato rifugiarsi nel Tevinter. Jowan aveva abbozzato l'idea tre settimane prima, durante una giornata particolarmente deprimente di pioggia battente che aveva costretto persino Garrett a stare rinchiuso a stretto contatto con loro. In difesa del mago del sangue, nemmeno lui ne sembrava molto entusiasta, ma la risposta di Garrett era stata secca ed era rimasta tale: piuttosto si sarebbe consegnato ai Templari marciando nel mezzo di Val Royeaux con una catena al collo.

Grace non l'aveva presa bene quanto Jowan, urlandogli addosso che non sarebbe mai stato in grado di fare ciò che era necessario e che avrebbe dovuto essere grato ad Anders per aver avuto le palle di colpire la Chiesa dritta al cuore, rovesciando e mandando in frantumi gli equilibri dei Circoli.

Garrett si grattò la cicatrice sulla mascella, poco sotto all'attaccatura dell'orecchio, che ancora pizzicava.

L'aveva attaccata, perdendo ogni traccia del poco controllo rimastogli. La donna aveva reagito, ricorrendo immediatamente alla magia del sangue.

Non fosse stato per Jowan ed Anders, probabilmente si sarebbero massacrati a vicenda, invece Garrett se n'era uscito con qualche taglio e Grace con una grossa bruciatura sulla spalla.

Se n'era andata immediatamente, senza nemmeno aspettare di guarirsi, sparendo nell'oscurità tra maledizioni a lui e a tutti i codardi come loro, probabilmente diretta verso la sua terra promessa.

Anders si era frapposto tra loro, prendendosi una stilettata scarlatta di striscio sulla schiena che per poco non l'aveva tranciato in due. Anche senza la possibilità di lanciare incantesimi, per via delle catene da templare ai polsi che gli impedivano di accedere all'Oblio (e a Giustizia di prendere il controllo), si era comunque gettato nello scontro senza pensare alle conseguenze.

E Garrett, una volta che Grace aveva voltato loro le spalle andandosene di gran carriera, non era riuscito nemmeno a guardarlo in faccia, nonostante il sangue a terra e lo squarcio nella carne dell'altro.

Jowan si era messo all'opera come poteva, la verità era che facevano tutti e due schifo nella magia curativa, ma Garrett non aveva neppure fatto il gesto di avvicinarsi ad Anders, andando a leccarsi le ferite in un angolo come un cane rabbioso.

Di rabbia, in effetti, ne aveva a pacchi.

Rabbia, rimorso e qualcosa al petto che sembrava salirgli in gola a strangolarlo ogni volta che sentiva il Velo assottigliarsi attorno a sé.

Un grugnito di sforzo lo riscosse dai suoi pensieri.

Adaar, i muscoli tesi che guizzavano sulle braccia scoperte, si issò sulla roccia accanto a lui. La ragazza non disse niente, restando a fissare un punto in lontananza.

Quando il silenzio gli diventò insopportabile, Garrett si sforzò di fare conversazione. «Non avrei dovuto sbottare così, mi dispiace.»

«Perché mentire?»

Si voltò a guardarla, confuso. «Che intendi?»

L'altra rimase immobile, scrutando l'orizzonte. «Non sei dispiaciuto per aver lanciato parte della nostra cena in terra, Hawke. E non è nemmeno Anders il problema.» Raccolse un sassolino, rigirandoselo tra le dita, minuscolo nella sua mano. «È con te stesso che sei in guerra.»

Garrett contrasse il viso in una smorfia tornando a guardare davanti a sè. «Sono così facile da leggere?»

«Abbastanza.»

«Avrei dovuto fermarlo. Avrei dovuto insospettirmi, quando pareva che gli andasse bene l'incontro, invece mi sono lasciato abbindolare come un allocco. Se solo non fossi stato un coglione, avrei-»

«Stavi guardando al drago di fronte a te, e non ti sei accorto del serpente ai tuoi piedi.» Parlò Adaar dopo qualche lungo istante, il tono piatto. «Ma non è per questo che sei turbato.» Si voltò finalmente verso di lui, gli occhi viola puntati nei suoi. «Parlerò chiaramente, perché sei degno di rispetto. Se deciderai di ucciderlo, non ti fermerà. Quello è un uomo che vuole morire, Hawke, ma la decisione di accontentarlo o meno spetta a te. Anders ha scelto di uccidere quelle persone, ed era consapevole che innumerevoli altre sarebbero morte in seguito alle sue azioni, ma l'ha giudicato un male necessario. Ed era pronto ad affrontarne le conseguenze, a morire per la sua scelta.» Scosse il capo, stringendo il sassolino tra il medio e il pollice. «Tu in questo momento sei come questa pietra, invece. Schiacciato tra il senso di colpa per aver contribuito a dare inizio alla Resistenza, e quello per non avere fatto abbastanza per prevenire le morti che essa ha causato. Bloccato tra due forze che ti incatenano a terra molto più di quanto quelle manette facciano con Anders.» Strinse ulteriormente la presa e la roccia friabile si polverizzò tra le sue dita. «Devi prendere una decisione, prima di fare la stessa fine: se ritieni che tutto ciò che hai fatto per la Resistenza e per i maghi sia stato un errore, sai come rimediarvi. Uccidilo e consegnati ai Templari, che faranno lo stesso con te. Non ti fermerò, anche se andrebbe contro i nostri interessi, hai diritto a decidere della tua vita come anni fa fu concesso a me.» Recuperò un'altra pietruzza, tenendola delicatamente tra le dita prima di lasciarla fluttuare magicamente in mezzo a loro. «Oppure, scegli di continuare a vivere e liberati delle tue catene.»

