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Autore: wittyy_name    12/02/2021    1 recensioni
Lance e i suoi amici sono da anni frequentatori assidui dell’Altea Dance Studio. Non solo per i corsi, ma anche per trovarsi, allenarsi e passare il tempo con altre persone che amano ballare. Partecipano ogni anno all’audizione per rappresentare Altea alle regionali di ballo. Lance tenta sempre l’audizione da solista, ma quest’anno non ce l’ha fatta a partecipare e la sua unica possibilità è andata in fumo. Lo stesso accade al suo ignaro rivale, Keith.
*
Per fortuna, Shiro ha un piano geniale: convincere Lance e Keith a fare un’audizione di coppia.
*
Con un po’ di convincimento, e molto impegno, quei due potrebbero riuscirci e andare alle regionali… oppure rovinare tutto.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Allura, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SINOSSI:

vive la lance: L’HO TROVATA! L’HO TROVATA CAZZO
fuck off: cosa?
vive la lance: LA CANZONE PER LE REGIONALI
vive la lance: L’HO TROVATA
fuck off: mandamela
vive la lance: https://www.youtube.com/-------
vive la lance: ….
vive la lance: ………
vive la lance: alloRA??
vive la lance: muoviti keith così mi uccidi
fuck off: mi piace
vive la lance: davveRO??
fuck off: sì
vive la lance: SÌ??
fuck off: sì, ci sta
vive la lance: sì cazzo!


 

Note dell’autric*: Questo capitolo mi piace un sacco e mi sono divertit* molto a scriverlo. Adoro TANTISSIMO anche i disegni che Sora ha fatto, voglio dire, wowie, ragazzi. Li fisserei per ore. Quindi, spero che vi piaccia!

È tempo di osservare questi idioti farsi strada a tentoni nella vita, ma cosa c’è di nuovo in questo, dopotutto?

Buona lettura!!

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Come farei senza la mia meravigliosa beta CrispyGarden? Il fatto che non si sia ancora stancata di correggere questi capitoli interminabili mi stupisce non poco, ma il suo amore per questa ff deve darle una forza da leone!

Dopo una lunga pausa, siamo tornate! Vi avevamo già anticipato che purtroppo gli aggiornamenti si sarebbero fatti più radi, ma speriamo che questo capitolo da 40 pagine Word possa soddisfare la vostra sete pe un po'! E poi, siamo sotto San Valentino, non potevamo non aggiornare...! <3

Buona lettura a tutt*!


 

“Lance-”

“Shhhh!”

“-che stai facendo?”

Shhhh!” Gli scoccò un’occhiataccia, con tanto di occhi a fessura e broncio. Keith gli restituì l’occhiataccia, il volto inespressivo e per niente divertito.

Quando divenne chiaro che Lance non avrebbe aggiunto altro, Keith inarcò un sopracciglio.

Lance sospirò alzando gli occhi al cielo e poi si stese a pancia in giù sul pavimento della sala prove, premendo l’orecchio sulle assi di legno lucido. “Sto cercando di ascoltare, quindi stai zitto.”
Keith assottigliò lo sguardo. “Ascoltare che cosa?”
“La musica! Siamo in una scuola di ballo, Keith. Svegliati.”
L’altro non sembrò per nulla colpito. “Perché vuoi ascoltare musica dal pavimento?”

Lance sospirò, lasciando perdere per un momento, e si tirò su sui gomiti. “Perché sì, Keith.” Disse, calmo e razionale, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Perché lo era. Perché mai sarebbe stato lì con l’orecchio premuto sul pavimento della 4D se non perché Pidge e Hunk erano nella 3D?
“Sto cercando di capire che canzone stanno provando Pidge e Hunk.”
Keith, però, sembrava più confuso che mai. Era seduto per terra vicino a lui, proprio al centro della stanza. Aveva allungato le gambe, poggiando il peso all’indietro sulle mani. Lance ignorò volutamente quel suo stupido codino e il modo in cui mostrava la lunga curva del suo collo. Cominciava proprio a dargli sui nervi. L’aveva detto e l’avrebbe detto di nuovo: i suoi capelli erano stupidi.

Keith aggrottò leggermente le sopracciglia, le labbra increspate in modo adorabilmente confuso e infinitamente intrigante. Avrebbe voluto odiare anche quella parte di lui, ma gli veniva leggermente più difficile. “E perché?”

Lance sospirò a gran voce e alzò gli occhi al cielo, lasciando che quella spinta immaginaria lo accompagnasse mentre si girava sulla schiena. Si spalmò sul pavimento, lo sguardo fisso sul soffitto e su quelle piastrelle così familiari. E l’aveva fatto solo in parte per non guardare Keith. Ultimamente, fissarlo si era rivelata un’attività pericolosa. Se la sua mente viaggiava nel mentre, i suoi pensieri si addentravano in territori pericolosi. Territori che, di solito, gli facevano venire fitte allo stomaco. Il che non andava bene se era nel bel mezzo di una lezione di Shiro e Allura con Keith a tipo… due cazzo di centimetri dalla faccia.

E che cazzo, fottuto Keith.

Ma non del tipo… non del tipo fottere Keith. Quello era un significato del tutto diverso che non aveva alcuna intenzione di esplorare in quel-

“-ance.”

“Cosa?” Disse un po’ troppo in fretta, girando la testa per fissarlo con occhi spalancati, come se Keith fosse capace di leggere i suoi pensieri.

Ma lo stava solo fissando con un sopracciglio inarcato. “Ti ho chiesto perché stai cercando di ascoltare la musica dal pavimento.”

“Oh, giusto.” Fece una risatina, un tipo di risolino nervoso che lo fece vergognare dentro. “Sto cercando di capire che cosa balleranno alle regionali.”

“Perché… non glielo chiedi… e basta?” Chiese lui scandendo la domanda.

Lance sbuffò, girando la testa e riportando lo sguardo sul soffitto per non guardarlo. C’era una macchia di umidità nell’angolo di quella piastrella. Affascinante. “Perché non me lo direbbero.”

“Perché no?”

“Perché non mi direbbero così facilmente la loro routine per le regionali, Keith.”

“… Perché no?”

Alzò le braccia verso il soffitto, alzando la voce. “Perché è un’informazione top secret! Siamo rivali, ora! È così che funziona!”

“Sicuro che non sia solo la tua immaginazione?” C’era un che di divertito nella sua voce che Lance amò e odiò. E quando si girò per scoccargli un’occhiataccia, vide che le sue labbra erano increspate nell’ombra di un sorriso. “E poi, pensavo che noi fossimo rivali.”  E sì. Adesso lo stava proprio prendendo in giro. Keith inclinò la testa di lato e il suo sorriso si allargò, come se non fosse del tutto cosciente di averlo fatto né di come fermarlo. E merda, ecco che gli tornava la tachicardia.
Lance fece un sorrisino e socchiuse gli occhi perché non era sicuro di cos’altro fare e le vecchie abitudini erano dure a morire. “Che c’è, Keith?” Disse, compiaciuto, sollevandosi sui gomiti per sbirciarlo. “Geloso?”

Keith alzò gli occhi al cielo. “Non sperarci troppo.” Rispose impassibile, ma stava ancora sorridendo quando sollevò un piede e lo spinse via con un calcio.

Lance ridacchiò e rotolò sulla pancia, premendo di nuovo l’orecchio a terra per tenersi occupato. “So che è dura per te, considerata la tua acconciatura e tutto il resto, ma dovresti smetterla di vivere nel passato. Siamo partner, adesso, e Pidge e Hunk i nostri rivali.”
Keith si acquietò per un momento, e quella pausa sembrò carica di riflessione. Lance evitò di guardarlo proprio perché si sentiva i suoi occhi addosso. Decise quindi di concentrarsi sull’audio che filtrava dalle assi del pavimento. Era tutto inutile, però. Sentiva il ritmo attutito, ma tutto il resto si perdeva. Quel ritmo poteva essere di qualunque canzone.

“Fammi indovinare. Ti hanno chiesto cosa portavamo alle regionali e, dato che non abbiamo niente, gli hai detto che era un segreto e quindi loro adesso stanno facendo lo stesso con te. Ho fatto centro?”

Lance borbottò qualcosa di incomprensibile e fece così così con la mano a significare che sì, ci aveva azzeccato, e ricevette una risatina soffocata in risposta. Ci fu un altro silenzio, al contempo confortevole e imbarazzante. Ma non imbarazzante per colpa di Keith. Anzi, era confortevole perché c’era Keith.
No, era imbarazzante perché entrambi sapevano che avrebbero dovuto continuare a cercare una canzone per il loro pezzo. Ma quella ricerca continuava da settimane senza risultati. Non riuscivano proprio a decidersi. A Lance non andava bene niente. Avevano trovato belle canzoni, certo, e canzoni che gli sarebbe piaciuto ballare in altre occasioni. Ma quella per le regionali doveva essere perfetta e niente gli aveva dato quella sensazione che cercava con tanta disperazione.

E Keith, nonostante insistesse sul fatto che fosse Lance a rallentarli, era altrettanto esigente.

Quindi, il primo quarto d’ora di allenamento consisteva nel passare in rassegna le canzoni e le idee sul ballo che gli erano venute in mente dall’allenamento precedente. E, finito quel momento, non avevano… praticamente niente da fare dopo. Lance cercava di essere produttivo spiando i loro vicini del piano di sotto, ma non era ancora riuscito a capire che canzone usassero. Il ritmo era troppo generico ed era l’unica cosa che riusciva a sentire.

La musica si fermò di colpo, come se fosse stata interrotta a metà, e poi riprese dall’inizio.

Sbuffò con pesantezza, tirandosi su sui gomiti per scrollare il telefono. “Se mi scaricassi quell’app di musica forse…” Borbottò tra sé.

“Non credo che la rileverebbe dal pavimento.”

“Beh, non mi sembra che a te sia venuta in mente qualche idea.”

“Forse perché non ne vedo il motivo?”

“Il motivo è che voglio vincere!”

“Vincere cosa, con esattezza?”

“Le- beh- loro- non lo so! Ma di fatto mi hanno sfidato e io ho raccolto la sfida.”

Keith inarcò un sopracciglio. “Ma non ha senso.”

Tu non hai senso!” Keith non sembrò per niente colpito. Lance sospirò, ficcò una mano in tasca e si tirò in piedi. Si pulì le mani per poi offrirne una a Keith. Lui la fissò. Lance alzò gli occhi al cielo e scosse la mano con insistenza. “Dai.”

E, con sua grande sorpresa, dopo un momento Keith la afferrò. Ne fu così sorpreso che quasi si dimenticò di aiutarlo ad alzarsi. “Che cosa si fa?” Gli chiese, e Lance ghignò.

“Li andiamo a spiare.”

“Perché-”

Lance lo stava già trascinando verso la porta. “Perché non riusciamo a sentirli dal pavimento!”

Keith oppose resistenza, ma blanda. “Ma perché?”
Lance sospirò e raggiunse la porta, una mano sulla maniglia e l’altra ancora in quella di Keith. Si girò a guardarlo, rivolgendogli un’occhiata inespressiva. “Okay, senti, non ha importanza. Non proprio. Ma Keith… mi annoio. Non andremo da nessuna parte rimanendo qui, quindi tanto vale divertirsi un po’, no? E poi, se scopriamo cosa ballano, forse troveremo l’ispirazione.” Keith non sembrava convinto, le sopracciglia aggrottate e le labbra imbronciate. Lance gli rivolse un piccolo sorriso. “Vale la pena tentare, no?”

Alla fine, Keith sospirò e il sorriso di Lance si fece più grande. “Va bene.”

“Evvai!” Disse, aprendo già la porta.

“-ma ti conviene che questa storia non mi costi le prelibatezze di Hunk, o ti giuro che non ti parlo mai più.”

Lance sbuffò, lasciandolo andare per poggiare le mani sullo stipite, sporgendosi per sbirciare in entrambe le direzioni. “Via libera.”

“Lance, siamo gli unici che vengono al quarto piano.”

“Dai, Keith! Devi calarti nella parte.”

“Non ho detto che l’avrei fatto.”

“Come vuoi, guastafeste.” Si girò per guardarlo, un ghigno stampato in volto, e ondeggiò le sopracciglia. “E poi, puoi ballare con me anche se non mi parli. Si chiama linguaggio del corpo, Keith.” Disse, sottolineando il concetto mettendosi le mani dietro alla testa e muovendo il corpo in modo suggestivo. Si assicurò che fosse un movimento lungo e lento, e venne ricompensato dallo sguardo di Keith, che seguì la linea del suo corpo fino in fondo per poi ritornare in sé e incrociare il suo sguardo.

Forse era solo perché ci sperava, ma poté giurare di aver visto le guance dell’altro tingersi di rosa.

Prima che potesse controllare più da vicino, però, Keith lo superò scansandolo. “Come dici tu. Finiamola con questa storia e basta.”

“Aspetta!” Disse, uscendo di fretta dalla stanza per stargli dietro.

Keith si fermò, occhieggiandolo con diffidenza mentre Lance si avvicinava a lui, mettendogli una mano sulla spalla. “Che c’è?”

“Se dobbiamo farlo, lo faremo nel modo giusto.”

“E quale sarebbe il modo giusto?” Gli domandò con lentezza, come se temesse la risposta.

Il ghigno di Lance si fece più grande. “Sono così felice che tu me l’abbia chiesto. Segui i miei passi.” E poi scattò di lato, colpendo la parete con la schiena più forte del previsto. Ma questo non lo fermò dal piegare leggermente le ginocchia con le braccia aperte lungo il muro e le palpebre socchiuse, facendo saettare lo sguardo da un lato all’altro. “Dun dun, duunun dun dun…” Iniziò a canticchiare sommessamente.

“Dio mio.”

Non smise di canticchiare e bofonchiare e prese a strisciare lungo il muro del corridoio. Quando fu a una certa distanza da Keith, si buttò in avanti con una capriola leggermente scomposta. Quando fu di nuovo in piedi, strisciò per il poco spazio che lo separava dall’altro muro e si portò di nuovo rasente alla parete. Riprese a canticchiare e a strisciare.

“Serio?” Disse Keith, tagliente, le braccia incrociate al petto e un sopracciglio inarcato, e spostò il peso su un fianco. Ma Lance notò la leggera curva delle sue labbra e il modo in cui aveva socchiuso appena gli occhi.

Ghignò. “Serio.” Poi, diede due pacche al muro e indicò un punto di fronte a sé. “Ora porta il tuo culo qui.”

“Devo proprio?”

“Sì, Keith. Devi.”

Sospirò, ma si arrese, cosa che sorprese Lance, ma ehi, a caval donato non si guarda in bocca. Keith si accovacciò a terra vicino a lui, scoccandogli un’occhiataccia quando incrociò il suo sguardo. “Ma non faccio la canzoncina.”

“Non importa. La canterò col doppio della voce per compensare.”

“Lance, non è-”

DUN DUN, DUUN UN, DUN DUN-” Aveva già preso a scivolare lungo il muro, lasciandolo indietro.
Non puoi essere furtivo se canti!” Sibilò Keith, ma Lance poté sentire una risata nella sua voce.

Non si girò né si fermo, facendosi strada lungo il corridoio. Si esibì in un paio di capriole, facendole orribili di proposito e fermandosi schiena a terra per spingersi coi piedi. Valeva la pena sporcarsi la maglia per sentire Keith ridacchiare. Lui non si fece neanche lontanamente prendere la mano come Lance e si accovacciò e strisciò lungo il muro. Ma avrebbe potuto non farlo, quindi Lance la considerò una vittoria.
“Okay, questo era il tuo riscaldamento.” Disse Lance quando furono sulle scale. Gli rivolse un ghigno. “Adesso c’è la vera prova.”

“Ti prego, non dire niente di stup-”

Modalità super spia: attivazione!
Oh mio dio.” Disse Keith, ma rise della grossa quando Lance saltò giù per le scale, appiattendosi al muro e arrampicandosi sul corrimano. “Sei così stupido.”

“Andiamo, Keith. Sai che vuoi farlo.” Disse, dondolando le sopracciglia. “Vivi un po’. Corri il rischio. Magari ti piacerà.” Provò a scivolare lungo il corrimano scuotendo le anche, il che si rivelò più difficile del previsto, ma non si arrese.

Keith non disse nulla, ma Lance notò che sorrideva di sfuggita quando si fece avanti e scivolò lungo il corrimano centrale. Quando arrivò al pianerottolo, scese e si buttò subito in avanti per appiattirsi al muro, le mani contro i mattoni. Incrociò lo sguardo di Lance e gli fece un sorrisino per poi continuare lungo la parete con passetti veloci. Poi saltò e, dando un calcio alla parete, si diede una spinta per atterrare parecchi gradini più in basso.

Lance rise e per poco non cadde dal suo trespolo precario. “Parkour estremo!” Urlò, e saltò, afferrando il corrimano centrale per superarlo con un volteggio. Un volteggio quasi impeccabile, ma l’atterraggio… non altrettanto. Finì sul bordo di uno scalino e mulinò le braccia per cercare di rimanere in equilibrio, ma prima che cadesse di faccia, Keith lo afferrò da dietro per la maglia e lo tirò su.

