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Autore: Ms_Hellion    17/02/2021    1 recensioni
[“Ne, ne, hai sentito?”
“Sentito cosa?”
“Non hai visto la foto?”
“Quale foto?”
“Chi l’avrebbe mai detto che Orihara Izaya…”
“Orihara Izaya?”
“…che Orihara Izaya fosse gay.”]
Storiella in cui c’è una foto incriminante in giro per la Raijin, gli adorati umani di Izaya si stanno prendendo un po’ troppe libertà, e Shizuo non ha intenzione di ammettere i suoi sentimenti nemmeno sotto tortura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Izaya Orihara, Kyohei Kadota, Shinra Kishitani, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Heyoooooo~~ ヾ(@^∇^@)ノ Eccomi di nuovo con un’altra storia!

TFW avresti mille cose da fare e invece scrivi una fanfiction di 45.000+ parole… ops.

La storia è ambientata negli anni 2000 (direi suppergiù tra il 2004 e il 2007, ma potrei rendere la data più specifica in seguito). Breve avvertimento, nonostante il tono della storia sia abbastanza leggero, essa tratterà temi quali bullismo, omofobia e aggressione a sfondo sessuale (quest’ultimo sarà per lo più solo accennato, però). Leggete a vostra discrezione!

Mi scuso se né la trama né lo stile di scrittura sono un granché, a mia unica difesa è stato un periodo piuttosto stressante. Spero possa piacervi comunque! (/ω\)

Intanto, ecco il primo capitolo. Buona lettura~! (ノ^∇^)ノ゚

 

_ _ _

 

1.



 

Ne, ne. Hai sentito?”

Sentito cosa?”

Eeeeh, vuoi dire che non lo sai?”

Intendi dire… quella cosa? Hihihi.”

“Esattamente quella cosa. Hahaha.”

Ne, di che cosa state parlando?”

Non hai visto la foto?”

Quale foto?”

Davvero? È girata per l’intera scuola ormai. Aspetta, te la mando!”

Ancora stento a crederci…”

Lo so, è un tale peccato, vero? Un ragazzo carino come lui… hihihi.”

Ragazze, avete sentito quello che si dice in giro?”

Ne stavamo parlando giusto adesso!”

Chi l’avrebbe mai detto, vero? Che Orihara Izaya…”

Orihara Izaya?”

“…che Orihara Izaya fosse gay.”


 

. . .


 

“Che diavolo gli è preso a tutti quanti oggi?”

Nell’atrio dell’accademia Raijin, gremito di studenti e insegnanti, intasato dalla frenesia del tram tram mattutino, si faceva largo l’alto ragazzo biondo che aveva dato voce al borbottio scontento.

Con labbra tese in una smorfia insoddisfatta e un cipiglio cupo sotto la frangia arruffata, procedeva, nonostante la calca, senza incrociare particolare ostacoli sul suo percorso. Ciò era per la maggior parte dovuto al fatto che, non appena la figura torva veniva riconosciuta, tanto gli studenti quanto gli insegnanti e il personale scolastico si affrettavano a fargli largo, in quella che sarebbe parsa ad occhi esterni una moderna rivisitazione della separazione delle acque, se non che le acque probabilmente non erano solite occhieggiare il bastone di Mosè come se esso avesse minacciato di esplodere da un momento all’altro.

Se ciò fosse dovuto alla tremenda reputazione del biondo noto come Heiwajima Shizuo, all’espressione truce che indossava, oppure all’uniforme strappata e chiazzata di macchie di dubbia origine, nessuno avrebbe potuto affermarlo con certezza. Shizuo di certo non aveva alcun interesse a rispondere a quel particolare quesito.

Produsse un ringhio di gola nel notare le occhiate ansiose rivolte alle macchioline rosse che costellavano le maniche della sua camicia, e strattonò nervosamente la giacca blu nel tentativo di nasconderle. Se non fosse che, ora che vi prestava attenzione, anche la giacca presentava simili tracce.