Garrett sbuffò forte. «La fai facile.»

Adaar scosse il capo. «Nient'affatto.» Gli offrì i polsi, i palmi delle mani rivolti verso l'alto, mostrando le vecchie cicatrici così profonde che ancora spiccavano sulla pelle. «Impiegai mesi a togliermi di dosso il senso di colpa per aver lasciato il Qun. E ci sono momenti, come la notte dell'esplosione, in cui riesco a capire perché il Qun ricorra a metodi tanto drastici. Eppure, ho scelto di essere libera. Di uccidere, per restarlo e per fare in modo che lo siano anche gli altri. Non credo che sia “giusto” – se davvero vogliamo usare questo termine – anteporre i miei desideri a quelli degli altri, ma sono decisa a farlo in ogni caso, perché credo fermamente in quello che la Resistenza sta cercando di fare.» Chiuse gli occhi per un attimo, abbassando il capo. «Quando scoprii che Geralt era un mago del sangue, la mia prima reazione fu paura. Pura paura, di quella che ti gela le ossa e ti mozza il respiro. Mi disse che era disposto a lordarsi di sangue per ciò in cui credeva, e mi tese la mano.» Chiuse le dita, fissandosi il pugno. «Non la presi, all'inizio. Rimasi a guardarmi le catene ai polsi, fino a che non realizzai la verità: la mia decisione l'avevo già presa nel momento stesso in cui avevo attaccato l'Arvaarad.» Riaprì la mano, e una serie di minuscoli fiocchi di neve presero a danzarle attorno. «Una volta che l'ebbi capito, lasciai le mie catene a terra e afferrai quella mano, anche se sapevo che avrebbe significato sporcarmi di sangue quanto lui.»

«Approvi quello che hanno fatto, quindi?» Le chiese, a bruciapelo. «L'aver attentato alla vita di innocenti, aver scatenato una guerra aperta con la Chiesa trascinandovi dietro tutti i maghi dei Circoli, persino allearsi con i magister per-»

«Non provo alcuna gioia nell'uccidere civili indifesi, no.» Lo interruppe la Tal-Vashot, seria. «Ma sono disposta a farlo, se potrà portare alla distruzione dei Circoli. Non ho esultato per la distruzione della cattedrale, ma non si trattava di innocenti: chi resta in silenzio a guardare mentre vengono commessi dei crimini, è complice dei carnefici. La vostra Chiesa è come il Qun, ferma nelle sue credenze, e l'unico modo per cambiarla è distruggerla dalle fondamenta e costruire qualcos'altro al suo posto. E ciò non potrebbe mai avvenire in maniera pacifica, Geralt lo sapeva, Anders se n'è reso conto. Hanno scelto di fare tutto il necessario, a costo di affogare nel sangue.» Rimase ad osservarlo, e Garrett si sentì trapassare da quello sguardo attento. «Tu, invece, ti ritrovi bloccato e inabile ad agire, in un senso o nell'altro.»

L'uomo deglutì a vuoto. «Dovrei unirmi allo sterminio in nome della libertà, oppure giustiziare Anders e consegnarmi ai Templari, quindi?»

«Una guerra è ormai inevitabile. Se vuoi parteciparvi, devi scegliere da che fronte stare. Il nostro, o il loro. Tua sorella sarà costretta a fare altrettanto, è inevitabile.»

Marian. Cos'avrebbe scelto, lei? Sarebbe stata in grado di mantenere la parola data, di ucciderlo se si fossero mai ritrovati l'uno di fronte all'altra, sullo stesso campo di battaglia?

Si rese conto di non volerlo scoprire.

E la decisione era, in qualche modo, presa.

«Se non volessi combattere?» Chiese con un filo di voce, quasi stesse parlando tra sé e sé. «Sono stanco, Adaar. Stanco di vedere la mia famiglia andare in pezzi, stanco di fare due passi avanti e tre indietro. Non ho mai voluto la guerra, ma ho contribuito a scatenarla, e ora non posso fare niente per fermarla.» Lanciò uno sguardo sotto di loro, verso l'imboccatura della grotta. «Anche se mi consegnassi ai Templari, non cambierebbe nulla. Ormai la stanza è in fiamme, spegnere la candela non farebbe la minima differenza. Per quanto riguarda Anders...» si morse la lingua, socchiudendo le palpebre per un attimo. «Preferirei morire cento volte che vederlo ucciso. Non posso perdonargli tutto quello che mi ha rovesciato addosso a quell'incontro, e nemmeno aver agito alle mie spalle per piazzare quella bomba, ma non è abbastanza da volerlo morto. E sì, forse quello che mi fa incazzare così tanto è proprio questo, che non sono in grado di mettere da parte i miei sentimenti per quello che dovrebbe essere giusto. Dovrebbe pagare, ma non voglio che lo faccia. Allora non riesco a guardarlo negli occhi, perché lui lo sa, mi ha chiesto di ucciderlo e io non l'ho fatto. Gli ho messo al polso delle catene per evitare che possa lanciare incantesimi, quando sono io quello che vorrebbe non essere in grado di usare la magia.» Prese alcuni respiri profondi, rendendosi conto di quanto fosse esausto, sentendosi fragile e sottile, in procinto di sbriciolarsi. «Cosa voglio fare?» Quasi ridacchiò, debolmente. «Voglio prendere l'uomo che amo, stringerlo e dirgli che andrà tutto bene. Voglio trovare un posto tranquillo solo per noi due e scappare da tutto questo. Non è la mia guerra, Adaar, su questo Anders aveva ragione, ma non perché non la capisca, ma perché non sono in grado di sacrificare la mia umanità, quello in cui credo. Posso fare del bene, posso spaccarmi la schiena e prosciugarmi di ogni energia per aiutare un branco di sconosciuti con cui ho poco e niente in comune, anche senza ricevere un singolo grazie, ma non voglio perdere me stesso. Non sono quella persona, non sono Geralt e non sono te. Ho iniziato a lottare per la libertà dei maghi perché volevo aiutare, non uccidere. L'ho fatto per mia sorella Bethany, per mio padre, per tutte quelle famiglie come la mia.» Si alzò in piedi, le gambe intorpidite. «Ormai la Resistenza non può più tornare indietro, ma non sono l'uomo giusto per guidarla. E nemmeno Anders, mi fa male ammetterlo ma non so per quanto ancora resterà sé stesso. Ho finto di non accorgermene per tutti questi anni, ma Giustizia lo sta distruggendo. Cercherò una cura, e se non dovesse esistere, voglio passare il tempo che ci resta insieme, senza dovermi preoccupare di nient'altro.»

