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Autore: Eneri_Mess    11/02/2021    2 recensioni
Furuya-san devi capire che in questo lavoro affezionarsi è una lama a doppio taglio. Persone che neanche sanno chi sei veramente rimangono coinvolte e tu non puoi farci nulla. La vita va avanti.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rei Furuya, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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COW-T 11, prima settimana, M1
Prompt: Terra
Numero parole: 2644
Rating: SAFE (ma con precipitazioni di angst pesante)
Warning: SPOILER, Major Character Death, spoiler, spoiler, spoiler...


A Shiroi,
abbiamo compiuto questa impresa
e ora ne scriviamo i frutti.




 

Ghost, I see you standing there
Don't turn away, I want you to stay

[Ghost - Jacob Lee]


“Conan-kun, stai bene? Sono preoccupata. Dimmi dove sei, ti vengo a prendere.”

 

Furuya-san devi capire che in questo lavoro affezionarsi è una lama a doppio taglio. Persone che neanche sanno chi sei veramente rimangono coinvolte e tu non puoi farci nulla. La vita va avanti.  

 

Non lo sapeva ancora nessuno.

E nessuno avrebbe saputo la verità, l’intera storia, per molto, molto altro tempo. 

 

“Scusa, Ran-neechan, ma i miei genitori sono venuti a prendermi e stiamo andando in America. Gli sono mancato molto e loro a me. Vorrei passare un po’ di tempo insieme, lontano da… tutto. 

 

Era quel ragazzino che girava intorno al famoso detective dormiente, vero? Quello che giocava a indagare? 

 

“C-Conan-kun, aspetta-” 

“Ora devo andare, Ran-neechan. Non ci sentiremo per parecchio tempo… cerca di stare bene.” 

“Co-”

 

La morte di un bambino è sempre una tragedia, ma questo non può fermarti, non ora, Furuya-san, il nostro obiettivo è vicino. Fallo anche per lui. 



 

Le mani che lo avevano tirato su da terra Rei le aveva odiate per molto tempo. 

Erano state le stesse che non avevano impedito a Hiromitsu di suicidarsi. Quelle mani sporche di sangue, di sforzi, di bugie e misteri che avevano continuato, con sicurezza, a perpetrare i loro obiettivi. 

Quello che anche le mani di Rei avevano fatto, per anni, giorni, ore, minuti, all’ombra di segreti così grandi che fallire sarebbe stata una liberazione, ma che avevano fallito nell’attimo più importante. Avevano fallito nel proteggere. 

Io… non posso più farlo… ti prego… tienila al sicuro...

Rei non fece nulla per facilitare a Shuichi il compito. Sentiva tutto il proprio peso, tutto quello della coscienza, gravargli addosso, ma non gli aveva chiesto di raggiungerlo. Non gli aveva chiesto di aiutarlo a rialzarsi, di portarlo via, di ricordargli con quei gesti quanto, ancora una volta, loro fossero vivi e il mondo continuasse a girare



 

Rei sognò una strada scarsamente illuminata. Era sterrata e i bordi si inclinavano verso un’oscurità dove aveva l’impressione ci fosse dell’acqua, come di un fiume su ambo i lati. 

Camminava puntando avanti, anche se non vedeva dove stava andando, ma alle sue spalle aveva delle voci che gli bisbigliavano fastidiosamente all’orecchio, spingendolo a proseguire. 

Non sapeva dove fosse e aveva una sensazione guardinga riecheggiante a tenergli compagnia. Sapeva di star stringendo una pistola nella mano, ma non era rassicurante. Si solito non amava particolarmente le armi, ferivano in modo troppo doloroso e permanente per i suoi gusti. 

I sussurri si fecero più fitti e Rei aumentò il passo, guardandosi intorno in cerca di qualcosa di diverso, di una scorciatoia, di un punto di riferimento, finché non prese a correre quando sentì il rumore di una macchina. Un motore inconfondibile che gli fece aumentare la tachicardia. 

Era stato scoperto? Sapevano chi era e per chi lavorava? 

No

Non era successo. 

Non era successo perché lui si era esposto. 

Quel bambino era- 

CONAN-KUN!” gridò all’oscurità, adocchiando il ragazzino in quella giacchetta blu inconfondibile a lato della strada, lì dove diventava un pendio e finiva in un’acqua scura che lo stava portando via. 

Rei balzò, scivolando lungo il terreno finché non affondò coi piedi nel fiume. Continuò a muoversi, chiamando Conan, il cui corpo inerte veniva trasportato lentamente dalla corrente sempre più lontano dalle mani di Amuro. 

Perché Furuya Rei era ancora Amuro Tooru. Era ancora Bourbon

Conan aveva fatto in modo che tutto rimanesse così. Per mantenere la sua copertura lui era- 

“... Conan-kun, afferra la mia mano!” 

