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Autore: _SbuffodiNuvola_    14/02/2021    1 recensioni
IN PAUSA
“Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli...
-Salve! Questa è la segreteria telefonica di Shinichi Kudo. Ora non posso risp...
Ran spense la chiamata, lasciò il cellulare sul pavimento e appoggiò la fronte sulle ginocchia strette al petto. Una lacrima calda cadde sulla sua maglietta, lasciando una piccola macchia rotonda sulla stoffa gialla.”
Dopo cinque anni di relazione, Shinichi scompare nel nulla come dopo la sera al Tropical Land e senza dare una spiegazione concreta a Ran.
Quando ritorna in Giappone, quattro anni dopo, il detective scopre che Ran ha avuto una figlia, ma non sa che quella bambina è anche sua...
Genere: Comico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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-Sei migliorata o sbaglio? -le chiese Shinichi ad un certo punto.

-N-Non credo. -rispose lei mentre le faceva fare una giravolta. 

Lui sembrava a disagio quanto lei. Era rigido e sulle spine, come se avesse avuto paura che Ran fosse una bomba e che gli stesse per scoppiare in mano.

-Ran, senti... -balbettò quando gli fu di nuovo vicina. -Io devo...

La karateka lo zittì, scuotendo la testa. 

-Non stasera. -disse.

-Ma...

-Questo è il gran giorno di Heiji e Kazuha, non voglio ricordarlo per altro. -lo interruppe facendo cenno agli sposi con la testa.

Shinichi annuì e sospirò, poi, timido, sorrise: -Va bene.

Continuarono a ballare finché la musica cambiò da un lento ai balli più vivaci. Shinichi si era tolto la giacca ed era rimasto in maniche di camicia. Ran cercò di non fissarlo troppo: vederlo in camicia le aveva sempre fatto risvegliare le farfalle nello stomaco. Era così bello...

La karateka si morse il labbro. No, non si sarebbe innamorata di nuovo. 

O forse non aveva mai smesso di amarlo?

 

***

 

Quando chiuse l’acqua della doccia, Ran sospirò. Per tutta la notte non aveva fatto altro che ritrovarsi il viso di Shinichi nei sogni e aveva dormito malissimo, cosa strana per lei, un ghiro sin dalla nascita.

Si avvolse nell’asciugamano dell’hotel e si guardò per un attimo allo specchio: i capelli bagnati le coprivano le spalle pallide, le goccioline d’acqua che cadevano dalle punte venivano assorbite dalla stoffa morbida in cui si era avvolta e il corpo magro, che era cambiato tantissimo da quando aveva avuto Aika, sembrava tornato come lo aveva sempre visto. Tutto merito del karate.

Già, il karate. Quell’arte marziale che l’aveva fatta diventare famosa a livello mondiale.

Sospirò, poi si vestì e si asciugò i capelli, infine uscì dal bagno. Non voleva pensare a Shinichi e a come avevano ballato insieme il giorno prima, al sorriso impacciato che le aveva rivolto così spesso, alle sue mani che la stringevano...

Scosse la testa, mentre ricordi degli anni che avevano passato insieme le tornavano in mente. Il primo bacio su quel palco dove durante la recita non erano andati oltre ad un semplice abbraccio (c’era mancato così poco, dannazione!), il trasloco nel loro appartamento con vista mozzafiato, la loro prima volta... il tocco caldo e delicato delle mani di lui su di lei...

Ran si diede dei piccoli schiaffi sulle guance. Non era il caso di pensare a quello. Non quando c’era Aika lì con lei. Curiosa com’era, le avrebbe sicuramente chiesto come mai fosse diventata rossa così all’improvviso e Ran non poteva certo risponderle con quei pensieri poco adatti a una bambina di quasi quattro anni.

Per sua fortuna, Aika stava ancora dormendo. Erano tornate in hotel molto tardi, la sera prima, e la piccola era crollata subito dopo aver messo il pigiama. Di solito, Ran le leggeva una storia o le raccontava qualcosa riguardante suo padre, tralasciando che non l’aveva mai conosciuta... fino al giorno prima.

Ecco. C’era anche quel problema.

Oltre al sentirsi una ragazzina alle prese con la prima cotta, doveva anche trovare il momento giusto per far sapere a Shinichi che aveva una figlia di quasi quattro anni. Come? Non ne aveva idea.

E poi anche Shinichi doveva dirle qualcosa. Le era sembrato particolarmente impaziente di parlarle, mentre ballavano. Chissà cos’era di così importante...

Un leggero toc toc alla porta la distolse dai suoi pensieri. Guardò l’orologio, che segnava le 8 del mattino. Chi poteva mai essere a quell’ora?

Si strinse nella felpa che aveva indossato poco prima e andò ad aprire. Davanti a lei, con sua grande sorpresa, c’era colui che le aveva disturbato il sonno per tutta la notte. 