«Stai scappando?» Gli chiese semplicemente lei, alzandosi. Non era accusa quella nella sua voce, solo una ricerca di una conferma di qualcosa che era ormai chiaro.

Garrett annuì. «Non sarei di aiuto a nessuno. Anche nel caso decidessimo di aiutare la Resistenza in maniera pacifica, ci siamo disegnati addosso un bersaglio rosso scarlatto che chiunque sotto la Chiesa non vede l'ora di colpire.» Si grattò la cicatrice sotto l'orecchio, le budella non più annodate tra loro, godendosi per un attimo la soddisfazione di aver preso una decisione. «La Resistenza però deve andare avanti, e qualcuno la deve guidare.»

«Jowan-»

«Andiamo, credi davvero che Jowan sia un buon leader?» Le chiese, interrompendola.

La ragazza richiuse la bocca, aggrottando le sopracciglia per poi espirare rumorosamente.

«Serve qualcuno disposto a tutto, ma con abbastanza senno da capire quali misure siano necessarie, e quando. Qualcuno con spirito critico e forza d'animo. Jowan ha sempre seguito Geralt, e da quando si sono lasciati... credeva nella possibilità di risolvere la situazione pacificamente, ci credeva davvero. E ora che ha fallito è l'ombra di sé stesso, un relitto alla deriva.»

«Vanya, allora. Ha esperienza, la conoscono.»

«La conoscono, sì, per essere spietata e un'ottima maga del sangue.» Garrett scosse la testa, abbozzando un sorriso. «Forse non sono nella posizione di dare suggerimenti, ma saresti una buona guida, Adaar. Hai preso in considerazione la proposta della Divina anche se non ti andava a genio, perché sapevi che c'era una, seppur remota, possibilità che ci portasse a fare un passo avanti. E non hai gioito quando la cattedrale è esplosa, come invece ha fatto Grace. Sei disposta a lordarti di sangue, ma non senza un valido motivo, e credo tu sia in grado di giudicare quando lo sia o meno.»

La ragazza abbassò il capo, il viso che solitamente celava così bene le sue emozioni ora profondamente turbato. Seguì una lunga pausa. «Non sono nemmeno una di voi.» Sussurrò appena. «Sono nata nel Qun, non ho mai vissuto in un circolo, fino a sei anni fa non sapevo nemmeno cosa fossero la Chiesa o i Templari. Se non fosse stato per voi...» Lasciò la frase in sospeso.

«Hai un punto di vista diverso da tutti noi, Adaar.» Insistette lui. «E poi, è ora di smettere di guardare cosa ci divide e concentrarci su ciò che ci unisce.»

«Io... ci devo riflettere.»



 

Tornarono alla grotta che era ormai notte fonda.

Stök, intento a fumare la pipa seduto con la schiena contro il muro dell'ingresso, ben al sicuro dallo strapiombo, sollevò il piccolo oggetto di legno verso di loro, con l'aria di chi la sapeva lunga. Adaar si sedette accanto a lui, tirando le ginocchia al petto e prendendo una boccata dalla sua pipa, accomiatandosi dal mago con un cenno pensieroso. La misera cena era ormai fredda e Garrett riuscì a mandarne giù a stento un paio di bocconi prima di decidere che non ne valeva la pena.

Jowan e Zevran erano stesi nei rispettivi giacigli accanto al fuoco, il primo russava sommessamente mentre l'elfo dormiva con un'espressione beata in volto.

Individuò Anders nel suo solito angolo, lontano dalla luce, verso il fondo della grotta.

Garrett sospirò debolmente, prendendo la propria coperta e buttandosela su una spalla, andando verso di lui. Gli si inginocchiò accanto, sfiorandogli la spalla con le dita.

«Ti amo.»

Dopo un lungo istante, sentì la mano del compagno stringersi sulla sua, le catene delle manette ai polsi che tintinnavano nel silenzio.

«Non posso perdonarti, ma ti amo.» Proseguì abbassandosi a baciargli la nuca, stringendolo debolmente a sé.

«Mi dispiace.» Lo sentì rispondere. «Lo so che non cambia niente, ma mi dispiace averti trascinato in tutto questo.» Anders si voltò finalmente verso di lui, gli occhi lucidi. «Non avrei dovuto dirti quelle cose, è stato ingiusto da parte mia. Ti ho ferito, e non lo meritavi.»

Garrett si limitò ad annuire stendendosi accanto a lui, le mani ancora intrecciate. «Non ho intenzione di combattere, Anders, ma vorrei che restassimo insieme.»

«Sei sicuro? Potrei non essere nemmeno più io, tra poco.»

Lo sentì sussultare quando gli liberò i polsi, le manette che cadevano a terra con un tonfo metallico. «Troveremo un modo.» Lo avvicinò a sé, contro il suo petto. «E nel caso non esistesse, non ti lascerò fino alla fine.»