Incespicò all’indietro e cadde contro il petto di Keith, i piedi finalmente saldi a terra. Sentì una mano sul braccio aiutarlo per l’equilibrio. Il cuore gli batteva forte nel petto e solo il 75% della colpa era dovuto al fatto che era stato sul punto di cadere. L’altro 25% era perché poteva sentire all’improvviso il profumo di Keith, il suo deodorante monotono e terroso con un che di speziato misto a un odore che non avrebbe saputo descrivere ma che aveva imparato ad associare a Keith. Gli invase le narici e, per un attimo, lo lasciò interdetto.

Non era che non si fosse abituato a stargli così vicino, oramai. Ci aveva fatto il callo grazie alle lezioni di Shiro e Allura. Ora riusciva a farsi stringere tra le sue braccia riducendo il rossore al minimo. Ma quel momento era diverso. Non si stavano nascondendo dietro a un ballo. Certo, non erano così vicini per scelta. Piuttosto per riflesso e coincidenza. Ma comunque.

Rimaneva il fatto che a Lance la cosa piaciucchiava e quel pensiero gli mandò il cuore in tumulto perché non voleva che gli piacesse.

“Bel salto.” Disse Keith, con una nota di sarcasmo nella voce altrimenti monotona.

Lance chinò il capo all’indietro, occhieggiandolo con un sorrisino ironico. “Bella presa.”

Si fissarono per quello che forse fu un secondo di troppo e Lance si staccò di scatto, quasi buttandosi giù dalle scale, per continuare a canticchiare più veloce la colonna sonora di Mission Impossible.

Il terzo piano della scuola di ballo era leggermente più frequentato del quarto. E, fortunatamente, erano tutti nel bel mezzo dell’orario di allenamento, quindi chiunque stesse usando quel piano era chiuso nelle sale prova. Il che significava che nessuno poteva assistere alle loro cazzate e che Keith sarebbe stato più invogliato a continuare a farle con lui.

Quando raggiunsero la porta, Lance si accucciò vicino allo stipite, indicando a Keith di fare altrettanto. Lui alzò gli occhi al cielo ma, sorprendentemente, eseguì l’ordine e si sporse sopra Lance. Sbirciarono dietro l’angolo.

“Via libera.” Sussurrò.

“Ci vedo, Lance.”

“Al mio tre-”

“Lance-”

“Uno-”

“Cosa stai-”

“Due-”

Non so cosa vuoi fare-”
“Tre- Via!”
“Lan- merda-”

Lance gli afferrò il davanti della maglia, dandogli uno strattone. Quanto bastava per farlo inclinare in avanti, poi lo lasciò. Si tuffò in avanti, rotolando con più coordinazione per allontanarsi dalle scale e attraversare il corridoio. Dovette fare altre due capriole per raggiungere la parete opposta, poi scattò in piedi, schiena al muro. Quando guardò verso Keith, vide che si era sbilanciato in avanti ma che era riuscito a tenersi allo stipite. Gli stava lanciando una delle sue occhiate apatiche.

Lance gli rivolse una serie di gesti e smorfie nel tentativo di trasmettergli il suo pensiero senza dover parlare.

Sfortunatamente, lo sguardo apatico di Keith si fece solo più confuso, gli occhi strizzati e la bocca socchiusa. Lance inarcò un sopracciglio, ma Keith alzò le braccia e fece spallucce.

Lance si schiaffò una mano in faccia. Uuuugh. Dai, Keith. Non era così difficile. Lo faceva sempre con Hunk e Pidge e loro capivano!

E va bene, il super magnifico linguaggio da spia era troppo complesso per Keith. Doveva renderlo comprensibile per una spia in erba.

Indicò verso di lui, poi fece un gesto con le mani per mimare una capriola e infine puntò a terra vicino a sé.

Sembrò che Keith avesse capito. Almeno quello.

Aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra, scuotendo la testa e formando in labiale No.

Lance rispose mimando un esageratissimo Sì!

Keith non voleva cedere, quindi Lance ricorse all’artiglieria pesante. Era il momento del Codice Rosso.

Abbassò le spalle, inclinò la testa di lato e fece gli occhioni innocenti da cucciolo facendo sporgere il labbro inferiore. Gli diede un bell’assaggio dello Sguardo Certificato da Cucciolo di Lance McClain. Keith l’aveva visto solo in foto e quella volta era stato bombardato anche dalle foto di tutti gli altri. Ma se allora aveva funzionato, sperava che funzionasse anche adesso.

Keith riuscì a resistere per quattro secondi pieni.

Sospirò, il corpo floscio in segno di sconfitta, e scosse la testa. Lance si illuminò come un maledettissimo albero di Natale e non ci provò neanche a contenersi perché Keith si era sporto di nuovo per controllare il corridoio. Gli scoccò un’occhiataccia ma entrò subito in azione. Si tuffò in avanti, esibendosi in un perfetto rintana e rotola. Attraversò il corridoio in un colpo solo e si tirò in piedi con altrettanta grazia di fianco a Lance, la schiena al muro.

“Contento?” Borbottò, guardandolo ancora male.

“Assolutamente.” Disse Lance, con un sorriso a trentadue denti. Piuttosto che soffermarsi su quanto successo, si girò e riprese a percorrere il corridoio.

Sgattaiolarono lungo il muro con passi lenti e calcolati. Non che importasse così tanto, ma voleva essere il più silenzioso possibile. Per il gusto di una sfida in più. Insistette per superare con una capriola tutte le porte chiuse, ma Keith si limitò ad accucciarsi e oltrepassarle carponi. Quando raggiunsero la 3D, Lance la passò con una capriola e si accucciò, la schiena al muro vicino allo stipite. Keith si fermò dall’altro lato e, quando i loro sguardi si incrociarono, Lance si portò un dito alle labbra.

Keith alzò gli occhi al cielo, ma Lance credette di aver visto l’ombra di un sorriso.

Lance strisciò più vicino e premette una mano e un orecchio alla porta. La musica era sempre attutita, ma riusciva a sentirla più chiaramente che attraverso il pavimento. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Era abbastanza sicuro di conoscerla ma, a dirla tutta, quel ritmo avrebbe potuto essere quello di migliaia di canzoni. Perché Pidge e Hunk non ascoltavano musica ad alto volume come tutti in quella scuola?
Il rumore di un movimento catturò la sua attenzione. Aprì gli occhi e sobbalzò perché Keith ora era proprio lì.
Che stai facendo?” Sibilò Lance.

Keith si limitò a rivolgergli uno sguardo per niente impressionato e premette un orecchio alla porta. Così erano faccia a faccia. “Cerco di ascoltare, se solo tu stessi zitto per dieci secondi.” Sussurrò di rimando.

La sua mano era premuta contro il legno e le loro dita si toccavano. A Lance ci volle ogni goccia di autocontrollo in suo possesso per non togliere la mano di scatto. Com’era possibile che un solo fottuto dito potesse emanare così tanto calore?

“Sarebbe più facile se non avessi i capelli sulle orecchie, George Clooney.”

Keith aggrottò le sopracciglia. “Non ha un mullet.”

“Quindi ammetti di avere un mullet?”

“No, ma è quello che stai implicando tu, quindi ti ho corretto.”

“Ce l’aveva negli anni Ottanta. Fidati. Mi sono documentato.”

“Oh, ti credo. Che altro fai nel tuo tempo libero se non cercare persone con mullet, dopotutto?”

“Ehi, l’ho fatto solo due volte.”

“Certo, e in entrambi i casi ti sei imparato una lista a memoria.”

“Cosa stai insinuando?”

“Non sto insinuando un bel niente.”

“Cazzate. Lo sento nella tua voce e non mi piace.”

“E che pensi di fare, eh?”

Erano vicini. Quando si erano avvicinati così tanto? Il volto di Keith era lontano una spanna. Poteva quasi sentire il suo respiro quando parlava. Lance ricordava solo in parte l’ultima volta che si erano ritrovati così vicini, ricordi annebbiati dal tempo e dall’alcol, ma sapeva molto bene cos’era successo.
Merda. Merda, merda, merda.
Avrebbe dovuto allontanarsi. Avrebbe dovuto farlo davvero. Ma non ci riusciva. Spostarsi sarebbe equivalso ad ammettere che era a disagio, e non voleva che le cose tra loro fossero imbarazzanti. Avevano stretto un accordo, no? Niente più stranezze? Niente più imbarazzo? Se si fosse spostato in quel momento, avrebbe alimentato l’idea che si sentiva a disagio. Il che era falso.

Al diavolo il suo cuore a mille e i palmi sudati.

Aprì la bocca per rispondere, ma la porta scomparve all’improvviso.

Un attimo prima ci stava appoggiato, discutendo con Keith, e quello dopo era… scomparsa.

Pochi secondi prima di cadere, vide Keith spalancare appena gli occhi, come lui.

Lance cacciò un urlo per la sorpresa ma riuscì a reggersi sulle mani prima che la faccia baciasse il legno del pavimento. Era comunque spiattellato a terra con Keith di fianco a lui nelle stesse condizioni, ed entrambi alzarono lo sguardo incrociando quello di Pidge, che torreggiava su di loro a braccia conserte. Non sembrava per niente stupito.

“Sapete che parlare a voce alta non è sussurrare, vero?” Disse, inarcando un sopracciglio.

“Non abbiamo parlato a voce alta!” Disse Lance, rimettendosi in piedi. “Sei tu che hai un udito supersonico da pipistrello gremlin o qualcosa del genere.” Senza pensarci, offrì una mano a Keith per aiutarlo ad alzarsi e sperò subito dopo che non fosse sudata. Merda. Lasciò andare la mano di Keith e si spazzolò i pantaloni con fare teatrale.

“No, ha ragione Pidge.” Disse Hunk dall’altro lato della stanza, in piedi vicino al tavolo con il cavo aux, il telefono in mano. Lance si accorse solo in quel momento che la musica si era fermata. Quando era successo? “Riuscivamo a sentirvi sopra la musica.”

“A proposito…” Disse Lance, la voce morbida come seta mentre pronunciava quelle parole con fare sornione, avvicinandosi a lunghe falcate al suo migliore amico. Passò un braccio attorno alle spalle di Hunk. “Hunk, vecchio mio, che canzone era?”
Hunk aprì la bocca come se stesse per rispondere, neanche l’ombra di un sospetto in volto. La vittoria era così vicina a saziare la sua curiosità che poteva quasi assaporarla.

Ma ancor prima che Hunk emettesse un suono, Pidge lo zittì. “Hunk.” Disse secco dall’altro lato della stanza, e la sua bocca si chiuse, sbattendo le palpebre con sorpresa innocente.

“Perché no?”

“Già, Pidge.” Disse Lance, scoccandogli un’occhiataccia da dietro la spalla. “Perché no?”
Pidge gli rivolse uno sguardo piatto e per niente divertito, le braccia conserte. Né lui né Keith si erano spostati da vicino la porta. “Perché è top secret, ricordi?”

“Oh, giusto!” Disse Hunk, nascondendo lo schermo del telefono alla vista di Lance. Gli diede un colpetto sul petto. “Scusa, amico, è top secret.”

“Ma Huuuunk!” Si lamentò, abbracciandolo e appendendosi di peso. “Daiiii!”

“Tu ci dirai che canzone state facendo?” Chiese Pidge.

“… Forse?”

Keith sbuffò e Lance gli scoccò un’occhiataccia, ammonendolo di tenere la bocca chiusa. Cosa che, fortunatamente, fece. Pidge alzò gli occhi al cielo. “Già, come pensavo.”

“Andiamo, Pidge! Non è così importante!” Tentò di nuovo.

Tu l’hai resa una cosa importante!”

“Ha ragione, amico. Ti stiamo ripagando con la tua stessa moneta.” Disse Hunk, scrollandosi di dosso Lance e dandogli una pacca sulla spalla.

Lance mise il broncio perché sapeva che lo sguardo da cucciolo bastonato non avrebbe funzionato su di loro. Lo conoscevano da così tanto tempo che ne erano immuni. Se fosse riuscito a convincere Keith a provarci, però… No, Pidge lo conosceva da ancora più tempo. Probabilmente era immune anche a lui. Era tempo del Piano S.

S per Scommessa.

“Va bene, va bene.” Disse, raddrizzando la schiena e ricomponendosi in una posa più calma e sicura. Alzò le mani in segno di resa, tornando con fare casuale verso Keith e Pidge. Si ficcò le mani in tasca, le spalle incassate, e inclinò la testa di lato. “Beh, cosa ne direste di una piccola puntata?” Chiese a Pidge, dondolando le sopracciglia, un sorriso sulle labbra.

Pidge lo occhieggiò con curiosità, inarcando un sopracciglio. “Una scommessa?”

“Uh, sì, a meno che la definizione di puntata non sia cambiata dall’ultima volta che ho controllato.”

La sua espressione si fece di nuovo poco divertita. “Non ho bisogno della tua insolenza, McClain.”

Il suo sorriso si allargò, e Lance pungolò Keith col gomito. “Ho imparato dal migliore.” Incrociò lo sguardo di Keith e gli fece l’occhiolino. Lui si limitò a sbuffare col naso, alzare gli occhi al cielo e guardare altrove, ma con un sorriso sulle labbra.

“Che tipo di scommessa?” Chiese Hunk, avvicinandosi a loro. Sembrava curioso tanto quanto Pidge, ma molto meno sospettoso.

“Una sfida di ballo, ovviamente.” Disse, sorridendo da un orecchio all’altro mentre gli altri tre lo guardavano con diversi livelli di entusiasmo ed esasperazione. Prima che chiunque potesse dirgli che era una pessima idea (perché non lo era, era un’idea fantastica), passò un braccio attorno alle spalle di Keith e lo tirò a sé, ignorando quanto si era irrigidito. “Noi due contro voi due. Chi perde mostra cos’ha preparato finora per le regionali.”

Keith aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra in un cipiglio confuso. “Ma noi non-”

Lance gli schiaffò una mano sulla bocca, facendolo sobbalzare. “Noi abbiamo tempo per farlo.” Disse Lance ad alta voce, interrompendolo. Dopo che si furono fissati per alcuni lunghi momenti, Keith alzò gli occhi al cielo e afferrò il polso di Lance per spostargli la mano. “Dovremmo allenarci.” Disse, invece di proseguire con il suo pensiero iniziale.

“Sì, anche noi.” Disse Pidge, controllando l’orologio a muro. “Abbiamo ancora trenta minuti.”

“Andiamo, Pidge!” Disse Lance, accasciandosi su Keith. “Vivi un po’!”

Potrebbe essere… divertente.” Disse Hunk, lanciando un’occhiata imbarazzata a Pidge, cincischiando con gli indici. Pidge lo fulminò e lui alzò le mani in difesa. “Dico per dire! Siamo a buon punto e una pausa ci farebbe bene. E poi… sembra divertente.” Gli rivolse gli occhioni da cucciolo e in quel momento Lance seppe di aver vinto. Pidge poteva anche essere immune al suo di sguardo, ma nessuno poteva dire di no a Hunk.

“Bene.” Disse, alzando gli occhi al cielo. “Ci sto.”

“Anch’io!” Disse Hunk, sorridendo radioso.

“Evvai!” Lance alzò un pugno a cielo.

“Me ne vado.” Disse Keith, scrollandosi di dosso il braccio di Lance e dirigendosi verso la porta.

“Ooooh no, che non te ne vai.” Disse, afferrandolo per la maglia e fermandolo. Non incontrò molta resistenza. “Per questa sfida ho bisogno di un partner, che sei tu.”

Lui sbuffò, ma non accennò a proteste. Lance la prese come una vittoria.

“Quindi, a che tipo di sfida pensavi?” Chiese Hunk. “Che tipo di canzoni?”

“A me sta bene mettere canzoni a caso in riproduzione casuale.”

“Va bene, ma dal telefono di chi? Perché sul tuo hai canzoni che non vorrei ballare mai nella vita. Senza offesa.”

“Non preoccuparti. Non mi importa di chi. Sono flessibile e posso ballare su qualunque cosa. Però dico no al telefono di Keith. Ci tiene una playlist emo che usa per le gite in macchina con Pidge.”

“Gli hai detto della nostra playlist di viaggio?” Chiese Pidge.

Keith fece spallucce, l’aria imbarazzata. “Non che fosse un segreto. Aveva già visto le foto…”

“Devo ancora fargliela pagare a Matt…”

“Pidge ha la stessa playlist sul suo telefono,” aggiunse Hunk, “l’ho vista.”

“Hai guardato le mie playlist?” Disse Pidge, la voce più alta di un’ottava.

Lui fece spallucce. “A volte sì, quando uso il tuo telefono. Hai dei selfie molto carini, comunque. Si capisce che il filtro del cane di snapchat è il tuo preferito.”

Pidge emise un suono acuto e indignato, fissandolo a bocca aperta.

“Quindi rimane solo il tuo telefono, ragazzone.” Disse Lance, dandogli un pugnetto sulla spalla.

“A me va bene.”

“Va bene, ma se si fa, lo facciamo bene.” Disse Pidge, scoccando un’occhiataccia ostinata a Hunk. “Ci serve un giudice, altrimenti finiremo solo col litigare per decidere il vincitore.”