L’acqua si fece sempre più torbida intorno a Rei e la strada alle sue spalle, l’unica porzione illuminata di quel nulla, si allontanava a ogni passo in cui tentava di guadare quello che non era più un fiume. 

Rei si muoveva a fatica e le sue dita sembravano afferrare solo fango, mentre la vista si faceva sfuocata e di Conan non era rimasta che una macchia informe. 

Quando Rei pensò di arrendersi e lasciarsi affondare, una mano lo afferrò per la spalla. 


Rei si svegliò di soprassalto, col fiatone, rivolgendo subito lo sguardo a quella mano che lo aveva tirato fuori dall’incubo. Aveva dei guanti neri, ma gli bastò alzare la testa per trovare Akai seduto di fianco a lui, a fissarlo con uno sguardo fermo, penetrante, di chi aveva già capito senza che ci fosse bisogno di aprire bocca. 

Rei scrollò le spalle per essere liberato da quel tocco, che gli ricordava quanto ancora il proprio corpo fosse vivo, e si concentrò a capire dove si trovasse, mentre si imponeva di regolare il respiro. 

Era in un’auto. Un pickup. Era nuovo, dall’odore dell’abitacolo sembrava uscito appena di fabbrica, anche se si respirava già un retrogusto di tabacco e c’erano dei piccoli graffietti qui e lì, come se fossero stati trasportati oggetti ingombranti e metallici. 

Fuori dal parabrezza notò solo del grigiore, in parte dovuto alla pioggia battente, ma per il resto era per via del tipo di palazzi che li circondava. Non trovò subito cartelli utili - faceva fatica a leggere e distinguere le targhe - ma vide in lontananza il Rainbow Bridge e, dall’angolazione, non erano a Odaiba. 

Fu distratto e abbandonò le proprie deduzioni quando sentì Akai mettere in moto, senza fiatare o commentare nulla. Rei fece per richiamarlo con un Ohi di gola, raschiato, intriso di tutta la disperazione che sentiva nelle viscere, ma che con Shuichi poteva trasformare in rabbia. Tuttavia non disse una parola quando si ritrovò a fissarsi la mano. 

Era sporca di terra e un lembo rovinato di stoffa rossa spuntava dal suo pugno chiuso.

Come se registrare con gli occhi la mano gli ricordasse di avere il senso del tatto, capì cosa stesse stringendo e il suo petto tornò a svuotarsi di tutto. Ricordò cosa era successo in una cascata in sequenza che gli tolse il respiro. 

Un caso. Una conclusione che li aveva colti alla sprovvista. L’essersi ritrovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Nessuna via di fuga. Gli spari. L’ultima messinscena per salvare il salvabile quando Rei era stato pronto a buttare anni di lavoro sottocopertura. 

Non ho potuto… dirle addio.

Un’ultima richiesta, insieme a quelle dita così piccole e fragili nel modo sbagliato strette su una ferita per cui non aveva avuto scampo.

Tutto si faceva confuso dopo. 

Un’alba senza colori, la terra tra le dita di Rei, i ricordi del dolore per la perdita di Hiromitsu, quelli freschi che erano lame conficcate ma che non lo lasciavano sanguinare. Una cabina telefonica, bugie bugie bugie, e il tornare indietro lì dove Rei aveva scavato per nascondere le prove, come lui gli aveva chiesto. Tornare indietro come se fosse servito a riavvolgere gli eventi, le poche ore in cui tutto si era consumato e spento. 

Rei si fissò la mano. Stringeva il farfallino di Conan, lo stesso che aveva usato qualche ora prima per chiamare Mouri Ran, e l’ultima cosa rimastagli. 

“Stiamo andando a stanarlo.” 

Shuichi rispose a quella domanda rimasta sospesa nell’aria. Non gli lanciò occhiate, ma con la nocca dell’indice destro batté sul bordo del cellulare dove il GPS era attivo e due puntini erano in movimento. 

Rei non replicò. Ricordava vagamente la presenza di Akai. Non quando fosse arrivato, ma che lo aveva tirato in piedi quando ancora aveva le mani immerse nella terra fresca e umida. 

Guardò la mappa sul display e il puntino rosso che si muoveva a velocità sostenuta. Anche se era solo un cerchietto luminoso, il rumore del motore della Porche ristagnava nella sua mente. 

“Ho bisogno di una pistola” disse, la voce rauca, riconoscibile a stento alle proprie orecchie. 

“Quello che ci serve è dietro.”

Con un cenno del capo, Shuichi indicò il cassone del pickup. Rei adocchiò una cassa in plastica nera e un telone avvolto su quella che sembrava la custodia di una chitarra. 

