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Autore: Shireith    12/02/2021    2 recensioni
«Mi chiamo Saguru Hakuba, sono un detective», si presentò mentre si sedeva. «Possiamo parlare in giapponese se non le dispiace, Miyano-san
{Saguru/Shiho ⬝ side!Shinichi/Ran ⬝ post!Organizzazione}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Saguru Hakuba, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Londra fuggirono


 Trattava quel pezzo di carta come un cacciatore tratta la propria preda – la studia, ne osserva i movimenti fino a interiorizzarli, valuta i pro e i contro e decide, infine, se sia il caso di agire o meno.
 Shiho aveva studiato la lettera nel minimo dettaglio, leggendola e rileggendola fino allo sfinimento. Aveva riconosciuto lo stile del professore nelle sue o tonde e nei puntini imprecisi sulle i, abbozzando un sorriso al pensiero che, probabilmente, Agasa le aveva scritto in inglese per millantare i suoi progressi nello studio della lingua.
 C’erano in tutto tre errori grammaticali e di questo Shiho ne era sicura perché l’aveva letta ancora e ancora, assimilando ogni virgola, ogni sbavatura d’inchiostro. Mancava solo l’atto finale – decidere, ovvero, se agire o meno.
 Avrebbe voluto farlo, davvero; avrebbe voluto agguantare carta e penna seduta stante e rispondergli che sì, ci sarebbe stata; avrebbe voluto tornare in Giappone e sciogliersi nell’abbraccio caldo e vigoroso del professore non appena l’avesse visto. Ma ritornare a Tokyo, poco importa per quanto tempo o per quale occasione, avrebbe significato fare i conti con il suo passato; rivedere i ragazzi, Shinichi, tutte quelle persone che per i suoi gusti sapevano fin troppo di lei.
 L’Europa non sapeva di casa, non ancora, ma del resto una casa fisica non ce l’aveva mai avuta; solo una persona era stata la sua casa, ma ormai quella persona non c’era più. E se ancora l’Europa le sembrava un territorio straniero, a volte addirittura avverso, tante piccole cose le piacevano. Un modesto appartamento tutto suo in cui ogni oggetto aveva il suo posto, persino quella mollettina nera nel terzo cassetto del mobiletto in bagno; l’odore del caffè la mattina; la suggestività delle strade di Londra.
 E, più di ogni altra cosa, la consapevolezza che stava facendo della sua vita qualcosa di utile, di positivo.
 Avrebbe potuto farlo anche in Giappone, ma non pensarci rendeva tutto migliore, come se servisse a dimenticare quello che si era lasciata alle spalle.
Eppure proprio Shiho, tra tutti (più di tutti), avrebbe dovuto sapere che le questioni irrisolte del passato, prima o poi, tornano per tormentarti.
 
 Tutte le mattine si alzava alla stessa ora, consumava la stessa colazione con le voci della televisione come sottofondo e usciva per fare quello che doveva fare. Finché, una di quelle mattine, il telegiornale non passò una notizia più interessante del solito e lei, per un attimo, si dimenticò di tutto il resto.


 «Shiho Miyano?»
 Shiho non si stupì d’esser chiamata per nome; non era la prima volta che andava in quel bar e non era impossibile che qualcuno, magari un collega d’università, la riconoscesse. La stupì, piuttosto, l’inconfondibile cadenza giapponese che avvertì nella voce ancora estranea.
 Sollevò lo sguardò e gli occhi si assottigliarono appena quando si fissarono sull’uomo in piedi dinanzi a lei. «Le serve qualcosa?»
 L’uomo indicò una sedia vuota. «Posso?»
 A ragione, Shiho non rispose. Concesse al silenzio due o tre secondi, ma furono abbastanza affinché l’estraneo aggiungesse: «Le ruberò solo un attimo. È una questione importante. Si tratta di lavoro, non sto tentando di corteggiarla.» Accennò un sorriso, convinto che una battuta di spirito servisse a rompere il ghiaccio, ma quello stesso sorriso venne spazzato via dalla reazione pressoché inesistente di Shiho.
 L’uomo registrò l’informazione – non scherzare con quella donna.
 «Si accomodi», concesse infine Shiho.