Lance ghignò. “Ho in mente la persona che fa al caso nostro.”

Dopodiché, uscirono tutti dalla sala prove e si diressero verso le scale. Pidge guidava il gruppo, scivolando lungo il corrimano, con Hunk alle calcagna, preoccupato e pronto a prenderlo al volo se fosse caduto. Keith, però, ciondolò giù per le scale senza fretta, le braccia conserte e l’aria accigliata, guardandosi i piedi.

“Che muso lungo.” Disse Lance, rallentando per scendere con lui. Era una strana novità dato che di solito facevano gare di velocità ma… non era brutto.

Keith gli rivolse un’occhiata in tralice, poi guardò altrove, le labbra strette. “Non è niente…”

Lance alzò gli occhi al cielo e gli rifilò un colpo di bacino quando svoltarono al pianerottolo. “Andiamo, ti conosco. Che succede.”

“Non sono…” Sospirò, e sembrava frustrato. Inclinò la testa di lato, fissando il muro. “Non sono bravo a fare freestyle.” Lo disse come se quelle parole gli provocassero dolore.

“Lo so, amico. Ti ho visto al parco, ricordi?” Disse, con un sorrisino canzonatorio sulle labbra. Sfortunatamente, non servì a sciogliere la tensione nelle spalle di Keith.

Lui lo fissò, incredulo. “Allora perché li hai sfidati?” Chiese, a voce bassa in modo che gli altri non lo sentissero. “Perderemo di sicuro, Lance. Non so- non so come farlo.”

“Hai ragione. Tu fai schifo di certo.” Disse, e Keith si rabbuiò. “Ma ti stai dimenticando una cosa molto importante.” Gli rivolse un sorriso, infondendoci tutta la sua sicurezza, e indicò se stesso dall’alto in basso. “Hai me.”

Keith sbuffò col naso e alzò gli occhi al cielo, ma un po’ di quella tensione gli si sciolse dalle spalle.

Come ebbero modo di scoprire, Coran non era alla reception. Neanche nella sala ristoro o nelle grandi sale prova al piano terra. E, dopo aver controllato per precauzione, scoprirono che non era neanche nei bagni. Si riunirono nell’ufficio, a mani vuote e senza aver avvistato neanche l’ombra di un capello arancione. A Lance mancava tanto così per mettersi a battere i corridoi di ogni piano urlando il suo nome, ma Pidge gli risparmiò la fatica. Si arrampicò sull’alto bancone e si mise davanti al computer. I tre si fecero più vicini e poggiarono le braccia al bancone, sporgendosi per guardare Pidge che controllava i video delle telecamere delle sale.

“È nella 2A.” Annunciò.

Lance sbuffò. “E ti pareva.”

Quando uscirono dall’ufficio, Keith riprese a trascinare i piedi. Se Lance non lo avesse conosciuto, avrebbe detto che era l’epitomo dell’indifferenza. Ma il punto della questione era che Lance lo conosceva e sapeva che era nervoso. Si notava da come si mordeva il labbro, da come aggrottava le sopracciglia, da come picchiettava senza sosta le dita sulle braccia. Si domandò quando era diventato così bravo a notare cose su Keith.

Gli diede un colpetto con la spalla. “Facciamo a chi arriva prima.” Disse con un sorrisino.

Keith assottigliò lo sguardo. “Non faremo una gara.”

Lance lo superò con uno scatto, le mani in tasca, e si girò su un tallone per poi camminare all’indietro. Il sorrisino era ancora fermo al suo posto. “Uh, sì invece, la stiamo facendo adesso? Sto vincendo.”

“Ti sfido io.” Disse Pidge, con un luccichio negli occhi. I tre si girarono a guardarlo, la sorpresa palese nei loro volti.

“Davvero?” Disse Lance, piano e con sospetto.

Il sorriso di Pidge si fece più grande e lui si finse innocente. Ebbe il solo risultato di farlo apparire molto più malizioso. “Davvero. Anzi, vi sfido tutti.”

Hunk alzò subito le mani, scuotendo la testa. “No no, no, no, no. Io mi tiro fuori.”

Keith inarcò un sopracciglio, assottigliando lo sguardo su Pidge. “La posta in gioco?”

“Chi perde paga milkshake per tutti?”

“Fatta.” Dissero Lance e Keith in coro. I loro sguardi si incrociarono, e Lance notò di sfuggita il suo sorriso prima che Pidge scattasse in avanti all’improvviso.

“Un, due, tre, via!” Urlò d’un fiato quando lo raggiunse. Prima che Lance potesse reagire, si ritrovò la sua mano sulla spalla e una gamba proprio dietro la sua. Pidge sfruttò la rincorsa per spingergli la spalla. La gamba di Lance si scontrò con quella di Pidge e il ginocchio gli cedette in avanti, il torso che si sbilanciava all’indietro. Atterrò sul sedere. Male. E Pidge schizzò via lungo il corridoio, ridacchiando.

Prima ancora di riuscire a riprendersi, Keith lo superò di corsa. Lance boccheggiò, spalmandosi pancia a terra nel disperato tentativo di afferrarlo per la caviglia. Il che, col senno di poi, non era proprio una buona idea. Non avrebbe dovuto rompere la gamba del suo partner prima delle regionali.

Ma non dovette preoccuparsene. Keith schivò con un salto il suo attacco. La sua risata riecheggiò lungo il corridoio.

“Che- torna qui! Pidge, hai barato!” Strillò rimettendosi in piedi e lanciandosi all’inseguimento. Pidge era già scomparso per la tromba delle scale quando Keith raggiunse la porta d’ingresso con il fiato di Lance sul collo.
“Ho imparato dal migliore!” Urlò Pidge, e bene, se l’era cercata, la sfida era aperta.

Pidge poteva anche avere un vantaggio iniziale, ma Lance aveva un vantaggio tutto suo: le gambe. Fece i gradini a due a due, sorpassando Keith verso la fine e raggiungendo la cima delle scale prima di lui. Tentò di superare Pidge a spallate all’entrata, e lui cercò di bloccargli l’uscita. A quanto pareva, Keith non reputava la loro presenza davanti all’ingresso come un grande ostacolo perché non appena Lance lo vide con la coda dell’occhio, sparì. Entrò di scivolata, i piedi avanti, e passò sotto di loro. Si affrettò a riacquistare equilibrio e in mezzo secondo fu di nuovo in piedi, diretto verso la fine del corridoio rivolgendo loro un sorrisino strafottente da dietro la spalla.

Pidge e Lance lo guardarono a bocca aperta solo per un attimo prima di scattare all’inseguimento.

Fortunatamente, la 2A era proprio alla fine del corridoio e quel rettilineo era l’occasione perfetta per Lance di usare le sue gambe lunghe a proprio vantaggio. Non andava spesso a correre, ma era in forma ed era sempre stato bravo negli scatti. Inoltre, c’erano dei milkshake in ballo.

Riuscì a sorpassare Keith proprio prima che raggiungessero la stanza. La porta era socchiusa e Lance ci andò addosso a piena potenza, caracollando nella stanza. “CORA-” Keith si schiantò addosso a lui da dietro ed entrambi rovinarono a terra ammucchiati. Pidge entrò di corsa un secondo più tardi e inciampò sulle loro gambe, finendo sopra di loro.

Gemettero tutti e tre, cercando di rialzarsi e districare braccia e gambe.

“Vogliamo… davvero sapere che succede?” Lance sentì la voce di Shiro e si girò sulla schiena, guardando all’indietro, e vide Shiro, Coran e Allura in piedi vicino a loro che li fissavano con divertimento e curiosità.

“Coran!” Disse Lance, alzando le braccia al cielo. “Coran, Coran il magnifico!”

“Sì, è il mio nome, non lo consumare.” L’uomo era raggiante. Si accucciò vicino a loro, le braccia poggiate alle ginocchia, e fissò Lance. “Che posso fare per te, ragazzo mio?”

“Ci sono!” Disse Hunk, irrompendo nella stanza. Fortunatamente, si fermò all’ingresso e si poggiò allo stipite, evitando di inciampare sul cumulo di gente a terra. Aveva il respiro affannato ed era piegato in due. “Dio mio, siete così veloci.” Si raddrizzò un poco e inarcò un sopracciglio alla scena che gli si parò di fronte. “Uhh… che mi sono perso?”

“Per ora, niente.” Disse Allura, indicando i tre a terra. “Solo… questo.”

“Oh, bene.”

“Coran!” Disse Lance di nuovo, riportando l’attenzione sulla vera questione. Alzò le braccia e schiaffò i palmi sulle guance di Coran, tenendolo stretto. “Devi fare da giudice per una gara di ballo.”

“Una gara, dici?” Disse lui, le parole attutite dalle guance schiacciate.

“Una gara?” Gli fece eco Shiro, la postura rilassata quando incrociò le braccia al petto, guardandoli. Non sembrava affatto sorpreso, solo curioso.

“Abbiamo fatto una scommessa.” Disse Pidge, tirandosi su sulle ginocchia, e Hunk lo aiutò a rialzarsi. “Chi perde deve far vedere quello che ha preparato per le regionali.”

“Ma davvero?” Shiro porse una mano a Keith, tirandolo su. “E tu hai accettato?”

Keith fece spallucce. “Non che avessi molta scelta.”

“Puoi dirlo forte, mullet, non ce l’avevi proprio. Quindi cosa ne dici, Coran?”

Prese Lance per i polsi, scostandogli con delicatezza le mani dalla sua faccia. Sotto i baffi, il suo sorriso era luminoso, gli occhi socchiusi per la felicità. “Ne sarei onorato. Posso scegliere musica e stile di ballo per questa sfida?”

Lance si sollevò sui gomiti, guardando gli altri. Si scambiarono qualche occhiata e alzata di spalle. Poi, guardò di nuovo Coran. “Per noi va bene.”

“Almeno così sarà imparziale.” Aggiunse Pidge.

“Va bene.” Disse Coran, facendo leva con le mani sulle ginocchia per alzarsi con un gesto plateale. “Allora direi che scelgo…” Fece una pausa per maggiore enfasi, arricciandosi un baffo e passando in rassegna i presenti. Fece una posa drammatica e dinamica al tempo stesso. I suoi occhi brillavano di malizia. “Ballo da sala!”

Pidge e Hunk grugnirono, e Keith sembrava avere la nausea, ma Lance alzò un pugno al cielo con un emozionatissimo whoop! e si rialzò i piedi.

“Oh! Sembra divertente!” Disse Allura, dondolandosi sui talloni e unendo le mani. “Possiamo unirci alla scommessa?”

“No!” Dissero Lance e Pidge insieme, a voce abbastanza alta da fare sobbalzare i presenti.

Allura perse subito il suo entusiasmo e spostò il peso su un’anca, le braccia conserte, facendo il muso. “E perché no?”

“Perché tu e Shiro vincereste di sicuro!” Disse Lance, e Pidge fece dei gesti nella sua direzione come muta forma di sostegno.

“Beh, avete detto che solo chi perde deve mostrare quello che ha preparato finora per le regionali. Quindi, mi sembra che in questa scommessa non ci debba essere un solo vincitore quanto un solo perdente. Non vedo il problema.”

Lance aggrottò le sopracciglia e serrò le labbra. Sospirò pesantemente e alzò le braccia al cielo. “E va bene! Come vuoi tu! Ora fate parte della scommessa anche voi! Tanto vi batteremo comunque!”

Coran si diresse verso il cavo aux, borbottando tra sé e cercando qualcosa nel telefono. Intanto, gli altri si misero in coppia e si disposero in modo che tutti avessero spazio a sufficienza. Lance trascinò Keith verso un lato della sala e si voltò verso di lui, aprendo le braccia. Keith non si mosse. Rimase lì, imbarazzato, spostando il peso e occhieggiando gli altri sulla difensiva. Lance notò che si stava mordicchiando il labbro inferiore. Qualcosa dentro di lui si scaldò.

“Ehi, vieni qui, mullet.” Disse, ma la sua voce era gentile e canzonatoria.

Keith lo guardò di sbieco, ma non con odio. Arricciò le labbra nel più minuscolo dei bronci e fissò le mani di Lance come se temesse un loro attacco o qualcosa di simile.

Lance sbuffò e lo afferrò per la vita, tirandolo a sé. “Ho detto…” Gli prese una mano e poggiò quella libera sul fianco di Keith. “Vieni qui.” Sorrideva, in modo timido e rassicurante. O perlomeno, era quello che sperava.

“Cosa si fa?” Borbottò, cincischiando per aria con la mano libera per poi poggiarla con esitazione sulla spalla di Lance.

Lance fece spallucce. “Improvvisiamo. Questa è la posizione base per il ballo da sala, quindi da qui in poi si improvvisa.” Il silenzio calò nella stanza mentre Coran cercava la canzone giusta. Lance poteva sentire gli altri confabulare tra loro, ma Keith rimase chiuso nel suo silenzio. Poteva sentire quanto era teso, anche per come affondava le dita nella sua spalla con un po’ troppa forza. Non lo guardava, e continuava a fissare Coran con apprensione. “Ehi…” Disse Lance piano, scuotendo le loro mani per attirare la sua attenzione. Quando Keith lo guardò, gli sorrise. “Stai tranquillo, va bene? Ce la possiamo fare.”

“Lance…” Disse lui, e Lance sapeva che stava cercando di sembrare autoritario e indifferente, ma la sua maschera si era crepata. “Non… non so improvvisare. Non sono bravo in queste cose. Non so niente di ballo da sala…” Sembrava a disagio, ma nel senso di insicuro, facendolo sembrare ancora più piccolo e vulnerabile.

Non era per niente da lui e Lance non riusciva a capire se gli piaceva o se lo odiava.

“Per tua fortuna, io sono un maestro in entrambe le arti.” Disse con un ghigno, e dondolò le sopracciglia.

Keith non sorrise, ma si rilassò un poco. “Davvero?” Chiese. Sembrava scettico.

Lance fece spallucce e gesticolò con le loro mani unite, vago. “Beh… sicuramente lo sono per l’improvvisazione e dunque lo sono per qualunque cosa.”

“Non credo che funzioni così…” Disse, ma le sue labbra erano leggermente all’insù. Non era proprio un sorriso, ma Lance si sarebbe accontentato.

“Vedrai.” Disse, pieno di sicurezza.

“Ah! Perfetto! Partecipanti, ai vostri posti!” Disse Coran, e Keith sobbalzò facendo scattare la testa nella sua direzione. Sembrava un cerbiatto davanti ai fari di un’auto e Lance si intenerì.

“Ehi.” Disse, stringendo appena la presa, quanto bastava per renderla rassicurante. Keith lo guardò, gli occhi spalancati per le avvisaglie del panico. “Ti fidi di me?”

“Cosa?”

“Ti fidi di me?”

Esitò per un momento, guardandolo negli occhi, il volto aperto ma stranamente illeggibile. C’erano così tante cose che trasparivano dai suoi occhi, e scorrevano troppo veloci perché Lance riuscisse a comprenderle tutte. Poi, però, l’espressione di Keith si addolcì e Lance lo sentì rilassarsi sotto il palmo della mano. “Sì.” Disse, così piano che Lance dovette sforzarsi per sentirlo. Poi, si schiarì la voce e premette insieme le labbra, dicendo più ad alta voce: “Sì, certo.”

Qualcosa di elettrico gli scorse nelle vene, e sorridere gli faceva male alle guance. Inclinò la testa di lato e cercò di rendere la sua espressione più gagliarda che emozionata. “Allora siediti e goditi la corsa, kpop.”

“Cosa devo fare?”

“Segui i miei passi.”

Coran fece partire la musica e Lance mosse i primi passi. Ringraziò mentalmente sua madre per avergli fatto seguire lezioni di ballo da sala con sua sorella quando erano più piccoli. Aveva tirato su un casino incredibile quella volta, ma una volta lì, si era divertito. E in quanto uno dei pochi ragazzi iscritti, non era mai rimasto senza partner. Quell’esperienza unita alla sua propensione naturale per l’improvvisazione lo rendeva un ottimo candidato per vincere quella piccola sfida.

Peccato che il partner tra le sue braccia fosse praticamente un pezzo di legno.

Keith si era irrigidito da quando l’aveva trascinato con sé nel movimento. Lance sapeva che il ragazzo ci stava provando. Davvero. Ma i suoi passi erano goffi, i piedi insicuri. Stava tutto storto e teneva gli occhi incollati al pavimento, guardando i loro piedi come se potessero fornirgli una risposta. Teneva la mano e la spalla di Lance in una stretta mortale. Se Lance non lo conoscesse, avrebbe scommesso che Keith non aveva mai ballato prima in vita sua.

“Ehi, occhi a me.” Disse, e Keith incrociò subito il suo sguardo, gli occhi spalancati per il panico e le sopracciglia aggrottate per la frustrazione. “Smettila di remarmi contro.”

“Non ti sto-”

“Sì, invece. Stai tutto rigido e non mi stai seguendo. Lascia… che ti guidi e basta.”

“Sto- non-”

“Ehi, amico, non importa, rilassati. Segui il ritmo e non pensarci.”

“Come faccio a non pensarci?”

