Epilogo.
L’alba
stava tingendo i monti a est, incendiando le distese apparentemente
infinite
delle foreste canadesi e baciando con i suoi tiepidi raggi la piccola
radura
del Vigrond di Clearwater.
Assiepati
attorno all’esile quercia sacra, i Gerarchi, il Guardiano del
Santuario e le
famiglie Sullivan, Howthorne e Wallace si apprestarono a congedarsi da
Litha e
Rohnyn, ormai pronti per il loro ritorno in Irlanda.
Dopo
una serie di abbracci, baci e promesse di vario genere ed
entità, Litha prese
per mano il fratello, sorrise ai suoi amarok
e mormorò: «Non avrete difficoltà a
contattarmi, qualora doveste avere bisogno
di me. Ma potete farlo anche soltanto per chiacchierare un
po’. Mi farà sempre
piacere.»
I
tre giovani assentirono con gli occhi lucidi, le mani strette tra loro
in una
muta promessa di reciproca e mutua amicizia.
Lanciato
poi uno sguardo a Lucas, Litha aggiunse: «Abbiamo delle vite
in comune, Fenrir
di Clearwater. Questi lupi ora fanno parte del tuo branco, e Liza
è altresì la
tua Geri, ma spero rammenterai anche il legame che ci unisce.»
«Non
potrei mai prevaricarlo. Inoltre, ti devo troppo per non rispettarlo al
meglio
delle mie possibilità» assentì Lucas
con tono serio.
Annuendo
a quelle parole confortanti, Litha allora terminò di dire:
«Sia questo un
arrivederci, dunque. Le mie porte saranno sempre aperte per tutti
voi.»
Ciò
detto, svanirono letteralmente dinanzi ai loro occhi mentre un vento
leggero si
levava dal nulla per sottolineare la loro sparizione.
I
più sconcertati si rivelarono gli Howthorne – da
poco entrati in quel regno di
misteri e magia – ma furono le reazioni di Dev e Iris a
spezzare l’aura di
leggera tensione formatasi tra i presenti.
Sköll
e Hati, infatti, poggiarono istintivamente la mani sui rispettivi
stomaci e
Dev, divenendo pallido in volto, borbottò: «Odio
la velocità di curvatura…»
«A
chi lo dici» mormorò Iris, e l’attimo
dopo si scusò con i presenti per
rifugiarsi dietro casa a dare di stomaco.
Una
risata collettiva spezzò quindi l’ansia fin
lì accumulatasi e, mentre Rachel si
scusava a sua volta per raggiungere la nipote, Donovan Sullivan
scrutò i tre
ragazzi sorridenti nel bel mezzo del Vigrond e domandò loro:
«Pronti per
riprendere la scuola?»
I
tre annuirono con vigore e Mark, nell’ammiccare al padre,
disse: «Credo che
oggi pomeriggio andrò con Liza a fare shopping. Ho idea di
aver bisogno di un
nuovo guardaroba.»
«Niente
più felpe col cappuccio?» domandò
quindi l’uomo, sorridendo a mezzo.
«Già»
ammiccò il figlio mentre Diana correva ad abbracciarlo con
calore.
Liza
e Chanel sorrisero di fronte a quella scena ma, quando Donovan si
avvicinò
loro, entrambe lo guardarono dubbiose e in attesa che lui parlasse.
Fu
a quel punto che l’uomo le sorprese entrambe, abbracciando
con calore Liza.
Sgomenta,
la giovane lo sentì dire con voce roca ed emozionata:
«Con tutto quello che è
successo, non ho mai avuto il tempo di ringraziarti per aver salvato
mio
figlio. Grazie, Liza… grazie.»
Arrossendo
suo malgrado – anche a causa del sorriso orgoglioso che Mark
le tributò, e a
quello ancor più orgoglioso di suo padre – Liza
balbettò: «Oh, b-beh… n-non
c’è
p-problema. D-davvero.»
Donovan
allora si scostò, le sorrise e aggiunse: «Hai
salvato molto più della sua vita,
Liza. Lo hai salvato anche prima di quell’incidente, e di
questo ti sarò
eternamente grato.»
Liza,
a quel punto, sorrise a sua volta all’uomo e
replicò: «Mi sono innamorata di
lui, perciò direi che siamo pari, no?»
Era
la prima volta che lo diceva ad alta voce, e anche su Mark –
non solo su di lei
– ebbe uno strano effetto, ma le piacque il calore
rigenerante che quella frase
ebbe nel suo animo.
Sì,
era innamorata di Mark e, insieme, avrebbero affrontato il futuro come amarok, come parte di un branco e come
compagni. Non stentava più a crederlo possibile; ora era certa che sarebbe avvenuto.
E
senza predizioni di Huginn a darle conforto. Il suo cuore glielo
diceva, e lei
era propensa a credergli.
Il
picchiettare di Curtis Ahern sul quadro dell’orologio da
polso riportò tutti al
presente e, mentre lo sparuto gruppo si volgeva per osservarlo, il Capo
della
Reale Polizia a cavallo sorrise divertito e chiosò:
«Se volete andare a scuola,
converrà che vi muoviate… o farete
tardi.»
Tutti,
a quel punto, controllarono sia orologi che cellulari e, in breve, nel
Vigrond
vi fu un gran via vai di persone pronte a mettersi in pista per quella
nuova
giornata lavorativa e scolastica.
Lucas,
accanto a Curtis, ammiccò al suo indirizzo e
sussurrò: «Ti stavi emozionando
troppo?»
