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Autore: Ayumi Yoshida    09/02/2021    0 recensioni
SPOILER! - Fic ambientata dopo l'episodio 66 di Boruto: Naruto Next Generation
In quei momenti Boruto era proprio come Naruto, franco, diretto e, in alcuni casi, non riusciva a comprendere le conseguenze delle sue azioni. Ella capiva bene come potesse sentirsi Sarada dopo quelle parole, i pensieri che dovevano attraversare la sua mente in quel momento, le notti insonni che avrebbe passato a ricordarle.
“Sei così stupido che parli a vanvera! Dire che mi proteggerai ad ogni costo…
Sai cosa significa?”
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto, Uzumaki, Hinata, Hyuuga, Mitsuki, Sarada, Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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(Post episodio 66 di Boruto: Naruto Next Generation)

 

 

“Mamma, tu non arrossisci mai?”

Quella domanda giunse improvvisa mentre posava il vassoio con la cena sulla scrivania della stanza di Boruto, cercando di non rovesciare il bicchiere d’acqua per la sorpresa.

Hinata alzò il capo e fissò suo figlio con un mezzo sorriso; Boruto spostò immediatamente lo sguardo fuori dalla finestra,  incrociando le braccia imbarazzato.

Che strana domanda. Per quel motivo non aveva voluto cenare con loro, quella sera, accampando la scusa di essere troppo stanco?

“Adesso poco, prima quasi sempre.” replicò continuando a fissarlo.

Incredulo, Boruto si voltò per guardarla a sua volta.

“Davvero? E quando?”

Hinata sorrise.

“Te l’ho detto, quasi sempre. Soprattutto quando nelle vicinanze c’era tuo padre.”

Davvero?”

Le labbra di Boruto erano una “o” perfetta nell’attesa spasmodica di saperne di più. Hinata annuì con la testa, ormai quasi ridendo, mentre prendeva posto sul letto accanto a lui.

Con le braccia conserte e la gambe incrociate, Boruto sembrava così pensieroso. Non era da lui rimuginare così tanto davanti alla sua famiglia, perché ci teneva a dimostrare di essere forte e di non aver mai bisogno di nessuno, ma in quel momento qualcosa lo turbava. Non lo avrebbe mai detto apertamente, ma quella domanda era una richiesta di aiuto. Pazientemente, Hinata si spinse verso l’interno del letto per mettersi più comoda e annuì.

“Davvero! Non ero così coraggiosa, prima. Mi bastava sapere che il tuo papà fosse nelle vicinanze per arrossire e balbettare!”

“Mamma?!” Boruto la guardò soffocando una risata, gli occhi pieni di ironia “Non ci credo! Ma come si fa ad arrossire davanti ad una faccia come la sua?”

Hinata face un largo sorriso, ma non rispose. Boruto conosceva bene sua madre e quel sorriso felice e vagamente imbarazzato: c’era sempre sul suo viso quando parlava di suo padre, addentrandosi troppo nelle storie della loro gioventù. Di solito si annoiava a morte ad ascoltarle, ma quel giorno sarebbe stato essenziale per capire.

Mamma.” la spronò, quasi supplice, torcendosi le mani tra le gambe.

Hinata sollevò lo sguardo verso di lui e gli sorrise, ammorbidita: doveva essere in corso una grande battaglia intestina, se la stava spingendo a raccontare storie che non aveva mai voluto ascoltare.

“Quando ero più piccola arrossivo sempre davanti a Naruto-kun perché mi piaceva così tanto.” cominciò a spiegare. Boruto la fissava, stranamente rapito dalle sue parole, e non nauseato come al solito. “Anche il solo stare accanto a lui mi rendeva nervosa e mi faceva battere forte il cuore. Quando mi guardava negli occhi, poi, era un disastro totale.” aggiunse con un sorriso che non recava più traccia di alcun imbarazzo.

“Perché?”

