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Autore: Hitchris    16/02/2021    4 recensioni
Una ragazza entra nelle vite dei giovani giocatori di basket del liceo Seirin. Hikari entrerà con forza nelle loro vite e giocherà al loro fianco, come membro della squadra. Il suo obiettivo è solo uno: fare luce nel suo passato, riconquistare la fiducia di una persona cara e cercare di capire sé stessa.
Il percorso sarà lungo, duro e fatto di molte sorprese. Sorprese che, forse, cambieranno le carte in tavola.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daiki Aomine, Nuovo personaggio, Taiga Kagami
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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**Nell’anime, le partite della Winter Cup sono giocate tutte nell’arco di pochi giorni. In questa sede saranno invece dilazionate settimanalmente, per dare il tempo agli eventi di svilupparsi secondo un arco temporale più lungo e coerente con la trama**

 
Respiro corto. Gocce di sudore le scendevano lungo la fronte e le bruciavano gli occhi. La maglietta incollata al corpo; il calore asfissiante della felpa che aveva deciso di non togliersi. Hikari era davanti a lui, le gambe piegate, il petto che faceva su e giù e uno sguardo che metteva paura. Gli occhi erano due linee sottili, lame acuminate che coglievano ogni suo movimento, ogni sua intenzione.
Alex gli aveva suggerito di assumere una postura rilassata e questo aveva migliorato notevolmente la resa delle sue giocate. Non era bastato, comunque.
Da due settimane giocavano tutte le sere, nello stesso campo in cui si allevano durante il pomeriggio, con Alex. A volte riuscivano a prendere l’ultimo autobus per pura fortuna, si riducevano a correre a perdifiato verso la fermata. Avevano sfruttato tutto il tempo che avevano avuto a disposizione da quando a Hikari era passato il dolore alla caviglia: non si erano risparmiati nemmeno per un secondo.
Alla fine, i consigli di Hikari si erano rivelati preziosi. Avevano continuato a vedere i DVD delle vecchie partite e lei gli aveva fatto presente i punti deboli dell’avversario, oltre che i suoi. Aveva avuto l’accortezza di sviscerare i suoi errori, suggerire correzioni, ipotizzare posizioni e mosse. A Kagami aveva molto ricordato Alex, in un certo senso, con l’unica differenza che Hikari riusciva a cogliere al volo i sentimenti delle persone che la circondavano, e basava le sue supposizioni anche tenendo presente la componente emozionale.
« Il basket non è solo mettere la palla in buca » aveva detto un pomeriggio « il basket lo devi sentire nelle vene ».
Kagami dalle loro serate passate al campo aveva capito due cose su Hikari: era una donna totalmente fuori dal comune e non giocava affatto come Aomine Daiki. Aveva ascoltato con attenzione la conversazione tra lei e Alex e aveva riflettuto sulle parole della coach, sul fatto che se avesse continuato a giocare non avrebbe avuto più possibilità di stimolo nella sezione femminile. Col passare delle settimane Kagami si era convinto che lei non avesse già alcuna possibilità nel basket femminile. Non aveva mai visto una persona sfruttare il proprio corpo nel modo in cui faceva lei. Era un mostro.
« Vuoi muoverti? »
La voce spezzata di lei lo spinse ad agire. Si mosse senza pensarci, scartandola a destra, ma Hikari riuscì ad intercettare la palla e a togliergliela di mano. Kagami avvertì immediatamente la sensazione di non stringere più niente tra le dita e, quando si voltò, scattò subito per raggiungerla. Saltò dopo di lei e la superò in aria; Hikari riuscì comunque a segnare, più veloce e agile nei movimenti.
Toccarono terra proprio quando la palla aveva cominciato a fare su e giù al suolo, abbandonata a sé stessa in una parte del campo. Hikari era piegata in avanti, le mani sue fianchi, la voce spezzata per riprendere fiato. Si voltò verso Kagami.
« Sei… diventato… veloce » disse lei, sorridendo un secondo per poi tornare a incanalare aria nei polmoni. Era esausta, e anche lui.
« Mi hai comunque battuto. Di nuovo »
Kagami si pulì il sudore con la felpa. Hikari annuiva.
« Sì… avevi dubbi? »
Lui alzò gli occhi al cielo.
« E’ tardi. Dobbiamo andare » aggiunse la ragazza.
Presero le loro cose e si incamminarono verso la fermata dell’autobus.