Shinichi la guardava con quei bellissimi occhi blu. Indossava una semplice maglietta nera, le cui maniche corte mettevano in risalto le braccia muscolose, oltre ad un paio di jeans e le scarpe da ginnastica. 

-Ehm... buongiorno. -disse grattandosi la nuca, gesto che lo rendeva dannatamente adorabile.

-Buo-Buongiorno... -rispose Ran senza riuscire a staccare gli occhi dai bicipiti allenati di lui. Sapeva bene quale fosse la sensazione di trovarsi tra quelle braccia...

-Hattori mi ha detto che alloggiavo nel vostro stesso hotel e... ecco... -balbettò Shinichi. Si guardò attorno prima di chiedere: -Posso entrare?

Le fece quella domanda come se avesse avuto paura di essere osservato da qualcuno. Data la mancata risposta di lei, sospirò.

-Io ho bisogno di parlarti, Ran. -spiegò poi. -Sento che se non lo faccio ora, non lo farò mai più. Poi ti starò lontano, non ti parlerò più e potrai far finta di non conoscermi. Ma ti prego, fammi almeno spiegare perché me ne sono andato così all’improvviso, quattro anni fa.

Sentire il suo nome pronunciato in quel modo così dolce le fece tremare le gambe. Aveva sempre amato quando Shinichi la chiamava: faceva sembrare quelle tre lettere la cosa più preziosa al mondo... e spesso lei si era sentita così, grazie a lui.

Ran guardò il viso del detective. Era sincero e lei lo sapeva. Si vedeva che moriva dalla voglia di darle una spiegazione.

-Vieni. -disse scostandosi quel poco che bastava per farlo entrare nella stanza. -Ma facciamo piano. Aika dorme.

Shinichi annuì, poi mise finalmente piede nella camera. Mentre toglieva le scarpe, Ran chiuse la porta e poi lo guidò verso il kotatsu posto al centro della stanza. Aika dormiva poco distante da esso, nel suo futon. 

Si sedettero a terra uno di fronte all’altra e Ran guardò il detective per incoraggiarlo a parlare. 

Shinichi deglutì e strinse le mani, appoggiate sul legno chiaro del kotatsu.

-Prima che inizi a raccontare, è bene che tu sappia che non ti ho mai detto nulla perché saresti stata in pericolo. Se ti fosse successo qualcosa a causa mia, non me lo sarei mai potuto perdonare. -disse alzando lo sguardo su di lei. -Tu sei sempre stata importante per me, te l’ho detto tante volte, e avrei voluto dirti tutto in più di un’occasione. Non sopportavo di doverti mentire. 

Ran annuì una volta. Il cuore le batteva forte, come se da un momento all’altro avesse potuto uscirle dal petto. Aveva aspettato quel momento per anni e finalmente era arrivato. Avrebbe avuto le risposte che voleva.

Shinichi la guardò negli occhi, inspirò e iniziò a raccontare: -Tutto ha avuto inizio ormai dieci anni fa. Ricordi la nostra uscita al Tropical Land?

-Sì. È da quel momento che sei... -disse Ran non riuscendo a completare la frase. Quella giornata aveva dato inizio a un periodo di pianti e sofferenza per lei.

-Sparito. Esatto. -fece lui per lei. -Se potessi, tornerei indietro a quella sera per impedirmi di lasciarti lì da sola e correre a spiare quegli uomini vestiti di nero. Perché ho fatto questo. Ho spiato uno di quei due tizi che erano con noi sulle montagne russe e l’ho visto ottenere una somma di denaro molto alta da un altro uomo. Ero così attento a ciò che stava succedendo, che non mi sono accorto del suo collega alle mie spalle. Mi ha colpito con un tubo di ferro e mi ha fatto prendere una pastiglia, mentre ero semisvenuto.

Ran trattenne il fiato. Sapeva che Shinichi non stava scherzando. Aveva imparato a riconoscere i momenti divertenti da quelli più seri, le espressioni che si dipingevano sul viso del detective quando cercava di trattenere le risate. In quell’istante, non la stava prendendo in giro.

-Pensavo che sarei morto. -continuò a raccontare. -Avevo il cuore che mi esplodeva, le ossa che sembravano sciogliersi. E poi avevo paura. Paura di finire all’altro mondo. Quando il dolore è cessato, la polizia mi ha trovato. Non puoi immaginare quanto fossi felice: ero vivo, avrei potuto dire di quei due tizi e di quello che avevo sentito dire loro. E l’ho fatto... ma nessuno mi ha creduto. 

-P-Perché? -si azzardò a chiedere lei. 

Shinichi deglutì di nuovo. Si tormentò le mani fino a far sbiancare le nocche.