“Perché il cuore sembrava volermi schizzare via dal petto e non riuscivo neppure a sostenere il suo sguardo. Mi sentivo felice che mi stesse guardando, ma triste perché non riuscivo a sopportarlo.”

Boruto strinse le labbra e guardò lontano, perso in un pensiero più grande di lui.

“Boruto?” lo chiamò Hinata in un sussurro. Il ragazzo sollevò lo sguardo, inquieto. “Ti va di dirmi cosa sta succedendo?”

Abbassò di nuovo lo sguardo sulle mani strette forte tra di loro. Aveva sbagliato a chiedere a sua madre cosa significasse arrossire? Forse sì, ma non poteva chiederlo a nessun altro, non a Chocho, men che meno a lei.  E non ai suoi amici, che non avrebbero saputo rispondergli o, peggio, lo avrebbero preso in giro dicendogli che si preoccupava troppo. Aveva covato quel dubbio dentro di sé per troppe ore.

“Prima ho detto a Sarada che quando diventerà Hokage io sarò il suo braccio destro, che la proteggerò ad ogni costo.” biascicò con voce quasi inudibile, senza guardare sua madre “E lei è arrossita all’improvviso. Non l’aveva mai fatto… prima.”

Con gli occhi bassi non poteva vedere sua madre, ma poteva giurare che lei stesse sorridendo. E che  non fosse un sorriso di scherno, ma comprensivo, come solo lei poteva essere. Infatti Hinata sorrideva, perché in quei momenti Boruto era proprio come Naruto, franco, diretto, e, in alcuni casi, non riusciva a comprendere le conseguenze delle sue azioni. Ella capiva bene come potesse sentirsi Sarada dopo quelle parole, i pensieri che dovevano attraversare la sua mente in quel momento, le notti insonni che avrebbe passato a ricordarle.

L’aveva vista numerose volte, quando la nuova squadra sette passava da casa loro, perdersi a fissare suo figlio nel mezzo di noiosi sproloqui da ragazzi intervallati soltanto da cenni del capo di Mitsuki.

“Sai, a volte noi ragazze immaginiamo che dietro le vostre parole ci sia più di quello che volete intendere.” spiegò Hinata con voce serena “Forse Sarada ha pensato che lei ti piaccia. Anche se io credo che a lei piaccia tu.”

Boruto scosse forte la testa, come se, con quel movimento, potesse allontanare quelle parole. “È impossibile! Io e Sarada ci conosciamo praticamente dalla nascita, noi…”

“Siete sempre stati molto vicini, sì. Siete cresciuti insieme e siete nella stessa squadra.”

Sua madre sorrideva così apertamente che lo imbarazzava da morire.

“E questo che significa?” le chiese, mentre sentiva il calore affluirgli a velocità della luce verso le guance e stringeva ancor di più le braccia al petto in segno di protezione.

Non voleva arrossire.

Hinata non disse niente, ma gli sorrise, rassicurante. Poi si alzò e uscì in silenzio dalla stanza. All’improvviso, nella sua stanza era rimasto soltanto lui con il suo rossore.

Ci si sentiva così, allora, ad arrossire? Sentire il sangue concentrarsi sulle guance, il corpo bruciare, incapace di reagire, restare in silenzio senza sapere cosa dire? Era così che aveva fatto sentire Sarada con le sue parole?

Buttò le braccia all’indietro e si lasciò cadere sul letto, respirando a piene narici, perché all’improvviso gli sembrò di non essere più in grado di farlo in maniera naturale e senza farci caso. Non sapeva se sarebbe riuscito a dormire quella notte.

Desiderava soltanto che la mattina seguente arrivasse presto per assicurarsi che Sarada non avesse più le guance rosse e che non lo fissasse più con quello sguardo particolare che gli aveva rivolto quando le aveva detto che l’avrebbe protetta.