“Basta che… fidati di me e segui il tuo istinto. I riflessi, sai? Sai ballare, amico, e sei anche maledettamente bravo.” Keith sollevò le sopracciglia a quelle parole, e Lance si iscurì. “Già, non farmelo ripetere. Il punto è, lascia che il tuo corpo faccia quello che vuole. Fidati di te e di me, va bene?”

Keith prese un respiro profondo e chiuse brevemente gli occhi. Quando esalò, li riaprì, e nel suo sguardo c’era un fuoco che prima mancava. Gli mozzò il fiato, rubandoglielo dai polmoni come un pugno. Così vicini, nella luce del giorno che filtrava dalla finestra, Lance poteva sentire come mai prima tutta la profondità che quelle iridi racchiudevano. Una profondità che non aveva mai notato. Poi, Keith sorrise. Una piccola e azzardata curva delle labbra che formò un sorrisino quasi arrogante. A Lance tremarono le ginocchia. “Va bene, diamoci dentro.”

Ignorando lo stomaco in subbuglio, Lance ghignò. “Questo è lo spirito. Ora ti faccio girare.”

“Cos-”

Lance gli fece fare una giravolta, tenendolo per le dita. Keith lo fissò, gli occhi spalancati per la sorpresa, ma Lance l’aveva già tirato a sé.

Dopodiché, tutto si mosse velocemente. Lance decise quasi subito che non avrebbero vinto affidandosi solo a portamento e tecnica. Quindi, decise di giocarsi tutto sull’unica cosa che sapeva di poter fare: divertirsi. Keith si sciolse visibilmente e, anche se non era quello che si poteva definire un ottimo ballerino, anche per le sue esitazioni, seguiva molto meglio la guida di Lance. Si piegava quando Lance lo voleva e seguiva la direzione che Lance voleva seguisse. Non aveva molto stile, ma Lance si sarebbe accontentato.

Il brano era abbastanza vivace, ma lento abbastanza perché Lance potesse aggiungerci un suo tocco di dramma per rendere il tutto uno spettacolo teatrale con lui e il suo partner di legno come protagonisti. Su una giravolta, lanciò un’occhiata agli altri. Shiro e Allura, come previsto, erano la quintessenza di portamento e grazia. Neanche Hunk e Pidge se la cavavano poi così male. Non erano granché, ma almeno non sembrava che uno dei due stesse per avere un infarto.

Era giunto il momento di un po’ di buon vecchio sabotaggio.

Piroettò con Keith per la stanza, portandosi nello spazio dei suoi amici. Riuscì a dare una spinta col culo ad Allura e fece girare Keith in modo che desse uno schiaffo a suo fratello con la mano libera. I loro avversari si misero a ridere e Lance si portò lontano da loro in tutta fretta prima che potessero contrattaccare. Cercarono di fare lo stesso con Pidge e Hunk, ma loro furono più resilienti. Lance cercò di usare Keith come arma per far inciampare Pidge, ma Hunk riuscì a farlo spostare con grazia. In risposta, Hunk fece fare a Pidge uno swing out, che piantò il piede dietro il ginocchio di Lance, facendolo sbilanciare. Lance lanciò un urletto, sul punto di cadere.

Ma Keith lo afferrò, cambiando presa e portando il braccio dalla spalla attorno alla sua vita. Si bloccarono in una posa molto simile a un casquè, espressioni di puro panico in viso. Ma quando lui notò di non essere caduto e che Keith ce l’aveva fatta, sorrisero entrambi. Keith lo fece rialzare e Lance rise, facendogli fare una serie di passi veloci per la stanza, piroettando. Keith riuscì a stargli dietro, ma a malapena.

Aggiunsero diverse mosse e prese che avevano imparato con Shiro e Allura, e anche un paio di passi inventati di sana pianta. Keith fu più insicuro di Lance quando li eseguirono, ma almeno sorrideva. Per un attimo, Lance si dimenticò completamente della scommessa, assorbito com’era dall’assicurarsi che Keith si stesse divertendo.

Quando la canzone si avvicinò alla fine, gli fece fare un casquè drammatico, un braccio dietro la schiena e l’altro dietro alla sua coscia per incoraggiarlo ad allungare la gamba dritta in aria. Keith seguì il suo ordine senza fiatare e non esitò neanche un po’ ad abbandonarsi di peso tra le sue braccia. Lance si piegò su di lui e, sulle ultime note, si sorprese a fissare quegli occhi viola scuro.

Sorrideva. Sapeva di star sorridendo perché gli facevano male le guance. E non riusciva neanche a costringersi a smettere perché sul volto di Keith c’era lo stesso sorriso. Per un attimo fugace, pensò che era la cosa più bella che aveva mai visto.

Ansimavano, i petti che si alzavano e si abbassavano a ogni respiro. Fu solo allora, quando la musica scomparve, che Lance si rese conto di quanto erano vicini. Keith era premuto contro di lui, le braccia avvolte attorno al suo collo. La mano che sorreggeva la coscia di Keith era calda e la sua vita sembrava così piccola col suo braccio attorno. Era sempre stato così vicino al volto di Keith o si erano forse avvicinati? Non lo sapeva. Il suo cuore gli martellava un pesante cadenzato nel petto, così forte che sicuramente anche Keith poteva sentirlo. Sperava solo di poter dare la colpa al ballo.

Sentiva il respiro di Keith carezzargli il volto. Aveva mai notato le sue lentiggini prima? Erano sbiadite e davvero adorabili, spennellate sul ponte del suo naso e sulla parte alta delle guance. Gli occhi di Keith erano socchiusi, con quelle sopracciglia lunghe e perfette a incorniciare i suoi occhi stupendi. Pensò che non era giusto che Keith avesse gli occhi più belli che avesse mai visto. Erano più belli di quelli di Allura e Nyma e Pidge messi insieme, e quelli erano gli occhi più belli che aveva mai visto fino a quel momento.
Il sorriso di Keith si era ridimensionato da luminoso come il sole a qualcosa di molto più discreto, ma non meno sincero. Era quasi timido, imbarazzato, ed erano così vicini che non poté ignorare i suoi meravigliosi occhi esitare verso il basso – per guardare alle sue labbra – per poi tornare su di lui, e merda. Merda, merda, merda-

“Ben fatto, ragazzi!” Disse Coran, allegro, e batté le mani.

Lo colse così di sorpresa che sobbalzò e per poco non fece cadere Keith, riacchiappandolo subito. Keith sembrava così stupito che non se ne lamentò neanche. Dopo averlo rimesso in piedi, Lance lo lasciò andare e fece un paio di discreti passi in là per allontanarsi un poco e respirare, finalmente. Il cuore gli galoppava ancora e aveva i palmi più sudati che mai. Non sapeva se anche Keith si sentiva in imbarazzo quanto lui perché non riusciva a costringersi a guardarlo. Merda, merda, merda.
Alla fine, nonostante tutti i loro sforzi, Keith e Lance vennero dichiarati perdenti. Lance tentò di protestare, ma il giudizio di Coran fu inappellabile. Quando annunciarono con imbarazzo che non avevano nemmeno una canzone per le regionali, le espressioni sui volti dei presenti furono per un quarto disappunto, due quarti esasperazione e un quarto confusione.
Fortunatamente, concordarono sul fatto che non era stata una completa perdita di tempo perché si erano proprio divertiti, e Pidge non lo lasciò stare fino a quando Lance non acconsentì a pagare un milkshake a tutti, nonostante avesse vinto la corsa di prima.

Passò l’intero viaggio di ritorno in macchina addossato a Keith nei sedili posteriori e cercò con tutto se stesso di non pensarci. Il suo cuore sembrò non ricevere quell’ordine.

***

Keith si stava provando una maglia per la quinta volta, quando il suo telefono squillò. Rispose facendo scorrere il pollice sullo schermo e si portò il cellulare all’orecchio, guardandosi accigliato allo specchio e osservandosi con occhio critico. “Che succede, Pidge?”

“Keeeith!” Mugolò ad alta voce dal ricevitore. Keith fece una smorfia e allontanò il cellulare dall’orecchio. “Ti ho mandato un messaggio dieci minuti fa che eravamo qui.”

“Davvero?” Controllò le notifiche e… sì. Davvero.

“Sì.” Disse Pidge, al colmo dell’esasperazione. “Muovi il culo o ti lasciamo qui.”

“Non lo faremo!” Sentì Hunk dire da qualche parte di sottofondo. “Ma se riuscissi a sbrigarti, sarebbe super. Lance fa pausa tra poco e gli avevamo detto che saremmo andati da lui.”

“Va bene, va bene, arrivo.”

“Bene!” Disse Pidge, e riattaccarono nello stesso momento.

Si prese un momento per guardarsi un’ultima volta e sospirò, passandosi la mano tra i capelli. Se lo sarebbe fatto andare bene. Pensò che era presentabile, anche se non era sicuro del perché si sentisse in dovere di essere vestito bene. Voleva… lo voleva e basta, okay? E pensava di stare bene. Semplice, ma bello. Jeans neri che gli fasciavano le gambe e mettevano in risalto il culo, maglia nera semplice, i suoi stivali preferiti… Semplice, ma bello… no?

Sperò che anche Lance la pensasse così.

E odiò quella sua speranza. Non aveva alcun motivo per volere che Lance pensasse che era carino, eppure era lì, un pensiero di cui non riusciva a liberarsi, che lo pungolava mentre cercava di vestirsi, che lo seguì quando guardò storto il suo riflesso per poi marciare verso la porta. Vedeva spesso Lance, ma Lance non l’aveva quasi mai visto indossare qualcosa che non fossero vestiti comodi per ballare o la sua uniforme da lavoro.
Il problema era che aveva visto Keith vestito normalmente, quindi non c’era proprio motivo di preoccuparsi di cosa avrebbe pensato di lui adesso.

Quindi, ricacciò indietro quel pensiero, quella preoccupazione, quei ripensamenti che di solito non aveva perché a nessuno interessava come si vestiva, e tentò di rafforzare la sua determinazione. Chiuse a chiave l’appartamento e si diresse verso la macchina di Hunk, ferma nel parcheggio.

Non appena aprì la porta e scivolò sul sedile posteriore, Pidge emise un rumoroso lamento e abbandonò la testa all’indietro per guardarlo. “Era ora! Perché ci hai messo tanto?”

Lui fece spallucce, concentrandosi sull’agganciare la cintura di sicurezza. “Ero distratto.”

Pidge sbuffò, ma lasciò perdere l’argomento. Il viaggio fu relativamente breve, ma il traffico dell’ora di pranzo lo fece sembrare più lungo. Keith cercò di non agitarsi nel sedile posteriore, ma si picchiettava la coscia col dito, cercando di non guardare il proprio riflesso. Il bisogno di toccarsi i capelli era incredibilmente forte, e lo odiava. Hunk e Pidge lottavano per il controllo della radio, e vinse Pidge, che si impossessò del cavo aux. Gli rivolse un sorrisino malefico da dietro la spalla e, mantenendo lo sguardo su Keith, fece partire la loro vecchia playlist emo.

Keith non riuscì a non ghignare, per poi scoppiare a ridere quando Hunk emise un lungo e rumoroso lamento. Tenne le mani sul volante, ma sbatté la testa con forza contro il poggiatesta. “Perché, Pidge? Perché?”

Pidge fece un ghigno di trionfo. “Così impari a ficcanasare nel mio telefono. Soffri.”

Passarono il resto del viaggio a cantare a squarciagola quanto più fastidiosamente poterono, e Keith si sorprese ancora una volta di ricordarsi tutte le parole. Hunk gemette tutto il tempo, ma quando partì Mr. Brightside si unì al coro. Ogni volta che cercava di toccare i pulsanti della radio, Pidge gli schiaffeggiava la mano, rapido e preciso, e dal suono secco dell’impatto Keith sapeva che doveva far male. Aveva subito quegli schiaffi un sacco di volte. Alla fine, Hunk si arrese e si affossò nel sedile, imbronciato.

“Siete peggio di Lance…” Borbottò, facendo manovra nel parcheggio.

“Mi offendi.” Disse Pidge, togliendosi la cintura quando Hunk parcheggiò.

“Mi sbaglio forse?”

“Affatto.” Disse, soffiando la F.
Keith scese dai sedili posteriori, stiracchiandosi e guardando l’edificio di fronte a lui. Era grande e il parcheggio lo era ancora di più, ma per la maggior parte era vuoto. Il bello di venirci di giorno nel bel mezzo della settimana, immaginò. L’insegna Adventure Zone era illuminata al neon e scritta in un font che sarebbe dovuto essere divertente o qualcosa del genere. A lui sembrava… stranamente minaccioso.

Forse perché sapeva che dentro c’era Lance.

Non voleva pensare al perché ciò lo rendeva nervoso. Lance, il suo partner di ballo, il suo nuovo amico. Lance, il fastidioso idiota dal cuore d’oro. Lance, il ragazzo che sapeva come provocarlo meglio di chiunque altro. Lance, che lo irritava. Lance, competitivo senza motivo. Lance, colui che sapeva tirare Keith fuori dal suo guscio. Lance, che Keith aveva baciato in discoteca. Lance, l’idiota che gli era piaciuto baciare, nonostante l’imbarazzo che ne era seguito. Lance-

“Ci sei mai venuto?” Gli chiese Hunk, e Keith sobbalzò, girandosi per guardarlo.

“Oh, uh… sì, un paio di volte.” Disse, grattandosi la nuca. “Shiro mi ci ha portato un paio di volte per il bowling, e ci sono venuto anche con Pidge. Ne è passato di tempo, però…”

“Ci ho festeggiato il mio undicesimo compleanno qui. Abbiamo giocato a laser tag. Io e Keith abbiamo fatto fuori tutti.” Disse, spuntando al suo fianco e offrendogli il pungo. Keith batté pugno religiosamente. “È stato un massacro.”

Hunk tirò fuori il telefono e controllò l’ora, incamminandosi. “Oddio, siamo in ritardo di un quarto d’ora.” Disse, aggrottando le sopracciglia.

Pidge sventolò una mano. “Aveva detto che non sarebbe andato in pausa fino a quando non saremmo arrivati, quindi non preoccuparti.”

“Va bene, ma sai che se ne lamenterà.”

“E quando mai non si lamenta?” Disse Keith, ficcandosi le mani in tasca e seguendoli. Ora che erano arrivati, i suoi nervi tornavano a palesarsi. Che seccatura.

Pidge sbuffò col naso e Hunk sorrise. “Già, ma è parte del suo fascino.”

Keith odiava ammetterlo, ma aveva ragione.

Il posto era ancora più grande una volta dentro. Da dove erano entrati, le piste da bowling erano allineate alla loro sinistra e a destra c’erano i muri per l’arrampicata. Per esperienza, sapeva che il laser tag era in fondo. Si diressero verso le scale per il piano inferiore.

Man mano che scendevano, le luci cambiarono. Il tappeto era blu scuro con strisce e spirali al neon che si ripetevano con un pattern preciso. Non c’era luce naturale e neanche luci fluorescenti come quelle del piano di sopra, ma non era del tutto buio. I giochi a gettoni avevano un’illuminazione più discreta, ottenuta con un misto di luci scure che facevano risaltare i neon. I giochi erano i punti luce di un labirinto di postazioni che sembrava continuare all’infinito, e tutti lampeggiavano e sfarfallavano ed emettevano ogni sorta di suono per attirare giocatori. Verso il fondo, Keith sapeva che c’era un campo da minigolf che si snodava tra grotte improvvisate illuminate da altri neon. Dagli altoparlanti si spandeva una musica a basso volume.

Era un’atmosfera familiare, quella che di solito aleggia su giochi a gettoni e posti del genere, ma c’era anche un che di sinistro in quella luce soffusa, qualcosa di minaccioso nel bagliore dei neon sotto i suoi piedi. Pensò che fosse un senso di presagio imminente. Quel formicolio sottopelle che gli faceva pizzicare la punta delle dita e sudare i palmi. Era così fottutamente felice di avere addosso i suoi guanti.

Non capiva perché si sentiva così. Era solo Lance. Lo vedeva parecchie volte a settimana. Passava più tempo da solo con lui di chiunque altro. Era solo Lance. Solo Lance. Solo Lance. Solo…

Lo vide dall’altro lato della stanza e fu come se un treno in piena corsa lo avesse centrato in petto, mozzandogli il fiato. Era in piedi dietro il bancone dei premi, un’accozzaglia di aggeggi e giocattoli esposti su tutta la parete e dentro il bancone in modo organizzato, ma sporadico. Era illuminato da sopra e da sotto – la luce veniva dalla teca di vetro del bancone –, il che rendeva la sua l’unica postazione costantemente illuminata. Era impossibile non concentrare la propria attenzione su di lui.

Quando arrivarono da lui, Lance era sporto sul bancone, una guancia poggiata sul palmo mentre picchiettava con le dita sul vetro. Quando li vide, però, si tirò subito su e sbatté un palmo sul bancone esibendosi in un sorrisone.