«La
faccenda stava diventando un po’ troppo melensa, e rischiavo
di diventare
diabetico. Inoltre, Liza si è parecchio esposta con quella
confessione, così le
ho offerto una scappatoia per non dover essere costretta ad ammettere
altro»
celiò Curtis, dandogli poi una pacca sulla spalla per
raggiungere il suo
pick-up.
Rock,
da parte sua, guardò Diana e Dev e domandò:
«Andiamo anche noi?»
Diana
scrutò per un attimo Donovan, che assentì e
disse: «Ti vengo poi a prendere io
stasera. Tu vai pure con loro.»
Ciò
detto, si avviò assieme a Mark e alla famiglia Howthorne per
raggiungere le
rispettive auto.
Richard,
invece, mandò Helen sul retro della casa per capire come mai
moglie e nipote ci
mettessero così tanto a tornare, dopodiché disse:
«Andiamo anche noi, Liza. Ti
accompagno, poi vengo a riprendere le altre mie donne.»
«D’accordo»
assentì la giovane, mentre Chelsey tornava da casa con gli
zaini per entrambe.
Fu
in quel mentre che Iris, Rachel e Helen tornarono e Dev, nel vedere il
sorriso
particolarmente radioso della moglie, le sorrise nell’andarle
incontro e,
abbracciandola, mormorò: «Non era
l’effetto della velocità di curvatura, mi
sa…»
«No,
infatti» assentì lei.
Congratulazioni,
ragazzi.
“Grazie,
Gunnar.
Davvero”
replicò Devereux.
***
Tornare
a scuola fu qualcosa di molto strano. I ragazzi e le ragazze di
qualsiasi
ordine e grado li guardarono con un misto tra timore reverenziale e
compassione.
In
molti si fecero avanti per complimentarsi con Liza e Mark per il
coraggio
dimostrato, oltre a spiacersi con tutti loro per la morte di Fergus.
Non
senza sorpresa, i tre giovani si ritrovarono a fissare un piccolo
altarino
costruito appositamente per ricordare Fergus. Lo avevano posizionato
sul fondo
del corridoio principale del primo piano, in modo che tutti potessero
vederlo.
Liza,
Mark e Chanel trovarono un po’ strano pregare dinanzi a
quell’accozzaglia di
oggetti variegati, foto e dediche scritte su fogli colorati, ma non si
tirarono
indietro. Era vitale che continuassero a comportarsi il più
possibile come
prima.
Le
loro preghiere all’amico si erano già elevate al
cielo tempo addietro, tra le
Luci del Nord, dove ora Fergus riposava con le sembianze di uno degli
spettri
di colore che rappresentavano Qiugyat.
Quand’anche
loro, quindi, ebbero sistemato una candela colorata e un breve pensiero
scritto
a mano, poterono finalmente iniziare le lezioni.
Naturalmente,
anche gli insegnanti vollero mostrare il loro interesse per gli
sventurati
allievi ma, anche in questo caso, il trio si prestò con
pazienza a quel rito
obbligato.
Grazie
agli insegnamenti di Qiugyat, la
parte del loro animo – e della loro memoria –
deputata alle emozioni e reazioni
istintive, era saldamente sotto controllo. Mark in particolar modo, non
ebbe alcun
problema a gestire l’imbarazzo di essere al centro
dell’attenzione, per una
volta.
Chanel
si spese in un pianto rigenerante con Becky, una sua amica
d’infanzia, e Sasha
fu loro accanto per tutta la durata di quel primo giorno di scuola dopo
l’incidente con l’amarok.
Fu
comunque un sollievo uscire dal plesso scolastico e, come promesso
quando
ancora erano all’ospedale, Mark invitò Liza a
uscire. La storia che aveva
raccontato al padre era in parte una scusa; l’importante era
stare con Liza,
rendere tutto ufficiale una volta per tutte, non tanto cambiare il
guardaroba.
Tributare
il giusto peso, anche nel mondo degli umani, al loro legame, gli
sembrava un
atto necessario per rendere ufficiale il suo rapporto con Liza.
Insieme,
quindi, non tornarono affatto a casa e, di comune accordo, si recarono
allo
Strawberry Moose per pranzare, dopodiché si dedicarono al
già citato shopping.
Quando,
però, entrarono in un negozio di abbigliamento, Liza
afferrò Mark a un braccio
e gli domandò: «Sei proprio sicuro di voler
eliminare dal tuo guardaroba le felpe
con il cappuccio?»
Lui
scrollò una spalla e ammise: «Le ho sempre e solo
portate perché volevo
nascondermi dal mondo, ma credo di non averne più bisogno.
Ma non per il motivo
che pensi, quanto piuttosto perché ho deciso di ammirare
ogni cosa che mi circonda
senza alcun timore, e non farmi più tentare dalla
facilità dell’anonimato e
dell’oscurità.»
«Ogni
cosa che ti circonda?» ripeté lei, sorridendo
appena.
Mark
assentì, sollevandole una mano per baciarne il dorso e, nel
condurla
all’interno del negozio, aggiunse: «Sai che mi
piace stare in mezzo alla
natura, ma più in generale ho sempre amato scoprire cose,
luoghi e persone.
Crescendo, però, ho avuto problemi sempre maggiori nel
farlo, e nascondermi è
diventata un’abitudine. Così facendo,
però, limitavo il mio campo visivo.
Certo, ero invisibile agli altri – o tentavo di esserlo
– ma questo mi impediva
di fare nuove esperienze. Grazie a voi, a
te, tutto questo è cambiato, perciò non
voglio più nascondermi.»
«Scopriremo
assieme quanto ci circonda» dichiarò Liza,
levandosi in piedi per dargli un
tenero bacio. «Ma vorrei tenessi la felpa che avevi quando mi
baciasti la prima
volta. Ci sono affezionata.»