«Potrei perdere il controllo. Ferire qualcuno. E se qualcuno ci trovasse-»

«Non chiedermi di ucciderti. Non posso farlo. Ti fermerò in tempo, te lo prometto.» Si sporse a baciarlo sulle labbra, stringendo la sua figura magra e spigolosa tra le braccia, sentendo i loro respiri fondersi l'uno all'altro. «Non riusciranno a trovarci, spariremo nel nulla.»

«E i maghi, la Resistenza?»

«Se la caveranno. Per una volta, una sola volta, voglio pensare a noi.»








Kirkwall, una settimana più tardi

 

«Comandante?»

Marian sollevò la testa dalla pila di carte davanti a sé, che ricopriva quasi interamente la larga scrivania di legno scuro davanti alla finestra. Si era trasferita da sole tre settimane nell'ufficio che era stato di Meredith, dopo che quell'ala della Forca era stata resa nuovamente agibile. In parecchi corridoi e sale degli edifici erano ancora presenti cumuli di macerie e aloni di sangue secco, la pietra e le tappezzerie troppo impregnati per essere ripuliti facilmente, e un'intera ala era ancora chiusa al passaggio. I pochi maghi rimasti erano stati spostati nelle sale che solitamente venivano usate per l'insegnamento, dato che i loro alloggi erano inagibili, mentre la maggior parte dei templari si era stipata in uno solo dei tre dormitori, mentre gli altri due erano stati adibiti ad infermeria. Marian stessa dormiva praticamente in ufficio. Trevelyan aveva provato a ribattere dicendole che non era dignitoso che la Comandante della Forca dormisse su una branda di fortuna nel piccolo salottino adiacente all'ufficio da dove dirigeva i suoi uomini, ma la donna era stata irremovibile: finché anche l'ultimo occupante del Circolo non si fosse sistemato comodamente, lei avrebbe condiviso le scomodità dei suoi colleghi.

Fu proprio il Capitano Macsen Trevelyan a varcare la soglia dell'ufficio, seguito dalla Cercatrice che, da ormai un mese, non faceva altro che tartassare chiunque di domande inquisitorie, la disapprovazione fatta persona in ogni singolo gesto ed espressione.

«Capitano, Lady Pentaghast.» Li salutò cortesemente, richiudendo un pesante registro e riponendo la penna d'oca nel calamaio. «C'è altro di cui volete discutere, Cercatrice?»

La donna, un pezzo di marmo dall'espressione truce e una vistosa cicatrice sulla guancia, aggrottò ulteriormente le sopracciglia. «Ci è arrivata voce di un'altra pattuglia sparita sulle Vimmark, Comandante. Senza dubbio opera della Resistenza, o dei Risolutori.»

Marian, che era già stata informata a riguardo, non si diede pena di sembrare sorpresa. «Molto probabile. Non c'è molto che possiamo fare, tuttavia, come ho già spiegato non posso privarmi di più di una dozzina dei miei uomini, per come stanno le cose alla Forca. I feriti non si sono ancora ripresi completamente, e i maghi-»

«I maghi sono talmente pochi che basterebbero una manciata di templari a tenerli qui, Comandante, non prendiamoci in giro.» La interruppe Cassandra Pentaghast. «Tethras continua a sostenere di non avere idea di dove possano essere scomparsi il Campione e Anders, ma è la terza pattuglia che perdiamo sulle Vimmark, mi sembra ovvio che il nano ci stia mentendo.»

Marian non fece una piega. «Allora fatevi mandare altri rinforzi da Val Royeaux, Cercatrice, io non ho intenzione di mandare nessun altro dei miei uomini a morire inutilmente.»

Le labbra dell'altra si assottigliarono ulteriormente. «Inutilmente?» Ripetè fredda. «Ritenete inutile arrestare il responsabile della morte della Somma Sacerdotessa Elthina? O pensate forse che vostro fratello, dopo aver aiutato a mettere in piedi la Resistenza, decida semplicemente di sparire?»

Alla menzione di Garrett, la Comandante si ritrovò a digrignare i denti. «Quello che intendo dire, Lady Pentaghast, è che se davvero il Campione ha trovato rifugio sulle montagne con l'Abominio e i loro compari della Resistenza, o addirittura dei Risolutori, mandare altri templari non risolverà le cose.» Rispose tagliente, alzandosi finalmente in piedi e squadrandola faccia a faccia dall'altra parte della scrivania. «Conoscono sicuramente il territorio meglio di noi e non sono così sciocchi da non prendere precauzioni. Avranno vedette, possibilità arcane di spostarsi più velocemente e più silenziosamente di noi, hanno dimostrato in precedenza di conoscere i vecchi passaggi sotterranei delle Vie Profonde usati anche dal Carta e soprattutto hanno dalla loro il vantaggio della sorpresa. Non sappiamo quanti siano, né cosa siano in grado di fare. Anche se mandassimo un centinaio di templari a passare l'intera catena di Vimmark al pettine, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio.» Sollevò impercettibilmente il mento, incrociando lo sguardo soddisfatto di Trevelyan. «Se volete mandare il vostro ordine e chiedere aiuto ai Comandanti di Orlais e delle altre città libere, fate pure, ma i miei uomini restano qui, dove possono rendersi utili.»

«Sarà la Divina a decidere, non voi, Comandante.» Ribatté la Cercatrice, sempre più scura in volto. «Capisco che vogliate tenere al sicuro la città, Hawke, ma la posta in gioco è troppo alta perché il problema venga ignorato.»