 

 

La notte trascorse veloce tra strani sogni in cui lui e Sarada si tenevano per mano e altri in cui Mitsuki e il fratellone Konohamaru non si presentavano al solito luogo dove si davano appuntamento per lasciarli soli. Ma, per fortuna, quella mattina, alle nove erano già tutti miracolosamente davanti al solito palazzo nel centro del villaggio dove si incontravano di solito.

Suo padre aveva insistito per percorrere la strada con lui, e l’aveva guardato per tutto il tempo con un ghigno sulle labbra che non era riuscito a tranquillizzarlo. Poi, giunti all’angolo del palazzo dove avrebbe dovuto incontrare compagni e sensei, Naruto gli aveva tirato un pugno sulla spalla destra senza trattenersi, sorridendo a trentadue denti, ed era corso via. Così aveva fatto tardi.

“Ti aspettiamo da dieci minuti.” disse Sarada, severa, non appena lo vide spuntare dalla strada laterale. Boruto la guardò, arrossì, e aprì la bocca per ribattere, ma Konohamaru si intromise, temendo che potessero incominciare a discutere già di prima mattina.

“Dieci minuti non sono tanti, dai!”

Sbuffando per l’eccessiva bontà del sensei, Sarada li superò e prese a dirigersi verso il campo di allenamento. Quel giorno avrebbero dovuto affinare le loro tecniche perché, dopo l’attacco degli Otsutsuki al villaggio, a tutti i sensei era stato richiesto dall’Hokage in persona di aumentare il livello delle esercitazioni effettuate con i genin per correre meno rischi possibile.

Così cominciarono prestissimo a lanciarsi kunai, shuriken, a lottare corpo a corpo, ad impastare il chakra per le tecniche e a provare alcuni attacchi di gruppo contro Konohamaru. Alle undici, già completamente madidi di sudore, furono costretti a fermarsi perché era arrivata la sensei Moegi per discutere di qualcosa con il loro maestro, ed i due si allontanarono nella foresta. Ne approfittarono, quindi, per riposarsi un po’ e per bere.

Dopo aver evitato il suo sguardo e la sua vicinanza fino a quel momento, finalmente Boruto fissò Sarada mentre lei non poteva vederlo, perché intenta ad aprire la borraccia. Era così sbagliato pensare che era carina –l’aveva pensato davvero!? - e che poteva esserci qualcosa di diverso dall’amicizia tra di loro?

“Sarada, ma io ti piaccio?” mormorò improvvisamente senza riuscire a guardarla, mentre le sue guance raggiungevano una strana sfumatura accesa mai vista prima.

La ragazza quasi si soffocò con l’acqua che aveva appena bevuto. Il suo volto divenne prima scarlatto, poi pallido, poi si sentì un forte rumore di acqua che scende nella gola come un mulinello e finalmente ella riprese a respirare, spalancando le labbra.

“Boruto…” azzardò, come se avesse appena visto un fantasma. Ma Mitsuki era ben lontano da loro: aveva certamente capito che quella mattina stavano continuando ad evitarsi e si era defilato.

“Rispondimi Sarada, ti prego.” riprovò Boruto in tono lamentoso, senza smettere di guardare per terra “Voglio solo capire perché ieri sei diventata tutta rossa.”

“Non sono diventata tutta rossa!” esclamò lei immediatamente, cercando di mantenere un certo contegno, nonostante tutto: si sentiva di nuovo le guance bruciare, proprio come il pomeriggio precedente, quando lui le aveva detto quelle parole che non le avevano fatto chiudere occhio tutta la notte.

“Sei tu che sei strano! Mi eviti da stamattina!” ribatté con forza.

Te ne sei accorta?”

“Non sono stupida come te.”

Sarada aveva parlato in tono di sfida, costringendolo ad alzare lo sguardo: aveva attivato lo Sharingan. Per la prima volta, incapace di dire qualunque cosa, Boruto provò timore del bagliore rossastro che emanavano i suoi occhi e le sue guance.