«Nessun
problema… quella, piace anche a me. E’ legata a
ricordi bellissimi» annuì Mark
prima di guardarsi intorno e domandarle: «Da cosa
cominciamo?»
«Camice?»
«Andata»
annuì lui, avviandosi assieme a Liza verso quel reparto.
***
In
compagnia del dottor Cooper e del dottor Johnson, Chanel
annuì più e più volte
nell’ascoltare le direttive dei due uomini finché,
sorridente e pronta a tutto,
dichiarò: «Ce la farò, non temete.
Sarò un valido aiuto, alla clinica.»
«Ne
siamo più che sicuri. L’importante è
che tu ne sia convinta» la rassicurò
Chuck, dandole una pacca sulla spalla.
La
giovane assentì, lanciò uno sguardo
tutt’attorno, agli strumenti chirurgici ben
riposti nelle scaffalature, ai bendaggi, alle medicine per i licantropi
contenute negli armadi a muro e, decisa, disse: «Non ho
potuto dare una mano
per salvare Fergus, ma ora ho deciso di imparare a dare il mio
contributo, a
non essere più passiva, e cominciare da qui mi sembra un
buon inizio.»
«Contro
quella belva spietata è servita una dea, cara,
perciò non sentirti mai in colpa
per questo…ma dare uno scopo al proprio futuro è
sempre una bella cosa. E
chissà, magari ti piacerà così tanto
che sarai tentata di diventare un dottore
o un veterinario, in futuro» le fece notare il dottor Cooper
con un caldo
sorriso.
Lei
assentì, nel cuore la certezza di aver fatto il primo passo
verso quello che
aveva scelto come il proprio futuro. Ora, doveva solo mettersi
d’impegno per
realizzarlo.
***
Lo
sconcerto nella voce di Brianna risultò essere tale da
portare Iris a ridere
divertita, mentre diceva: «D’accordo, stavolta ti
ho davvero sconvolto.»
«Puoi
dirlo forte!» esalò la giovane wicca
all’altro capo del telefono. «Non soltanto sei
stata testimone di un’epica
battaglia tra due dee, ma il tuo
spirito-guida ha dimostrato una capacità di adattamento a
questo genere di
lotte che davvero non mi sarei aspettata. Non avevo neppure idea che ci
si
potesse scindere a questo modo – tra spirituale e fisico,
intendo – per
combattere contemporaneamente due generi diversi di
conflitto.»
«Beh,
neppure noi lo pensavamo, ma abbiamo scoperto che potevamo farlo nel
momento
stesso in cui akhlut mi ha ferita
con
un contraccolpo psichico. Lei aveva ferito il
mio corpo con la sua mente, e Gunnar aveva visto il colpo
provenire dal
piano astrale. Solo, non ha potuto fermarlo in tempo… ma lo ha visto! Una cosa
incredibile» esalò Iris, ancora incredula.
Ripensare
a quel combattimento, al modo in cui lei e Gunnar avevano interagito su
diversi
piani di realtà, la lasciava tutt’ora sconcertata,
ma era lieta di poterne
parlare con Brianna. Sapeva che, più di chiunque altro,
l’amica avrebbe potuto
aiutarla a capire e a cogliere quei particolari che le sarebbero potuti
tornare
utili un giorno.
Sperava
con tutto il cuore di non dover bissare un simile evento, ma sapeva
anche bene
di vivere in un mondo di dèi e creature mitologiche, e non
solo di esseri
umani, perciò doveva essere pronta a tutto.
«Fenrir
dice che Gunnar deve essere stato un ottimo stratega, in vita, per
poter essere
capace fino a questo punto di
gestire
un combattimento sul piano del surreale. Vorrebbe che ne parlaste con
Thor e
Beverly, perché ne potreste ricavare delle informazioni
davvero interessanti…»
le spiegò Brianna prima di aggiungere con tono dolce e
protettivo: «…ma dopo la
gravidanza. E’ meglio se adesso ti concentri solo su
questo.»
Iris
assentì tra sé, passandosi una mano sul ventre
ancora piatto. Era stato Gunnar
ad accorgersene, quasi strillando come un’aquila spennata
nella sua mente, e
saltellando metaforicamente per l’agitazione.
Il
fatto di essersi reso conto della scintilla di vita presente dentro di
lei lo
aveva reso in qualche modo assai protettivo e un tantino paranoico e,
da quando
ciò era avvenuto, sembrava comportarsi come un uomo in un
campo minato.
Sapeva
tramite Gunnar che il potente guerriero aveva avuto, sì, due
figli, ma sempre
quando lui si era trovato lontano da casa, combattendo guerre a favore
di
qualche feudatario o del re di turno. Non si era mai trovato accanto
all’amata
moglie, quando i pargoli erano nati, e questo peso era perdurato nel
suo animo
anche dopo la morte.
Trovarsi,
di punto in bianco, di fronte alla possibilità di veder
crescere il cucciolo di
Iris e di essere pienamente partecipe di tutte le fasi della
gestazione, lo
aveva reso guardingo, oltre che molto, molto
premuroso.
Iris
si chiedeva già se, nel corso dei successivi mesi, lui e Dev
sarebbero entrati
in competizione o se, come lei sperava, si sarebbero coalizzati per
farla stare
meglio. Si augurava che, almeno in quell’occasione, Dev
avrebbe lasciato da
parte le sue gelosie per fare fronte comune con Gunnar, o prevedeva
già
emicranie a pioggia.
«La
settimana prossima mi farò visitare dal dottor Cooper, poi
fisserò un
appuntamento con la ginecologa. Qualche dritta in merito a effetti
collaterali
dovuti alla licantropia?»