Oh, al diavolo.

Erano le otto e un quarto di mattina, e l’uniforme – accuratamente pulita e stirata al risveglio del biondo – aveva già l’aspetto di una divisa militare di un cadetto al terzo giorno di battaglia, mentre il suo umore era paragonabile a quello di quel generale che rende i cadetti lieti di gettarsi in suddetta battaglia, se non altro per cogliere l’occasione di allontanarsi da lui.

Per la cronaca, l’attuale stato del biondo non era colpa sua. Shizuo sarebbe stato lieto di presentare un look appropriato a un ambiente istruttivo, se non fosse stato sfidato da quella gang sulla sua strada per arrivare a scuola. Era stato praticamente costretto a sfasciare la faccia di uno o due teppisti a suon di pugni, e già avrebbero dovuto essergli riconoscenti per il suo impegno nel non ammazzarli.

…O almeno, era piuttosto sicuro di non averli ammazzati.

Diciamo su per giù all’ottanta percento.

Una buona probabilità, comunque. Heiwajima Shizuo non era un mostro, checché ne dicessero stupidi teppisti di strada e odiose pulci, perciò entrare a scuola solo per essere salutato dagli sguardi terrorizzati degli altri studenti aveva contribuito a migliorare il suo umore più o meno quanto il wasabi può contribuire a migliorare il sapore di un budino. Questo, sebbene in verità avesse l’impressione che i suoi compagni gli stessero dedicando meno attenzione del solito…

Infatti, nemmeno la sua presenza minacciosa né l’atmosfera cupa come una nube temporalesca che la circondava parevano essere in grado di frenare un costante chiacchiericcio contorniato da risatine.

A tal proposito, un agglomerato di studenti scoppiò in un coro di risate sguaiate e volgari proprio mentre Shizuo passava accanto a loro, facendogli storcere il naso.

Sul serio, che cosa diavolo gli è preso?

Non che si aspettasse di più da una banda di adolescenti immaturi e presuntuosi – nessuna ipocrisia da parte sua, ovvio – eppure il loro comportamento lo innervosiva. Vi era nell’aria una strana agitazione a cui i suoi sensi affinati – da bestia, bisbigliò in un angolino della sua mente una familiare voce graffiante – risposero prontamente. Era quasi come se fosse in atto una cospirazione, per quanto suonasse assurdo; o come se tutti fossero a conoscenza di un segreto da cui solo lui, lo stupido, violento teppista della scuola, era rimasto tagliato fuori.

Non gli piaceva, decise Shizuo. E non soltanto quello…

Mi fa incazzare.

“Tutto bene, amico?”

Kadota Kyouhei gli si affiancò con naturalezza, attirandosi alcune occhiate impressionate da parte di studenti che non avrebbero osato neppure intrattenere l’idea di avvicinarsi così tanto alla bestia della Raijin. Ma Kadota era uno di quei pochi a non provare timore nei confronti del biondo, non apertamente, per lo meno; e soprattutto, era un suo amico.

“Yo”, produsse Shizuo a mo’ di saluto. E poi: “Mi fanno incazzare.”

L’altro non parve affatto sorpreso.

Quante volte ho già usato questa frase nell’ultimo anno? L’ultimo mese? L’ultima settimana?

“A chi ti riferisci?”

Con un gesto del capo, Shizuo accennò ai loro dintorni.

Tutti quanti.

“Che hanno da ridacchiare stamattina?”, grugnì, frustrato. “Sono come un branco di oche giulive.”

Neanche fossero state in attesa del suo comando, un coro di risate acute si levò da qualche parte in fondo al corridoio. Shizuo digrignò i denti, le sue stesse orecchie offese dal rumore volgare.

Kadota esitò. “Be’, sai come sono i ragazzi alla nostra età… cioè, gli altri ragazzi”, si affrettò ad aggiungere, preoccupato di avere offeso il biondo, il quale però si limitò a grugnire.