 «Mi chiamo Saguru Hakuba, sono un detective», si presentò mentre si sedeva. «Possiamo parlare in giapponese se non le dispiace, Miyano-san
 Alla parola detective, Shiho non avrebbe saputo se ridere dell’ilarità della cosa o se chiedersi se qualcuno ce l’avesse così tanto con lei da mandarle nella vita solo amanti del mistero.
 «Come sa il mio nome?»
 «È molto diffidente, vedo.»
 «Preferisco cauta.»
 Saguru annuì, un sorrisetto che gli spuntava sulle labbra. Appurato che non era il caso di perdersi in ulteriori chiacchiere, agguantò il cellulare e le mostrò una fotografia. «Conosce quest’uomo? Lo guardi bene.»
 Shiho osservò attentamente l’immagine: l’abbigliamento dell’uomo non le ricordava nulla, ma la mascella squadrata e la piccola cicatrice sulla parte sinistra del mento avevano un tratto inconfondibile. «Sì», confermò, ritraendosi appena per bere un sorso del suo drink.
 Una scintilla baluginò negli occhi di Saguru. Fu un attimo, ma per Shiho fu una reazione tremendamente familiare, troppo simile al sorriso che spuntava sulle labbra di Shinichi ogniqualvolta la sua mente risolvesse l’ennesimo mistero. Si sentì nostalgica – triste, quasi.
 «E si ricorda dove l’ha visto?» domandò Saguru.
 «L’altro ieri. Era mattina presto. Sono sicura fosse lui perché mi è venuto a sbattere addosso e ha iniziato a sbraitare. Ma ho come l’impressione che lei lo sapesse già.»
 Osservò Saguru da dietro i ciuffi che le ricadevano sulla fronte e lui ebbe l’impressione che quegli occhi gli volessero trafiggere il cuore; si sentì come sfidato e aveva tutte le intenzioni di stare al gioco. «Ovviamente sì. Spero di non averla spaventata, prima, con un approccio tanto diretto, ma non appena ho saputo che poteva essere la chiave per risolvere questo mistero ho dovuto indagare. Non le dispiacerà sapere che ho fatto qualche ricerca sul suo conto.»
 «Stalker.»
 «Preferisco detective.»
 Di nuovo quella sensazione troppo familiare – Shiho tentò di ignorarla.
 «Posso darti del tu?» esordì nuovamente Saguru. «Mi fa sentire vecchio parlare in modo tanto formale a quella che dopotutto è una mia coetanea.»
 «Strano, ti avrei dato molti anni in più.»
 Saguru accusò il colpo con un sorrisetto, troppo sicuro di sé per sentirsi offeso da una banale provocazione. A sua insaputa, la sua reazione non lasciò indifferente Shiho, incuriosita dalla piega che stava prendendo la serata.
 Concedendosi un breve silenzio, Saguru stilò una lista immaginaria delle informazioni raccolte sulla donna – un’azione abitudinaria, per un detective meticoloso quanto lui.
 Aveva di fronte una persona arguta e diffidente, i cui occhi ne avevano viste molte di più di quanto non volessero raccontare; doveva esserci stato qualcosa nel suo passato che l’aveva resa diffidente, o forse era semplicemente così dalla nascita? Era più probabile la prima.
 Saguru aveva chiesto di lei, all’università che frequentava, e aveva scoperto che solo una ragazza poteva definirsi sua amica; una giovane come tante altre, tranquilla e concentrata sui suoi studi. Se Shiho Miyano si circondava di poche persone fidate, e quelle persone erano il ritratto della quiete, qualcosa gli suggeriva che la donna preferisse evitare impicci d’ogni sorta.
 Era sicuramente una persona meticolosa, poi, ma nemmeno questo era servito a nascondere a Saguru che aveva un gatto come animale domestico. Saguru avrebbe usato questo dettaglio a tempo debito, quando avesse avuto più possibilità di sortire effetto.
 «Allora, detective… perché ti interessa l’uomo della foto?»
 Accertatosi che nessuno stesse origliando, Saguru fu felice di rispondere alla sua domanda – era il minimo, dopotutto. Le raccontò di uno studente universitario trovato morto nel proprio appartamento, della sorella che si rivolgeva a uno dei detective più brillanti di Londra perché no, non era possibile che il suo adorato fratello avesse deciso di togliersi la vita.
 Shiho, che aveva alzato gli occhi al cielo all’epiteto di Hakuba su se stesso (un altro detective pieno di sé), riacquistò tutta la serietà di cui era capace.