-Ora rispondimi sinceramente. -disse dopo qualche secondo di silenzio. -Se Aika, una bambina, ti venisse a raccontare di essere una ragazza di sedici anni e che è stata rimpicciolita da un farmaco... tu le crederesti?

Ran sentì di aver trovato il pezzo mancante di un puzzle, ma per qualche ragione la cosa non la rese felice.

-No. -rispose, piano, mentre nella sua mente scattava qualcosa.

-Esatto. Nessuno mi ha creduto perché ero tornato bambino. Un bambino di sei anni con una brutta ferita alla testa, che indossava vestiti troppo grandi per la sua età e che raccontava una storia così assurda. -Shinichi si fermò. Era pallido in viso. 

La karateka non resistette e allungò le mani per avvolgere quelle di lui. 

-E poi? -lo incoraggiò cercando i suoi occhi.

-Io... sono scappato. -rispose il detective, con lo sguardo basso. Non sembrava molto fiero di ciò che stava raccontando. -Sono corso a casa e lì ho incontrato il professore, che aveva fatto esplodere per l’ennesima volta il muro di cinta. Sono riuscito a convincerlo perché ho fatto una deduzione che un bambino di prima elementare non saprebbe fare così di punto in bianco. Mi ha aiutato a entrare in casa, mi sono messo i vestiti di quando ero piccolo, gli ho raccontato tutto e poi... poi sei arrivata tu.

Nella mente di Ran si susseguirono varie immagini: il viso di un bambino occhialuto nascosto dietro la scrivania, quel piccolo che balbettava di avere sei anni e di chiamarsi...

-Conan. -disse lei. La voce ridotta a un sussurro.

 

***

 

Quando Heiji aprì gli occhi vide un timido raggio di sole entrare dalla finestra. Le ante erano socchiuse, come le aveva lasciate Kazuha la notte prima, e una brezza leggera faceva muovere le tende.

Kazuha dormiva ancora, abbracciata a lui. Il detective sorrise, mentre passava una mano nei capelli di lei, lasciati sciolti solo quando dormiva. Non riusciva ancora a credere a quello che gli aveva rivelato il giorno prima. Gli sembrava incredibile il pensiero di un bambino tutto loro che camminava per la casa con quei piedini adorabili...

-Heiji... -mugugnò Kazuha, assonnata.

Heiji le baciò la testa: -Buongiorno. Già sveglia?

-Potrei farti la stessa domanda. -si sistemò meglio tra le sue braccia. -Siamo tornati alle tre stanotte! 

Heiji guardò la sveglia, che segnava le 8:30. Lui era un tipo abbastanza mattiniero, era Kazuha quella che dormiva fino a tardi, di solito.

-Abbiamo tempo di salutare Aika e Ran. -osservò il detective. -E poi possiamo andare all’aeroporto con un bel po’ di anticipo.

Kazuha si mise seduta, guardandolo in viso.

-Sto già pregustando la spiaggia bianchissima e il mare. -disse con un sorriso. 

-Però non potremo fare tutte le escursioni che avevamo in mente. -le fece notare Heiji.

-Perché? -domandò Kazuha, confusa.

-Perché adesso siamo in tre. -rispose allungandosi per lasciare un bacio sulla pancia di lei, che gonfiò le guance e mise il broncio. 

-Non sono ancora una balena. Sono in grado di partecipare alle gite in barca e a qualsiasi cosa volevamo prenotare. -protestò. Heiji rise.

-Va bene. -disse mettendosi seduto a sua volta. -Ma se poi avrai la nausea non venire da me a lamentarti. Capito?

Kazuha incrociò le braccia e girò la testa dall’altra parte, come i bambini quando si arrabbiano. Il detective rise di nuovo e si alzò in piedi.

-Preparo la colazione. -disse uscendo dalla stanza senza nemmeno mettersi le pantofole. 

Vivevano insieme dal primo anno di università. All’inizio era stato difficile, litigavano ogni volta che c’era qualcosa fuori posto o se uno dei due non rispettava gli orari dell’altro. Heiji lavorava ai casi con la polizia e spesso tornava a casa a notte inoltrata, trovando la cena fredda e un biglietto di Kazuha che gli diceva di fare piano o l’avrebbe svegliata.

Kazuha aveva invece continuato con l’aikido. Aiutava coloro che facevano parte del club del liceo, ottenendo in cambio una bella somma di denaro. 

Dopo l’università Heiji aveva aperto la sua agenzia investigativa, perciò lei aveva deciso di fargli da segretaria. Al contrario di quello che avevano pensato, grazie a quella collaborazione non litigavano praticamente più.

Heiji sorrise mentre prendeva le ciotole per il riso e le bacchette. La fede d’oro che aveva da meno di un giorno brillò.

   
 
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