«A
parte quello più ovvio, e cioè che dovrai
rinunciare a trasformarti fino al
parto, direi che non rischi nessun tipo di simpatico contrattempo.
L’unica a
rischiarli ero io, ma perché sono sia wicca
che lupa. Tu non hai questo problema, perciò
goditi la gravidanza, se ti
sarà concesso» le spiegò Brianna con un
risolino. «Io ho passato gli ultimi
mesi a imprecare in tutte le lingue che conoscevo, visto che sembravo
un
pallone aerostatico nonostante mangiassi solo quello che mi veniva
detto. Ero
gonfia di liquidi, irritata come un istrice e desiderosa di veder
nascere
Nathan quanto prima.»
Iris
rise con lei, rammentando la gravidanza di zia Rachel, quando aveva
dato al
mondo Liza. Il dottore quasi non le aveva creduto, quando le aveva
detto di
aspettare un figlio e di aver bisogno di una sala parto, visto che le
si erano
rotte le acque.
Rachel
doveva essergli sembrata una pazza, visto che la pancia quasi non le si
vedeva.
Quando, però, aveva controllato – dopo svariate
insistenze – l’aveva spedita di
corsa in reparto, resosi finalmente conto delle condizioni della sua
paziente.
Tutto
poteva essere, a quel punto. A ogni buon conto, avrebbe affrontato il
problema
solo quando vi si fosse trovata innanzi. In quel caso, non
c’erano profezie che
tenevano. Doveva solo aspettare.
«I
ragazzi come se la cavano, nella loro nuova forma?»
domandò quindi Brianna,
cambiando argomento.
«Sono
tornati a scuola un paio di giorni fa e, da quel che mi ha detto Liza,
sembra
andare tutto bene. Gli istinti animali paiono essere molto
più forti, rispetto
a quelli di un licantropo, o almeno così ci hanno detto.
Però, pare che il
tempo passato con Qiugyat sia
servito
loro per avere gli input giusti da seguire» le
spiegò Iris, distendendosi
meglio sul divano mentre, all’esterno, Chelsey giocava ad
acchiapparella
assieme a Mark, Chanel e Liza.
Era
impressionante vedere l’agilità di movimenti e la
velocità degli amarok, anche
in forma umana.
«Sarà
piacevole incontrarli e mettere a confronto le nostre
capacità. Branson, nel
frattempo, non fa che vantarsi della sua pupilla, dicendo a tutti che
è la
prima Geri – nella storia dei licantropi – a essere
anche un lupo» ironizzò
Brianna.
«Credo
che rimarrà strabiliato, quando la vedrà. Al pari
degli altri, Liza ha
assimilato anche fisicamente la sua
natura animale. Gli occhi sono diventati più affilati, quasi
che qualcuno glieli
avesse truccati per farglieli sembrare più… beh,
non so che altro termine
usare, se non predatori. E il modo
in
cui guarda Mark, e lui guarda lei! Non me la raccontano giusta, quei
due»
ghignò Iris, sentendo Brianna ridere in risposta.
«Capisco perché,
tendenzialmente, gli amarok hanno l’abitudine
di stare per conto loro. Si
vede che sono fatti per la caccia, anche quando non sono in forma
animale e, se
non fosse che adesso le persone, tendenzialmente, non ti guardano mai veramente in faccia, forse qualcuno
potrebbe subodorare che qualcosa non quadra.»
«Mi
incuriosisci sempre di più! Non vedo l’ora che
arrivi Natale per rivedervi
tutti! Penso che Duncan abbia già prenotato tutta la carne
disponibile nelle
macellerie di Matlock, pur di farvi mangiare al meglio. Preparatevi a
tonnelate
di stufati e intingoli» ironizzò Brianna.
«Conoscendo
il suo bisogno quasi maniacale di far stare a proprio agio gli ospiti,
ho idea
che tu non abbia esagerato più di quel tanto»
esalò Iris. «Comunque, vedrai con
i tuoi occhi che non esagero.»
Ciò
detto, si volse a mezzo quando udì la porta
d’entrata aprirsi per lasciar
comparire la figura alta ed elegante di Donovan Sullivan.
Salutatolo
con un cenno, chiuse poi la chiamata con Brianna dopo averle
calorosamente
mandato un bacio dopodiché si levò in piedi per
raggiungere l’ospite e dire:
«Sei arrivato presto. Qualcosa non va a casa?»
«Oh,
no, va tutto bene. Volevo parlare un po’ con te, se non ti
spiace» ammise lui,
sorprendendola un po’.
«Ma
certo. Dimmi pure. Qualche problema coi ragazzi?»
«Oh…
no, non proprio. Cioè, ho notato che Mark tende a guardare
me e Diana con occhi
molto più attenti e guardinghi rispetto al solito e, tra le
altre cose, mi ha
chiesto di far insonorizzare camera sua. Sono qui anche per
questo» le spiegò lui,
facendola scoppiare a ridere per diretta conseguenza.
«Oddio!
Non ci avevo pensato, ma capisco il problema. I lupi hanno un udito
finissimo,
e immagino non gli farà piacere sentirvi mentre fate sesso,
o vi scambiate
effusioni» asserì a quel punto Iris, prima di
accorgersi dell’imbarazzo del collega.
«Io, invece, dimentico che non dovrei essere così
diretta con i senza pelo. Ai
licantropi non fa né caldo né freddo, parlarne
– così come farlo – ma capisco
che dovrei andarci più cauta. Scusa.»