 «È quello che dicono tutti», commentò distogliendo lo sguardo. «Spesso siamo così concentrati su noi stessi che non ci accorgiamo che gli altri stanno male nemmeno quando cercano disperatamente di farcelo sapere; poi, quando le disgrazie succedono, continuiamo a non vedere. Alcuni di noi fanno finta, altri sono davvero ciechi a tal punto.»
 Saguru la osservò con un’intensità tale da farle quasi percepire il peso effettivo del suo sguardo. Sorrise, ma questa volta non v’era traccia di sfacciataggine. Era un sorriso più adulto.
 «Non posso darti torto», pronunciò Saguru a bassa voce. «Ho assistito a tanti casi di suicidio nella mia vita e ogni volta le persone care alla vittima non si davano pace. Questa donna, però… penso che lei abbia ragione.»
 Shiho rimase in silenzio per un attimo. Non le capitava spesso di rimanere a corto di parole; questa volta, eppure, si sentì come in dovere di dosare ogni singola sillaba, quasi da esse dipendesse il suo intero futuro. «Pensi davvero che sia così o è quello che vuoi credere?»
 «Sembri la voce dei miei pensieri, Miyano-san.» Saguru scosse la testa. «No, ne sono sicuro. Per quanto un detective non sia immune ai sentimenti, non possiamo lasciare che ci trasportino: vedo la realtà per quello che è, non per quello che vorrei che fosse.»
 «E la realtà cosa dice?»
 «Quell’uomo soffriva di depressione. È logico, dunque, pensare che si sia tolto la vita – non credi?»
 «Eppure?»
 «Eppure ci sono due particolari che mi fanno desistere. Prima di tutto, sua sorella mi ha raccontato che gli faceva visita quotidianamente per assicurarsi che stesse bene. Ogni giorno il suo appartamento era in disordine, ma sua sorella non lo costringeva a mettere a posto. Diceva che gli avrebbe lasciato i suoi tempi: avrebbe sistemato quando si fosse sentito meglio. Quando sua sorella ha trovato il cadavere e ha chiamato la polizia, però, la stanza era in ordine. Sua sorella mi assicura di non essere stata e non avrebbe ragione per mentire. In più, ha fatto un’osservazione strana: gli oggetti erano disposti in modo inusuale. Suo fratello non li avrebbe messi così.»
 «Potrebbe essere stato l’aggressore a riordinare.»
 Saguru annuì. Altra informazione – era una donna di logica, abituata a ragionamenti immediati e privi di sbavature. Aveva l’impressione che gli intrighi e i misteri non fossero un terreno inesplorato, per lei.
 «Ottima deduzione. Penso che, non essendo al corrente della salute mentale della vittima, l’aggressore abbia pensato di riordinare l’appartamento nel caso che la polizia, vedendo il disordine, potesse collegarlo a uno scontro diretto nel tentativo di difendersi. Eppure il tentato furto è da escludere perché non c’erano segni d’effrazione e, diciamocelo, ci sono bottini ben più proficui di un appartamento come tanti.»
 «Parli proprio come un ladro.»
 «Li conosco bene.»
 Shiho credette di intercettare una nota stonata nella sua voce, quasi… di tristezza. Doveva essersi sbagliata, si disse.
 «E il secondo particolare qual è?»
 Saguru fece un cenno d’approvazione. «Non ti sfugge proprio niente. Mi sorprende che la vittima non abbia lasciato nessuna lettera alla sorella spiegandole i suoi motivi o porgendole delle scuse.»
 «Non è così raro che una persona si tolga la vita senza lasciare biglietti d’addio», considerò razionalmente Shiho.
 «Vero.» Gli occhi di Saguru scivolarono da un punto non preciso al volto di Shiho e si fecero più scuri, più densi; un misto di amarezza e mestizia. «Tuttavia ho avuto modo di ascoltare le testimonianze della sorella e non solo. Per tenere sotto controllo i suoi picchi d’umore, visto che non aveva abbastanza soldi per potersi permettere la terapia, la vittima registrava i propri progressi giornalmente. Una sorta di diario, ma inciso sulle registrazioni del telefono. Ne ho ascoltate più di trenta e mi è sembrato determinato a non lasciarsi sopraffare. Se avesse avuto pensieri suicidi sono convinto che avrebbe chiamato la sorella.»