“Un’altra azione indipendente dall’FBI?” continuò Furuya, ma privo del tono astioso con cui di solito si rivolgeva all’ex infiltrato. In fondo, in quel momento neanche lui sapeva che bandiera batteva sopra la sua testa. 

Akai non rispose, cambiando marcia quando si accorse che il puntino rosso stava accelerando, ma rimanendo nei quattrocento metri di distanza per non farsi scoprire. 

“Cosa pensi di raccontare di quello che è successo?” 

Nonostante fosse chiaro che Rei stesse cercando risposte per se stesso, non si fermò dal chiedere. Era entrato in una bolla dove la realtà aveva assunto i contorni slavati degli incubi, del terreno che cede sotto i piedi e ti inghiottisce facendoti scoprire l’inferno. Per quanto cercasse di ricordare i propri obiettivi, una macchia blu sporcata di rosso continuava a occupare il suo campo visivo. 

E ancora una volta, Shuichi non gli diede una risposta. 

Rei non poteva dire di conoscerlo del tutto, ma la frustrazione era una costante nel loro rapporto, insieme al suo bisogno di prevalere. La loro relazione interpersonale era stata più stretta negli anni passati sotto copertura insieme, dove i loro discorsi erano una gara alla menzogna meglio ricamata, dove gli sguardi sospettavano l’uno dell’altro, ma non c’era stata l’occasione di fare quel passo e scoprire di avere in comune più cose del previsto. Non che sapere di essere entrambi NOC avrebbe reso i loro rapporti meno tesi, perché appartenevano lo stesso a mondi diversi, ma probabilmente si sarebbero risparmiati la morte di Hiromitsu. Forse anche-

Rei si prese il viso con una mano. 

Troppi se e ma che stavano infettando le sue fondamenta, indebolendo anni di muri, fortezze costruite su scelte troppo piene di responsabilità. 

“Dimmi qualcosa di utile!” abbaiò per scacciare la sensazione di annegamento che gli stava risalendo la gola, rendendolo instabile. 

“Si chiamava Shinichi.” 



 

Shinichi era l’ultimo tassello a cui Rei aveva dato la caccia in quei mesi, non serviva che Akai aggiungesse Kudou come cognome. La conferma di una teoria così assurda a cui la sua mente logica si era rifiutata di credere, anche se nello stomaco aveva iniziato a dargli credito da diverso tempo. 

“Un anno fa si è trovato invischiato con l’Organizzazione pensando di sventare un semplice ricatto. Gli è stata somministrata l’Aptx4869, lo stesso farmaco che diciassette anni fa ha ucciso Haneda Kohji. Su di lui ha avuto un altro effetto.”

Senza togliere gli occhi dalla strada, Akai si allungò e aprì il vano sotto al cruscotto, per poi tornare a guidare e lasciare a Furuya il compito di tirare fuori il contenuto. Oltre a una vecchia pistola dall’aria scarica, messa lì più per scena, c’erano dei fascicoli. 

Il primo, senza nome, era il più voluminoso, con due fotografie fermate da una clip. Una con Shinichi e, sotto questa, la foto di conferma alla breve spiegazione di Shuichi. Lo sgomento, i sensi di colpa, chiusero la gola di Rei nel fissarle insieme. 

“Prima di un anno fa Edogawa Conan non è mai esistito. Solo un appassionato di gialli come Kudou poteva trovare uno pseudonimo del genere.” 

Non ci fu traccia della punta di ironia che avrebbe dovuto venare quelle parole. Akai restò del suo atteggiamento impassibile, si sarebbe potuto dire professionale, una facciata che non lasciava alcuno spiraglio visibile di quello che stava provando. 

“Da quanto tempo lo sapevi?” chiese Rei senza aprire il fascicolo, ma rimanendo a immobile su quei due scatti. Si sentiva così stupido per non aver creduto subito a quella possibilità

“Dieci anni fa mi sono imbattuto in Kudou su una spiaggia in vacanza. Pura coincidenza.” 

Il suo tono perse di intensità, più simile a un’ammissione per troppo tempo rimandata. Il tono di chi sa che di tempo non ce ne era più. 

“All’epoca aveva davvero sette anni. La sfrontatezza e l’imprudenza erano le stesse. Ho fatto due più due, il risultato era logicamente impossibile, ma ho voluto crederci.” 

Rei si accorse che stava stringendo il farfallino e il fascicolo con dita tremanti, mentre il resto del proprio corpo era un un blocco di pietra. Akai continuava a usare il passato in maniera così netta e giustificata che poteva quasi credere che il tutto fosse già così lontano da essere un vecchio caso di cui era emersa la soluzione solo di recente. 

La terra era umida di pioggia e copriva qualsiasi altro odore, di vita o di morte. La pala era abbandonata di lato, senza un reale motivo, ma aveva sentito il bisogno di usare le mani per seppellire quel suo errore. 