“Sei così stupido che parli a vanvera! Dire che mi proteggerai ad ogni costo… Sai cosa significa?”

La sua voce si era ormai trasformata  in un sussurro sommesso. Con gli occhi bassi sul terreno, Sarada chiuse la borraccia con uno scatto e si voltò per allontanarsi, ma un “sì” indistinto di Boruto la incatenò sul posto.

“Co-cosa hai detto?” balbettò, incredula.

“Lo so, cosa significa.” replicò il ragazzo con voce nasale, imbarazzato. Proteggere l’Hokage significava proteggere chi aveva il compito di proteggere il villaggio. Poteva sembrare inutile, ma sua madre continuava a proteggere suo padre anche se era l’uomo più forte del villaggio. Per loro due, poi, significava anche mille altre cose che non avrebbero avuto il coraggio di dirsi.

Sarada lo guardò con le labbra strette, impressionata, gli occhi ormai neri dietro gli occhiali. Sentiva le guance bruciarle e gli occhi pizzicarle, ma non si poteva piangere di felicità. La borraccia ben stretta tra le mani, si lascio cadere per terra e, a gambe incrociate, ricominciò a bere sperando che quell’acqua non si trasformasse in lacrime.

Boruto non le toglieva più gli occhi di dosso.

“Dov’è finito Konohamaru-sensei?” disse all’improvviso la voce di Mitsuki, più vicina di quanto immaginavano. Boruto si voltò verso sinistra e vide il compagno correre verso di loro dalle pendici della foresta. Sorrideva largamente, ma non avrebbe saputo dire il perché.

“Non ne ho idea!” replicò a voce troppo alta, alzando le spalle.

Mitsuki gli si fermò accanto senza smettere di sorridere e fissò per un secondo anche Sarada, distogliendo subito lo sguardo.

“Capisco.” disse soltanto, sibillino, poi propose: “Riprendiamo?”

Sarada annuì con la testa, ingoiando quel poco d’acqua che ancora le restava nella borraccia, e si alzò in piedi, sentendosi più stabile di quanto immaginava. Non sapeva come fosse possibile, ma Mitsuki sapeva cosa era accaduto.

Come avrebbero fatto da quel momento in poi? Come avrebbe reagito Mitsuki? E il sensei?

Quello stupido di Boruto l’avrebbe messa in guai seri, se lo sentiva. Ma mentre la sua testa veniva attraversata da quel pensiero, incrociò i suoi occhi, più cristallini del solito, e si convinse che potevano provarci, nonostante tutto.

 

 

***

Note:

In questi giorni mi sono davvero appassionata all’anime di Boruto: i bambini sono dei dolcini e rivedere i vecchi eroi è sempre piacevole, quindi mi sento molto ispirata. Questa fic, ad esempio, nasce, letteralmente, dall’idea della domanda iniziale di Boruto a Hinata e si è sviluppata da sola così come la leggete. Ovviamente non potevo non inserire qualche accenno NaruHina qua e là (ma quanto sono belli da genitori *_*) e lo stupendo Mitsuki, che, sono certa, la sappia lunga! :D

Mi sono convinta che Kishimoto abbia disegnato per Sasuke una figlia femmina soltanto perché deve finire con Boruto, cosa che non ha potuto fare con i due papà, ma potrebbe essere solo una mia impressione. XD In ogni caso, adoro questi due personaggi, e spero di aver reso loro giustizia con questa fic dai toni così adolescenziali, con i personaggi che iniziano a scoprirsi. Ogni tanto è piacevole scrivere un po’ di inner drama fluffoso!

Vi ringrazio di cuore se siete arrivati fino a qui! Spero che la fic vi sia piaciuta, e vi ringrazio in anticipo se deciderete di farmelo sapere, con un commento, con un messaggio privato, inserendo la fic tra i preferiti/ricordati/seguiti, con un piccione viaggiatore o in qualunque altro modo! :D

 

Ja ne,

Ayumi

   
 
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