Keith era abbastanza sicuro che l’aria lì sotto fosse più pesante e calda che al piano di sopra. Doveva essere così. Perché non esisteva che il suo corpo reagisse a quel modo alla vista di Lance. Lo vedeva sempre. La sua divisa non era niente di speciale. Solo una polo blu scuro dentro a dei pantaloni kaki. Non era così diversa dalla sua divisa da lavoro. Eppure, quando lo vide, qualcosa di strano e alieno gli si agitò nel petto, e il cuore gli balzò in gola.
Merda.

“Era ora!” Disse Lance quando gli amici si avvicinarono, e si spostò verso la cassa. Premette un paio di bottoni e urlò da dietro la spalla. “Theresa! Vado in pausa!”

“Ricordati che hai solo un’ora!” Disse una donna entrando da una porta di schiena, trasportando uno scatolone. Guardò Lance con fare severo. “Non fare tardi. Vado in pausa io dopo di te.”

“Certo, certo, ricevuto.” Disse, sventolando la mano. Mise le mani sul bancone e lo scavalcò, scivolando col culo sul vetro per poi toccare terra con i piedi quando fu dall’altro lato. La donna si limitò ad alzare gli occhi al cielo, le labbra strette, e non disse niente. “Siete in ritardo.” Li accusò, le mani sui fianchi mentre gli andava incontro.

Keith era abbastanza sicuro che quei pantaloni fossero troppo attillati per metterli a lavoro. E quella maglia tirata tra le spalle e il petto, che gli calzava a pennello ed era rimboccata nei pantaloni ricadendo morbida attorno alla sua vita…

Dio mio, Keith, riprendi il controllo. Scollò lo sguardo da lui e si sorprese di quanto sembrava che l’avesse fatto fisicamente. Osservò i giochi nella sala. Ce n’erano molti, mentre la gente era poca. Il suo cuore scandiva un veloce staccato e Keith lo maledisse mentalmente. Non c’è proprio niente di attraente nella sua divisa. Sono solo vestiti. E neanche belli.

Si augurò di aver sviluppato di colpo una passione malsana per le polo e il color kaki perché se non era colpa dei vestiti, sicuramente era di Lance. E non era pronto ad ammetterlo.

“Già, ma questo qui ci ha messo ottantaquattro anni per prepararsi.” Disse Pidge, indicando Keith col pollice da dietro la spalla.

Keith sollevò lo sguardo, incontrando quello di Lance da sopra la testa di Pidge. Era convinto di essersi immaginato il modo in cui il sorriso di Lance si era fatto un poco più luminoso, gli occhi appena socchiusi. “Ehi, mullet.” La sua voce era stranamente dolce, e Keith era certo di non esserselo immaginato questa volta perché vide con la coda dell’occhio Pidge e Hunk scambiarsi uno sguardo.

“Ehi.” Disse, nonostante il nodo in gola. Inclinò appena la testa di lato, grattandosi la nuca, e si leccò le labbra. Perché si sentiva la bocca così secca? “Spero che, uh, non ti dispiaccia se mi sono aggiunto?” Gli chiese, distogliendo lo sguardo per l’insicurezza ma venendo attratto nuovamente da Lance come un magnete. “Mi hanno invitato, quindi…”

Lance stava già sventolando la mano. “Ma certo che no, amico.” E poi Lance gli fu accanto, passandogli un braccio attorno alle spalle. “Sei uno di noi, adesso, quindi puoi godere dei vantaggi che comporta l’essere mio amico.”

Keith gli rivolse uno sguardo per niente impressionato e inarcò un sopracciglio. “Ci sono vantaggi?”

Lance lo fissò a bocca aperta, inclinandosi all’indietro con una mano al petto per maggiore enfasi. Lo guardava con occhi spalancati e pieni di sdegno, ma Keith sapeva che era tutta una messinscena. Lo vedeva nel modo in cui gli occhi di Lance erano luminosi, nel movimento impercettibile delle sue labbra, pronte al sorriso, che non riusciva a nascondere. Pidge ridacchiò e Hunk sbuffò col naso, coprendosi il sorriso con la mano.

Lance gli si avvicinò di nuovo, abbastanza vicino perché Keith potesse sentire il suo respiro carezzargli la guancia. Poi, gli puntò un dito al petto con forza. “Sfacciato.” Lo accusò con un sussurro ben udibile.

Keith si limitò a ghignare, sperando che Lance non riuscisse a sentire il battito del suo cuore.

“Bene, se avete finito, abbiamo dei giochi da giocare, dei record da battere e dei ticket da vincere.” Disse Pidge, dando loro le spalle e incamminandosi già.

Hunk si affrettò dietro di lui, tirando fuori il portafoglio mentre si dirigevano alla macchinetta dei gettoni. “Sicuro di non poterci far avere tipo… uno sconto o roba simile?”

Lance si scollò da lui e seguì gli altri, ficcandosi le mani in tasca, e Keith cercò di non concentrarsi sull’assenza del suo calore. “Non posso imbrogliare le macchinette, amico.”

“Va bene, ma cioè… non avete un secchio di gettoni o qualcosa che ci puoi procurare?”

“Eeeeee, no, amico.” Disse, spuntando al fianco di Hunk e dandogli qualche pacchetta sul braccio, scuotendo la testa. “Scusa, ma l’ultima volta che l’ho fatto, mi hanno insaccato di parole. Posso farci fare qualunque cosa gratis qui dentro, ma gli arcade sono un’altra storia. Ho le mani legate.” Disse, con un sorriso di scuse e un’alzata di spalle noncurante, mostrando le mani per enfatizzare il concetto.

Hunk sorrise e gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandolo a sé in un abbraccio. “Nessun problema, amico. Non voglio che tu finisca nei guai.”

Keith si sorprese a sbirciare la loro familiarità, la facilità con cui potevano… toccarsi a quel modo. Abbracci casuali, spinte amichevoli, punzecchiature stupide. Era bello ed era normale. Non c’era niente di speciale. Lance era fatto così. Il loro gruppo funzionava così. Non c’era niente di speciale, niente che significasse più di quello che era.

Anche se il cuore di Keith sembrava non capirlo.

Quando arrivarono alla macchinetta dei gettoni, Pidge le stava già dando in pasto le sue banconote, raccogliendo i gettoni nelle grandi tasche dei suoi pantaloncini cargo. Keith ebbe il presentimento che li avesse messi solo per quel motivo in particolare. Quando Pidge lo beccò a fissarlo, gli rivolse un sorrisino. “Usare i bicchieri è da nerd.”

“I bicchieri sono pratici.” Si difese Lance, spuntando da dietro la macchinetta, e ci poggiò sopra un gomito nell’attesa. “Ti lasci le tasche libere per i ticket.”

Pidge sbuffò col naso e si allontanò dalla macchinetta solo quando le sue tasche furono piene di gettoni. “Allora fatti più tasche. I bicchieri sono da bambini.”

I suoi occhi si assottigliarono per il divertimento e un sorrisino sornione gli incurvò le labbra. “Sei sicuro di non volerne uno allor-”

“Sta’ zitto.” Lo interruppe Pidge, minacciandolo con un dito.

Lance si limitò a ridere.

Hunk, come Pidge, indossava dei pantaloncini cargo e si riempì le tasche di tanti gettoni quanti quelli di Pidge. Quando fu il turno di Keith, si prese un attimo per fissare la macchinetta e poi si guardò i pantaloni con un broncio pensieroso. Non… ci aveva pensato. Le sue tasche erano molto poco capienti… Lanciò un’occhiataccia alla macchinetta, guardandola come se lo avesse offeso in modo imperdonabile.

“Dammi un bicchiere.” Disse, tendendo la mano verso Lance senza guardarlo.

Lance rise, afferrando un bicchiere di plastica da dove li tenevano con il solo scopo di contenere gettoni. Glielo mise in mano. “Secondo la logica di Pidge, ora sei un nerd.”

Keith fece spallucce e tirò fuori un paio di banconote, inserendole nella macchinetta. Si adoperò a raccogliere i gettoni e farli cadere nel bicchiere in modo da non dover guardare Lance. “Non è che stia indossando proprio dei pantaloni a tasche larghe.”

E, con la coda dell’occhio, non gli sfuggì il modo in cui Lance si inclinò leggermente di lato né il suo cenno di assenso. “No, affatto.” Disse, la voce stranamente pensosa e… apprezzante? Non era facile da decifrare con quell’improvviso ronzio nelle orecchie, dato che il cuore aveva deciso di pompare il sangue alla velocità della luce. Mantenne il capo chino, gli occhi fissi su quello che stava facendo. Faceva caldo lì? Era sicuro di sì. Se si sentiva il viso così caldo, non poteva che essere altrimenti.

Quando ebbe finito, si allontanò senza dire una parola e fece un gesto a Lance perché facesse lui. Anche Lance prese un bicchiere e Pidge sbuffò, borbottando nerd tra sé e sé. Al che, Lance gli fece il medio.

Una volta pronti, Pidge fece loro strada attraverso i giochi, assicurandosi a malapena che gli altri lo stessero seguendo. Aveva un solo obiettivo in mente e navigava tra i giochi con una familiarità che poteva essere acquisita solo con l’abitudine. Keith lo guardava con le sopracciglia alzate per il divertimento.

Lance dovette accorgersene perché si sporse verso di lui e gli sussurrò a voce abbastanza alta nell’orecchio. “Ogni volta che viene qui, controlla i suoi giochi preferiti per assicurarsi di detenere ancora il record.”

Hunk, dall’altro suo fianco, si sporse e sussurrò a voce altrettanto alta. “Già, e se non ce l’ha più, passa tutto il tempo a cercare di riguadagnarsi il posto, se necessario.”

“Nessun moccioso può permettersi di battermi.” Disse Pidge da davanti, e gli altri risero.

Keith notò che molti dei giochi a cui si fermava erano delle loro incursioni d’infanzia alla sala giochi. A quanto pareva, i suoi preferiti non erano cambiati molto negli anni. Dopo un rapido controllo, il primo paio di giochi sembrava avere ancora il suo record. In altri, Pidge compariva più volte nelle stesse classiche, e sempre nei posti più alti.

Quando arrivarono al terzo gioco della ronda di Pidge, Keith aveva ormai smesso di prestare attenzione. Il suo sguardo vagava tra i giochi e tutto era fin troppo appariscente e neon perché potesse concentrarsi su qualcosa in particolare. Almeno ora gli sembrava più facile respirare, anche se di poco.

“Ehi, Lance! Guarda!” Disse Hunk, stuzzicando l’interesse di Keith.

Seguì il suo sguardo e i suoi occhi si posarono su un grande gioco per il ballo, con uno schermo enorme e lampeggiante di frecce e ragazze disegnate che ballavano, e la musica che andava in shuffle in attesa di giocatori. C’erano due pannelli per ballare sollevati, con frecce agli angoli. Non aveva mai fatto niente di simile prima. Gli unici a cui aveva giocato avevano frecce su, giù, a destra e a sinistra. Ma immaginava che un gioco sul ballo fosse un gioco sul ballo, dopotutto.

Lance sbuffò col naso. “Già, amico, è sempre al suo solito posto.”

“Andiamo, vuoi sempre giocarci.”
Keith si girò e vide Lance che si grattava la nuca con la mano libera, lo sguardo sfuggevole. “Sì, beh… Lo faccio sempre-”

Pidge sbuffò piano senza distogliere lo sguardo dal suo gioco. “Puoi dirlo forte.”

“-quindi sarete sicuramente stanchi di vederlo…”

“Andiamo, amico.” Disse Hunk, dandogli una gomitata sul fianco. “È sempre divertente da guardare, e poi Keith non l’ha mai visto!”

Lo sguardo di Lance saettò su Keith, al quale non sfuggì quel fugace sentore di insicurezza. “Beh, è vero…”

Keith si limitò a guardarli, il volto impassibile. “Non è un normale DDR?”

Lance fece un verso di scherno e alzò gli occhi al cielo. “Okay, intanto non è un DDR, si chiama Pump It Up.”

Keith fece spallucce. “Stessa cosa.”

“Okay, no-”

“Sei bravo a giocarci o che?”

Lance si strozzò per un secondo, boccheggiando e strabuzzando gli occhi prima di ritrovare la parola. “Bravo? Bravo? Sono il migliore!”

Keith fece scattare un sopracciglio, inarcandolo, e un sorrisino gli tirò le labbra. “Che ne dici di mettere quei gettoni al posto delle tue parole?”

“Fatti sotto, Kogane.”

Si fecero strada fino al gioco e si impossessarono di una piattaforma di ballo a testa. Hunk li osservò a distanza mentre inserivano i gettoni e sceglievano la canzone. Keith ne riconobbe alcune, ma non le aveva mai ballate in quel gioco. Sapeva che Lance ci aveva giocato più di chiunque altro, quindi bocciò tutti i brani che presentava con particolare entusiasmo.

Quando Pidge capitò dalle loro parti, avevano ridotto la scelta a due canzoni, e toccò all’amico decidere.

Quando partì il brano, Keith si posizionò al centro della sua piattaforma, lo sguardo concentrato sullo schermo con un unico obiettivo in mente. Non giocava a un gioco del genere da anni, ma era sempre stato bravo quando si trattava di ritmo. Non ne aveva mai provato uno con le frecce negli angoli, ma non poteva essere poi così difficile prenderci la mano, no?

A quanto pareva, era sorprendentemente difficile. Gli ci vollero quindici secondi buoni per abituarsi alla posizione delle frecce, e quelli erano quindici secondi lunghi e fondamentali. Poi, trovò il suo ritmo e iniziò a collezionare perfetto e grande, ma aveva la sensazione che Lance si fosse già portato in testa col punteggio mentre lui si era perso inciampando nei propri piedi.
Ovviamente, vinse Lance. Prima che si potesse mettere a gongolare, Keith gli chiese la rivincita, dichiarando che quello non era stato altro che un riscaldamento. Poteva anche essere stato un riscaldamento, ma Lance lo batté sonoramente anche la seconda volta. Keith era bravo con quel tipo di giochi. Lo era. Era bravo con schemi ripetitivi e tempismo, e da piccolo trascinava sempre Shiro davanti a quei giochi ed era bravo. Obiettivamente, era bravo.

Ma ciò non cambiava il fatto che Lance era fenomenale.

La canzone finì e il record di Lance lampeggiò sullo schermo. Il ragazzo era radioso, le mani sui fianchi anche col petto che si sollevava e abbassava affannosamente. Il sudore luccicava sopra le sue sopracciglia, ma non cambiava il fatto che fosse carino. In una cazzo di polo e pantaloni kaki, per di più. Ugh.

Keith decise quindi di guardare storto il punteggio che aveva ottenuto, poggiandosi alla barra alle sue spalle, la mano sul freddo metallo per ancorarsi. Anche lui era leggermente senza fiato. Fece il muso allo schermo, come se potesse cambiare i numeri in qualche modo.

“Ah! Te l’avevo detto che ero il ballerino supremo!” Disse, con un sorriso fin troppo luminoso perché Keith potesse guardarlo.

“Sgancia, Pidge.” Disse Hunk, allungando la mano.

Keith li guardò con la coda dell’occhio, beccando Pidge che faceva cadere una manciata di gettoni nel palmo di Hunk, borbottando tra sé e sé. Gli rivolse un’occhiataccia. “Avevate scommesso?”

Pidge alzò gli occhi al cielo. “Ovvio che sì. E tu mi hai deluso.”

“Te la sei cercata. Lance ci è praticamente cresciuto con questo gioco.” Disse Hunk, con non poco orgoglio, e diede una pacca amorevole al fianco del macchinario. “È un piacere fare affari con te.”

Pidge gli fece il medio e incrociò le braccia al petto con uno sbuffo.

“Già, Pidge, tutti qui sanno che nel ballo sono il migliore.” Disse Lance, le braccia conserte, e spostò il peso su un fianco. Il suo sorriso non si smosse quando Keith si voltò per scoccargli un’occhiataccia.

“Ma se è a malapena ballare.” Disse, indicando lo schermo. “È solo un gioco basato sul ritmo.”

“Uh, certo che è ballare.”

“No.”

“Sì!”

No.”

“Sai cosa? Vuoi il ballo? Ti faccio vedere io. Aria.” Avanzò di colpo e lo scacciò dalla piattaforma.

Keith scese, le sopracciglia sollevate. “Ma che stai-”

“Te lo faccio vedere io il ballo.” Disse, inserendo i gettoni nel gioco, in entrambe le postazioni, e scorrendo le canzoni. Ne scelse una molto più lenta di quelle che avevano ballato, e Keith aggrottò le sopracciglia per la confusione.

Sentì una mano atterrargli sulla spalla e Hunk lo tirò indietro di un paio di passi. Quando Keith alzò lo sguardo, vide che sorrideva. “Fidati, vuoi stare più indietro per questa.”

“Che fa?”

“Guarda. Sarà fantastico.”

Guardò Pidge, ma lui non lo guardava. Aveva tirato fuori il telefono e acceso la fotocamera, già puntata su Lance, e stava riprendendo. Quando incrociò il suo sguardo, fece spallucce. “È fico per davvero e mi ucciderebbe se non lo registrassi.”