Il giorno dopo Kagami e Hikari sarebbero ripartiti per il Giappone, giusto in tempo per l’inizio della Winter Cup. Lei era emozionata, euforica e preoccupata allo stesso tempo. Kagami condivideva i suoi sentimenti, tuttavia riusciva a tenerli a bada e a rimanere concentrato. Era strano che, in questo caso, fosse proprio lui a mantenere il sangue freddo: si era aspettato che fosse proprio Hikari a calmarlo e a ripetergli di non distrarsi troppo, invece negli ultimi giorni l’aveva vista perdersi nei suoi pensieri e stare con la testa per aria. Si animava solo quando giocavano; a scuola e durante le pause sembrava presa da altro, ammutoliva e guardava il nulla. Kagami intuiva quale fosse la fonte della sua preoccupazione, ma non si aspettava che Akashi Seijuro rappresentasse un così grande scoglio per lei. Sebbene fosse stata irritante e scorbutica sin da quando l’aveva conosciuta, era rimasto stupito dalla sua allegria e determinazione.
Allo stesso modo, Hikari rimaneva un’incognita cui Kagami non riusciva a dare una risposta. Quelle tre settimane passate insieme gli avevano fatto capire quanto in realtà fosse tormentato il suo animo, quanto profonda fosse la sua voglia di giocare a basket e vincere. Perché? Quell’accanimento per Seijuro Akashi non poteva essere solamente frutto di un profondo affetto; quel suo rincorrerlo, cercando di trovare una soluzione, per lui non era nient’altro che un gesto folle e insensato, e Hikari non compiva gesti folli e insensati.
« Sei distratta » esordì lui mentre si dirigevano verso la fermata dell’autobus.
« Mh? Credi? » la ragazza guardava avanti, la testa rivolta al marciapiede « sto pensando alla valigia e al viaggio ».
« Sei distratta da una settimana » precisò Kagami.
Hikari lo guardò corrucciata, poi si distese. Davvero lo era stata? Trovò strano che Taiga se ne fosse accorto, visto che non le prestava mai attenzione all’infuori del basket.
« Pensavo alle partite » disse.
« Hai detto tu che vinceremo contro Aomine, di che ti preoccupi? »
« Ho detto che vincerete contro Aomine, io non giocherò domani »
Kagami si fermò improvvisamente e Hikari fu costretta a voltarsi per guardarlo. Era paonazzo.
« Cosa?! E me lo dici ora?! »
Nonostante avesse alzato la voce, la rossa rise, mascherando la tensione. Era arrivato il momento di dirgli ciò che aveva detto a Riko e Kuroko prima di partire.
« Riko mi ha detto che andava bene, e Kuroko pure »
« Anche Kuroko lo sapeva?! » Kagami urlò più forte.
« Tranquillo, Kagami-kun. Quello che ti ho detto vale ancora: vincerai contro Aomine, il mio aiuto non vi serve »
« Lo so che vinceremo » precisò lui, offeso « ma… se ci trovassimo in difficoltà? »
Le parole gli morirono in gola. Ripensò alla sua partita contro Aomine e, per un attimo, ebbe paura di non essere all’altezza. Fu una sensazione spiacevole che si affrettò a scacciare dalla testa.
« Non entrerò » ribadì lei, dura « devi renderti conto della tua forza e Aomine è la persona perfetta per aiutarti in questo. Non entrerò neanche se steste perdendo ».
Kagami fece una smorfia.
« La mia forza? Anche se sono venuto in America per allenarmi e migliorare, io non gioco da solo. Io voglio vincere per la Seirin, ma questo a te non interessa. A te non interessa della squadra. Ti basta arrivare ad Akashi ».
Si pentì di quelle parole non appena le ebbe pronunciate. Non solo perché si rese conto da solo di aver buttato sale su una ferita non del tutto rimarginata, ma soprattutto per l’attimo che ne seguì. L’aria si fece pesante. Il silenzio si fece pesante. Una scarica elettrica gli sfiorò la pelle, attraversò il suo corpo dalla punta dei capelli alla punta delle dita. I suoi occhi, sfumature smeraldine che riflettevano la sua immagine, erano animati da emozioni indecifrabili. Il suo occhio, il destro, si tinse di un’ombra minacciosa. Un attimo, solo un momento, poi quella sensazione svanì, lasciando dietro Kagami solo una vaga scia di inquietudine.
« Io questa squadra l’ho scelta, Kagami Taiga. L’ho scelta e voi avete dovuto accettarmi. Anche tu mi ha scelta, quando mi hai chiesto di venire con te. » Hikari corrugò la fronte.
« Non ti permetto di dire che a me non interessa di voi. La battaglia tra la Seirin e la Too non è altro che un conto in sospeso che prescinde da me, perché io sono arrivata dopo, non c’entro niente. Tu devi affrontare Aomine per renderti e rendervi conto di cosa siete capaci di fare »
Hikari fece un passo avanti, poi un altro e un altro ancora. Arrivò proprio sotto di lui e, anche se fu costretta ad alzare la testa per guardarlo in faccia, fu Kagami quello intimorito.
« Se perdeste, sarebbe uguale. E sai perché? Perché la vittoria non è tutto, Kagami. Anche fallire va bene; anzi, va più che bene: permette di migliorare, di accrescersi, di diventare più forti. Se domani vincerai contro la Too, è solo perché ieri hai perso contro Aomine Daiki ».