Marian sospirò. «Vi prego di non scendere a conclusioni affrettate. Non è mia intenzione ignorarlo, Anders e i maghi ribelli sono una spina nel petto della Chiesa di cui so che non possiamo dimenticarci, ma ora come ora abbiamo abbastanza difficoltà a gestire la città. Kirkwall è stata nuovamente distrutta, non abbiamo un Visconte che ne prenda in mano le redini, l'Ordine templare possiede appena un terzo delle forze di cui disponeva fino a tre mesi fa e la Guardia Cittadina è a corto di uomini. La Cerchia, il Carta e gruppi mercenari credono di fare il bello e il cattivo tempo, i nobili assediano tutto il giorno il Palazzo del Visconte con richieste assurde, i mercanti e la piccola borghesia stanno facendo di tutto per accaparrarsi le occasioni migliori che il vuoto di potere e la ricostruzione della città offrono, infine, i quartieri bassi sono allo sbando. Neppure metà del porto è tornata agibile e i commerci ne risentono, e l'intera Costa Ferita è insidiata da banditi, tagliagole e feccia di ogni genere. Per non parlare del caos in Città Oscura, persino le Guardie Cittadine più coraggiose non si azzardano più a metterci piede.»

«Non dimentichiamoci della mezza dichiarazione di guerra da parte di Starkhaven.» Si intromise Trevelyan, tetro. «Se non fosse stato per l'intromissione della Divina, a quest'ora dovremmo preoccuparci anche di fare scorta di provviste in vista di un assedio.»

Marian annuì, un nodo alla gola, lo sguardo che cadeva inconsciamente sulla lettera col sigillo di ceralacca dei Vael ricevuta appena la settimana prima, che spuntava da uno dei cassetti. «Come vedete, Cercatrice, non posso permettermi di sprecare le nostre forze in una caccia all'uomo che non ha alcuna possibilità di successo.»

Lady Pentaghast annuì. «È una situazione delicata, lo so. E per quanto io preferisca un approccio più diretto, anche l'Usignolo consiglia cautela nelle nostre prossime mosse. La Grande Incantatrice Fiona sta ricevendo sempre più consensi dal Collegio degli Incantatori e dagli altri maghi. Se chiedesse davvero un voto per la secessione... si teme che altri Circoli possano cadere, e in tal caso all'Ordine Templare occorrerà tutta la sua forza.»

«Che il Creatore ci supporti, se dovesse davvero accadere.» Si lasciò sfuggire Marian, massaggiandosi la fronte. «Kirkwall sarà pronta a fornire tutto l'aiuto necessario, ovviamente. Ma rincorrere dei fantasmi non ci porterà da nessuna parte, anzi, sarebbe la nostra rovina.»

La Cercatrice lanciò un'occhiata alle proprie spalle, verso la porta chiusa. «La Divina pensa che potremmo ancora ricorrere al dialogo, per salvare la situazione. Il numero di vittime da entrambe le parti che la rivolta dei Circoli causerebbe sarebbe esorbitante. Se trovassimo il Campione, potrebbe parlare ai maghi ribelli, convincerli a deporre le armi.»

Marian sospirò. «Per quanto mi rincresca ammetterlo, non penso che Garrett sia più in grado di spingerli o impedire loro di andare in qualsiasi direzione. Mio fratello è tante cose, Cercatrice, ma non è un assassino a sangue freddo. Non sapeva del piano per uccidere Elthina, come non era stato messo a conoscenza anni fa dell'attacco di Amell e dei Risolutori ai Satinalia. Non lo sto scusando per le scelte che ha fatto in seguito, ma dico solo che la Ribellione dei Maghi è un serpente con molte teste, e tutte agiscono di propria iniziativa.»

«Se è davvero questo il caso, non sarà facile impedire uno scontro aperto.»

L'occhiata che si scambiarono fu risposta sufficiente.

La Cercatrice chinò impercettibilmente il capo. «Devo tornare dalla Divina a riferirle quello che ho appreso qui. Starkhaven verrà tenuta a bada, questa è l'unica rassicurazione che siamo in grado di farvi, Comandante, per il resto dovrete pensarci voi.» Estrasse dalla giacca una pergamena arrotolata, il sigillo scarlatto della Divina impresso sopra. «In quanto Viscontessa ad interim di Kirkwall, avrete piena facoltà decisionale sulla città. Che il Creatore vi assista e vi porti consiglio.»

Lei afferrò la pergamena, ringraziando con un cenno rigido. «Saranno persone competenti e formate per tale lavoro, a consigliarmi. Non sarà necessario scomodare il Creatore.»

Con un ultimo saluto, Cassandra Pentaghast uscì dall'ufficio.

La Comandante rimase sola con il suo Capitano, il rotolo ancora stretto in mano.

«Qual è la prossima mossa, quindi?» Chiese Trevelyan, accostandosi un poco a lei.

Marian sospirò di nuovo. «Mi piacerebbe saperlo.» Ripose la pergamena in uno dei cassetti, accanto a quella da Starkhaven. «Per ora non sembra dovremo affrontare ostilità dall'esterno. Tra i ranghi?»

Il Capitano Macsen schioccò la lingua sul palato. «Potrebbe andare meglio, ma i pochi contrari alle nuove politiche della Forca sono ormai stati spediti altrove. Culo è ancora con noi, ovviamente, in questo momento sta diligentemente aiutando a rimuovere le macerie dal Cortile Est.»

Marian storse la bocca. «So che ti avevo dato la piena facoltà di decidere della sua punizione, ma fai attenzione che non ci si rivolti contro. È abbastanza rispettato nell'Ordine.»

Il sorrisetto del ragazzo si acuì leggermente, malevolo. «Oh, punto proprio a rovinargli definitivamente quella reputazione, Comandante.»