 «È una buona deduzione, ma non è certo una prova concreta.»
 «Ed è proprio qui che entri in gioco tu.»
 La scintilla che illuminò gli occhi di Hakuba non le piacque affatto. Shiho sospirò, una parte di sé che già andava pentendosi di star acconsentendo a quella follia. «Solo se mi offri da bere.»
 
 Osservò le luci del locale creare mille riflessi nel liquido ambrato, poi tornò con lo sguardo su Hakuba. Rise appena. «Dunque è così che sei arrivato a me, interrogando chiunque ti capitasse a tiro nel raggio di svariati chilometri?»
 «Non la metterei così. Avevo solo intuito che il colpevole non aveva premeditato l’omicidio, altrimenti avrebbe lasciato sul luogo anche un falso biglietto d’addio, dunque ho immaginato che qualcuno avesse potuto incrociarlo mentre scappava. Ed eccoti qua, la mia preziosissima testimone.»
 Saguru doveva ringraziare quella signora che gli aveva rivelato di aver visto l’uomo della foto scontrarsi con una giovane mentre stendeva i panni. L’unico problema era che la donna non era convinta che si trattasse di lui e la sua testimonianza sarebbe stata facilmente contestabile – non quella di Shiho.
 Eppure, persino Shiho sapeva che nemmeno quella sarebbe bastata, ma Saguru le aveva spiegato nel dettaglio come aveva rintracciato il probabile sospettato e, doveva ammetterlo, era stato brillante – ma questo non c’era bisogno di dirglielo. Conosceva fin troppo bene i detective e non era estranea alle loro macchinazioni: svelano di proposito le loro deduzioni senza illustrare subito il ragionamento che li ha portati a tali conclusioni, e omettendo quest’ultima parte sono capaci di suscitare la meraviglia di chi li ascolta. Solo in un secondo momento procedono alla spiegazione dettagliata. È una tecnica subdola, messa in atto al solo scopo di pavoneggiarsi.
 Shiho non gliel’avrebbe data vinta tanto facilmente – peccato che, a sua insaputa, Saguru non avesse giocato tutte le sue carte.
 
 Più tardi, alla fatidica menzione di un certo gatto, Shiho esibì un’espressione che in pochissimi erano riusciti a strapparle. Alcuni l’avrebbero definita ebete – lei preferiva stupita.
 A Saguru non importava, perché in qualsiasi modo la si definisse, quello che contava era avervi assistito con i propri occhi.
 Shiho si sarebbe morsa la lingua pur di trattenere la domanda che seguì.
 «Come fai a sapere che ho un gatto?»
 Ne aveva adottato uno da poco e non lo sapeva nessuno in università.
 «Semplice spirito d’osservazione.»
Ovviamente.
 «Dall’aspetto impeccabile dei tuoi vestiti deduco che tu sia una persona molto ordinata. Sfortunatamente per te, la sporcizia si cela ovunque e nemmeno la più accurata pulizia può nascondere questo.» Saguru si fece più vicino – anche troppo – e con indice e pollice acciuffò un invisibile pelo nero sulla spalla sinistra del cappotto. «Da bambino avevo un gatto e, credimi, so quanto possono essere fastidiosi i loro peli. Li trovavo dappertutto, anche nelle ciabatte.»
 Shiho gli poggiò una mano sul petto e lo allontanò. «Va bene, detective, un punto per te. Ma, se permetti, è una deduzione piuttosto banale.»
 Saguru avrebbe risposto che aveva altro in serbo, se solo un cameriere non li avesse disturbati annunciando che stavano per chiudere.
 Quella, tuttavia, non fu l’ultima volta che si videro.
 
 Si ritrovarono, tre giorni dopo, nello stesso bar, allo stesso tavolo. Non si erano dati appuntamento, ma Saguru immaginava che Shiho sarebbe stata lì.
 Questa volta, si accomodò senza chiedere.
 «Inizio a pensare che tu sia veramente uno stalker, Hakuba-san», lo apostrofò Shiho in giapponese, senza nemmeno distogliere lo sguardo dal libro in cui era immersa.
 «Sono qui per gioire della vittoria – e, se me lo concedi, ti offro un altro drink.»
 La prima parte fu abbastanza per spingerla a spostare le sue attenzioni su Hakuba – l’offerta del drink non le interessava, almeno non così tanto. Lo osservò ordinare e, quando il cameriere si fu allontanato, pose una semplice domanda.
