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Autore: Ms_Hellion    12/02/2021    0 recensioni
Izaya ha trascorso la sua vita proteggendo un complicato segreto, frutto di un passato tormentato che ha lasciato segni tanto sul suo corpo quanto sulla sua psiche: il famigerato informatore di Shinjuku soffre di un disturbo dissociativo dell'identità.
Quando però il suo segreto viene minacciato sia da un individuo misterioso che da un ben noto rivale, Izaya è costretto a rivalutare di chi fidarsi e ad affrontare i demoni del suo passato.
Genere: Hurt/Comfort, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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8.




Erano tre figure i cui contorni erano appena evidenziati dalla luce soffusa della stanza. Un insolito gruppo, i cui componenti contrastavano nettamente l’uno con l’altro, persino semi-celati com’erano dalla penombra: una giovane donna vestita in abiti moderni, un uomo dai capelli lunghi e venati di grigio, abbigliato con un kimono con un motivo floreale, e un ragazzo contraddistinto da abiti principeschi, inclusa una corona che scintillava fiocamente sul suo capo, riflettendo la debole luce.

Siamo certi che si tratti di lui?”, disse la giovane donna in tono dubbioso.

È un dubbio legittimo, considerando che lui non si è mostrato per anni”, replicò l’uomo con il kimono. “Tuttavia è anche la nostra migliore ipotesi. Che sia corretta o meno, dobbiamo esserne sicuri.”

I tre osservarono in silenzio il posto in cui le ombre della stanza si facevano più fitte. Là, incastonato nel muro, vi era quello che all’apparenza si sarebbe detto un armadio – eccetto che non conteneva vestiti, ed era privo di un fondo.

Infatti, non era affatto un armadio.

Era una soglia.

Una soglia che avrebbe dovuto essere sempre sigillata, ma che in quel momento era spalancata. Oltre a essa si dipanava una serie di scale, che conducevano giù, verso una densa oscurità.

Posso andare io…”, suggerì la donna con poco entusiasmo.

No”, intervenne il principe. “A nessuno di voi è concesso di inoltrarsi tanto a fondo. Devo essere io ad accertarmi della verità.”

Sei sicuro?”, chiese l’uomo in kimono, preoccupato. “Le cose che troverai là sotto… non sono piacevoli.”

Le labbra sottili del principe si incurvarono in quello che poteva essere un sorriso oppure una smorfia amara. “Ne sono ben consapevole”, disse. Senza ulteriori esitazioni, si fece avanti e attraversò la porta, sprofondando nell’oscurità.

L’uomo e la giovane donna attesero in silenzio il suo ritorno. Trascorsero alcuni minuti, o forse furono ore, difficile dirlo. Le cose tendevano a farsi sfuocate, vicino alla porta. Il tempo stesso diventava confuso.

Finalmente, il principe riemerse dalle tenebre. La luce tenue si rifletté sulla pelle pallida, donandogli un bagliore spettrale.

Non c’era bisogno che dicesse alcunché. Dall’espressione sul volto, era chiaro che non portava buone notizie. E tuttavia, la giovane donna pose comunque la domanda. “Cos’hai trovato?”

Il principe scosse il capo.

Niente”, disse semplicemente, e quell’unica parola risuonò come il rintocco di una campana funebre. “Non c’è niente.”

L’uomo in kimono e la donna in abiti moderni si scambiarono un’occhiata incredula.

Com’è possibile? Cosa vuoi dire?”, domandò l’uomo. “Vuoi dire che luilui non era lì?”

Il principe scosse il capo. “Non c’era niente. Lui, la sua dimora, e ciò che per sempre avrebbe dovuto restare confinato in quei luoghi. È scomparso tutto, ogni singola cosa”, mormorò, apparendo scosso dalle sue stesse parole. “Vi era solo… il vuoto.”

L’uomo e la giovane trattennero il respiro, scioccati. Seguì un breve silenzio teso in cui i tre evitarono di guardarsi, ciascuno assorto nei propri pensieri, ciascuno spaventato e impotente.

Infine la donna parlò, esprimendo il dubbio di tutti. “Ma se non è lì… allora dov’è?”


 

. . .


 

Izaya saltò con leggerezza oltre una trave di metallo, e camminò fino a raggiungere il bordo di una lunga vasca rettangolare, un tempo piscina sportiva, ora rudere prosciugato e colmo di macerie.