La donna non riuscì a trattenere un risolino soffocato. «Come credi.» Richiuse il cassetto, sfiorando per un secondo in più la pergamena di Starkhaven. «Ho degli impegni per il resto del pomeriggio, credi di poter gestire la Forca fino a domani, senza ulteriori esplosioni?»

L'altro si strinse nelle spalle. «Se i pochi maghi ancora con noi riuscissero davvero a far saltare in aria qualcosa, ne sarei più ammirato che impaurito, lo ammetto.»

Marian incassò il colpo, accigliandosi. «Forse avremmo dovuto stare più attenti.»

«Sarebbero scappati comunque, in un modo o nell'altro. Almeno, così non abbiamo avuto altre vittime tra i nostri.» Ribattè Trevelyan.

«Alain era mortificato.»

«Con tutto il rispetto, Comandante, ma il Primo Incantatore è giovane, forse troppo. Deve ancora farsi il callo alle delusioni da parte dei suoi colleghi.»

Marian sollevò un sopracciglio. «E noi? Pensi che abbiamo avuto abbastanza grane da essere ormai sufficientemente competenti a riguardo, oppure c'è ancora da imparare?»

Macsen scoppiò a ridere, dimenticandosi per un attimo l'etichetta. «Cazzo, da quando sono qui penso di averne avute abbastanza da sentirmi più vecchio di dieci anni, almeno. E se non è sufficiente quello che avete passato voi, siamo proprio fottuti.»

La donna scosse il capo, divertita e al tempo stesso dannatamente consapevole della stanchezza che aveva addosso. «Ho paura, Capitano, che ci aspetti parecchia altra merda, se mi passi il termine.»



 

Tagliò per la piazza principale, finalmente sgombra dalle macerie ma ostruita dai nuovi cantieri che erano sorti per ricostruire i palazzi caduti.

Dovunque passasse, il chiacchiericcio dei passanti si affievoliva fino a diventare poco più che un mormorio soffuso, cittadini, guardie, nobili e templari che si inchinavano rispettosamente al suo passaggio. Marian gonfiò il petto, il volto rigido e inespressivo e l'armatura da Comandante lucida e scintillante sotto il sole primaverile, incedendo a testa alta e ignorando i saluti, perfettamente consapevole del timore con cui la gente che si scostava velocemente al suo passaggio sussurrava il suo nome.

Quella stessa città che aveva difeso e supportato a gran voce i due fratelli Hawke che l'avevano salvata dalla furia dei Qunari impazziti, ora sembrava averne paura.

Quando i suoi passi riecheggiarono nel vialetto di Villa Amell, il cuore le si strinse dolorosamente nel petto, ma si costrinse a non rallentare.

Lumia le aprì la porta con un profondo inchino, come non aveva mai fatto, dileguandosi alle cucine non appena assicuratasi che non avesse bisogno d'altro. Bodahn era partito un mese prima con suo figlio Sandal, diretto ad Orlais. Entrando nel salotto luminoso, guardò in direzione dell'albero al centro del cortile, dove Seth si era arrampicato a tagliare qualche ramo sporgente.

Marian si avvicinò al tavolino da tè, sul quale era poggiata una caraffa d'acqua e una di vino, sollevando la prima e versandosi un abbondante bicchiere, sedendosi poi su una delle poltrone, lo sguardo fisso nel vuoto. Il silenzio che regnava era quasi opprimente.

La porta si aprì di nuovo e un uggiolare felice segnalò che Bu aveva accompagnato Aveline fin lì.

Si levò in piedi, appoggiando il bicchiere ormai vuoto e chinandosi a salutare la mabari, che cercava di farle le feste nonostante non fosse più in grado di saltellare come un tempo.

«Stai facendo la brava, bella?» Le chiese, guardando poi l'amica.

«Ormai la Guardia Cittadina è stata addestrata a dovere: sanno contrastare una carica mabari e riconoscere l'ordine di portarle uno stinco di bue fresco di giornata.» Rispose Aveline, aprendosi in un sorriso. «Ora può pure prendersela con un po' più di calma.»

Marian sorrise a sua volta, facendole segno di accomodarsi. L'altra si sedette accanto a lei sulla poltrona, nei posti più distanti dal grande quadro appeso alla parete, sopra il lungo tavolo da banchetto. La templare gli dava le spalle, attenta a non far scivolare lo sguardo su di esso mentre aspettava che l'amica prendesse qualche sorso di vino.

«Isabela e Fenris devono ancora arrivare?» Chiese Aveline.

«Volevo parlarti prima in privato, ho detto a Bela che ci saremmo visti per cena.» Rispose, prendendo tempo. La faccenda era delicata e non sapeva bene da dove iniziare. Aveva provato il discorso per giorni, rimuginando sulla questione, il dubbio che non avesse preso la decisione giusta che non smetteva un attimo di tormentarla.

«Marian, va tutto bene?» Si accigliò immediatamente l'amica.

Lei annuì. «Sto bene. Ma devo chiederti qualcosa di importante, e... non volevo che ci fossero altri a farti pressione sulla risposta. Non sentirti in dovere di accettare, sono consapevole che sia una scelta complicata.» Si mordicchiò il labbro inferiore mentre la mano andava a sfiorare inconsciamente l'armatura sopra il ventre.

«Si tratta del bambino?» Un'ombra di preoccupazione comparve sul volto teso di Aveline. «Alain ha trovato qualcosa?»

