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Autore: flaaminia_    17/02/2021    0 recensioni
di come l'assenza di elettricità turba e poi salva un pomeriggio
[Hotch]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aaron Hotchner, Altro Personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Aaron e Jeanie'
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“Hai sentito?” mi dice Aaron, con espressione cupa, quasi preoccupata. Ho sentito, hanno bussato alla porta.
“Mm-mh” gli rispondo, alzando gli occhi dal mio libro. Sento le sue gambe tese sotto le mie, pronte a scattare. Mi viene quasi da sorridere al pensiero che si alzi e con la sua cautela da agente dell’FBI e la pistola nascosta nei pantaloni vada ad aprire a un boy scout, ma non lo faccio, mantengo un’espressione tranquilla, perché so che è più forte di lui e che nel suo passato ci sono esperienze che giustificano questa sua perenne allerta, anche tra le mura di casa.

“Vado io, okay?” mi dice, posandomi una mano sul ginocchio e chiedendomi implicitamente di spostare le gambe per permettergli di alzarsi dal divano e andare alla porta. Gli rispondo “okay” e lo libero, mi porto le gambe al petto e appoggio il mio libro a faccia in giù sul tavolino davanti al divano. Prima di dirigersi verso la porta, che in quel momento viene scossa da altri colpi - non troppo pesanti, ma neanche leggeri; sembra il classico bussare del vicino che non vuole spaventare, ma vuole farsi sentire -, si china verso di me e mi bacia dolcemente. Quando si allontana, mi sembra che il bacio sia durato troppo poco e ho ancora bisogno di sentire le sue labbra sulle mie. Gli sorrido rassicurante e anche lui cerca di fare lo stesso, nonostante sia anche un po’ preoccupato.
Lo guardo andare alla porta, poi aprirla. È il vicino, Carl. Vederlo mi rassicura e vedo anche Aaron rilassare le spalle e sospirare.
“Ciao Carl, che ci fai qui?” gli chiede, lasciando la maniglia. Carl sorride spiacente e non può fare a meno di guardarmi, probabilmente perché ha percepito i miei occhi su di loro.
“Scusami Aaron, spero di non aver interrotto niente..” la sua voce è quasi imbarazzata ed i suoi occhi passano freneticamente dall’uomo che ha davanti, a me che sono sul divano. Probabilmente si riferisce ad un momento d’intimità.
Non è la prima volta che un vicino si rivolge a noi così, vedendoci insieme. Queste allusioni mi pesano un po’, a volte, perché so che derivano dal pregiudizio dovuto alla nostra differenza d’età. Alzo le sopracciglia con scetticismo, mentre sento la voce di Aaron ammorbidirsi, farsi meno tesa, mantenendo però un certo distacco. È un profiler, si è accorto anche lui dell’ennesima allusione. E forse immagina anche cosa possa voler dire per me. 