Signore e signori, ecco a voi il “porto”, pensò Izaya con un ghigno. Una cosa è sicura, da qui non passeranno molte navi.

Indirizzò lo sguardo verso l’alto, incontrando, invece del soffitto, il cielo annuvolato. Ed ecco spiegata l’origine delle macerie che erano sparpagliate un po’ ovunque, ma concentrate soprattutto all’interno della vasca.

Izaya ruotò sul posto, esaminando con curiosità i suoi dintorni. Si trovava all’interno di un vasto ambiente semi-vuoto. Al centro si trovava la piscina, o perlomeno quanto era rimasto di essa, mentre il lato dell’entrata era occupato da gradinate di metallo arrugginito, segno che la vecchia piscina era stata, nei suoi anni d’oro, teatro di competizioni. Il muro alla sua sinistra presentava tre serie di vetrate, alte e larghe; Izaya stimò che ogni vetrata nel suo complesso fosse su per giù quattro metri in altezza e una decina in larghezza.

Piegò la testa di lato in un gesto di curiosità come notò che la vetrata al centro era stata del tutto distrutta, e i frammenti di vetro erano stati pressoché polverizzati.

Interessante. Sembra quasi che qualcosa di molto pesante sia passato per di là.

Izaya fece un altro giro su se stesso, assicurandosi di annotare mentalmente fino all’ultimo dettaglio del luogo: dalla locazione delle vie di fuga ai resti instabili del tetto, alle macerie che ingombravano il terreno, fino ai possibili nascondigli – i quali, notò con disappunto, non erano molti.

Dunque, quello era il “porto”. Quell’edificio sgangherato e pericolante era un punto di riferimento per il narcotraffico e, di conseguenza, una tappa fondamentale sul sentiero del Bianconiglio. Izaya provò un moto di eccitazione al pensiero di averlo scovato.

Ma la caccia è appena cominciata~.

Considerò le sue opzioni. Poteva impiantare telecamere e microfoni nell’ambiente e raccogliere i frutti del suo lavoro a distanza, oppure…

Il cielo rimbombò. Le nuvole si stavano scurendo, minacciando pioggia.

E addio al piano di impiantare microfoni.

“Tanto l’idea non piaceva neanche a me”, disse, rivolto al cielo. Quello tuonò il suo accordo.

Esatto… sarebbe un peccato perdersi tutto il divertimento.

Secondo le informazioni raccolte da Kanra-chan, ogni paio di settimane circa, gli spacciatori del calibro di Hirota si riunivano tra quelle quattro mura e sotto quel non-tetto, per consegnare al loro boss il guadagno delle settimane precedenti e ricevere un nuovo carico da smerciare. Gli incontri avvenivano a notte inoltrata, il che dava a Izaya più che abbastanza tempo per annoiarsi a morte.

L’informatore salterellò fino alle gradinate e si infilò dietro di esse. Al momento non era un gran nascondiglio, ma con il calare delle tenebre sarebbe andato bene. Le ombre lo avrebbero tenuto nascosto. Fino ad allora…

Izaya prese il cellulare e messaggiò Namie.


 

[A: Yagiri Namie, 17:03

Namie-san~~

 

Da: Yagiri Namie, 17:04

Che cosa vuoi, insopportabile imbecille?

 

A: Yagiri Namie, 17:04

Ara, ara, è questo il modo di parlare all’uomo che paga il tuo stipendio~?

 

Da: Yagiri Namie, 17:05

Che cosa vuole, Orihara-san?

 

A: Yagiri Namie, 17:05

Brava bambina~ ;)

 

A: Yagiri Namie, 17:05

Ne, Namie-san. Cos’hanno in comune un corvo e una scrivania?

 

Da: Yagiri Namie, 17:06

Posso trovare un modo per ucciderti usando entrambi. Ora smettila di farmi perdere tempo, sono la tua segretaria, non un’intrattenitrice.]


 

Izaya scoppiò a ridere. Temeva di annoiarsi, ma per fortuna il mondo era pieno di umani da tormentare, anche a distanza.

Che abbia inizio l’attesa~.


 

. . .