Taiga sembrava ora aver completamente sbollito, e anche Hikari. Rimasero comunque lì, immobili, a soppesare le parole che avrebbero detto di lì a poco, in un gioco di botta e risposta che avrebbe definito il litigio o la resa di una delle due parti.
« Io… »
« L’autobus! »
Kagami fece appena in tempo ad alzare la testa. Videro il bus frecciare di fianco a loro e voltare l’angolo un secondo dopo. Le parole del ragazzo morirono così, ancor prima di nascere. Cominciarono a correre verso la fermata, ma non fecero in tempo a salire a bordo. Si ritrovarono col fiatone, di nuovo sudati, con la consapevolezza di aver lasciato a metà una discussione che se non fosse stata ripresa li avrebbe messi in imbarazzo, oltre a creare attrito. Kagami, in ogni caso, non aveva la benché minima intenzione di lasciare cadere il discorso così. La vicinanza di lei, il suo sguardo, le sue parole e il suo respiro addosso l’avevano confuso, e per tutto il tempo che erano rimasti così non ci aveva capito più niente; le parole erano rimaste lì, ferme, così come l’irritazione e il pentimento per quello che aveva detto. Non gli piacque quella sensazione, perché non gli apparteneva. Hikari cominciava a confonderlo in un modo nuovo, che non conosceva e che lo spaventava.
« Scusami, non volevo offenderti. È che sono preoccupato » disse, sedendosi sulla panchina sotto al porticato della fermata.
« Non devi esserlo. Andrà bene » Hikari si sedette poco distante.
« Sono preoccupato per te » precisò lui « cosa succederà quando te lo ritroverai di fronte? »
La rossa arrossì un po’, ma si premurò di nascondere il viso tra i capelli. Cosa sarebbe successo, quando sarebbe stato il momento? Avrebbe mantenuto la calma, dato in escandescenze, giocato come suo solito o sarebbe stata troppo distratta per concentrarsi? Cosa avrebbe provato? Cosa le avrebbe detto?
« Io… non lo so » mormorò a un certo punto « non lo so cosa proverò. So solo che dobbiamo vincere: per me, per Kuroko, per la squadra e per dare dei grandi calci nel culo alla Generazione dei Miracoli »
Hikari chiuse gli occhi e sorrise, un sorriso talmente profondo da mostrare tutta la dentatura. Più che sincero, era simpatico. Kagami ridacchiò beffardamente.
« Hai ragione » disse « l’importante è giocare insieme e divertirsi »
Hikari annuì.
« Hikari »
« Mh? »
La ragazza lo guardò. Capì che stava per dire qualcosa, qualcosa di importante, ma alla fine rinunciò.
« Niente »
« Kagami »
Taiga la guardò.
« Siamo amici? »
« Sì »
« Ok »
 
 
« Ma dove si è andato a cacciare? »
Hikari continuava a guardarsi intorno. La massa di persone che circondava lo stadio somigliava a una vera e propria marea umana: giocatori, staff e pubblico vorticavano intorno al palazzetto attendendo di entrare, o ronzavano intorno all’edificio aspettando il momento della partita cui avrebbero assistito. Hikari si sentiva a disagio come sempre le capitava quando si trovava in mezzo alla folla, era frastornata al punto che pensò di lasciar perdere la ricerca insensata di Kagami e chiamare Riko per dirle che erano proprio lì, erano arrivati e presto li avrebbero raggiunti.
Allo stesso tempo, temeva che Kagami la stesse cercando a sua volta e non riuscisse a trovarla, esattamente come stava capitando a lei. Hikari continuava a chiamarlo al telefono, invano. Quando sentì per l’ennesima volta il suono della segreteria telefonica, aveva iniziato a spazientirsi e lasciò perdere. La cosa migliore che potesse fare era continuare a camminare e dirigersi verso lo stadio. Per sentirsi a posto con la coscienza e non dover ammettere di avere scaricato Kagami senza neanche provare a cercarlo, decise che avrebbe fatto un giro intorno allo stadio sperando in un colpo di fortuna. Scettica, si incamminò.
Cercò di frenare l’irritazione. Perché si era allontanato? O forse era stata lei che, persa nei suoi pensieri, non aveva ascoltato le sue ultime parole? Non lo sapeva, ma in quel momento era troppo agitata per pensare lucidamente: trovò che insultare Kagami fosse molto il metodo più efficace per distrarsi. Se incanalava l’attenzione su di lui, l’agitazione spariva! Lo trovò quasi divertente.
Stava finendo di fare il suo giro quando li vide in lontananza. Prima che potesse ringraziare la sua sfortuna sfacciata, i suoi occhi avevano messo a fuoco la scena. Si fermò.