 «Era davvero quell’uomo, il colpevole?»
 «Sì. La tua testimonianza mi è stata preziosa. Grazie a te ho avuto la certezza che l’uomo che ho rintracciato era proprio in quella zona quando è stato commesso l’omicidio e sono riuscito a trovare le prove per incastrarlo. Ti sono debitore.»
 Shiho ebbe come l’impressione che quella fosse la frase più sincera che Saguru le avesse mai rivolto – non che avessero parlato molto, d’altro canto.
 «Non devi ringraziarmi.»
Il merito è tuo, dopotutto – lo pensò, ma non lo disse.
 «Piuttosto… cosa ti serve, ancora?»
 Saguru alzò le spalle. «Nulla, in realtà. Sono qui per bere come un qualsiasi uomo dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro. Se tu hai da fare, va’ pure.»
 Shiho non aveva nulla da fare se non rinchiudersi nel suo appartamento a leggere e questo Saguru doveva saperlo bene, ma evidentemente non era tanto privo di tatto da farglielo notare. Finalmente Shiho aveva una vita tranquilla, questo era certo, ma tranquillità non è sinonimo di bellezza o di piacere. Non aveva importanza se per leggere si rifugiava in un locale o all’ombra di un albero in uno sconfinato prato verde – nessuno l’avrebbe aspettata a casa, solo un gatto. A volte si chiedeva se la scelta di averlo adottato non fosse patetica.
 Saguru non avrebbe potuto ignorare il suo silenzio nemmeno volendo, né poté sorvolare su ciò che lesse sul volto di Shiho – e se aveva imparato anche solo una cosa di lei, era che non amava essere un libro aperto.
 «Non ti stavo giudicando», le disse. «Anch’io, come vedi, sono in questo bar, invece che… da qualsiasi altra parte.»
 Shiho ormai si era completamente dimenticata del suo libro. «Non hai una famiglia da cui tornare?» chiese, una parte di lei che si domandava se non stesse compiendo il passo più lungo della gamba.
 Ma evidentemente non era così, perché Saguru rispose: «Sì, ma al momento non ho voglia di tornare in Giappone.»
 «E perché no?»
 Saguru si sporse in avanti. Shiho, per un attimo, immaginò che volesse mettere in atto un’altra di quelle azioni strambe da detective, ma poi lo vide allungarsi verso un tavolo adiacente e afferrare un giornale. Non ci fu nemmeno bisogno di aprirlo: glielo mise sotto il naso e con un dito poggiato sulla prima pagina le mostrò la notizia sulla bocca di tutti.
 
Shinichi Kudo vs Kaito Kid: è davvero la fine?
 
 Se non fosse stata una persona tanto razionale, Shiho avrebbe davvero iniziato a credere che qualcuno volesse che il nome di Shinichi la perseguitasse ovunque.
 Si soffermò un attimo sulla sua foto in copertina, poi tornò a guardare Hakuba. «Che cosa ha a che fare questo con te?»
 Saguru si passò una mano tra i capelli chiari e trasse un sospiro tanto profondo da accompagnare il movimento con le spalle. «Già ai tempi del liceo ero un detective piuttosto famoso, in Giappone», confessò. «Ero ossessionato dall’idea di catturare Kid ed ero convinto che ce l’avrei fatta. Non avrei mai pensato che qualcuno ci sarebbe arrivato prima di me.»
 Saguru Hakuba, detective liceale – ecco dove l’aveva già sentito. Quel nome le aveva dato una parvenza di familiarità, la prima volta che Saguru si era presentato a lei, ma poi avevano iniziato a parlare e la mente si era dimenticata di tornare sulla questione.
 Shiho decise che non era il caso di affrontarla. Sarebbe stato troppo complicato spiegare come conosceva Shinichi Kudo e, se anche avesse avuto la bugia pronta, Saguru ne avrebbe fiutato l’olezzo: era troppo astuto per farsi raggirare con tanta facilità.
 «Ma Shinichi Kudo non ha catturato Kaito Kid», gli fece notare – ricordava per filo e per segno le parole che l’annunciatrice aveva usato al telegiornale la prima volta che aveva saputo della notizia.