 

Iniziò con rade gocce fini. Nel giro di poco, si tramutò in un vero e proprio acquazzone. Izaya rabbrividì sotto gli scrosci d’acqua gelida. Le gradinate che avevano inizialmente fornito un riparo erano ora fradice a loro volta e gocciolanti, così che era quasi impossibile trovare un angolo asciutto. Izaya scrollò il capo per scacciare le gocce d’acqua dagli occhi. La sua giacca di tessuto era inutile, e cominciava a sentirsi come un gatto bagnato.

Almeno aveva qualcosa con cui distrarsi. Si abbassò per evitare il fascio di luce proveniente dalla torcia di uno degli spacciatori, che per puro caso finì per puntare nella sua direzione.

Il primo si era fatto vedere alcuni minuti prima, e da allora altri individui avevano continuato ad arrivare. Ora erano circa una dozzina.

“Maledetta pioggia”, grugnì uno di loro con astio. “Chi ha scelto questo vecchio rudere come punto di ritrovo?”

“È stato il capo, perciò se hai delle lamentele, sei libero di rivolgerti a lui”, rispose secco un altro.

L’informatore lo riconobbe all’istante. Era Hirota.

“Hai un problema con me, amico?”

“Sì, ce l’ho. La serata è già abbastanza merdosa senza che ci sia bisogno di aggiungere le tue stupide lagne!”

Prima che potesse scatenarsi una vera e propria rissa, risuonò il rombo di un motore dall’esterno dell’edificio. Proveniva da…

Izaya indirizzò lo sguardo verso le vetrate frantumate. Pochi secondi dopo, esse furono attraversate da cinque uomini, tutti provvisti di torce e ombrelli scuri. L’informatore ne analizzò rapidamente le apparenze. Quattro di loro erano grossi e robusti, vestiti esattamente allo stesso modo – giacca nera su camicia bianca – e camminavano ai lati del quinto individuo. Guardie del corpo, intuì.

Dunque, l’ultima figura doveva essere…

Il capo.

Era un individuo piuttosto basso, con occhiali e un accenno di calvizie. Tutto in lui appariva assolutamente nella norma. Si sarebbe detto un impiegato statale, più che la mente criminale dietro al giro di potenti allucinogeni che si era diffuso nel mondo notturno dell’intera città.

Il rombo del motore si fece più forte, distraendo Izaya dai suoi pensieri, e l’interno dell’edificio fu inondato da una forte luce. Attraverso lo spazio vuoto lasciato dalle vetrate distrutte, fece il suo ingresso un furgone nero.

Dal suo nascondiglio, Izaya osservò con interesse lo scambio che seguì. Gli spacciatori consegnarono alle guardie del corpo gli zaini e i borsoni che avevano portato con sé – tutti gonfi di banconote, che furono rapidamente contate dagli omaccioni e gettate a bordo del furgone. Al posto del denaro, gli zaini furono riempiti con pacchetti avvolti in carta di giornale, dall’aspetto molto familiare…


 

Un paio di occhi vermigli osservarono dall’alto, con l’acutezza di un falco, il passaggio di denaro dagli spacciatori di strada a Hirota. Dopodiché, come previsto, l’uomo aprì il suo zaino, da cui estrasse quattro pacchetti avvolti in carta da giornale, delle dimensioni del suo palmo, che distribuì tra i ragazzi. Izaya non aveva bisogno delle sue doti da informatore per indovinare cosa ci fosse in quei pacchetti…


 

Già, si trattava senza dubbio della Nivu. Izaya estrasse il telefono e fece più foto possibili dello scambio. Immaginava che un certo uomo della yakuza di sua conoscenza lo avrebbe trovato molto interessante.

Curiosamente, per tutto il tempo, il capo aprì a malapena bocca, se non per rivolgere un breve saluto agli spacciatori e dire alle guardie del corpo di fare “quello che sapevano”.

Fu la conferma dei sospetti dell’informatore.

Quest’uomo non è la Regina Rossa.

Naturalmente, pensò Izaya. L’uomo a cui stava dando la caccia era abbastanza intelligente da tenersi in disparte, e lasciare che altri dessero gli ordini ai suoi soldatini di carta. Non si sarebbe mai esposto così facilmente.

Tuttavia, anche se non era la Regina Rossa, l’occhialuto poteva ancora risultargli utile…

Izaya scattò una foto dell’individuo, quindi la inviò, insieme alle altre foto, al proprio computer. Sorrise, soddisfatto. Ora aveva una nuova pista per continuare il suo inseguimento del Bianconiglio.