Lui era lì. Lì, in piedi, la figura slanciata, fiera come sempre. Lì, molto lontano da lei, abbastanza per evitare che la vedesse ma non sufficiente perché lei non sentisse la sua aura investirla in pieno. Sentì un colpo al cuore. Quanto tempo era passato? Un anno? Un anno e mezzo? Due? Hikari pensò che fosse un’infinità di tempo e allo stesso tempo sentì come se non fosse passato neanche un minuto. I suoi viaggi insieme al padre, le sue lezioni private, i suoi giri intorno al mondo, la sua vita da nomade, i suoi sforzi per andare avanti cercando di dimenticare non erano serviti a niente. Lo capì in quel momento, quando il dolore tornò a farsi sentire, acuto e grave. Aveva cercato di dimenticare per tanto tempo, aveva cercato di voltare pagina e lasciarsi alle spalle di parole di Akashi convincendosi che tutto quello che le aveva detto non era altro che una menzogna. Una parte di sé sapeva che, di fatto, era così: non aveva creduto alle sue affermazioni, non l’avevano messa in discussione come persona, non avevano intaccato la sua autostima, perché il suo carattere si basava sulla sua voglia di migliorare, sul desiderio di competizione e sui rischi che quest’ultimo comportava. La sconfitta era prerogativa fondamentale del gioco a cui Hikari aveva scelto di giocare. Perdere non la spaventava.
Ciò che l’aveva annientata emotivamente era stata la consapevolezza di dipendere da Akashi. Quando se ne era andato aveva capito quanto in realtà fosse attaccata lui e quanto le sue giornate, i suoi pensieri e la sua vita girasse tutto intorno alla sua persona. Si era sentita come se avesse avuto in mano un pugno di mosche e nient’altro. Le sue giornate erano di colpo diventate grigie, sciatte, noiose.
Non aveva avuto modo e non si era data il tempo di metabolizzare il dispiacere e di piangere, urlare e sfogarsi. Aveva tenuto tutto quel carico emozionale rinchiuso in una piccola parte del suo cervello, a inacidirsi e saturare fino a diventare un tarlo che continuava a trapanarle il cervello. Era tornata per cercare di risolvere la situazione con sé stessa, per trovare pace o vendetta o chissà che altro. Ancora non capiva cosa voleva, ma sapeva che doveva muoversi.
Si avvicinò con ritrovata determinazione. Hikari Akashi non era il tipo che si faceva mettere i piedi in testa, né tantomeno poteva lasciare che qualcuno si arrogasse il diritto di controllarla, o influenzarla, o scalfire la sua indole selvaggia.
« Kagami-kun »
Sbucò da dietro la figura del bestione. Si era avvicinata senza l’intento di nascondersi, ma nessuno l’aveva notata: erano presi dalla conversazione, a quanto pareva.
Kagami si girò di colpo, spaventato.
« Dove diavolo eri finita?! »
« Dov’eri finito tu, idiota »
Hikari era calma. Rispose a tono, con una sorta di automatismo che le permise di incentrare tutta l’attenzione su ciò che aveva intorno. Mise una mano sulla spalla dell’amico e lo invitò a scansarsi con un gesto. Kagami, stupito dalla freddezza della giovane e con il sospetto che fosse presa da ben altro – immaginava chi –, si tirò indietro senza controbattere e guardò i due Akashi.
Hikari aveva di nuovo quello sguardo tagliente. Pareva non aver affatto l’intenzione di nascondere il suo riserbo; allo stesso tempo, aveva il sospetto che si stesse contenendo.
« Seijuro »
Akashi la guardò dalla cima della scalinata. Se Hikari fosse arrivata solo qualche momento dopo, il loro incontro non sarebbe avvenuto. Akashi aveva già parlato e si stava allontanando, ma quando lei aveva fatto il suo ingresso aveva deciso di aspettare. Adesso la guardava con la stessa espressione folle di poco prima, quando aveva graffiato Kagami con le forbici. Kagami lo vide sorridere.
« Hikari » disse « finalmente hai deciso di tornare. Mi chiedevo quanto tempo avresti impiegato per prendere la giusta decisione e smettere di vagabondare ».
« E’ stato un lungo viaggio di riflessione, ho speso il mio tempo in maniera preziosa. Puoi considerarlo un pellegrinaggio » ribatté calma.
Seijuro si aprì ad un sorriso più palese.
« Intento ammirevole. Sappiamo tuttavia entrambi quali sono stati i reali motivi della tua partenza » disse il cugino.
« Non è da Akashi scappare » aggiunse dopo una breve pausa.
Hikari si impose di non perdere la calma, né di lasciar trasparire nessuna emozione. L’aria si era fatta pesante, e il silenzio cui tutti partecipavano era pregno di sgomento e tensione. Seijuro continuava a guardarla dall’alto della sua incontenibile superbia, con una presunzione che intimidiva tutti, persino i membri della Generazione.
« Non sto scappando » replicò.