«Nessun
problema» si limitò a dire Donovan prima di
lanciare uno sguardo all’esterno e
vedere il modo in cui Mark e Liza, pur non toccandosi fisicamente,
stessero
letteralmente facendo sfrigolare l’aria tra loro con il solo
sguardo. «Quanto a
quei due… sai nulla?»
«Mah…
se un senza pelo si è accorto che c’è
qualcosa, allora forse siamo nei guai.
Non mi attento a chiederle nulla perché so che è
una ragazza assennata, ma si
guardano come se volessero divorarsi… e
non in senso letterale» sbuffò Iris.
«Tendenzialmente, i licantropi amano
il contatto fisico e il sesso, ma non so se con gli amarok
funziona allo stesso modo. Dobbiamo imparare nuovamente
tutto da capo, con loro e,
per farlo, ci servirà anche il tuo aiuto. Sappiamo bene che
sei un bravo
ricercatore, perciò vorremmo che ci aiutassi a stilare una
sorta di prontuario
sui loro comportamenti, e i ragazzi sono d’accordo.»
Donovan
la fissò pieno di sorpresa e sì, pieno di un
imbarazzato orgoglio e di quella
scintilla di entusiasmo che fece sorridere Iris. Il ricercatore che era
in lui
pareva galvanizzato, all’idea di una nuova avventura, pur se
stavolta si
trattava di qualcosa di meno pericoloso, o dispersivo.
«Ne…
ne sarei onorato. Davvero.»
«Bene.
La prima a volerti parlare è Chanel. Credo che senta
l’esigenza di mettere nero
su bianco tutto ciò che sente, da quando è
avvenuto il cambiamento. La morte di
Fergus l’ha segnata molto, e penso sia in cerca di
risposte» gli spiegò Iris,
addolcendo lo sguardo. «Tu puoi capirla. Puoi aiutarla a
farsi una ragione del
dolore che prova e dell’ineluttabilità di certi
eventi.»
Donovan
assentì, reclinando il viso a scrutare il piccolo anello
d’oro che portava al
mignolo sinistro. Erano le fedi del fratello e della cognata, fuse
assieme in
un unico gioiello.
Lo
aveva fatto coniare non appena aveva potuto riavere i beni personali
della
famiglia e, da quel momento, non se n’era più
separato. Poteva perciò capire
più che bene il senso di smarrimento di Chanel, oltre al
perfido senso di colpa
che poteva essersi insinuato in lei a causa della morte di Fergus.
Quell’opportunità
del tutto nuova e insperata, avrebbe potuto dargli la
possibilità di ricavare
qualcosa di buono da tutti gli anni passati a compiere ricerche, a
desiderare
la verità con tutto se stesso.
Era
pronto e preparato ma, più di ogni altra cosa, il suo cuore
era finalmente
risanato e ora poteva vedere con occhi nuovi sia il suo passato che il
suo
presente, così da poter essere d’aiuto a creare un
nuovo futuro anche per
quella ragazza.
Iris
gli poggiò una mano sul braccio, riscuotendolo e, nel
sorridergli, aggiunse:
«Dopotutto, la tua ricerca non è terminata. Anche
se ora non sarai più
costretto ad andartene.»
«Credimi,
ne sono felice» asserì Donovan, sorridendo poi al
figlio quando lo vide comparire
sulla soglia della porta-finestra, il volto accaldato dal gioco e lo
sguardo
smeraldino che rifletteva la sua nuova natura. Sì, era
cambiato, come lo era
lui stesso, ma era ancora il suo Mark.
Anche
Liza e Chanel apparvero al suo fianco, un trittico apparentemente
indissolubile
e quest’ultima, sorridendo all’insegnante,
esordì dicendo: «Gli hai parlato del
progetto, Iris?»
«Sì,
tesoro. Se te la senti, potete iniziare anche adesso.»
Ciò
detto, si rivolse a un titubante Donovan per aggiungere:
«Potete usare lo
studio di Dev. C’è tutto quello che
serve.»
Donovan,
allora, scrutò il volto enigmatico di Chanel,
anch’essa ferina e misteriosa al
pari degli altri due amarok, non
più
soltanto la sua allieva, ma qualcosa di più e che avrebbe
contribuito a
svelare. Nell’alzarsi, quindi, le disse: «Andiamo
pure.»
Chanel
assentì e, in silenzio, seguì il professor
Sullivan al piano superiore mentre
Mark e Liza, simili a danzatori di un antico rito, si mossero per
raggiungere
le poltrone in salotto.
Lì,
si accomodarono per guardare un po’ di TV mentre Chelsey,
all’esterno, eralla
alle prese con un diverso tipo di acchiappar ella con Huginn e Muninn.
Volgendosi
a mezzo e sorridendo a Iris, mentre Liza era impegnata a fare zapping,
Mark
domandò: «Sbaglio, o mio padre è un
po’ in ansia per noi?»
Scoppiando
a ridere – allora, anche gli amarok
non amavano i giri di parole, e ci sentivano benissimo, forse ancor
più di loro!
– Iris assentì e, scrutando a momenti alterni i
due giovani, ammise: «Il vostro
feeling è più che evidente, e penso sia in
pensiero all’idea che tu possa
combinarla grossa, Mark.»
Arrossendo
un poco e passandosi una mano sulla nuca con fare nervoso, il giovane
lanciò
una rapida occhiata alla fidanzata – che ora portava al polso
un piccolo
bracciale in pelle e perline che lui le aveva regalato –
prima di ammettere:
«Ti giuro che non stiamo combinando niente di male. Nessuno
dei due vuole
cacciarsi nei guai, quando mancano ancora due anni al diploma. Ma
è chiaro che,
con i doni che possediamo, beh…»
Sollevando
un sopracciglio con evidente ironia, Iris terminò per lui:
«… possiamo dire che
la mente è un potente strumento?»