Keith sbuffò piano e incrociò le braccia al petto, spostando il peso su una gamba, e riportò lo sguardo su Lance. Scese dalla piattaforma, l’espressione stranamente determinata, un fuoco che gli divampava negli occhi, emanando sicurezza da tutti i pori. Era un atteggiamento che gli vedeva spesso, ma gli mancava quel suo sorriso-

Poi, Lance lanciò uno sguardo a Keith e le sue labbra si arricciarono in un sorrisino, facendogli annodare lo stomaco pieno di farfalle.

Merda.

Ma Lance aveva già distolto lo sguardo e ora fissava lo schermo, le ginocchia piegate, il baricentro basso, e si piegò in avanti-

“Che sta facendo?” Chiese Keith, incapace di trattenersi. Lo fissò imbambolato e gli cadde la mascella quando lo vide poggiare la testa sulla piattaforma, le mani ai lati, e issarsi a testa in già in un headstand, le gambe piegate e divaricate per mantenere l’equilibrio. Non ondeggiava neppure.

“Ecco.” Disse Hunk, incrociando le braccia al petto, la voce tinta di orgoglio. “Ecco perché amiamo guardare Lance giocare a questo gioco.”

“Ecco perché Lance è un esibizionista con i giochi sul ballo.” Aggiunse Pidge.

“Vero, ma può permetterselo.”

“Immagino di sì.” Rispose Pidge, ma nella sua voce si percepiva un sorriso.

Keith pensò che forse stavano ancora parlando ma, in tutta onestà, non gli stava prestando attenzione. Non appena le frecce iniziarono a scorrere verso l’alto nello schermo del giocatore uno, Lance si mosse, ruotando la testa, e usò le mani per pigiare i bottoni. Non guardava neanche lo schermo, eppure schiacciava sempre quello giusto.

Poi, abbassò le gambe, i piedi che quasi sfioravano terra, e saltò. Praticamente saltellava per la piattaforma, ruotando nel mentre, piegando ed estendendo ginocchia e piedi a ritmo, schiacciando i bottoni quando necessario. In tutta onestà… sembrava molto qualcosa che avrebbe fatto al parco come freestyle, solo che riusciva a farlo andando a tempo con le frecce sullo schermo. Uno schermo che a malapena guardava.

Non appena le frecce iniziarono a scomparire per il giocatore uno e ad apparire sul lato del giocatore due, Lance poggiò una mano sulla sbarra alle sue spalle, schiacciando un bottone con una mano mentre si lanciava con le gambe verso la seconda piattaforma. Atterrò girando su mani e piedi in una mossa accucciata molto simile a qualcosa di breakdance.

Nel bel mezzo dell’esecuzione, si fermò un momento per schiacciare due frecce a ritmo con le mani, come un bambino petulante. Fu una pausa divertente, e Hunk e Pidge se la risero. Keith era troppo immobilizzato per lo stupore per unirsi.

Poi, Lance si rimise di nuovo in piedi, passando da una piattaforma all’altra, i piedi che volavano tra le frecce. Ci aggiunse delle mosse appariscenti, tipo afferrarsi una caviglia da dietro e dondolarla nel mezzo di una piroetta. Si fece trasportare del tutto, i piedi che danzavano, le ginocchia piegate e scattose, schiacciando frecce con talloni e punte dei piedi. Si accucciò più vote per schiacciarle con le mani per poi ritornare in piedi. Il tutto mentre si spostava in continuazione, avvitandosi e piroettando. Ci aggiunse anche movimenti del torso, ondeggiando a ritmo, e sembrava davvero… che stesse ballando.

Non stava solo giocando. Non come poco prima.

Stava… ballando in modo così coordinato che, già che c’era, schiacciava anche i bottoni giusti al momento giusto.

Si lasciò andare del tutto, muovendo la testa a ritmo e ondeggiando le braccia, senza neanche guardare lo schermo. Keith non si rese conto che stava sorridendo finché non sentì applaudire, e scollò lo sguardo da Lance, notando che si era radunata una piccola folla. La gente batteva le mani a ritmo, coordinate da un Hunk molto entusiasta. Pidge fischiava rumorosamente, e Lance rise, piegando la testa all’indietro per un momento, lasciando che la risata spumeggiasse fuori.

Keith si sentiva la gola secca.

Aveva… caldo? Freddo? Aveva importanza? Sentiva qualcosa, ma non era abbastanza connesso col suo corpo per poterlo capire.

Ci fu un momento in cui Lance smise di molleggiare, scivolando con piedi di seta sopra le piattaforme del gioco, le mani come acqua e gli arti sciolti in un modo che Keith gli aveva già visto fare un paio di volte, ma stentava ancora a crederci. Sapeva che l’aveva imparato da Pidge, ma lo stupiva ogni volta. Il cambio tra molleggiato e vivace a onde fluide per poi tornare al molleggiato fu veloce, ma lo colpì profondamente.

Lance era bravo. Sapeva che Lance era bravo. Ma ora si rendeva conto che era un ballerino molto più bravo di quanto gli avesse mai dato credito.

E decisamente fuori dalla sua portata.

“È incredibile…” Disse con una voce che non suonava per niente sua.

“Lo so.” Si illuminò Hunk.

Lance si avvitò e piroettò, muovendo le gambe in modo naturale e riuscendo comunque a schiacciare i bottoni giusti. Tornò di nuovo su mani e piedi, girando e molleggiando per poi tornare di nuovo in piedi, facendo una piroetta. Si mise perfino sulle mani per schiacciare i bottoni finché la gravità non fece effetto attirando i suoi piedi a terra. Il tutto era così naturale, così coordinato, e al tempo stesso emanava un che di spensierato che era incredibilmente Lance. Non era per niente ciò che Keith si era aspettato, niente che si sarebbe aspettato da un ingannevole gioco di ballo, e ora non riusciva a immaginarsi qualcuno che lo usasse in modo diverso.

Le ultime frecce scorsero sullo schermo e la canzone si avvicinò alla fine. Gli applausi si fecero più serrati, alimentati dall’adrenalina fino alla fine dello spettacolo. E proprio quando Keith era certo di aver visto di tutto, Lance si portò sul bordo della piattaforma e si lanciò in avanti, eseguendo un front flip e atterrando con i piedi sugli ultimi due bottoni.

Lo slancio lo fece barcollare fuori dalla piattaforma spedendolo addosso a Hunk, che lo acchiappò con facilità senza neanche esitare. Lance sollevò lo sguardo, scambiandosi un sorrisone con Hunk.

“Credo che sia un nuovo record personale.” Disse Pidge, avvicinandosi per guardare meglio lo schermo.

Lance fece scattare la testa verso di lui. “Sei serio?” Lo raggiunse, posandogli le mani sulle spalle, e si sporse sopra la sua testa. Assottigliò lo sguardo per un attimo, il volto teso per la concentrazione, e poi si illuminò, raddrizzandosi. “Oh merda, sì!”

Si girò e incrociò lo sguardo di Keith. Keith non sapeva che espressione aveva in faccia in quel momento, ma l’aria di arrogante compiacimento che assunse Lance gli bastò per capire che aveva la bocca aperta. Si affrettò a rendere la sua espressione più neutrale, più indifferente, ma sapeva che ormai Lance aveva visto tutto.

Gli arrivò di fianco, mellifluo, il fianco in fuori e le braccia conserte. “Che ne dici, mullet, era o no ballare?”

Keith distolse lo sguardo, principalmente perché non sapeva se sarebbe riuscito a guardarlo in faccia. Non con il cuore a mille e la pelle incendiata, troppo sensibile a tutto, perfino ai suoi stessi vestiti. Sentiva un prurito alla punta delle dita che non riusciva a reprimere.

Sollevò una mano, facendo così così. “Eh, può andare.”
“Può andare?” Boccheggiò Lance, incredulo. “Può andare? Dai! Era pazzesco!” Disse, alzando le braccia al cielo.

Pidge gli diede una pacca sul braccio, guardando il suo telefono. “Non preoccuparti, nel video lo senti che dice che sei incredibile.”

“Davvero?” Si rianimò subito, sbirciando da dietro la spalla di Pidge. “Fammi vedere, fammi vedere, dammiqqua.” Disse in fretta, aprendo e chiudendo le mani per prendergli il telefono.

Pidge lo allontanò con una gomitata. “Cazzo, Lance- levati.” Disse, cercando di allontanarsi e al tempo stesso lottare contro Lance, che aveva il vantaggio delle braccia più lunghe.

Keith si voltò e prese a camminare, con l’intento di esplorare la sala giochi, e gli altri, dopo un po’, lo seguirono.

Non ci volle molto perché Pidge ritornasse alla sua missione con gli altri alle calcagna per tutta la sala. Hunk si fece distrarre da un gioco vicino a quello che Pidge stava giocando, e all’improvviso Lance fu di fianco a Keith.

“Che ne dici di una piccola gara?” Disse lui con un sorrisino sulle labbra, dondolando le sopracciglia quando Keith si girò a guardarlo.

“Serio?” Rispose Keith, impassibile. Perché doveva essere tutto una gara per lui? Perché non potevano godersi un’uscita normale senza che trasformasse tutto in un qualche tipo di sfida-

“Cioè, sto già vincendo dopo quella gara al gioco di ballo, quindi…”

Al diavolo. L’avrebbe distrutto.

“Ci sto. Quanti giochi?”

Si picchiettò il mento col bordo del bicchiere, facendo tintinnare i gettoni. “Cinque giochi a testa? Li scegliamo a turno per un totale di dieci.”

Keith annuì. “Va bene, ma quello del ballo non conta.”

“A meno che non finiamo pari. In quel caso, la vittoria è mia perché vale come spareggio.”

“Andata.”

“Stupendo.” Il suo volto si illuminò di un fuoco che Keith conosceva fin troppo bene. Era per un quarto boria, un quarto emozione e un altro quarto determinazione. Lo fece sfrigolare di un’energia simile, accoccolandosi nel suo stomaco come un’onda di calore, una palla di fuoco che lo spingeva a continuare. Non gli importava che Lance trasformasse ogni cosa in una gara a chi ce l’aveva più lungo, non cambiava il fatto che di solito si divertiva.

E così, tutto sembrò sistemarsi e una normalità familiare li avvolse come una coperta. Il prurito sottopelle si calmò, sostituito da uno molto più familiare. L’ansia si prosciugò, sostituita da un altro tipo di energia, una smaniosa ed emozionata. Si sentiva più presente, più forte, più sicuro di sé, come se si fosse infilato un paio di scarpe che usava da tempo dopo aver indossato un paio nuovo che gli opprimeva i piedi in tutti i punti sbagliati.

Le luci nere e le luci a intermittenza non gli sembravano più minacciose. Anzi, si erano fatte improvvisamente invitanti, come se si stessero rivolgendo a lui, chiamandolo, esortandolo ad avvicinarsi e sussurrandogli di fare il culo a Lance. I disegni al neon sul pavimento scuro fungevano da linee guida, facendogli muovere i piedi come un magnete.

“Chi sceglie per primo?”

“Io. Andiamo.” Disse Keith, afferrandolo per il polso e trascinandolo via. Lance rise e si oppose quanto bastava per risultare una rottura di scatole, costringendo Keith a trascinarlo, ma senza risultare indispettito.

“Hai voglia di perdere, eh?”

“Ti faccio il culo, McClain.”

Arrivati a un incrocio, Keith si fermò, guardandosi intorno con occhi assottigliati, e cercò un gioco che era sicuro di aver visto poco prima.

“Cosa cerchi?” Gli chiese Lance dopo un momento. Il suo sorrisino non accennava a sparire. “Io ci lavoro qui, sai. Se stai cercando un gioco in particolare per la tua rovinosa sconfitta, so dove-”

“Là.” Disse Keith, che si era già mosso, portandosi dietro Lance.

Lance rise quando capì cos’aveva scelto. “Serio?”

Keith lo lasciò andare e posò il bicchiere a terra, prendendo un paio di gettoni. Poi, montò in sella a una moto di plastica. “Paura di perdere?” Gli chiese, guardandolo con un sopracciglio inarcato e un sorrisino dei suoi, sistemandosi sulla sella.

“Manco morto.” Rispose, prendendo posizione sulla moto accanto a quella di cui si era già appropriato Keith. “Sappi che sono un pro a questo gioco.”

Keith alzò gli occhi al cielo e inserì i gettoni. “Lo dici sempre per ogni gioco qui dentro?”

“Beh, ho passato un sacco di tempo qui. Se speri di battermi, sei dieci anni in ritardo.”

“Lo vedremo.”

Come Keith aveva previsto, vinse la corsa, classificandosi senza fatica al primo posto. Lance non era troppo in basso, una decente terza posizione su dodici. Borbottò qualcosa su come la sua moto fosse calibrata male, e Keith si limitò a sbuffare incredulo, alzando gli occhi al cielo.

Lance lo trascinò per la sala giochi fino alla zona degli sparatutto, e scelse un gioco sugli zombie, inserendo un gettone con destrezza dopo aver scelto una delle pistole di plastica.

Keith inarcò un sopracciglio. “Ma qui dobbiamo collaborare.”

Lance aveva già aperto il menù e non lo degnò di uno sguardo. “Sì, ma i punteggi sono separati. Quello più alto vince.”

Keith fece spallucce e prese l’altra pistola. Gli andava bene.

Si fece valere, ma Lance era anni luce più avanti di lui. Si era posizionato più indietro, assumendo una posa da vero tiratore, e i suoi occhi dardeggiavano sullo schermo, allenati e attenti. I suoi movimenti erano precisi e calcolati, la concentrazione che brillava nei suoi occhi blu. E… non avrebbe dovuto essere così sexy. Non con quella pistola blu elettrico in mano collegata al gioco da un cavo nero e spesso. Eppure lo era, e Keith diede la colpa alla distrazione per il suo punteggio da schifo.

Alla fine, erano testa a testa, e quando Lance vinse l’ultimo gioco, il loro punteggio risultò pari.

E grazie a quanto concordato prima, ciò significava che Lance vinceva tutto. Il che significava che sarebbe stato insopportabile.

Keith gemette e si allontanò dall’ultimo gioco che avevano giocato, una vecchia versione di Mortal Kombat. Guardò storto la scritta “PLAYER TWO WINS” a caratteri cubitali. Credeva di poterla vincere, dato che aveva passato ore online a giocare a cose simili. Non aveva preso in considerazione tutte le ore che Lance avrebbe potuto aver passato online su giochi simili.

“Aw yeah, chi è il re?” Disse Lance, dandogli un colpo con l’anca. “Forza, Keith, chi è il re dei giochi?”

“Lance-” Disse, con l’intento di renderlo un avvertimento, ma Lance lo interruppe.

“Esatto, sono io!”

Si esibì in un breve balletto, con fin troppi movimenti di anche che lo resero ridicolo. Keith alzò gli occhi al cielo e raccolse il suo bicchiere mezzo vuoto, allontanandosi.

“Ehi, fermo. Dove pensi di andare?” Disse Lance, prendendolo per il braccio per fermarlo.

Keith si voltò appena, e guardò prima la presa di Lance sul suo braccio e poi, seguendo la sua pelle scura, lo guardò in faccia. “Uh, a cercare Pidge e Hunk?”

“No no, non adesso.” Si girò nella direzione opposta, usando la sua presa per trascinarsi dietro Keith.

Keith si sorprese delle sue gambe che lo seguirono di loro spontanea volontà, anche se teneva le sopracciglia aggrottate. “Dove andiamo?”

“Lo vedrai.” Fu l’unica cosa che disse, rivolgendogli un ghigno malizioso. Arrivarono di fronte a una cabina per fototessere, e Lance lo lasciò finalmente andare, indicandola con entrambe le braccia. “Ta-dan!”

Keith la squadrò per bene e si girò sui talloni. “No.”

“Oh, dai!” Lance lo afferrò per il polso e lo strattonò, facendolo incespicare in avanti. Keith grugnì e mise il broncio, ma lasciò che Lance lo trascinasse nella cabina a due.

Non appena la tenda si chiuse, Keith ebbe la sensazione di aver commesso uno sbaglio. La cabina era piccola. Davvero piccola. Piccola e stretta, costringendoli a stare addossati con braccia e gambe. Lance aveva già messo il suo bicchiere di gettoni a terra vicino ai piedi ed era piegato in avanti, impegnato a scegliere le opzioni per le foto.

“Perché lo stiamo facendo?” Chiese Keith, suonando scocciato, e il suo disagio più che concreto trasparì dalla sua voce.

“Voglio immortalare il momento.”

“Quale momento?”

“Uh, la mia incoronazione? La mia vittoria? Mi sembra ovvio.”

“Non ti capita spesso, huh?”

Lance lo guardò da dietro la spalla, gli occhi assottigliati. “Questa era cattiva.”

Keith non riuscì a trattenersi. Gli fece un sorrisino, e sembrò che fosse sufficiente per guadagnarsi il perdono di Lance, che gli diede di nuovo le spalle per selezionare le opzioni sullo schermo. Keith cercò di non agitarsi nell’attesa.

“Fatto.” Disse Lance, alzandosi. Aveva un sorriso in volto, ma si stava dando delle pacche sulle ginocchia, e questo fece pensare a Keith che forse anche lui era un poco nervoso. “Scatterà quattro foto. Sei pronto?”

“No.”

Lance rise. “Peggio per te.”