« Continuare a negare ti metterà solo in cattiva luce, Hikari. Ai miei occhi, sei chi eri due anni fa, identica a quei giorni ».
Mi senti?
Un tremito alla mano.
Lasciami uscire di qui.
La rossa contenne l’irritazione scaricandola in una lenta salita verso Seijuro. Superò i membri della Generazione per trovarsi sotto di lui.
Smettila di respingermi. Fammi uscire di qui.
 Un gradino sotto Akashi.
« L’illusione è il miele degli stolti e la superbia il veleno dei perdenti » Hikari sorrideva. Da lì nessuno poteva vederla: se avessero potuto, probabilmente tutti avrebbero asserito alla stretta somiglianza tra i due.
« La mia vittoria è un dato di fatto. Anche contro di te, Hikari. Non importa quanto tempo lascerai passare ».
Aveva fatto centro.
Seijuro non aveva mosso un muscolo: non l’aveva toccata, non l’aveva istigata. A suo modo, l’aveva trattata come una minaccia. L’aveva intravista, aveva intravisto l’ombra di un fastidio, un impercettibile tremito nel suo sguardo.
Quando Akashi si allontanò, salutando con poche parole i presenti, non le rivolse il benché minimo sguardo. Dunque, anche lui la temeva.
« E così Akashi ha una sorella ».
Fu Kise a rompere il silenzio. Occhi socchiusi, sorriso beffardo, stava per dire qualcosa che avrebbe certo fatto effetto. Socchiuse le labbra, prese fiato…
« Shin! »
Hikari strinse tra le braccia Midorima Shintaro, voltandosi di scatto e quasi volando verso il ragazzo che se ne stava in piedi a qualche gradino di distanza.
« Cosa? Vi conoscete?! » Aomine e Kagami avevano parlato in coro, entrambi stupiti da quella scena.
Midorima aveva prontamente alzato le mani al cielo per evitare il contatto con la ragazza, che di contro lo stringeva incrociando le braccia intorno al petto del giovane, visibilmente a disagio. Fu con voce rotta e alterata che esclamò:
« Ohi! Hikari! »
« Sei più alto dell’ultima volta che ti ho visto » disse lei, sorridendo senza lasciarlo.
« Ma se ci siamo visti un mese fa! » ribatté lui, sempre con le mani all’aria.
« Ma non ci siamo neanche parlati un mese fa! »
« E’ uguale! »
Hikari cominciò a stringerlo più forte.
« Certo che potevi almeno avvicinarti… »
Lo strinse ancora più forte.
« … per salutarmi ».
Sentì le costole sotto la carne.
« …idiota ».
« Non… non respiro… »
Adesso le braccia rivolte verso l’alto non erano più per sfuggire all’abbraccio di Hikari, ma per chiedere aiuto. La rossa lo lasciò quasi subito, facendo un passo indietro. Si prese tempo per fare entrare aria nei polmoni, dopodiché si aggiustò gli occhiali sul naso e riassunse la sua espressione calma e riflessiva.
« Ero preso dalla partita » disse « ho un conto in sospeso con quello lì ». Midorima indicò Kagami.
« Oe! Io non sono “quello lì”! » replicò Kagami.
« Non è una giustificazione » Hikari e Shintaro lo ignorarono.
« Midorimacchi! Perché non ci hai mai detto che Aka-chin ha una sorella? » Si lamentò Kise.
« Non è sua sorella. Sono cugini » Midorima si aggiustò nuovamente gli occhiali sul naso.
Hikari si voltò verso i presenti. Riconobbe tutti, e in tutti lesse lo stupore che sempre avvolgeva chi aveva intorno quando rivelava il suo cognome.
« Io e Shintaro siamo amici da molti anni. Non ve l’ha mai detto perché è molto geloso »
« Non è affatto vero! »
Mentre Hikari ridacchiava, Midorima arrossiva e alzava la voce di qualche tono.
« Ahh, tutta questa storia comincia ad annoiarmi »
Murasakibara guardò dentro la scatola di snack che teneva in una mano, cercando di capire se ci fosse ancora qualche residuo di bastoncini al cioccolato. Appurato che non ce ne fossero più, decise di tornare da dove era venuto.
« Perché finiscono sempre subito? » borbottò. Non salutò.
Hikari si chiese come l’amico di Kagami, Himuro, potesse avere la pazienza di sopportare quel bestione. Da come l’aveva descritto Taiga mentre erano in America, Tatsuya doveva avere un’indole molto simile a quella di Kuroko, ma Hikari sapeva che neanche al sesto uomo fantasma Murasakibara ispirava simpatia. Considerando il risvolto che aveva preso nella vita di Seijuro, neanche a lei piaceva molto. Hikari aveva passato molto tempo a chiedersi se fosse colpa di Murasakibara: aveva saputo del suo episodio di insubordinazione da Akashi stesso, molto tempo prima, e aveva notato subito il cambiamento che questo aveva provocato in lui. Riflettendo approfonditamente era poi giunta alla conclusione che quel bestione non era altro che la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per cui, pur sentendo il desiderio di scaricare le colpe su qualcun altro che non fosse Akashi stesso, non poteva accusarlo di niente. La sua indifferenza, tuttavia, la irritava parecchio.