Ora
fu Liza ad avvampare, più ancora di Mark, così
Iris ebbe la riprova di non
essersi sbagliata. Sorridendo divertita e sì, anche assai
intenerita dalla loro
evidente decisione di comportarsi correttamente – almeno nel
mondo reale – la
donna asserì: «Tranquillizzerò tuo
padre, senza
per questo specificare cosa combinate. Va bene? Credo che,
essendo un senza
pelo, non capirebbe fino in fondo perché
agite
in questo modo.»
«E’
più forte di noi» cercò di discolparsi
Liza. «Cioè, ecco, non è che ci
caschiamo sempre,
però…»
Liquidando
le sue scuse con un sorriso, Iris scosse il capo e replicò
gentile: «E’ la
vostra natura animale. L’intimità, il sesso, la
possessività nei confronti del
compagno… sono tutte cose normali, in un licantropo, e ho
idea che in un amarok siano ancora
più radicate. A
dirla tutta, sarebbe interessante, per voi, tornare da Qiugyat
per approfondire meglio la vostra natura. Pensate che
potrebbe essere d’accordo?»
I
due giovani si guardarono vicendevolmente e, ancora, Iris
intuì il percorso dei
loro pensieri. Sorridendo, quindi, soggiunse: «Ci avevate
già ragionato sopra,
vero?»
«Per
più di un motivo» ammise Mark. «Per
riuscire a gestire il nostro legame con
Litha, abbiamo incentrato i nostri addestramenti solo sui gangli di
potere, ma
ci sono ancora molte cose che ci paiono oscure, e che vorremmo
conoscere.»
Ciò
detto, lasciò la parola a Liza, che aggiunse:
«Inoltre, pensiamo che sia
ingiusto che lei rimanga sola tutto il tempo, in quelle lande desolate,
e senza
nessuno che le faccia visita. Noi siamo anche suoi, dopotutto. Ci ha
creato lei
– la nostra razza, insomma – migliaia di anni fa, e
sarebbe giusto tributarle degni
ringraziamenti. Non lasciarla in solitudine, insomma.»
«Mi
sembra una cosa molto carina» annuì Iris.
«Pensi
che Lucas mi consentirà, ogni tanto, di assentarmi per farle
visita?» domandò a
quel punto Liza, dubbiosa.
«Lucas
è un bravo Fenrir. Non avrà problemi ad
accontentare la sua Geri» la tranquillizzò
Iris prima di aggiungere con fare malizioso. «Un consiglio,
però. Cercate di
contenervi, quando vi guardate o, prima o poi, farete scoppiare
qualcosa. Ora
non siete più ragazzi normali, e le vostre auree hanno un
potere anche sul
piano fisico. Poco fa avrei potuto cuocere un uovo, in mezzo a
voi.»
I
due giovani scoppiarono in una grassa risata di gola, arrossendo
parimenti e
Gunnar, nella mente di Iris, chiosò: Hai
fatto bene a metterli in guardia. Non si può mai sapere,
quando c’è il cuore di
mezzo.
“Se
fa scoppiare
guerre, può anche far scoppiare una tubatura, nella giusta
situazione” celiò la donna,
facendolo ridere a sua volta.
Dal
piano superiore, Chanel sorrise nel sentirli così ilari e
Donovan, prendendo
appunti su appunti, le domandò: «Ti turba il fatto
di non avere un compagno
come, invece, ha Liza?»
Levando
un poco le sopracciglia di fronte a quella domanda inaspettata, lei
scosse il
capo e replicò: «No, in effetti. So che Mark
rischierebbe la vita, per me e,
anche se non sarà mai il mio compagno, a me sta bene
così. Non mi precludo un
futuro assieme a qualcuno, ma ora non mi preoccupa questo fattore. Sto
solo
pensando se, ciò che voglio per me, possa essere giusto
anche per gli altri.»
Interrompendo
il suo scrivere, Donovan la guardò dubbioso e
domandò: «In che senso… per
gli altri?»
«Per
mamma, per papà, per Fenrir… per gli altri membri
del branco che, così
gentilmente, mi hanno accolta. Sento di essere egoista, quando penso a
ciò che desidero
per me» ammise Chanel, passandosi nervosamente una mano tra
la folta chioma
biondo castano.
Donovan,
allora, le chiese di parlargliene e, quando la giovane ebbe terminato
la sua
dissertazione, l’uomo si limitò a sorridere e
disse: «Penso che potrebbero
essere soltanto orgogliosi di te. Non certo irritati, né
delusi.»
«Davvero?»
«Dedicare
se stessi agli altri non può che essere visto come il
più altruistico dei
gesti… indipendentemente
da dove
svolgerai questo tuo sogno. Ma hai ancora due anni di scuola, dinanzi a
te, e
molti altri di specializzazione, se la tua decisione è
questa, perciò non
preoccuparti di scelte che dovrai compiere solo tra molto, moltissimo
tempo» la
rassicurò Donovan, dandole una pacca sul braccio.
«Vivi il presente, Chanel,
rammenta con serenità il passato e impegnati per il
futuro.»
La
giovane allora assentì, gli sorrise e disse: «Sono
contenta che sia venuto qui
con la sua famiglia, professore.»
«Anch’io,
Chanel. Credimi. Anch’io.»
***
Tre
anni dopo –
Circolo Polare Artico
La
tempesta aveva cessato di sferzare le lande gelide e apparentemente
prive di
vita del Nord del mondo e Muninn, nell’osservare il paesaggio
monocromatico che
aveva innanzi, disse al fratello: “Di
tutte le cose che avrei potuto pensare di fare, mai avrei immaginato di
ritrovarmi qui, un giorno, a congelarmi le penne mentre aspettiamo
mamma e i
suoi amici.”