Sullo schermo apparve il conto alla rovescia per la prima foto, accompagnato da un bip a ogni numero. Keith incrociò le braccia al petto e aggrottò le sopracciglia, ma Lance gli diede un colpetto col gomito. “Daaaai, Keith.” Si lamentò, con la risata nella voce. Keith sospirò, alzando gli occhi al cielo, e lo accontentò. Ma solo in parte.

La macchinetta scattò con un click rumoroso e palesemente falso, probabilmente era un suono registrato. Lo schermo si illuminò e lasciò il posto a un’immagine. Lance gli aveva passato il braccio dietro la schiena, facendogli le corna. Aveva un sorriso di trionfo. Keith guardava storto l’obiettivo, le labbra arricciate verso l’alto e la lingua di fuori. Faceva il medio all’obiettivo.

L’immagine scomparve poco dopo, sostituita ancora una volta da un conto alla rovescia.

“Dai, Keith.” Disse Lance, dandogli un colpetto. “Questa volta sorridi.”

“L’ho già fatto.”

“Mostrare i denti non è sorridere.”

“E chi lo dice?”

“Io! Sorridi!” Lo circondò con le braccia, passandogliene uno dietro la schiena, e gli piantò gli indici agli angoli della bocca, tirandoli su.

Keith ne fu così stupito che non riuscì a opporsi. Quindi, rise, con un sorriso più genuino che cercava di sopprimere, e catturò la faccia di Lance con le mani. Gli schiacciò le guance prendendole tra pollice e dita, costringendolo a fare un’espressione simile a quella di un pesce. Messo così, non poteva certo sorridere, ma Keith vide la risata che gli faceva socchiudere appena gli occhi e la profondità delle sue iridi brillare di gioia.

Pensò che anche lui doveva apparire così.

I numeri continuavano a calare, i bip si facevano sempre più incalzanti, ed entrambi costrinsero l’altro a girare la testa verso l’obiettivo. Ci fu un flash, il click della macchinetta riempì la cabina, e poi si rividero sullo schermo, apparendo ridicoli proprio come si immaginavano di essere.

Doveva ammetterlo, facevano proprio ridere.

Scoppiarono a ridere, lasciando andare la presa sulla faccia dell’altro, ma non tirarono via le mani. Quando Keith riaprì gli occhi, girandosi verso Lance, si spaventò di quanto fosse vicino. Lance era girato verso di lui, gli occhi nei suoi. I loro sguardi si incrociarono e la loro risata morì poco a poco, lasciando solo respiri morbidi e l’ombra di un sorriso.

Il braccio sulla sua schiena si rilassò, poggiandosi sulle sue spalle. L’altra mano si sollevò in aria per un momento e poi le nocche gli sfiorarono il mento, risalendo lungo la guancia, sistemandogli con le dita una ciocca di capelli dietro l’orecchio con tenera esitazione.

Keith era sicuro di essersi dimenticato come respirare, i polmoni bloccati e capaci solo di emettere piccoli respiri, il cuore che palpitava come un martello pneumatico. Sotto le dita sentiva la pelle calda di Lance. Senza pensarci, spostò le mani, sfiorando con la punta delle dita quella pelle terribilmente morbida, e la posò sulla sua guancia.

Biiip.

Erano così vicini che il respiro di Lance, corto e basso, gli solleticava le guance. Avvertì il suo respiro bloccarsi, piuttosto che sentirlo.

Biiip.

Sentì le dita di Lance affondare nei suoi capelli, lente e gentili, e un brivido gli corse lungo la schiena.

Biiip.
Il suo pollice si mosse da solo, carezzando lo zigomo di Lance. Com’era possibile che la sua pelle fosse così morbida?
Biiip.

I loro nasi si scontrarono e, anche se erano abbastanza vicini da potersi aspettare quel contatto, Keith sentì comunque una scarica elettrica nelle vene accendergli un fuoco sottopelle. Quel tocco era stato così leggero, così esitante. Si allontanarono solo per riavvicinarsi, con più decisione questa volta, e inclinarono la testa in modo che si sfiorassero appena col naso.

Pensò di aver sentito le labbra di Lance sulle sue, così improvvise e fugaci che credette di averlo immaginato.

Sperò di esserselo immaginato.

Sperò di non esserselo immaginato.

Un flash. Lo scatto della macchinetta. Lo schermo mostrò la foto, ma non si voltarono a guardarla.

Non capì chi aveva dato il via, chi aveva eliminato la distanza che li separava, superando quel limite, e in tutta onestà non gli interessava. Sapeva solo che, all’improvviso, stava baciando Lance, ed era l’unica cosa a cui voleva pensare.

Gli inebriava i sensi, il suo profumo nel naso, la sua pelle morbida sotto le dita, il suo sapore sulle labbra, le sue labbra morbide anche adesso, premute con decisione sulle sue, con insistenza, vogliose, che tirò via per inclinare meglio la testa e che poi riportò sulle sue, facendole incontrare di nuovo.

Questa volta non era ubriaco. Sentiva tutto. Era ben conscio del modo in cui il suo cuore gli batteva forte nel petto. Sentiva il fischio del suo respiro, pesante quando esalò contro la guancia di Lance. Sentiva le orecchie che ronzavano per il sangue che scorreva troppo veloce nelle vene, troppo veloce. Sentiva ogni dettaglio delle labbra di Lance. Che erano leggermente più sode delle sue. L’accenno di barba in crescita sopra il labbro e sul mento. Che le labbra di lui non erano affatto screpolate, mentre le sue sicuramente sì.

Erano labbra vogliose e decise e bramose. Erano morbide e arrendevoli e dolci.

Questa volta non lo era, ma cazzo se si sentiva ubriaco.
Sentì una scintilla di qualcosa nel petto, un panico fugace che gli serrò il petto e strinse lo stomaco. Sentiva una voce in testa che gli diceva fermati, rallenta, pensaci. Parole che vennero facilmente sommerse da una marea di LanceLanceLance.

In quel momento, non gli interessava della razionalità. Non gli interessava delle possibili ripercussioni. Di cosa dovrebbe e non dovrebbe fare. Non gli interessava, non gli interessava, non gli interessava. Sapeva solo che ne voleva di più.

Di più.

Di più.
La macchinetta scattò. Le luci sfarfallarono dietro alle sue palpebre chiuse. Merda, quella volta non aveva neanche sentito i bip. Pensò che ora c’era una prova fotografica di quel momento, e per poco quella consapevolezza non rovinò l’atmosfera, ma poi affondò appena i denti nel labbro di Lance, tirandolo, e lui fece un cazzo di gemito, basso e lieve e-

Fanculo. Non gliene fregava più niente.

Si ritrasse, ignorando il piccolo gemito di protesta che si lasciò sfuggire Lance sporgendosi verso di lui, inseguendolo. Aprì gli occhi di scatto, le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione, e spalancò gli occhi quando vide Keith spostarsi. Keith lo spinse meglio sulla seduta, muovendosi impacciato e con impazienza, e si mise a cavalcioni di Lance, le ginocchia ai lati delle sue cosce.

Lance lo fissò a bocca aperta, gli occhi spalancati e le mani sollevate e incerte. Keith non gli diede il tempo di dire qualcosa di stupido rovinando così il momento. Gli gettò le braccia al collo, affondando le dita nei suoi capelli, e gli fece inclinare la testa, chinandosi per reclamare di nuovo le sue labbra.

Approfittò di averlo colto di sorpresa e usò la lingua nel bacio. Lance esitò solo un momento, poi chiuse gli occhi e posò le mani sui fianchi di Keith, facendo scivolare le dita sotto la maglia e sula sua pelle. Ricambiò il bacio al meglio che poté. Lo ricambiò con altrettanto fervore improvviso e voglia, cosa che accese il desiderio di Keith con più foga, facendo ardere fuoco nelle sue vene, scatenando elettricità sottopelle, che cresceva e bruciava.

Il loro bacio era scomposto e scoordinato, labbra e mani poco esperte dell’altro ma così vogliose di imparare. Non era il miglior bacio che Keith avesse mai ricevuto, ma non gliene fregava un cazzo. Gli piaceva lo stesso.

Peccato che il suo piano per impedire a Lance di dire cazzate non funzionò.

“Porca merda.” Mormorò, muovendo le labbra contro quelle di Keith. “Porca merda.” Sembrava senza fiato, ma a quanto pare di fiato ne aveva ancora.

“Lance, stai zitto.” Ringhiò, mordendogli di nuovo il labbro, questa volta con più forza. Lance sussultò, inspirando di colpo e lasciando fuoriuscire il respiro con un lungo e lento gemito. Strinse le dita per poi rilassarsi, e le sue mani si fecero più ardite ogni secondo che passava, esplorando i suoi fianchi. Su, giù, sotto la sua maglia, ancora su, giù lungo le sue anche, lungo le cosce, di nuovo su.

“Porca merda, ci stiamo baciando-” Disse, boccheggiando leggermente quando si scostò per respirare. Non si spostò di molto, inclinò appena la testa di lato.

Keith, però, non aveva ancora finito con lui, non era pronto a fermarsi. Fece scivolare le labbra lungo la sua mascella, arrivando all’orecchio e posando un bacio appena più sotto. Sentì Lance rabbrividire sotto di lui e lasciò una scia di baci lungo il suo collo, le labbra socchiuse. “Già.” Disse con semplicità, ignorando che fosse senza fiato tanto quanto Lance.
Di nuovo.”

“Già.” Gli mordicchiò la clavicola e risalì con la lingua lungo la linea del collo. Lance inclinò la testa di lato, permettendo a Keith di fare ciò che voleva con quella sua deliziosa pelle scura, soda e morbida.

“Porca merd- siamo sobri stavol- non sei ubriaco, vero?” Straparlava. Keith voleva che la smettesse, che si godesse quel momento, che stesse zitto per una volta nella sua maledetta vita. Al tempo stesso, non lo voleva. Che continuasse a parlare. Che gli facesse sentire quanto era perso, per capire se provava quello che provava lui.

Sollevò il capo per guardarlo. Si scontrarono col naso, i loro respiri mescolati. Lance aveva gli occhi socchiusi e scuri, le pupille dilatate. Keith si passò la lingua sulle labbra, cercando di ritrovare le parole, e vide il modo in cui lo sguardo di Lance seguì brevemente quel movimento prima di ritornare su di lui.

“Vuoi smettere?” Gli chiese, la voce bassa, cauta, esitante, riluttante. Gli stava offrendo una via di fuga, un modo di fermare il tutto prima che andassero troppo oltre, perché Keith non era sicuro di poterlo fare.

Lance non esitò. “Ma col cazzo.” Disse, anche se gli uscì più come un sospiro. I suoi occhi studiarono quelli di Keith. “E tu?” Sembrava piccolo. A Keith non piaceva quando suonava a quel modo.

Sbuffò col naso, un suono basso e secco. “Se fosse così, pensi che sarei sopra di te?”

A quelle parole, Lance si aprì in un sorriso, scacciando le tenebre. “Ottima obiezione.”

Si sporse in avanti e catturò di nuovo le labbra di Keith, e a lui andava più che bene. Sentì una mano scivolare lungo la maglia, le dita incredibilmente gentili che esploravano la linea della sua schiena, come se fosse stato così fragile da potersi rompere. Passò una mano nei capelli di Lance, facendogli inclinare la testa e ingoiare il sussulto che fece. Con l’altra, afferrò il retro della maglia di Lance, quella maledetta polo, stringendone saldamente la stoffa.

“Non significa per forza qualcosa, giusto?” Sussurrò Lance tra le labbra che si muovevano, si attiravano e si respingevano, avanti e indietro. Sembrava che stesse cercando di auto-convincersi.

Qualunque cosa fosse, si sentì pervadere dal sollievo, un sollievo che non sapeva di aver avuto bisogno di sentire. Un nodo di tensione che non aveva avvertito nella foga si sciolse, e rilassò spalle e muscoli dello stomaco. Non capiva che cosa significasse, e non sapeva che cosa voleva che significasse. Non voleva pensarci in quel momento, e andava bene così. Come aveva detto Lance, e come aveva detto lui l’ultima volta che era successo, non doveva significare per forza qualcosa.

Non se non lo volevano.

Potevano fare ciò che volevano, lasciarsi trasportare dal momento, senza freni, senza pensieri e paure molesti a rovinare il tutto.

Forse si sarebbe dovuto preoccupare, ma non gli importava. Non in quel momento. Non con le labbra di Lance sulle sue, vogliose e piacenti. Non quando Lance aveva aggiunto la lingua, esplorando la sua bocca in modo quasi supplichevole, ritraendosi quando Keith si fece avanti per fare lo stesso. Spinta e ripresa. Dare e ricevere. Flusso e reflusso.

Non deve significare per forza qualcosa. Non doveva significare più delle sensazioni che stava inseguendo. Il sollievo era più inebriante del sapore delle labbra di Lance e scoprì che senza quella tensione latente non aveva alcun motivo per trattenersi. Dondolò i fianchi avanti e indietro, e si godette il sussulto di sorpresa di Lance, il modo in cui le sue mani si strinsero per tenersi a lui. Lo fece ancora e ancora, cercando di imprimersi nella mente la sensazione delle labbra di Lance.

“Non deve significare per forza qualcosa.” Ripeté tra respiri spezzati, dando a Lance quella sicurezza che aveva dato a lui.

Dudes being dudes?”

“Lance-”

Bros being bros?”

Sta’ zitto.”

“Chiudimi la bocca, se ci riesci.”

E ci riuscì. Facendo anche un ottimo lavoro.

“Lance?” La voce di Hunk scoppiò la loro piccola bolla di solitudine.

Si immobilizzarono entrambi, Lance era rigido come una tavola sotto di lui, le labbra immote come pietra. Aprì gli occhi e vide che in quelli spalancati di Lance, che lo fissavano, c’era panico. I suoni della sala giochi li travolsero tutti insieme: voci, i pling e la musica e le voci dei giochi, il suono lontano di birilli che cadevano da qualche parte al piano di sopra, la musichetta sommessa emessa dallo schermo della cabina delle fototessere, la radio che andava da chissà dove eppure ben udibile.

“Keith? Lance!” Li chiamò Hunk, ora più vicino.

“Dove cazzo siete?” Queste le parole trasportate dalla voce di Pidge.

“Pidge, non puoi dire cazzo dove ci sono bambini!”

“L’hai appena fatto anche tu.”
“Oh, cazz- cioè! Merda- minchia, ugh.”

Se rimanevano lì, li avrebbero beccati. Keith lo sapeva e, a giudicare da come Lance si era irrigidito, lo sapeva anche lui. Avrebbero girato l’angolo e visto i maledetti pantaloni kaki di Lance dietro la tenda della cabina, l’avrebbero tirata e trovato Keith comodamente a cavalcioni su di lui.

Merda. Merdamerdamerda.

Poi, Lance lo spostò di lato all’improvviso, sgusciando via da sotto di lui, e tirò la tenda del lato opposto da cui sentivano le voci dei loro amici. Uscì e tenne tirata la tenda, porgendogli una mano. Non disse nulla, ma non ce n’era bisogno.

Keith gli prese la mano e Lance lo tirò fuori dalla cabina. Riuscirono ad allontanarsi di un paio di passi frettolosi prima che Keith lo strattonasse per fermarlo.

“Che fai?” Sibilò Lance, girandosi a guardarlo. Gli tirò la mano di nuovo, incitandolo a proseguire.

Keith rimase dov’era. “Le foto.” Disse, indicando la cabina.

“Lascia perdere.”

“Pidge e Hunk le vedranno.”

“Sanno già che ci siamo baciati una volta.”

“Okay, prima di tutto, fanculo per averglielo detto. E secondo, vuoi che sappiano che è successo di nuovo?”

A quelle parole, sbiancò un poco. “… No.”

Keith gli lasciò la mano e scattò verso la cabina, infilandosi dall’altro lato e sporgendo con la mano dall’altra tenda. Afferrò le due strisce di foto che aspettavano innocenti nel piccolo vassoio. Non le guardò neanche e se le ficcò in tasca, affrettandosi a ritornare da Lance. Quando Keith fu di ritorno, Lance gli stava già tendendo la mano e lui la prese senza esitare.

Poi, Lance lo guidò per la sala giochi, quasi correndo e trascinandosi dietro Keith. Lui cercò di stargli dietro, ma si sentiva come se non riuscisse a riempire a fondo i polmoni e i suoi passi erano stranamente incerti, facendolo incespicare.

Non fece neanche caso a dove erano diretti. Si trascinarono lungo i corridoi, macchinari e luci intermittenti, inseguendo i disegni neon sul tappeto di mezzanotte. Quando Lance si fermò, finalmente, Keith non se ne accorse e gli andò a sbattere addosso. Incespicarono e risero e si tennero in piedi poggiandosi alle braccia dell’altro per non cadere. Erano senza fiato, l’aria intorno a loro carica di emozione e adrenalina.

Lance li aveva trascinati da qualche altra parte, nel cuore del labirinto della sala giochi. Si erano infilati nella zona dei giochi meno usati, in un angolo, racchiusi tra i muri e i giochi. Non vedevano nessuno, e Keith era pronto a scommettere che nessuno potesse vedere loro.