« Bene, direi che è ora di andare » Kise aveva seguito con gli occhi Murasakibara e aveva cominciato a dirigersi verso lo stadio, seguito dagli altri. Hikari aspettò che Kagami e Kuroko la raggiungessero, dopodiché si incamminarono tutti e tre insieme.
« Ohi, Tetsu »
Si voltarono tutti in contemporanea, e nel loro campo visivo si delineò la figura slanciata di Aomine Daiki.
« Spero che questa volta tu abbia qualche asso nella manica »
Kuroko rimase in silenzio per un momento, e Aomine continuò.
« L’ultima volta sono rimasto molto deluso » disse.
« Dovresti piantarla di sottovalutarci » esordì Kagami, già largamente irritato dalla strafottenza dell’altro ragazzo. Aomine sbuffò in segno di scherno.
« Questa volta vinceremo, Aomine-kun »
Hikari capì, guardando Kuroko, che doveva essersi allenato molto. La determinazione che aveva negli occhi non era solo frutto di una ingenua illusione, bensì la consapevolezza di essere migliorato a tal punto che, se non ce l’avesse fatta in quell’occasione, allora non avrebbe potuto vincere mai più.
« Dici sempre cose senza senso, Tetsu » mormorò Aomine, indirizzando all’ombra un’occhiata tagliente.
Vi fu un momento di silenzio, un momento carico di una tensione che provocò a Hikari un brivido lungo la schiena.
« La bionda non cambierà la cose, anche se è la cugina di Akashi » esordì infine Daiki.
Hikari si irrigidì tutta, e la tensione si tramutò istintivamente in collera. Strinse i pugni e fece una faccia che palesò lo stupore e lo sdegno.
« Sono rossa naturale » mormorò, tagliente.
Kagami e Kuroko vollero ignorare il fatto che Hikari se la fosse presa più per il colore dei suoi capelli che per il senso della frase, la quale designava chiaramente l’opinione di Aomine nei confronti della giovane.
« Non avremo bisogno di Hikari. Basteremo noi » precisò Kagami « stavolta perderai ».
Aomine Daiki socchiuse gli occhi e fece per allontanarsi, sventolando la mano in aria come a voler scacciare un moscerino
« L’unico che può battermi sono io » disse.
Stavolta la ragazza non ribatté, preferendo che la sentissero solo i due suoi amici. Sorrise e disse:
« Non credo proprio ».
Tutti, in silenzio, acconsentirono.
 
 
Fu una partita affascinante. Persino Hikari, che pure aveva previsto che Kagami entrasse nella zone, rimase sbalordita da quello che aveva fatto durante il gioco. Guardandoli tutti giocare, in quell’occasione, capì di aver sottovalutato il potenziale della Seirin.
Vi furono momenti in cui pensò che non potevano farcela, nonostante gli sforzi. Fu tentata di rimangiarsi la parola ed entrare in campo, ma resistette e si convinse che non sarebbe stato necessario. Non lo fu, alla fine: la sintonia tra Kagami e Kuroko era qualcosa che non avrebbe potuto spiegare a parole, e funzionò. Si scoprì invidiosa di loro due, perché avevano un legame che non aveva mai sentito neanche con Seijuro, un rapporto diverso e privo di quell’ombra di competizione che c’era sempre stato tra lei e suo cugino. Pura e semplice amicizia che si stava lentamente insediando anche tra i suoi compagni, e che vedeva lei sempre come l’ultima arrivata. La scoraggiò un po’ vedere quei cinque ragazzi in campo mossi da una intesa che lei probabilmente non avrebbe mai avuto con loro, o che si sarebbe costruita solo col tempo, non sapeva con chi. Allo stesso tempo, man mano che li guardava, la voglia di giocare si fece sempre più preponderante, tant’è che uscì dalla sala frustrata e pronta per una sessione dall’allenamento.
In corridoio, Kagami la affiancò subito. Non avevano avuto il tempo di parlare perché l’euforia del momento li aveva colti tutti e aveva impedito che si parlasse di nient’altro che non fossero questioni frivole e allegre. La gioia del momento non era ancora passata e aveva invaso totalmente pure Taiga che, quando arrivò vicino a lei, le mise una mano una testa e cominciò a carezzarla con la delicatezza di una ventosa.
« Ohi! Avevi ragione, alla fine! »
Hikari fece una smorfia dal sapore bambinesco, imbronciata e stizzita.
« Lo so che avevo ragione. Non toccarmi i capelli » disse.