 «No, non l’ha catturato», rispose infatti Saguru, «ma qualcosa deve essere successo, tra quei due, visto che Kid ha annunciato di aver rinunciato per sempre ai furti. Quello che mi preme sapere è perché non sia stato consegnato alla polizia. Ho sentito parlare tanto di Shinichi Kudo e in un’occasione ci ho anche lavorato assieme: un detective come lui non avrebbe mai lasciato scappare un criminale.»
 Su questo Shiho non avrebbe potuto obiettare neppur volendo. Anche lei era rimasta stupita dalla singolarità della notizia, si domandava cosa esattamente fosse successo dal momento stesso in cui l’aveva appresa. Credeva di saperne più di quanto ne sapesse Hakuba, visto che in passato Kaito Kid aveva collaborato con Shinichi – si era addirittura finto lei – ma ancora una volta si guardò bene dal dirlo.
 «Perché non torni in Giappone e lo scopri, se ci tieni tanto?»
 L’altro si limitò a scuotere la testa, fissando lo sguardo su un punto casuale del locale. «Forse perché sarebbe  inutile», azzardò.
 «O forse perché stai scappando.»
 Saguru osservò Shiho con genuino stupore. Si sentì quasi offeso dalle sue insinuazioni, ma non riuscì a ribattere – aveva forse tutti i torti?
 Decise che se Shiho Miyano aveva la risposta, allora tanto valeva che gliela desse.
 «E da cosa starei scappando?»
 «Non lo so. Dovrei essere nella tua testa per saperlo.»
 «Non sei così brava a dedurre, dopotutto.»
 Shiho sospirò. «Dubito che dedurre cosa passa per la testa della gente sia facile quanto dedurre che una persona ha un gatto.»
 «Allora cosa ti porta a pensare che io stia scappando?»
 Il silenzio scandì alcuni secondi – uno, due, tre, quattro.
 «Non lo so.»
Perché anch’io sto scappando.


 Il sorriso che Shinichi le rivolse non la fece sciogliere tanto quanto l’abbraccio del professore, ma Shiho dovette ammettere almeno a se stessa che le fece un certo effetto.
 «Sono contento che tu sia venuta.»
 «Non potevo perdermi il lieto evento dopo che il professore mi ha pregata tanto. Felicitazioni per il fidanzamento, Kudo.» Gli regalò un sorriso in parte fasullo, ma era sinceramente contenta della piega positiva che aveva preso la vita di Shinichi – forse anche perché quella vita aveva rischiato di perderla per colpa sua.
 «A proposito, Ran è di là. Che ne dici se…?»
 «No, preferisco stare qui», lo interruppe subito lei. E Shinichi, che la conosceva troppo bene per non sapere quanto insistere fosse inutile, annuì e si allontanò.
 L’amicizia con Shinichi era preziosa e Shiho era felice che fossero riusciti a conservarla; eppure lui aveva sempre avuto una vita al di fuori della sventura che li aveva accomunati, una vita degna d’esser chiamata tale. Per Shinichi Kudo, Conan Edogawa era stato solo una parentesi che non vedeva l’ora di chiudere; per Shiho Miyano, Ai Haibara era stato un sogno anche fin troppo bello destinato però a infrangersi. E quando era successo, lei era riuscita a stento a raccogliere i cocci.
 Forse per questo era fuggita lontano, in Inghilterra, inseguendo il fantasma di sua madre nelle sue origini britanniche e nei suoi studi. Aveva tentato di impiegare le sue conoscenze per fare del bene e, per quanto ci stesse riuscendo, una parte di lei si chiedeva sempre se non avesse potuto farlo anche in Giappone, dove il professore le aveva offerto una casa sia fisica che astratta.
 In ogni caso, tenersi a distanza dallo Shinichi Kudo che il mondo conosceva le sembrava un’idea migliore; la faceva sentire al sicuro, in un certo senso. Non era certa di riuscire a gestire Shinichi Kudo nel suo elemento, in mezzo a tanti volti estranei che sapevano tutto di lui e niente di lei.
 Orfana di Shinichi, Shiho abbandonò su un tavolo il drink che l’era stato offerto (l’aveva accettato più per cortesia, non sapeva nemmeno cosa contenesse) e si mosse alla ricerca del professore, immaginandolo nascosto da qualche parte a rimpinzarsi al sicuro dal suo giudizio vigile e severo.