Si rilassò, per quanto fosse possibile rilassarsi accovacciato com’era in uno spazio buio e freddo, battuto da continui scrosci gelidi. Si accorse in quel momento che stava sbattendo i denti, e che aveva quasi interamente perso la sensibilità alle mani.

Sperò di non ammalarsi. Non aveva tempo da perdere a guarire da una stupida malattia.

Come ebbe quel pensiero, starnutì violentemente.

Fantastico, come non detto…

“Chi va là?”

Un fascio di luce investì l’informatore, che si paralizzò come un cervo sorpreso dai fanali di un’automobile, realizzando il suo errore.

“Un intruso!”

“Ci stava spiando?”

“Prendetelo!”

“Uccidetelo!”

Izaya colse un luccichio metallico. Si buttò a terra appena in tempo per evitare una raffica di proiettili, molti dei quali colpirono le gradinate con un fragore assordante. Nella caduta, il telefono fu sbalzato fuori dalla sua mano, scomparendo nel buio circostante.

Izaya sobbalzò come altri due proiettili si abbatterono sopra la sua testa. Imprecò mentalmente.

Doveva uscire da lì, e subito.

Senza esitazione, balzò in piedi. Scattò in direzione dell’uscita d’emergenza, la testa bassa per evitare i proiettili. Spalancò la porta con una spallata e si fiondò nell’aria umida della notte. Dietro di sé udì le grida degli spacciatori, il rumore dei loro passi – lo stavano inseguendo, ma non si fermò a guardare indietro.

Schizzò attraverso la strada e tra gli edifici, nella speranza di seminare i suoi inseguitori nelle stradine secondarie. Scivolò in una pozzanghera, sbattendo con forza gomiti e ginocchia sul cemento, ma si rialzò in un battito e riprese a correre.

Si trovò a ringraziare il cielo per Shizu-chan, grazie al quale aveva tenuto allenate le proprie abilità sportive nel corso degli anni.

La sua mente scelse il momento meno opportuno per fargli notare anche un’altra cosa: l’adrenalina che scorreva nel suo corpo non era solo eccitazione.

Era ansia; quasi paura.

Ansia di essere raggiunto, di essere ucciso.

Per quante volte Izaya fosse stato inseguito dal mostro biondo, non aveva mai, in tali occasioni, provato un briciolo di timore per la propria incolumità.

Non è il momento di pensare al protozoo!

Finalmente, Izaya avvistò una possibile soluzione per eludere i suoi inseguitori, e saltò dentro al cassonetto dell’immondizia senza esitare, fregandosene dell’orgoglio. Valutava di più la sua vita.

Trattenne il fiato mentre gli inseguitori gli passavano di fianco. Anche dopo che i suoni dell’inseguimento furono svaniti, non osò muoversi. Rimase immobile tra i rifiuti, tremando sotto la pioggia finché, dopo lunghi minuti, determinò che il pericolo era passato. Esalò un sospiro e si abbandonò contro la parete del cassonetto.

Ce l’aveva fatta. Ancora una volta, Orihara Izaya se l’era cavata.

Lentamente, un ghigno si fece strada sul suo volto.

Non è stato poi così male, pensò, la paura ora sostituita da deliziosa eccitazione. Alla fine, aveva avuto tutto sotto controllo, come sempre. Si alzò in piedi e sogghignò nella direzione in cui erano spariti i suoi inseguitori.

Salutò sarcasticamente con la mano. “Ciao-ciao, umani. È stato divertente giocare con voi. Facciamolo ancora qualche volta!”, esclamò. Scavalcò il bordo del cassonetto e saltò giù.

Le sue gambe cedettero nel secondo in cui i piedi toccarono la strada, mandandolo lungo disteso sul cemento.

Ma cosa…?

Izaya si rialzò con lentezza. Vacillò pericolosamente e dovette appoggiarsi al cassonetto per restare in piedi. Confuso, abbassò lo sguardo alla metà inferiore del suo corpo.

Sgranò gli occhi come notò, sulla sua maglia, una larga chiazza scura, a malapena visibile sul tessuto nero, sotto la debole luce dei lampioni. Poteva essere…?

Si posò una mano sul fianco, sentendo subito qualcosa di caldo e appiccicoso sotto le dita. Quando ritrasse la mano, era tinta di rosso.