“Non so… oggi mi danno più sui nervi del solito.”

“Già…” Un’ulteriore esitazione. “Ne, Shizuo. Non è che per caso hai ricevuto dei messaggi dai nostri compagni di classe ieri sera oppure stamattina?”

Shizuo scrollò le spalle. “No, ma possiedo un telefono solo da poco, quindi solo i rappresentati di classe hanno il mio numero. Meglio così comunque. Ammazzerei brutalmente chiunque mi disturbasse per una cazzata”, disse tra sé. “Perché?”, chiese poi all’altro.

“È probabilmente il motivo per cui perché nessuno si è azzardato a scrivergli”, stava riflettendo Kadota ad alta voce, quando si accorse della domanda dell’amico. “Ah, niente!”, si affrettò a rispondere.

Shizuo si accigliò. Non sembrava ‘niente’.

Si fermarono di fronte agli armadietti. Dopo avere aperto il proprio – privo di lucchetto in quanto il ragazzo biondo aveva un passato di distruzione nei confronti di quegli affari inutili, inoltre nessuno sano di mente avrebbe mai osato toccare la sua roba – Shizuo ficcò malamente i libri spiegazzati nello zaino, quindi riprese la conversazione con Kadota, chiedendogli chiarificazioni su cosa intendesse con l’affermazione di poco prima.

Il ragazzo parve immediatamente a disagio.

“Ah… ecco…”

Fu salvato dal suono della campanella.

“Sarà meglio sbrigarsi ad andare in classe”, suggerì prontamente Kadota, al che Shizuo concordò con un grugnito.

“Per forza. La prof mi fa il culo a strisce se mi presento di nuovo in ritardo”, borbottò il biondo come i due si incamminarono fianco a fianco in direzione della classe per la prima ora di lezione in comune.

“Giusto.” Kadota annuì comprensivo. “Non hai un gran rapporto con gli insegnanti, dato che finisci spesso per saltare le lezioni… oppure distruggere le loro aule.”

“Non lo faccio apposta”, protestò Shizuo, a disagio, ma anche lui sapeva che le sue parole valevano ben poco di fronte ai problemi che causava costantemente alla scuola.

Misera scusa, Shizuo, si disse. Misera scusa.

Kadota gli scoccò un’occhiata in tralice, e Shizuo sospirò. “Lo so, lo so. Non succederebbe se solo fossi in grado di controllare la mia rabbia. Però, ultimamente credo di essere migliorato un pochino. Non ho distrutto nulla da quasi due settimane, deve pur voler dire qualcosa, no?”, aggiunse speranzoso, mentre svoltava l’angolo – soltanto per scontrarsi con una figura più bassa di lui di tutta la testa, di cui distinse appena la nuca coperta da capelli d’ebano e gli abiti scuri prima che un improvviso dolore a livello dell’addome gli strappasse un sibilo.

Impiegò un secondo di tempo a notare il thermos aperto e fumante in mano al ragazzo e la larga macchia marrone sulla camicia bianca della propria uniforme, facendo due più due per capire cosa fosse accaduto.

Impiegò due secondi in più per rendersi conto dell’identità del ragazzo.

“Ara, ara.”

Ogni altro pensiero fu spazzato via dalla sua testa.

Uno schiocco di lingua, un suono di disapprovazione. “Guarda che cos’hai combinato, Shizu-chan! Cerca di fare più attenzione quando muovi quel tuo corpo da gorilla, ti dispiace?”

Il nome del corvino lasciò le labbra di Shizuo in un ringhio…

“Iiiiiizzzaaaayyaaaaaaaa.”

“Aw, il protozoo mi ha riconosciuto! Ne sono onorato. Voglio dire, Shizu-chan ha trascorso più di due anni a inseguirmi, ma so bene che quella testona funziona a rilento.”