Camminavano verso l’uscita insieme a tutta la squadra. Lei aveva Kyoshi davanti, che si voltò a guardare la scena. In realtà si voltarono tutti a guardare la scena, ma Teppei fu l’unico che posò la sua manona sulla testa della rossa, nello stesso modo di Kagami.
« Non ti preoccupare, Hikari. Ti avremmo fatto entrare in campo, se lo avessi voluto »
« Sì, ma smettetela di toccarmi i capelli! » sbraitò lei.
« Grazie, Hikari-san. Non so come tu abbia fatto a calmare Kagami, ma hai compiuto un miracolo ».
Kuroko le mise una mano sulla spalla.
« Ohi! Che vuoi dire, Kuroko?! »
« Un vero miracolo, Hikari-san » ribadì il ragazzo, tranquillo.
Hikari non poté fare a meno di ridere, e la sua agitazione scemò un poco. Uscirono dal palazzetto tutti insieme e, quando si salutarono, Kagami e gli altri si ritrovarono a fare la strada insieme, mentre la rossa si incamminò da sola. Sospettò che Kagami volesse parlare alla squadra di Himuro, che avevano già incontrato in un’altra occasione cui Hikari non era presente. Lei sapeva solo perché, negli ultimi giorni in America, sia Taiga sia Alex gliene avevano parlato. Ciò che li aspettava non sarebbe stata solo una rivincita, ma un vero e proprio scontro tra fratelli. C’era anche da dire che la sua posizione nei confronti di Murasakibara non era delle migliori. Sapeva cos’era successo alla Teiko, ormai tanto tempo fa, perché Sejiuro e Midorima glielo avevano raccontato e da lì aveva appurato che Murasakibara non gli piaceva per niente.
Era eccitata, arrabbiata e impaziente che arrivasse il weekend per scendere in campo e questo fu il sentimento che la accompagnò per tutto il tragitto verso casa.
Quasi non si accorse di aver imboccato la via sbagliata. Aveva continuato a perdersi nelle sue riflessioni e a pensare alla partita cui aveva appena assistito; un vorticare elettrizzante di sensazione l’aveva pervasa fino a farle dimenticare ciò che la circondava. Quando si rese conto di non aver la più pallida idea di dove fosse si fermò e si voltò, consapevole di non aver fatto caso alla strada che aveva battuto e di non poter tornare indietro. Aveva paura di peggiorare la situazione e finire in una stradina secondaria, dove non avrebbe girato anima viva. In realtà, guardandosi intorno, neanche lì c’era anima viva. Però era ancora su una delle vie principali.
Hikari guardò l’ora, cercando di frenare il panico che aveva cominciato a chiuderle la gola e pensando che, se proprio non avesse ritrovato la strada, avrebbe potuto chiamare un taxi. Decise di proseguire ancora un po’: magari avrebbe capito in che zona era.
« Ma perché ho sempre la testa per aria? » mormorò.
Non arrivò a svoltare l’angolo. Camminò per qualche minuto costeggiando la strada e gli alti palazzi, lo sguardo rivolto alla fine della via, lì dove l’asfalto si diramava in due direzioni diverse. Fu la presenza di un campo da basket a distrarla per un attimo. La rete che correva tutt’intorno era spaccata in qualche punto; le reti del canestro erano aperte e le panchine erano mangiate dalla ruggine. Fu una persona ad attirarla verso l’entrata: Hikari riconobbe, alla luce dei lampioni che proiettavano una flebile luce nella zona circostante, una scompigliata capigliatura blu.
Aomine Daiki era curvo sulla panchina, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e uno sguardo assorto a guardare tutto e niente. Quando la ragazza entrò, lui non si accorse della sua presenza, segno che la sua testa era altrove, molto lontana da lei e da sé stesso.
« Ciao » disse, e furono le sue parole a far sì che ritornasse con i piedi per terra. Non parve felice di vederla.
« Che ci fai qui? »
Aveva l’aria stanca, per non dire stravolta. Hikari intuì che la sconfitta dovesse pesargli molto più di quanto avesse dato a vedere in campo, ma la cosa non la stupì. La rossa si limitò a sorridere, imbarazzata, e come faceva sempre quando era a disagio cominciò a passarsi le mani tra i capelli.
« Credo… di essermi persa ».
Aomine la osservò basito, senza sapere bene cosa dire.
« Come hai fatto a perderti? »
« Ero sovrappensiero » rispose lei, ignorando il tono di voce con cui le aveva posto la domanda. Probabilmente la stava prendendo per una stupida.
Daiki sbuffò.
« In fondo alla via c’è una fermata dell’autobus. Passano tutti per il centro della città » bofonchiò, poi la guardò a sottecchi « puoi arrivarci da sola » puntualizzò.
« Grazie ».