 Quello cui andò incontro, tuttavia, fu meno aspettato e più gradito.
 «Sono pazzo io, o tu dovresti essere dall’altra parte dell’oceano?»
Quella voce.
 Shiho sollevò le sopracciglia quando, voltatasi, ebbe appurato che era inequivocabilmente Saguru Hakuba. «Comincio a pensare che tu sia davvero uno stalker.»
 Saguru accennò un sorriso. «Potrei dire la stessa cosa di te.»
 «Non avevo certo idea che ti avrei trovato qui.»
 «Nemmeno io, se è per questo.»
 Per essere una coincidenza, Saguru doveva ammettere che era parecchio strana – ma non infelice. «Che cosa ci fai qui?»
 Shiho sospirò. «Che tu ci creda o meno, non sei il primo detective sbruffone che abbia mai conosciuto. Tu, piuttosto?»
 Saguru si guardò attorno, posando, per un attimo, gli occhi su un uomo il cui aspetto gli era tremendamente familiare – anche Heiji Hattori era alla festa. Chiaro.
 Tornò a osservare Shiho. «Se ti stai chiedendo se sono stato invitato o meno, la risposta è no. Non sapevo nemmeno che Shinichi Kudo si fosse fidanzato. Sono venuto qui stasera per puro caso… e potrei attribuirne la colpa a te.»
 Shiho gli lanciò un’occhiata incredula. «Mi stai dicendo che sei volato dall’Inghilterra al Giappone e ti sei presentato a casa di un estraneo alle dieci di sera solo perché una tizia in un bar ti ha suggerito di farlo?»
 Saguru annuì. «Accurato, sì.»
 Shiho scosse il capo – incredibile.
 «No, davvero», proseguì Hakuba. «Devo ringraziarti, Miyano-san. La nostra ultima conversazione è stata… illuminante. E, poiché siamo qui a parlare, immagino che anche per te non sia stata indifferente.»
 Shiho rifuggì il suo sguardo, fissando il proprio su un’interessantissima sedia. «Forse. Diciamo che ho capito che avevo più ragioni per venire di quante ne avessi per non venire.»
 «Se ti chiedessi spiegazioni immagino che non mi risponderesti.»
 «Immagini bene.»
 Saguru sorrise – per l’appunto. «Cambiando discorso, Shinichi Kudo mi ha invitato a rimanere. Però… io non conosco quasi nessuno, qui.» Mosse una mano in aria per indicare distrattamente il tavolo che costeggiavano, sormontato da prelibatezze di ogni tipo – Yukiko Kudo non aveva badato a spese. «Ti chiederei di essere tu, questa volta, a offrire, ma questo è un buffet, non un bar.» Afferrò due calici puliti e in entrambi versò del rum, allungandole il primo. «Ma non è detto che questa debba essere l’ultima volta.»
 Pur accettando il calice che le porgeva, Shiho gli rivolse due occhi furbi. «Cosa ti fa credere che non lo sia?»
Non lo sarebbe stata.
 

NOTE ➳ Questa storia nasce da una sfida con Mari Lace nel gruppo Facebook “Caffè e calderotti”. Nello specifico, io ho sfidato lei a scrivere una Shiho/Higo e lei ha contro sfidato me a scrivere una Shiho/Saguru – perché il crack con Shiho non è mai abbastanza!
 Devo confessare che ho sforato alla grandissima e infatti sto pubblicando con un ritardo imbarazzante, ma penso che tener fede agli impegni presi sia il minimo, quindi eccomi qui.
 Non avrei mai pensato che avrei scritto una Shiho/Saguru; ho persino cercato fanart su di loro e ne ho trovate un paio su Shiho e Kid (già!), ma niente su Saguru. Ammetto di non aver mai scritto su di lui prima d’ora, dunque spero di essere riuscita a dargli una caratterizzazione credibile.
 Diversamente da Heiji, lo vedo più simile a Shinichi. Per usare un termine poco tecnico, è uno sborone. Insegue la verità per amor di giustizia, ma comunque gode nel fare la figura del figo. È interessante far interagire un tale personaggio con Shiho perché sono simili ma allo stesso tempo diversi; Shiho mal sopporta l’ego di Shinichi, ma indubbiamente ne è affascinata. Stessa cosa che accade qui con Saguru.
 E niente, è tutto; grazie a chiunque abbia letto fin qui!
   
 
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