Huginn
ridacchiò tra sé, annuì con la
testolina e scrutò verso ovest, in direzione di
uno spuntone di roccia ove due figure nere, e dalle sagome di lupi,
ululavano
alle multicolori Luci del Nord.
Era
incuriosito da quell’immagine poiché, tre anni
addietro, aveva intravisto nel
futuro qualcosa di molto simile, e non comprendeva perché il
suo dono gli
avesse permesso di vedere proprio
tre
lupi.
Ormai
da tempo, Chanel si recava al Polo Nord in separata sede,
perciò era del tutto
normale che, quel giorno, vi fossero solo Mark e Liza a porgere omaggio
a Qiugyat. Perché,
quindi, nella visione
di tre anni addietro – e che gli era tornata prepotente alla
mente poco meno di
mezz’ora addietro – aveva visto anche
l’altra amarok?
Fu
solo intorno alla mezzanotte polare, che Huginn comprese.
Di
corsa e nelle sue forme di lupo, Chanel apparve inaspettatamente
all’orizzonte
e, sotto il cielo cosparso di miriadi di luci fumose e color degli
smeraldi,
raggiunse infine i suoi compagni e lanciò il proprio saluto
a Qiugyat.
“Ora
la visione
è completa, giusto, Huginn?” domandò Muninn al suo
fianco.
“Così
parrebbe,
eppure…”
mugugnò pensieroso Huginn, scrutando dubbioso i tre amarok ancora fermi sulla sporgenza
rocciosa, ora intenti a parlare
mentalmente tra loro.
Quei
giovani avevano sconvolto non poco la vita all’interno del
branco, e non
soltanto per via della loro stupefacente natura predatoria e
competitiva. Gli amarok possedevano
innumerevoli doti che
li rendevano degli avversari temibili, per i licantropi, e
l’aiuto del
professor Sullivan si era rivelato importante, per poter catalogare e
analizzare con chiarezza l’intera faccenda.
La
cosa che però aveva fatto scalpore non erano state tanto le
loro impressionanti
capacità, o la loro velocità quasi imbarazzante
quanto, piuttosto, un fatto di
tutt’altro genere.
Nei
primi giorni del nuovo anno che era seguito alla battaglia con akhlut, quando le acque si erano
finalmente calmate e tutto era parso essere tornato alla
normalità, l’anima di
Mark si era rivelata al suo possessore, dimostrano di essere senziente.
Quest’ultima
si era palesata durante una riunione al Vigrond, dichiarando di essere
Istar, il
figlio maggiore di Gunnar, tornato a nuova vita per poter camminare al
fianco
del padre ancora una volta.
Tutto
ciò aveva riempito di immensa gioia il laendvettir,
e questo aveva altresì spiegato perché, fin
dall’inizio, Mark e Iris avessero
vicendevolmente dimostrato un attaccamento particolare, in tutto e per
tutto filiale.
Questo
nuovo e inaspettato evento, a parte avvicinarli ulteriormente, li aveva
spinti
a scoprire se anche Istar, divenendo un’anima senziente
all’atto della morte, avesse
sviluppato le doti di un lӕndvettir.
I
loro infruttuosi tentativi di mettere alla prova Istar, aveva dato
così la
possibilità di scoprire che gli amarok
non possedevano doti mentali paragonabili a quelle dei licantropi.
A
ogni buon conto, questo aveva reso più chiare le istintive
doti difensive di
Mark che, combinate alle qualità nell’attacco di
Chanel e alle capacità
tattiche di Liza, li rendeva un trio perfettamente equilibrato.
“E’
questo che
vedesti, Huginn?” domandò Liza, dal
colle, strappandolo
ai suoi pensieri.
Come
avevano sospettato, divenendo amarok,
anche la portata del suo dono di Geri si era sviluppato. Pur non
potendo vedere
attraverso gli occhi di Huginn come accadeva con Muninn, la distanza da
cui il
corvo del Pensiero e la sua padrona potevano parlarsi mentalmente, era
aumentata.
“Sì,
mamma. Ma
davvero non mi sarei mai aspettato che volesse significare
questo.”
“Ci
è andata
bene, allora. E’ stata una bella visione,
dopotutto.”
“Sì,
direi di
sì.”
Qiugyat comparve in
quel momento dinanzi ai tre lupi e la dea, nel vederli assieme, sorrise
e
disse: «Se siete qui, e tutti assieme, immagino che abbiate
grandi notizie.»
“Ho
deciso di
raggiungere Litha in Irlanda e studiare medicina a Dublino,
dopodiché aprirò un
Santuario lì”
dichiarò Chanel, parlando per prima e sorprendendo
così i suoi due compagni.
Di
quel segreto, Chanel aveva messo a parte soltanto i genitori e i membri
del
Santuario di Clearwater, che l’avevano aiutata in quegli anni
a comprendere
appieno la portata della sua missione.
Ora
che le veniva chiesto di scegliere del suo futuro, ogni cosa le
sembrava
semplice. Già scritta per lei. E lei avrebbe seguito quel
sentiero a testa
alta, consapevole di ciò che avrebbe potuto portare di buono
agli altri.
La
dea assentì orgogliosa, carezzando piena di affetto il volto
della giovane
donna. «E’ un buon progetto. I tuoi genitori cosa
ne pensano?»
“Verranno
con me,
e mi aiuteranno a gestire il Santuario. Hanno entrambi lavori che non
li
vincolano al luogo d’origine, inoltre comprendono –
e sostengono – il mio
desiderio di ricominciare, di creare qualcosa di nuovo e in un nuovo
luogo.”