“... aveva deciso così. La sua linea di condotta era fingere con chiunque, anche quando era palese il contrario. Anche messo alle strette. Avevo scelto di stare al suo gioco.” 

La verità era che Rei aveva iniziato a credere alle proprie stesse bugie. Più di cinque anni nel ventre di una bestia nera e il primo barlume di luce l’aveva avuto quando gli era stato affidato l’incarico di indagare su Mouri Kogoro e scoprire il suo “segreto”. 

Era impossibile non rimanere intrigati da Conan, affascinati dal modo in cui il suo cervello univa i puntini, trovando quell’ago nel pagliaio che gli adulti credevano di aver nascosto tanto bene. 

Rei stesso aveva allentato la presa, lasciando che i contorni netti di Amuro Tooru e di Bourbon si crepassero, lasciando intravedere Furuya Rei, persino Zero. 

Nessuno glielo aveva ordinato. Nessuno, né nell’Organizzazione né nella Polizia Segreta avrebbe anche solo valutato un’azione del genere. Eppure lui l’aveva fatto, aveva seminato piccoli indizi e Conan li aveva raccolti tutti, restituendoglieli con quel suo sorriso sfacciato. 

Bugiardo.

Senti chi parla.

“Siamo arrivati.” 

Akai spense il motore, ma non tolse le chiavi. Per la prima volta si voltò a guardare dritto negli occhi Rei. 

“Se vuoi venire con me, questa potrebbe essere la fine del tuo lavoro, dei tuoi anni sotto copertura. Ho capito che Kudou ha agito in modo che questo non succedesse. Se mi segui, se va male, sarai compromesso e distruggerai il suo ultimo sforzo.” 

“Non andrà male.” 

Rei appoggiò nel vano del cruscotto il fascicolo e il farfallino stropicciato. Non ricambiò lo sguardo di Shuichi, continuò a fissare quel lascito più simile a una nuova cicatrice che avrebbe portato addosso per sempre. 

“Le probabilità che uno di loro ne esca vivo sono zero.”



 

Ehi, Ran… 

Non capisci quanto sia vero dire certe cose finché non ti ritrovi a farlo. 

Se stai ascoltando questa registrazione… per me è andata male. Sono certo di averci provato con tutto me stesso e l’avrò fatto continuando a pensare a te. 

Non starò qui a raccontarti come mi sono incasinato, ci penserà qualcun altro. 

Quello che vorrei dirti è che-

Non ti meritavi tutte queste bugie. Tutte le cose che ti ho raccontato per nascondermi in questi mesi. Avrei voluto dirti tutto subito, dirtelo ogni volta che hai sospettato di me, dirti che avevi ragione. 

Avevo paura di coinvolgerti. Avevo il terrore che ti trovassero e di perderti. 

Sono sempre rimasto vicino a te, non nella maniera in cui avrei voluto, ma nell’unica forma in cui mi era possibile farlo. Mi dispiace per tutte le cose brutte a cui hai dovuto assistere, ma sapere che non ti sei mai arresa, che non hai smesso di perdonarmi è stato il motivo per cui sono andato avanti. 

Sto registrando questo nastro in maniera preventiva. Spero che Akai-san non dovrà mai consegnartelo. Anzi spero di poterlo bruciare io stesso prima di tornare una volta per tutte da te. 

Avrò tante cose da raccontarti e voglio farti conoscere tutte le persone che mi stanno aiutando. Penso che cominceremo da Furuya-san giù al Poirot. Una delle prime cose che vorrei fare è guardarlo negli occhi stando alla stessa altezza. 

Ma sto divagando. 

C’è solo un’ultima cosa che vorrei dirti ed è così imbarazzante. 

Mi hai fatto innamorare quel giorno in cui piangevi tagliando un foglio di carta per farci un fiore di ciliegio. Neanche volendo potrei mai dimenticare quel tuo sorriso, piagnona. 

Grazie di ogni giorno insieme. 

Cerca di essere felice.



 

---

Tornare nella sezione di Detective Conan dopo 14 anni ha un che di magico (?).
E tornarci in modo tragico e non proprio al meglio della forma, ma quale espediente migliore del COW-T per veleggiare di nuovo su questi lidi.
Per l’angst si ringrazia Shiroi che, tra tutte le opzioni, ha scelto che a morire dovesse essere Shinichi. Bene, ma ovviamente non benissimo. 

Che dire, spero di scrivere tanta altra roba magari un po’ meno tragica di così UU’’   

Lascio un indizio per cui, se volete, potete interpretare la shottina come un orribile sogno di Amuro. 

Alla prossima ~ 

Pagina autore: EneriMess - Nefelibata ~

 
   
 
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