Hikari capì che voleva stare da solo, però non si mosse. Aveva sempre provato sentimenti contrastanti per Aomine Daiki, sin dalle medie. Anche se non aveva avuto mai contatti diretti con lui, sia Midorima sia Seijuro gliene avevano parlato molte volte. Lei aveva sviluppato una sorta di silenzioso rispetto nei suoi confronti, rispetto che era andato sfumando quando aveva avuto l’occasione di parlarci la prima volta. Ora, però, vederlo lì le provocava una strana sensazione. Le faceva tenerezza. Non era pietà, solo tenerezza. Era una cosa che non aveva quasi mai provato per nessuno, a parte Seijuro. Aomine le dava l’idea di essere tremendamente solo: adesso, dopo aver perso, era consapevole di essersi fatto terra bruciata intorno. Lo sapeva e probabilmente non aveva idea di come fare per rimediare. O forse ancora non voleva.
« Senti » sbottò lui a un certo punto « se sei qui per farmi la paternale, puoi pure lasciar perdere. Vattene ».
Hikari rimase immobile, trascinata via dalle sue riflessioni. La sua aria di strafottenza le provocava sempre un brivido di stizza. Continuò a guardarlo.
« Credo che tu ti sia detto abbastanza da solo » replicò.
Lui la osservò con la coda dell’occhio.
« Dov’è la fermata? Sulla destra o sulla sinistra? » chiese poi la rossa.
« Destra »
« Ok »
Hikari si voltò, si sistemò la borsa in spalla e si diresse fuori dal campo.
« Ohi »
La voce di Daiki la spinse a volarsi nella sua direzione. Si era alzato in piedi: ora la guardava con le mani nelle tasche, la postura svogliata e impigrita che cozzava con gli occhi attenti e accesi.
« Perché non hai giocato? » domandò.
Hikari ricambiò il suo sguardo, aggrottando la fronte.
« Perché vuoi saperlo? »
Vuoi davvero saperlo?
Pensò, ma non lo disse.
« Perché sì. Eri lì e non hai giocato, nonostante avessi voglia e la situazione fosse drastica. Non sei entrata, hai preferito sacrificare la tecnica di Kuroko anziché intervenire. Perché? »
Hikari non rispose subito. Rifletté sull’ironia di quel momento, sulla conversazione che stavano avendo. I ruoli parevano essersi invertiti: ora Aomine era curioso, Aomine era aperto alla discussione, mentre lei impersonava il ruolo della figura saccente e presuntuosa a cui non serviva parlare. Hikari non era sicura di poterlo battere in un uno contro uno, ma era certa che, insieme a Kagami e Kuroko, loro tre sarebbero stati inarrestabili. Almeno contro Aomine Daiki.
« Perché la vittoria sarebbe stata troppo sicura, e io non voglio scoprire subito tutte le mie carte » rispose semplicemente.
Un momento di stupore precedette una risata svogliata, cinica e senza allegria. Aomine si portò una mano al viso, a coprirsi gli occhi.
« Guarda che mi tocca sentire » disse.
La rossa rimase in silenzio.
« Mi hai additato come un arrogante fino a qualche ora fa, e ora sei tu quella che dice cose senza senso ».
« Non voglio essere arrogante: il mio è un dato di fatto. E comunque non sarei entrata in campo in ogni caso, non era la mia battaglia »
« Stai dicendo che non ne valeva la pena » borbottò lui, fra i denti.
Hikari fece qualche passo avanti e incrociò le braccia al petto.
« Sì » disse « in questo caso, sì. Ciò non vuol dire che non possa essere interessante giocare con te, in un altro contesto ».
Aomine la osservò per un lungo momento. La guardò dritto negli occhi, con aria contrariata. Ripensò al fatto che quella ragazza era la cugina di Akashi Seijuro e, per un istante, esitò a mettere in discussione le sue parole. Forse aveva ragione, forse era davvero più forte di lui. Questi pensieri gli parvero strani, sembravano non appartenergli. Capì che la sconfitta lo aveva profondamente cambiato, e si sentì quasi male.
« Bene. Allora ti faccio vedere quanto possa essere interessante ».
Mentre pronunciava quelle parole, Aomine si sfilò la felpa di dosso. Scoprì di non sopportare l’arroganza di quella ragazza, ma ancora più di quello non tollerava di sentirsi debole, di essere stato visto sconfitto di fronte a tutta quella gente, compresi i suoi ex compagni della Teiko, compresa lei.
« Cosa? Ora? Io devo… » Hikari non finì di parlare che Aomine le lanciò la palla tra le mani « gioca ».
La rossa sospirò, ma fu contenta che la loro conversazione avesse preso quella svolta. In questo modo avrebbe potuto scaricare la tensione accumulata standosene seduta senza fare niente: finalmente la serata subiva una svolta inaspettata.
« Credo che io e te diventeremo amici, Aomine Daiki » disse Hikari, posizionandosi di fronte al ragazzo. Con un ghigno, l’avversario rispose:
« Puoi pure continuare a sognare, rossa ».

 

 
  
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