E di nuovo, come un grido di guerra…

“IIIII-ZAAAAAA-YAAAAAAA!”

Il braccio del biondo scattò per afferrare l’oggetto a lui più vicino. I muscoli si gonfiarono e guizzarono sotto il tessuto della divisa come la presa fu serrata attorno a un cestino della spazzatura, piegando il metallo e spaccando la plastica. Una volta sollevato per aria sopra la chioma bionda, l’oggetto venne scaraventato dritto verso il corvino, che lo schivò con agilità.

Subito dopo, una mano serrata in un pugno si fece largo attraverso i mattoni del muro divisorio di un’aula come Izaya evitò il destro sferratogli dal biondo. Dall’interno della classe provennero le grida degli studenti, mentre quelli fuori in corridoio si affrettarono a sgomberare.

Kadota scosse la testa esasperato… e senza un attimo di esitazione si unì al fuggi fuggi generale.

Dopotutto, essere amici del biondo non equivaleva a essere in salvo dalla sua furia distruttiva. Specialmente se un certo corvino era coinvolto.

Presto il fracasso causato dai due riempì la scuola – improperi, urla belluine, il frastuono di esplosioni e risa isteriche, suoni di battaglia perfettamente riconoscibili agli studenti e gli insegnanti della Raijin fino a tre piani di distanza.

“SCHIFOSA PULCE!”

“Hahahahahahaha!”

“TI SPACCO LE GAMBE!”

“Dovrai fare meglio di così, protozoo!”

“ASPETTA CHE TI PRENDA!”

Inutile dire che quando Shizuo arrivò a lezione, era molto, molto in ritardo. La professoressa lo informò serenamente che ancora una volta avrebbe dovuto pagare i danni arrecati alla struttura scolastica – e naturalmente, aggiunse con un sorriso zuccherino e terrificante, si sarebbe assicurata di fargli recuperare il tempo della lezione sprecato a correre in giro.

…Shizuo giurò che un giorno avrebbe ucciso la dannata pulce.


 

. . .


 

“Shiiizuoooo-kuuuun!”

Lo stridulo richiamo rimbombò nel corridoio, inducendo diverse teste a voltarsi in direzione del responsabile, per poi trasferire velocemente la loro attenzione al ragazzo biondo al quale tale saluto era indirizzato. Quest’ultimo indossava un’espressione seccata, ma con grande sorpresa degli studenti che già si erano preparati al peggio, non reagì in alcun modo ai ripetuti strilli.

“Shizuo-kuuun! Kadota-kuuuun!”

“Eccolo che arriva”, sospirò Shizuo.

Un attimo dopo lui e Kadota furono raggiunti da un salterellante, sorridente e sovraeccitato Shinra, che senza esitare si infilò tra di loro, incominciando a parlare prima ancora di aver ripreso fiato.

“Shizuo-kun, ho sentito dire che sei finito di nuovo nei guai per avere inseguito Orihara-kun!”, disse al biondo, la cui unica risposta fu un’espressione funerea, a cui si accompagnò un denso silenzio da parte sua.

Shinra inclinò il capo, affascinato dalla reazione di Shizuo, e gli avrebbe punzecchiato una guancia se non fosse stato prontamente fermato da Kadota.

Shinra diresse la sua perplessità al moro. “Mmh?”

“Hino-sensei gli ha assegnato venti equazioni da consegnare entro domani come punizione”, spiegò questi in tono solidale, strappando una risatina al ragazzo occhialuto e una sorta di grugnito al biondo.

“Non mi ci far pensare”, borbottò Shizuo. Rabbrividì, aggiungendo tra sé: “Giuro, quella donna è terrificante…”

Shinra batté le mani, entusiasta come un bambino.

“Vedi, Shizuo-kun, ecco quello che succede a possedere una forza mostruosa combinata a una furia incontrollabile! Disastri e ancora disastri! Ora, se tu mi lasciassi svolgere qualche test, io potrei-”

“No.”