“Non posso credere che stiamo scappando dai nostri amici.” Disse Lance, un enorme sorriso sulle labbra.

Keith ricambiò il sorriso, ma non disse nulla. Non ce n’era bisogno. Sapeva perché erano scappati dai loro amici, e sapeva che anche Lance lo sapeva.

Lo si capiva dall’aria pensosa e dalle guance arrossate. Dal modo in cui Lance si umettò le labbra, gli occhi semichiusi che caddero sulle labbra di Keith per poi ritornare sui suoi occhi. Dal modo in cui Keith si fece avanti e Lance arretrò con la schiena al muro, senza scappare bensì guidandolo. Dal modo in cui le mani di Lance gli carezzarono le guance per poi avvolgergli il collo. Dal modo in cui le mani di Keith si posarono sui suoi fianchi, sulle anche, tirando la sua polo fuori dai pantaloni per infilare le mani sotto il tessuto, incontrando pelle nuda, morbida e calda. Dal modo in cui si premette addosso a lui, bloccandolo al muro col suo corpo. Dal modo in cui Lance sollevò la gamba contro il suo fianco. Dal modo in cui la mano di Keith scorse lungo la sua coscia.

Lo si capiva dal modo in cui Lance leccò il labbro di Keith. Dal modo in cui Keith schiuse subito le labbra. Dal modo in cui, improvvisamente, si stavano baciando di nuovo, più piano questa volta, ma non con meno desiderio. Erano più precisi, più a loro agio, come se stessero imparando sempre di più sull’altro e agendo di conseguenza.

Il tempo perse di significato accoccolati lì com’erano in quell’angolo, lontano da occhi indiscreti, circondati dal neon, avvolti da una coperta di luci scure, schiacciati tra i bip e la musica di giochi a cui nessuno giocava. Keith non seppe per quanto tempo si baciarono. Conosceva solo sensazioni. Sapeva che avevano il mento e la bocca bagnati, sapeva anche che si sarebbe sentito le labbra doloranti. Sapeva che non riusciva a ricordarsi l’ultima volta in cui aveva preso un respiro decente. Sapeva che stava lottando contro i suoi jeans stretti. Sapeva che Lance era caldo contro di lui, schiacciato contro il muro, così caldo, così invitante.

“Giuro che mi sembrava di averli visti venire di qua…”

Si bloccarono al suono della voce di Hunk, separando le labbra ma non i loro corpi.

Merda.” Imprecò Keith sottovoce, asciugandosi la bocca col dorso della mano. Sbirciò da dietro la spalla, ma non vide niente vicino ai macchinari che ostruivano la visuale di gran parte della sala giochi.

“Non ci troveranno qui.” Sussurrò Lance, a voce un po’ troppo alta. “Nessuno si avventura fino in fondo da riuscire a vedere questo punto. Tutti i giochi che sono qui sono fuoriserie e non sono famosi-”

“Verranno se non stai zitto.” Sibilò.
Le labbra di Lance, gonfie e rosso ciliegia e lucide, si incurvarono in un sorrisino beffardo. Giocherellò con le dita con i capelli alla base del collo di Keith. “Perché non mi fai stare zitto tu-” La sua voce era ritrosa, profonda, un brontolio che lo fece rabbrividire, ma non era ciò di cui avevano bisogno in quel momento.
Keith gli schiaffò una mano sulla bocca per zittirlo. Lance sobbalzò, spalancando gli occhi per un momento per poi assottigliarli in un’occhiataccia, lasciando intendere che non era quello che aveva in mente. Peccato.

“Sicuro?” La voce di Pidge si fece strada fino a loro. Probabilmente, era abbastanza distante, ma a Keith sembrava di poter sentire la sua voce forte e chiaro. “Io non ho visto niente.”

“Pensavo di aver visto Lance…”

“Forse era solo un altro impiegato.”

“Può essere… ma potrei giurare che…”

Lance mosse il bacino in avanti all’improvviso, strusciandosi addosso a Keith. Era un movimento fluido, un’onda del corpo così calcolata, così lenta, così precisa in modo devastante. Keith lo sentiva premere bene da dietro la stoffa di quei maledetti e attilatissimi pantaloni kaki.

Raddrizzò la schiena e dovette sopprimere un gemito. Prima che potesse riprendersi del tutto, Lance mosse di nuovo le anche. Keith scattò in avanti, affondando il volto tra il collo e la spalla di Lance, la mano ancora ferma sulla sua bocca, ed esalò un respiro tremulo contro la pelle del suo collo.

“Non c’è da preoccuparsi. Quei due idioti staranno ancora facendo la loro gara o che so io. Ci verranno a cercare quando avranno finito.” Sentì dire Pidge.

“Non sei preoccupato per loro?”

“No no. In che guai possono ficcarsi nel bel mezzo della giornata in una sala giochi aperta al pubblico? Dai, ho ancora metà dei miei gettoni e voglio vincere dei ticket.”

Lance dondolò di nuovo le anche, ancora e ancora, un movimento continuo, discreto e lento ma fin troppo maledettamente efficace. Keith emise il sussurro di un gemito, fissando la linea del collo di Lance, e sorprese i suoi fianchi a reagire per incontrare il movimento. “Merda…” Esalò.
Sentì Lance ridacchiare di una risata gutturale.

“Va bene.” Disse Hunk. “Ma non mi ritengo responsabile se bruceranno la sala giochi.”

Le loro voci si affievolirono, e Keith si rilassò contro Lance.

Sollevò la testa, guardandolo storto, le labbra strette in un piccolo broncio. Copriva ancora la bocca di Lance con la mano, ma notò comunque che stava sorridendo dal modo in cui sollevò le guance, dalla delizia che danzava nei suoi occhi. Quei suoi fottuti occhi così blu.

“Tu,” sibilò con fare d’accusa, “ti diverti a stuzzicarmi, eh?”
 Finalmente gli tolse la mano dalla bocca e, come previsto, Lance sorrideva. Era un mezzo sorrisino sghembo, sbruffone e gagliardo nonostante il suo aspetto scompigliato, e al solo vederlo Keith sentì cose nello stomaco. “Sta’ zitto e baciami, Charlie Sheen.”

“Non osare chiamarmi con nomi da mullet mentre ci baciamo.” Ringhiò sulle sue labbra, mordicchiandole per il piacere di strappargli gemiti.

“Non ci stiamo baciando se parliamo.” Disse lui, evasivo, malizioso. Keith non ce la fece più, quindi lo zittì.

Avevano a malapena ricominciato quando sentirono qualcuno schiarirsi la voce lì vicino. Sussultarono, separandosi. Keith balzò via e Lance per poco non cadde ora che non era più schiacciato contro il muro. Si girarono di scatto e fissarono a bocca aperta il ragazzo in piedi nello spazio tra i due giochi, che li guardava annoiato. Indossava la stessa divisa di Lance.

“Ehi, bello, lo so che è la tua prima volta nell’angolo delle pomiciate eccetera eccetera, ma la tua pausa è finita da dieci minuti buoni e Theresa inizia a rompere.”

“Merda, cazzo, hai ragione.” Disse, cercando goffamente di risistemare la camicia nei pantaloni. “Arrivo subito.”

Il ragazzo si limitò a fare spallucce e si allontanò, come se non li avesse appena beccati a strusciarsi contro il muro in un angolo del suo posto di lavoro.

Keith si girò verso Lance e inarcò un sopracciglio, passandosi le dita tra i capelli per domare il casino che Lance aveva fatto. “L’angolo delle pomiciate?”

Lance era tutto rosso, ma a Keith piacque vederlo arrossire ancora di più, lo sguardo che si spostava veloce da lui alla stanza. “Oh, uh, già. Lo chiamiamo così. È l’unico posto dove non arrivano né persone né telecamere, quindi… ecco.”

“Capisco.”

“Sta’ zitto, Keith.”

“Non ho detto niente.” Ma aveva un ghigno da un orecchio all’altro e lo sapeva.

“Come dici tu. Devo tornare a lavoro.” Disse, spostando il peso con imbarazzo, incapace di guardarlo.

“Già.”

“Quindi… sì.”

“Va bene.”

“Ci… vediamo più tardi?”

“Sì.”

“Niente stranezze?” Gli chiese, guardandolo da sotto le ciglia, mordicchiandosi il labbro arrossato, lo stesso che Keith stava mordendo qualche momento prima. Aveva la voce piccola, esitante.

“Niente stranezze.” Promise Keith con convinzione, sperando di risultare confortante.

Sembrò funzionare. Lance si illuminò all’istante, raddrizzò la schiena e fece qualche passo indietro. “Fico, fico. A dopo, Keith!”

Sollevò una mano in saluto e Keith fece altrettanto. Poi, Lance si girò e schizzò via. Una volta solo, le luci abbaglianti e i suoni e i neon non erano più così rassicuranti, ma non avevano neanche più l’aria minacciosa dell’inizio. Sentiva ancora energia ronzargli nelle vene e l’emozione era come droga nel suo corpo. Pensò a Lance che lavorava al banco premi, ai due bicchieri di gettoni semipieni abbandonati alla cabina delle fototessere, ai giochi che gli avrebbero potuto far vincere più ticket.

Un sorrisino gli si allargò sulle labbra e si addentrò nel labirinto della sala giochi, muovendosi con uno scopo ben preciso.

***

Lance era indubbiamente un disastro. Un fottuto disastro. Continuava a mangiarsi le parole, incespicare nei suoi stessi piedi, far cadere scatoloni e file di premi. Ed era tutta colpa di Keith. Stupido Keith con la sua stupida bellissima bocca e il suo bellissimo corpo, caldo e saldo e morbido che lo premeva contro il muro, ficcandogli quella sua lingua bagnata e calda in bocca-

Merda.

Merdamerdamerda.
Doveva smetterla di sognare a occhi aperti o avrebbe avuto un serio problema tra le mani. O tra le gambe. Dannazione. Sarebbe stato il turno più lungo della sua vita.

Era tornato a lavoro solo da un’ora e mezza (lo sapeva, aveva fissato l’orologio in continuazione, guardandolo muoversi a una lentezza esasperante) quando i suoi amici si avvicinarono al banco con i ticket in mano. Li prese con un sorriso, chiacchierando pigramente, e sperò con tutto se stesso che non notassero quanto fosse esaurito. Keith era rimasto dietro Pidge e Hunk, silenzioso come non mai, gli occhi che seguivano ogni suo movimento. Lance fece cadere il premio di Pidge ben due volte e per poco non abbatté una torre di macchinine impilate con cura quando dovette prendere il leone di plastica che voleva Hunk.

Lo salutarono, dicendogli di fermarsi da loro per cena finito il turno. Si voltarono, incamminandosi verso le scale.

E così rimase da solo con Keith.

Keith gli consegnò i ticket e a Lance per poco non uscirono gli occhi dalle orbite al vedere quanti erano. “Porca vacca.” Fischiò, colpito. “Come hai fatto a vincerne così tanti?”

Lui fece spallucce. “Hai abbandonato la metà dei tuoi gettoni. E poi, Pidge mi ha insegnato l’arte di accumulare ticket molto tempo fa.”

“Chissà perché non ne sono sorpreso.” Fece un passo indietro e indicò il muro alle sue spalle. “Cosa scegli?”

Keith fece vagare lo sguardo sulla parete fino al lungo bancone di vetro. Fece con calma, e Lance lo osservò, ammirando la linea del suo naso, gli zigomi alti, la forma delle sue labbra, leggermente più gonfie del solito. Era stato lui a renderle così, e il pensiero lo fece rabbrividire.

“Questa qui.” Disse Keith, picchiettando sul vetro.

Lance andò dov’era Keith e guardò da sopra il vetro. Alzò lo sguardo, le sopracciglia sollevate. “Serio?”

Keith annuì, tirandosi su e ficcandosi le mani in tasca. “Sì.”

“Viene tipo… quasi tutti i tuoi ticket?” Anche se Keith ne aveva una quantità abnorme, i prezzi costavano molto. Decisamente troppo per i gingilli di plastica scadente che erano, ma ehi, è così che funziona nelle sale giochi.

Keith annuì di nuovo e indicò la zona dei dolciumi. “E un paio di questi.”

“Come vuoi.” Disse piano, e aprì il retro del bancone per prendere il premio prescelto. Mise i lecca-lecca sul bancone insieme a una pacchiana corona argentata piena zeppa di gemme di plastica blu. Guardò il premio con le sopracciglia sollevate. “Perché mai dovresti volere una-”

Non riuscì a finire la domanda. Keith si sporse e la prese, sollevandola in aria per poi poggiargliela sul capo.

Si limitò a fissarlo, le labbra schiuse per la sorpresa e gli occhi spalancati. Keith era vicino, ma neanche lontanamente vicino come lo era prima. Non così vicino quanto avrebbe voluto.

Keith inclinò il capo di lato e fece un passo indietro, le labbra curvate in un sorrisino, e afferrò i lecca-lecca. Se ne ficcò due in tasca e scartò il terzo, mettendosi il dolciume rosso acceso in bocca. Lance lo guardò, imperturbabile e fin troppo concentrato su come il lecca-lecca colorasse ancora di più le labbra già rosse di Keith.

Si tolse il lecca-lecca di bocca con uno schiocco e si allontanò con lentezza camminando all’indietro. “Lunga vita al re.” Disse, scherzoso, provocante, con un sorrisino sulle labbra. Poi, girò i tacchi e si avviò dietro Pidge e Hunk, e lasciò Lance lì, a bocca aperta, a guardarlo mentre si allontanava.

Can you feel it?
Now it’s coming back,
We can steal it.
If we bridge this gap,
I can see you,
Through the curtains of the waterfall.

Le casse diffondevano la musica, facendosi sentire anche sopra il fischio che sentiva nelle orecchie. Keith scomparve nelle scale e Lance rimase da solo, ma fremeva pieno di un’energia fuori controllo e frizzante che gli ballava sulla pelle.

When I lost it,
Yeah you held my hand,
But I tossed it,
Didn’t understand,
You were waiting,
As I dove into the waterfall.

Si tolse la corona e la fissò, tenendola tra le mani. Era scadente, di plastica e le gemme erano opache, riflettevano a malapena la luce, ma mantenevano comunque un colore blu brillante. Era ingombrante e pacchiana e veniva decisamente troppi ticket rispetto al suo vero valore, ma ora era sua. Gliel’aveva data Keith.

So say Geronimo!
Say Geronimo!
Say Geronimo!
Say Geronimo!


Sollevò la testa di scattò, il ritornello che gli riempiva le orecchie, che gli mulinava in testa, richiamando a sé l’energia che gli ronzava nelle vene, tirando le sue membra come un burattinaio, facendolo muovere, incontrollabile, con l’adrenalina che trovava gli accordi, il ritmo, il vibe, aggrappandocisi e usandoli come guida, smuovendogli qualcosa nel petto- Eccola! È questa! La sensazione! Il vibe! La cosa!

Si rimise la corona, deciso a indossarla per il resto del suo turno, e tirò fuori il telefono dalla tasca con foga. Le dita gli tremavano per l’energia accumulata, per l’emozione, l’adrenalina, ma trovò subito il numero di Keith e gli mandò un messaggio rapido.

vive la lance: L’HO TROVATA! L’HO TROVATA CAZZO
fuck off: cosa?
vive la lance: LA CANZONE PER LE REGIONALI
vive la lance: L’HO TROVATA
fuck off: mandamela
vive la lance: https://www.youtube.com/-------
vive la lance: ….
vive la lance: ………
vive la lance: alloRA??
vive la lance: muoviti keith così mi uccidi
fuck off: mi piace
vive la lance: davveRO??
fuck off: sì
vive la lance: SÌ??
fuck off: sì, ci sta
vive la lance: sì cazzo!


Note dell’autric*: Dovrete strappare il trope della cabina delle fototessere dal mio cadavere.

Balli di riferimento:
Lance sul gioco di ballo: Don't Bother Me (Caution) - Tashannie

La loro canzone per le regionali: Geronimo - Sheppard

Curiosità: quando stavo guardando video per gli stili di ballo, questo è stato il primo che ho trovato che mi diceva Lance, quindi ovvio che avrei trovato il modo di inserirlo. Io e Sora avevamo scelto Geronimo come loro canzone per le regionali fin dall’inizio.

Note: ho scritto una nota più lunga sotto The Marks We Make, ma la sintetizzerò anche qui (anche se i lettori di questa fic non sono stati così insistenti). Voglio solo chiedervi PER FAVORE NON CHIEDETEMI AGGIORNAMENTI. Aggiorno più spesso che posso. Sto scrivendo tre fic in questo momento e lavoro e ho una vita. Chiedermi aggiornamenti mi irrita e mi fa perdere la motivazione, il che può rendere lo scrivere molto difficile. Solo perché non aggiorno una fic da un po’, non andate a pensare che l’abbia abbandonata. Abbiate un po’ di fiducia in me.

PER FAVORE, NON RIPOSTATE I DISEGNI DI QUESTA FIC! Rebloggateli dall’artista in persona QUI.
Il mio Tumblr
Il Tumbrl dell’artista
Tumblr di Shut up and Dance With me

   
 
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