“No, tranquillo. Cosa ti serviva?” taglia corto, sperando di scoprire in fretta il motivo della visita di Carl, che sembra tornare alla realtà.
“Ecco. Da noi è saltata la luce, ma il quadro elettrico non ha nessun problema, e così anche da Janice e Fred. Volevo chiederti.. chiedervi” si corregge subito dopo “se anche da voi è così. Strano che non ve ne siate accorti..” termina, sorridendo timidamente, con un’altra di quelle sue allusioni. Carl è un uomo basso, un po’ insicuro. È naturale che si senta intimorito da Aaron, che invece è alto ed ha una struttura fisica presente, che non passa inosservata. Osservo le sue spalle sotto la camicia e la t-shirt e la sua nuca, desiderando con tutta me stessa che si giri a guardarmi, solo per incrociare i miei occhi. Perché mi mancano.
Aaron preme l’interruttore della luce nell’ingresso vicino alla porta, ma la lampadina non si accende. È saltata la luce anche da noi. “Jean, puoi controllare se il quadro elettrico è a posto?” mi chiede poi, girandosi a guardarmi. Contemplo la delicata torsione del suo collo e le labbra che si rilassano dopo avermi fatto questa domanda, che sa così tanto di quotidianità che mi riempie il cuore e vorrei soltanto baciarlo. Annuisco, rispondo “Certo” e mi avvio verso la cantina sotto lo sguardo stupidamente incredulo di Carl, che si aspettava ci andasse lui, a controllare. Alzo gli occhi al cielo quando mi trovo davanti al quadro elettrico, che non ha assolutamente nulla fuori dalla norma, a meno che Carl non voglia venire a controllare lui stesso, da uomo adulto ed intelligente quale è. Di sicuro sarà molto più abile di me a constatare se le levette sono tutte verso l’alto o se ce n’è qualcuna fuori posto, con tutta l’esperienza che serve per appurarlo.
Torno al piano di sopra con un sorriso sarcastico dipinto sulla faccia, li sento parlare del più e del meno, qualcosa riguardo al golf, forse?
“Il quadro non ha problemi” annuncio, avvicinandomi a loro. Vorrei prendere Aaron per il fianco e stringerlo a me, ma non lo faccio. Non so se la cosa potrebbe turbarlo, dato che c’è Carl, che adesso mi guarda con scetticismo. “Sicura?” mi chiede.
Devo fare un grande sforzo di autocontrollo e raccogliere tutta la mia forza di volontà per impedirmi di sospirare e alzare gli occhi al cielo. Ma lo guardo come se mi avesse chiesto se sono sicura che la Terra gira intorno al Sole. “Sì, Carl. Sono sicura” rispondo, sforzandomi di produrre un sorriso, che risulta più che altro una specie di smorfia a labbra serrate.
Sono delle levette, Carl. Potresti spiegare come funziona anche ad un bambino di sei anni. Ma non voglio creare drammi inutili, e soprattutto non voglio causare problemi ad Aaron, che sicuramente ha percepito il fastidio nella mia voce - non era necessario essere un profiler per distinguerlo, ma di certo Carl, che ha una laurea su come stabilire se il quadro elettrico ha problemi oppure no, lo avrà capito subito - e allunga una mano verso di me, prendendo la mia. Questo mi stupisce, perché raramente fa queste cose davanti agli altri. E lo comprendo, ne abbiamo già parlato altre volte. Ma questo suo gesto mi tranquillizza e mi fa dimenticare tutto il fastidio che Carl mi ha fatto provare. E vederlo in difficoltà e osservare l’espressione imbarazzata sulla sua faccetta mi fa quasi venire da ridere.
“Dev’esserci un guasto” constata Aaron, rivolgendosi al vicino, che annuisce.
“Sì, mi occupo io di chiamare i tecnici, tranquilli. Vi lascio alle vostre cose”.

Gli sto per lanciare qualcosa.
Ma Aaron pensa saggiamente di salutarlo in modo rapido e di chiudere la porta, lasciando che si allontani dalla sua casa.
Mi viene quasi da ridere per quanto sono nervosa. “Sentito? Ci ‘lascia alle nostre cose’, che gentile!” esclamo esasperata, tornando verso il divano. Una volta raggiunto, mi ci butto di peso, senza troppe cerimonie. Aaron mi guarda un po’ costernato, un po’ divertito. “Ormai hai capito che Carl è un po’ invadente” dice, tornando a sedersi accanto a me.
Mi metto a sedere, piegando le gambe sul divano. “Le ‘nostre cose’, spera di ‘non aver interrotto niente’, e poi è ‘strano che non ce ne siamo accorti’! Stavamo leggendo! Cosa credono, che siccome sono un po’ più giovane, l’unica cosa che abbia da offrirti sia il sesso? Ma poi a loro cosa interessa?” scatto, passandomi le mani tra i capelli ogni tanto. Aaron sembra davvero dispiaciuto.
“Non sono abituati, sono annebbiati dai pregiudizi. Non è colpa nostra e non dobbiamo giustificarci con loro” mi dice, chinandosi verso di me per darmi un bacio sul ginocchio nudo. Questo mi tranquillizza in un attimo. “Capisco che sia pesante soprattutto per te, ma tu sai qual è il tuo valore e lo so anche io” e ogni tanto mi posa dei piccoli baci sulle gambe, che mi distraggono dal fastidio che provavo fino a due secondi fa.
Mi avvicino a lui e gli accarezzo la guancia con la mano. È proprio bellissimo. Osservo il suo viso, che trovo dolce nonostante sia spesso occupato da espressioni serie e severe, che adesso mi guarda con un’espressione serena che mi lascia senza fiato. Mi lascio attrarre dalle sue labbra e lo bacio, sentendolo sorridere. E mi sento in paradiso, non esiste più Carl con la sua malizia ed il suo scetticismo, ma solo Aaron Hotchner e io.
Mi metto a cavalcioni su di lui, le ginocchia gli sfiorano i fianchi, e gli poso le mani sul petto. Lui mi guarda e sorride, ed il modo in cui lo fa mi fa sentire amata come solo lui riesce a fare. Lo bacio ancora, con più passione.

Mi allontano quel tanto che basta per poter dire “È saltata l’elettricità” e lui sembra aver capito dove voglio arrivare.
“Che peccato, non possiamo guardare la tv” risponde e, mentre torno sulle sue labbra, mi posa entrambe le mani sui fianchi, stringendomi a sé.

   
 
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