Marian scosse il capo. «Sta bene. Mi ha visitato ieri, non risultano esserci complicazioni dal lyrium né dagli sforzi a cui è stato sottoposto... Ed è per questo che credo sia giunto il momento di prendere una decisione.» Bu, come a cercare di infonderle coraggio, le si accoccolò ai piedi, leccandole le dita della mano che pendeva dal bracciolo. «Non posso tenerlo, Aveline.»

Seguì un lungo silenzio.

«Sei sicura?» Chiese poi l'altra, cautamente. «Se dovesse andare alla Chiesa-»

«Gli orfanotrofi della Chiesa non sarebbero la mia prima scelta.» Prese un altro respiro profondo, continuando a torturarsi il labbro. «Mi piacerebbe saperlo al sicuro e lontano da qualsiasi tentativo di essere usato contro di me, ma soprattutto... cresciuto da qualcuno di cui mi fido.» Sollevò lo sguardo verso l'amica, cercando di leggerne la risposta.

La preoccupazione di Aveline si tramutò in sgomento. Gli occhi le si fecero lucidi, mentre le guance si imporporivano quasi quanto i suoi capelli. «Intendi... insomma, stai dicendo...?»

«Niente mi farebbe più felice che saperlo al sicuro con te, Aveline.» Sussurrò Marian, tornando a fissare Bu ai suoi piedi. «Però non voglio forzarti, se pensi che sia troppo-»

Aveline le afferrò il braccio, costringendola a guardarla nuovamente negli occhi. «Non devi nemmeno pensarci.» Riuscì a dire dopo un istante. «Certo che mi farebbe piacere, farei di tutto per te, Marian. Ma... ne sei davvero sicura? Potremmo trovare un altro modo, so che crescerlo alla Forca sarebbe difficile, ma non saresti sola.»

Con una fitta straziante al petto, Marian scosse il capo. «No, non posso. Nessuno sa della mia condizione a parte te, Bela e Alain. Dovrò dirlo a Trevelyan, in quanto Capitano dovrà aiutarmi a mantenere il segreto tra i ranghi, e probabilmente anche a Ruvena, altrimenti non me lo perdonerei mai, ma nessun altro lo dovrà mai scoprire.» Premette la mano sul ventre, il metallo dell'armatura freddo a contatto col palmo. «Posso nasconderlo fino alla nascita. Ora che siamo certi che sia in salute, devo pensare a chi affidarlo. E tu e Donnic siete stati il mio primo pensiero.»

Aveline annuì. «Potresti vederlo crescere. Ma devo chiedertelo di nuovo, sei proprio sicura?»

«Sono ufficialmente Comandante da una manciata di settimane, e Viscontessa ad interim da ore. Ho nemici sparsi per mezzi Liberi Confini, metà del mio ordine che mi guarda con sospetto, la città che teme ogni mia mossa. Per non parlare del perfetto bersaglio che rappresento per i maghi della Ribellione, anche senza calcolare qualsiasi cosa stia facendo Geralt nel Tevinter.» Inspirò con difficoltà, la voce incrinata. «E se dovesse giungere voce fino a Starkhaven della mia gravidanza...»

«Per quanto Sebastian sembri essere impazzito, non oserebbe mai fare del male a te o a suo figlio.»

Le dita di Marian si strinsero ferree sul bracciolo della poltrona. «Non ho idea di cosa ci farebbe. Quello non è l'uomo che conoscevamo, l'hai visto anche tu. Il padre di mio figlio non avrebbe mai e poi mai minacciato un'intera città per le colpe di un singolo, men che meno mi avrebbe accusata di-» Serrò la mascella, imponendosi di non crollare. «Non voglio che quell'uomo si avvicini a mio figlio. Garrett e Sebastian mi hanno messa di fronte alla scelta più terribile che si possa fare. La mia famiglia è andata in pezzi, Aveline, e non intendo gettare i nostri problemi sulle spalle di un bambino che non è ancora nato. Se accetterete di prenderlo con voi, mi farò da parte. Non posso crescerlo, non ne sono in grado. Non...»

Con sua sopresa, Aveline si alzò dalla sedia, raggiungendola e stringendola in un abbraccio, senza che ci fosse bisogno di dire altro.

Marian, a quel punto, si ritrovò a nascondere il volto contro la spalla dell'amica, aggrappandosi a lei, rendendosi conto di star tremando. «Non voglio che si rompa anche lui.»

«Non si romperà, te lo prometto.» La rassicurò l'altra, tenendola stretta. «Avrà una famiglia che lo ama, come merita. E anche tu. Non importa cosa succederà, ci siamo noi. Io, Donnic, quella testa calda di Isabela, persino quel musone di Fenris.» Tentò di abbozzare un sorriso, mentre Marian si divincolava debolmente dall'abbraccio, imbarazzata. «Anche Carver, nonostante sia molto impegnato a salvare il mondo e lamentarsi nel frattempo. E Varric, ma lui e Bela potranno frequentare il piccoletto solo sotto strettissima sorveglianza.»

A quella precisazione, Marian si sorprese a ridacchiare. Sorrise, riconoscente, asciugandosi la guancia umida. «Grazie. Sarai una madre meravigliosa.»

Aveline ricambiò, ancora rossa in volto. «Farò del mio meglio. E nel caso cambiassi idea, anche all'ultimo, anche dopo anni, sarà sempre tuo figlio.»

«Speriamo abbia i capelli rossi, sarà più facile far credere che...» L'ilarità le morì in gola, la sensazione di passare le dita tra i capelli di Sebastian ancora impressa nella memoria, il suo profumo fresco in mente. Si riscosse rapidamente, scuotendo il capo. «Bene, sono contenta che ci siamo organizzate.» Con un respiro profondo si tirò in piedi, allargando finalmente un poco le fibbie che stringevano scomode sul ventre. «Ora, il secondo favore. Ho detto a Charade che poteva tenersi la casa, così come la compagnia di spedizioni, ma non vorrei che alcune cose venissero buttate.» Lo sguardo cadde infine sul grande quadro appeso alla parete, accanto allo stemma degli Amell dipinto sul muro in kaddis rosso, opera di Garrett subito dopo che aveva preso possesso della casa.