«Sono
felice per te, figlia.» Ciò detto, Qiugyat
scrutò gli altri due lupi e domandò:
«Quanto a voi, cosa avete da dire, figli
cari? Sembra che abbiate in serbo un grande segreto, e non vediate
l’ora di
dirlo a qualcuno.»
“Finalmente
abbiamo trovato due amarok…
si trovavano a Vancouver fino a un paio di
settimane fa, così abbiamo contattato Litha
perché li liberasse dal giogo dell’akhlut che li teneva schiavi” disse
Mark dopo
una breve occhiata a Liza.
La
sorpresa di Qiugyat fu grande, ma
non
per Chanel che, annuendo orgogliosa, dichiarò: “I primi li avete trovati voi, ma giuro
che non rimarrò indietro. Farò
del mio meglio per scovarne a mia volta.”
Qiugyat, allora, li
fissò tutti parimenti con occhi colmi di un amore a stento
contenibile, prima
di domandare loro: «Per questo… non eravate mai
assieme, quando venivate da
me?»
I
tre assentirono con un certo imbarazzo ma Liza, con tono più
che mai determinato,
disse: “Ci siamo fatti carico di
trovare
altri come noi che potessero tornare da te, Qiugyat, poiché troviamo insostenibile che a
noi sia stata concessa la
libertà, mentre altri continuano a vivere
nell’ombra degli akhlut.”
Chanel
annuì con vigore, aggiungendo: “Non
so
quanti siano ancora in vita ma, se sarà possibile, parte
delle nostre energie saranno
spese sempre nella loro ricerca.”
“Per
te, madre” soggiunse Mark,
reclinando ossequioso il musetto al pari delle altre.
Qiugyat
crollò
in
ginocchio dinanzi a loro e, stringendoli nel suo abbraccio immateriale,
sospirò
sopraffatta dalla commozione e mormorò roca:
«Nessuna dea potrebbe essere più
orgogliosa dei propri figli, più di quanto lo sono io
ora.»
“Anche
Litha lo
era, quando le abbiamo raccontato del nostro progetto, e Lucas
– il nostro
Fenrir – ci ha spesso permesso di uscire a caccia proprio per
trovare altri amarok come noi” le spiegò
Mark, lieto che il
loro gesto l’avesse resa felice.
Qiugyat sorrise loro
nell’annuire e, dopo essersi risollevata, lanciò
uno sguardo verso sud, verso
le due nere figure che, immerse nel bianco immoto
dell’artico, stavano
avvicinandosi a loro.
Due
lupi dal passo aggraziato e la corporatura forte si avvicinarono al
quartetto
sotto gli occhi sempre più emozionati della dea e, quando la
coppia li ebbe
raggiunti, si sedettero sulle zampe posteriori per scrutarla pieni di
ammirazione.
I
loro manti corvini erano così lucidi da riflettere le
diafane Luci del Nord e Qiugyat, nel
carezzarli entrambi con
dita insicure, sorrise fin quasi a farsi dolere le gote.
Trattenendo
per sé le lacrime che avrebbe desiderato versare dalla
gioia, domandò alle due
lupe testé giunte: «Quali sono i vostri nomi,
figlie mie?»
La
lupa dagli occhi color zaffiro che, per corporatura, pareva essere la
maggiore
tra le due, disse piena di meraviglia: “Il
mio nome è Sakura Ōkami1, mentre la
mia compagna di vita, qui
accanto a me, è Miriam O’Reilly. Mark e Liza ci
hanno aiutato a scorgere la Vera
Via, e ora siamo al servizio del Dagda
Mór, esattamente come loro.”
L’altra
lupa, all’apparenza più timida, reclinò
un poco il capo, prima di soggiungere: “Ci
hanno promesso che non dovremo più
uccidere uomini e donne. E’ vero?”
Qiugyat provò
l’istinto
feroce di uccidere ogni akhlut
rimasto sulla faccia della Terra, di fronte a quelle parole piene di
dolore e
speranza insieme, ma si limitò a sorridere alla lupa,
abbracciandola
teneramente.
Pur
non avendo più un cuore vero e proprio, lo sentì
battere all’impazzata nel suo
corpo immateriale e le lacrime che preseso finalmente a scenderle sul
volto,
pur se irreali, fecero comprendere agli amarok
quanto Qiugyat fosse emozionata.
«Non
dovrai più farlo, te lo prometto. Te lo prometto, tesoro
mio» mormorò la dea, allargando
le braccia perché tutti i suoi figli si unissero a
quell’abbraccio.
Liberi.
Non più schiavi. Nuovamente in grado di vivere appieno le
loro esistenze.
Questa sarebbe stata la loro esistenza, da quel momento in poi.
Dopotutto,
forse, per gli amarok e il loro
futuro c’era ancora speranza.
Fu
anche per questo che le Luci del Nord presero a danzare come mai prima,
con
un’intensità e un fulgore che, negli uomini
ignari, fece nascere cori di
sorpresa e timore.
Qualcuno
avrebbe pensato a una tempesta solare, a strani sconvolgimenti
magnetici, ma i
ragazzi presenti in quelle gelide lande sapevano la verità.
Era solo il cuore
di una dea, a lungo dimenticata, che aveva ripreso a battere con vigore.
1
Ōkami: (giapponese) significa ‘lupo’.
N.d.A.:
qui si conclude la storia di Liza e il percorso iniziato da Iris nelle
terre
americane. Ora mi prenderò un po’ di riposo e
mediterò su altre storie e altri
eroi. Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e spero di ritrovarvi
quando
inizierò una nuova avventura. A presto!