“Ma Shizuo-kun!”, piagnucolò Shinra. “Saresti di grande aiuto alla scienza! Soltanto un campioncino-ino-ino…”

“Tu prova ad avvicinarti a me con un ago e sarò di grande aiuto al mio piede nel trovare il tuo didietro”, promise Shizuo.

“Sei senza cuore!”

Si diressero verso il tetto della scuola, zona ufficialmente vietata e ciò nonostante punto di ritrovo fisso del trio per l’ora di pranzo. Tanto non era come se qualcuno avrebbe mai osato protestare se Shizuo era coinvolto.

…tranne una certa professoressa, pensò il biondo con un brivido. Sul serio, stava riconsiderando il valore di essere temuto ed evitato come la peste; essere lui quello terrorizzato non era affatto divertente.

Si disposero a circolo sul freddo pavimento di cemento. Shinra rabbrividì vistosamente, strofinandosi le braccia nel tentativo di scaldarsi, mentre Kadota estrasse dalla tasca il suo berretto nero, che provvide a indossare – diversamente da Shizuo, il quale fremette appena alla differenza di temperatura tra esterno e interno.

“Si gela”, piagnucolò Shinra. “Morirò! Morirò assiderato, lontano dalla mia Celty! Celty, amore mio, perdonami! Ci incontreremo di nuovo nella prossima vita!”

Shizuo si tese in avanti per assestare un colpetto alla fronte del futuro dottore.

Itai! Shizuo-kun, e questo per cos’era?! Adesso invece di lasciare questo mondo per via del freddo, sarà una commozione cerebrale a decretare la mia fine!”

Il biondo sollevò gli occhi al cielo. “Non essere drammatico. Non fa neppure così freddo.”

“Per te, magari. Non abbiamo tutti la temperatura corporea di un reattore nucleare, sai?”

“È vero, però. Le temperature si stanno decisamente abbassando”, commentò Kadota placidamente, aprendo la scatola del bento. Afferrato un pezzo di surimi con le bacchette, se lo portò alla bocca con espressione soddisfatta.

Lo stomaco del biondo brontolò, e Shizuo si affrettò a imitare l’amico. Il ‘reattore nucleare’ richiedeva carburante a gran voce.

Intanto, Shinra stava andando avanti a parlare, illustrando tutti i modi in cui il freddo avrebbe potuto causare ricadute negative sulla sua salute, dalla morte per ipotermia e assideramento, fino alla possibilità di una congestione, per poi lamentarsi di quanto poco sexy fossero le ustioni da ghiaccio, cosa che lui non poteva assolutamente permettersi, come avrebbe fatto a sedurre la sua Celty altrimenti?

“Perfino Orihara-kun lo sa! È per questo motivo che lui… be’, non proprio per questo motivo, se desiderasse anche lui la mia adorata sarei costretto a ucciderlo, haha-”

Shizuo drizzò automaticamente le orecchie al nome della pulce.

“Avreste dovuto vederlo all’ora di educazione fisica”, ridacchiò Shinra. “La sua faccia era per metà avvolta da una sciarpa – una sciarpa rossa, badate, era divertente perché il suo naso era ancora più rosso. Se non fosse per il fatto che qualunque termine affettuoso appartiene di diritto alla mia bellissima dullahan, lo avrei detto adorabile. Ah, ma forse era rosso per l’imbarazzo, considerato quanto è successo~.”

“Shinra, è il caso di cambiare argomento”, lo interruppe Kadota.

“Eh? Perché?”

Kadota accennò in modo eloquente alla sua destra – dove Shizuo stava inesorabilmente stritolando l’onigiri che teneva in mano, un cipiglio minaccioso rivolto alla palla di riso come se quella avesse osato insultare sua madre.

Shinra si limitò a ridere, liquidando l’espressione truce del biondo con un gesto casuale della mano.