L'intero gruppo di amici le fissava sorridente dalla tela. Marian, accomodata sul divano di velluto del salotto, mano nella mano con Sebastian. Isabela, in posa ammiccante e abiti succinti come al solito, sogghignava con la schiena appoggiata alla seduta, mentre Aveline alle loro spalle sembrava vigilare giudiziosamente su di loro come aveva sempre fatto. Fenris aveva addirittura abbozzato un sorriso e dal lato opposto Varric mostrava fieramente il petto villoso accanto a Merrill, appollaiata sul bracciolo del divano. Garrett, le dita intrecciate a quelle di Anders alle sue spalle, sedeva accanto a Marian, e l'artista aveva persino aggiunto Carver dietro di loro, prendendo spunto dai ritratti che Garrett gli aveva fornito. Anche Bu era stata dipinta accanto a loro, membro insostituibile di quella sgangherata famiglia che avevano creato.

Marian rimase per un lungo istante a fissare il quadro, finché sentì la mano di Aveline posarsi sulla sua spalla. «Le ho chiesto di lasciare chiusa la camera di mia madre, vorrei mettere lì tutto quanto.»

«Ti do una mano.»


 

Era ormai sera quando la serratura della porta della camera di Leandra si chiuse definitivamente dietro di loro.

All'interno, impilati ordinatamente e protetti dalla polvere, c'era ciò che restava di anni di vita: pile di taccuini scarabocchiati e pergamene schizzate a carboncino, i pochi ricordi che avevano portato fin là da Lothering, uno scrigno con tutte le lettere ricevute da Carver e da diversi conoscenti e amici, un piccolo forziere di metallo con gli abiti e i pochi gioielli che erano stati di Leandra, che nessuno avrebbe mai indossato. Il grande quadro del salotto era stato coperto e spostato contro la parete, accanto al ritratto di Leandra e quello dei nonni che non avevano mai conosciuto.

Quando uscirono dalla villa, trovarono Isabela e Fenris ad aspettarli.

«Impiccato e Grazia Malevola?» Chiese la pirata, circondando le spalle di Marian con un braccio. «Berremo noi per te, ma Varric ha fatto mettere da parte dell'ottimo succo di frutta.»

«Non vedevo l'ora.» Ribatté lei, sforzandosi di sorridere.

Isabela, per tutta risposta, le diede un buffetto sulla guancia, prendendola per mano e tirandosela poi dietro per il vialetto.

Marian ricambiò la stretta, lasciandosi trascinare.




















Note dell'Autrice: Oh, boi. Due anni e qualcosina dopo, eccoci qui. 
Mi è piaciuto chiudere su un Garrett che per una volta fa una scelta, non dico egoistica (dato che comunque lo fa anche per amore di Anders), ma comunque basata su quello che vuole lui, su quello che sente necessario per sè stesso e per l'uomo che ama, lasciando che dei problemi altrui ci pensino gli altri. Ha sempre avuto un carattere che quasi annullava i propri desideri, cercando sempre di aiutare e mettere d'accordo tutti, e mi è parso un bel modo di concludere, almeno per il momento, le sue vicende. 
Quanto a Marian... fin dall'inizio ha cercato di tracciarsi la sua strada, in un equilibrio costantemente precario tra famiglia, dovere, quello che pensava giusto o sbagliato, e alla fine la cosa le si è ritorta contro. Al momento di scegliere, si è ritrovata davanti un bivio impossibile. Ha fatto del suo meglio, ma poi si è ritrovata in una posizione che non ha mai voluto, semplicemente perchè è la persona giusta al momento giusto. O almeno così hanno deciso teste più in alto e più influenti di lei, fino a che lei stessa non si è ritrovata ad accettare di dover fare il sacrificio più grosso di tutti, annullare ciò che vorrebbe per il bene degli altri. 
Mentre Garrett ha passato il testimone ad Adaar, che però non si sente pronta per l'incarico, Marian ha iniziato seriamente a dare delle responsabilità a Macsen, che invece si sente pronto eccome, anche se non lo è ancora.
Vedremo che cosa combineranno. 

La prossima storia in cantiere tonerà un poco indietro, seguendo l'arrivo di Geralt nel Tevinter e mostrando che cosa bolle nel loschissimo pentolone dell'Imperium, e si concluderà a ridosso del Conclave, passando per un po' di amici vecchi e nuovi. 

Per concludere, vorrei ringraziare i miei meravigliosi lettori e recensori, ho continuato a scrivere anche grazie a voi (sì, sì, una scrive per sè stessa, ma se poi devo leggerla ai gatti per sentire un parere, diciamo che non è la stessa cosa): Harry Fine, che con le sue recensioni e messaggi mi ha aiutata un sacco a sviluppare alcuni punti e personaggi, The Mad Hatter, che mi segue dall'inizio, e quelli che hanno recensito e messo tra seguite e preferiti questa storia, come MorganaMF, Keeper of Memories (ciao cara <3), La Maga Strana, Lady UHBE Byron, Tec6 e tutti gli altri. 
Menzione specialissima per la mia bestbro, all'incirca betareader, meravigliosa compagna di complottoni, ruolate e storie a quattro zampe, Eliot Nightray!





 

Strange, how the best moments of our lives we scarcely notice except in looking back.

― Joe Abercrombie, Red Country

 

  
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