Era sangue.

Un proiettile lo aveva colpito.

Shinra, pensò Izaya. Doveva chiamare Shinra. Cercò il telefono in tasca, ma non trovò nulla. La tasca era vuota. Ricordò che il telefono gli era caduto mentre scappava.

Fortuna che porto sempre con me un telefono di scorta…

Estrasse il suo secondo telefono da una tasca nascosta della sua giacca e lo sbloccò, o meglio, provò a sbloccarlo, ritrovandosi invece a fissare uno schermo nero. Tentò di riaccendere il cellulare, ma quello durò giusto il tempo di comunicargli che la batteria era vuota prima di spegnersi nuovamente.

È uno scherzo, pensò Izaya, incredulo. Non dimenticava mai di ricaricare i suoi cellulari. Mai.

Sakuraya-san non aveva torto a insistere che si riposasse. Il problema dell’Anonimo e la nuova, criptica personalità, Virus-138, dovevano averlo distratto più di quanto avesse realizzato. Sventuratamente, era troppo tardi per prestare ascolto ai consigli dell’uomo. E ora…

Stai calmo, si impose. Considera le tue opzioni.

Non puoi chiamare nessuno. Sei troppo lontano da Shinjuku, e sei anche troppo lontano per arrivare a casa di Shinra con le tue forze. Che cosa puoi fare, invece?

Pensa!

Come se ragionare nelle sue condizioni non fosse già abbastanza difficile, Izaya percepì che la chat nella sua mente si stava intasando di messaggi inquieti e tentativi di comunicare con lui.

“Non adesso, non adesso”, mormorò, ma era inutile.

Gli alter sapevano.

Sapevano che il corpo era in pericolo.

La vista dell’informatore si appannò, e non avrebbe saputo dire se era perché si stava dissociando, oppure per la perdita di sangue.

Forza, rifletti! Cosa puoi fare?

Premette con forza sulla ferita per rallentare il flusso di sangue, quindi si guardò attorno. Se ci fosse stato qualcuno, forse avrebbe potuto chiedergli di chiamare un’ambulanza. Peccato che fosse notte fonda, e le strade erano deserte.

Le strade… ora che vi prestava attenzione, avevano un aspetto stranamente familiare…

Aspetta, io conosco questo posto! È…

Si sforzò di ricordare. Conosceva quella strada, quella fila di edifici, quell’albero dalla forma buffa, quel muro con un buco delle dimensioni di un pugno, quel segnale stradale piegato in due…

Shizu-chan!

Ma certo, realizzò. Era vicino all’appartamento di Shizu-chan.

Non perse tempo a riflettere se fosse o meno una buona idea presentarsi alla porta della sua nemesi nelle sue condizioni. Zoppicò in direzione della casa del biondo, tenendosi premuto il fianco. Presto si trovò a stringere i denti contro il dolore, che, non più trattenuto dall’adrenalina dell’inseguimento, stava ora montando rapidamente.

Ancora un po’… resisti ancora un po’…

Poteva sentire le palpebre farsi pesanti, mentre la sua visione si offuscava sempre di più. Si conficcò le dita nella ferita, sperando che il dolore potesse riscuoterlo, ma l’unico risultato che ottenne fu di dover soffocare un grido.

Giunto dinanzi alla porta del condominio, tirò fuori una forcina, e con mano tremante forzò la serratura. Si trascinò attraverso l’atrio e su per l’ascensore, e poi lungo il corridoio, lasciando una scia di sangue dietro di sé.

Quando arrivò davanti all’appartamento del collettore di debiti, si reggeva in piedi per miracolo. Fu solo vagamente consapevole di star suonando il campanello, per poi martellare sulla porta quando non ci fu risposta.

“Arrivo, arrivo”, fece una voce. Sembrava provenire da molto, molto lontano.

La porta si aprì. Izaya stirò le labbra in un debole ghigno.

“Buonasera… Shizu-chan…”

Shizuo aggrottò la fronte. “Pulce…”

Izaya non sentì il resto della frase. Le sue gambe cedettero, e cadde in avanti. L’ultima cosa di cui fu consapevole prima che l’oscurità lo inghiottisse, furono un paio di braccia forti attorno a lui, e un corpo caldo contro il suo.


 


 


 

   
 
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