“Dimenticavo che Shizuo-kun è sensibile alla sola menzione di Orihara-kun. Un comportamento davvero infantile, se volete la mia opinione. Persino Orihara-kun è più civile, almeno lui è in grado di sostenere una conversazione su di te… be’ in realtà credo sia dovuto al fatto che è incapace di resistere alla tentazione di prendersi gioco di te in ogni possibile occasione ma- ah, scherzavo, scherzavo”, si affrettò a dire il futuro dottore non appena per puro caso gettò un’occhiata alla faccia del biondo, accorgendosi solo in quel momento di come Kadota gli stesse facendo disperatamente segno di dare un taglio alla conversazione.

L’onigiri era stato ridotto da un pezzo a una massa informe di riso e salmone, che cascava in pezzettini dalla mano del biondo come le budella in un animale stritolato.

Shinra produsse una risatina nervosa.

“Però, capisco perché tu sia di così cattivo umore, considerato che oggi Orihara-kun è al centro del gossip dell’intera scuola~!”

La massa informe che ormai dell’onigiri non conservava neppure il ricordo fu rilasciata dalla presa d’acciaio, e cadde nella scatola del bento con un paf.

“Hah?!”

Kadota sospirò. “Così lo sai anche tu, eh?”

“Ma naturale”, si vantò l’occhialuto. “La foto è circolata tra tutti gli studenti, se non hai notato!”

“Vuoi dire che qualcuno l’ha inviata a te?” Nemmeno Kadota con tutta la sua compostezza e cortesia fu in grado di trattenere una nota scettica.

“Certo che no! Ho origliato una conversazione!”

“Di cosa accidenti state parlando?”, sbottò Shizuo, ancora irritato per via dell’accenno alla pulce.

“Della foto, che altro?”, trillò Shinra. “Ne, non hai ricevuto nessun messaggio ultimamente?”

Shizuo aggrottò le sopracciglia. Era la medesima domanda che gli aveva posto Kadota.

Un messaggio? E io cosa ne so? Che cosa me ne frega?

Ma Shinra aveva accennato al fatto che Izaya fosse coinvolto…

Un sopracciglio scuro del finto biondo si contrasse. “Tch. Che cos’ha combinato il pidocchio stavolta? Dimmelo, così posso andare a prenderlo a calci in culo”, comandò.

“No, non è esattamente colpa di Izaya-”, tentò Kadota, solo per venire interrotto dal commento di Shinra.

“Se ci pensi è colpa di Izaya per essersi fatto beccare da qualcuno che lo conosceva mentre faceva quelle cose.”

“È sempre colpa della pulce”, concordò Shizuo infervorato, già immaginandosi tutti i modi diversi in cui avrebbe potuto farla pagare al bastardo…

Finché il suo cervello non processò finalmente le parole di Shinra.

“Hah? Quali cose?”

“Le sue scandalose tresche amorose, ovvio~.”

Tresche amorose?!

“Shinra…” La voce del biondo si interruppe, tremante di rabbia, mentre Shizuo tentava di arginare l’impulso di mandare in pezzi gli occhiali del futuro dottore con un cazzotto. “Per l’ultima volta… di che cazzo stai parlando?”

Kadota, percepito il pericolo, si affrettò a intervenire.

“Te lo mostro.” Preso il telefono dalla tasca, lo passò all’amico. “Tieni, dai un’occhiata. Non rompere nulla, però, okay?” aggiunse preoccupato. Il suo telefono era un solido Motorola, ma dubitava che sarebbe stato in grado di reggere il confronto con il biondo se questi si fosse scordato della propria forza in uno scatto d’ira.

Preso l’oggetto con cautela fra le sue mani, Shizuo diede uno sguardo allo schermo e…

“E questo cosa sarebbe?”

Corrugò la fronte. La qualità della foto era tremenda. Poteva riconoscere che si trattava di un ambiente chiuso, probabilmente un qualche locale, pieno zeppo di individui in abiti colorati e piuttosto succinti nonostante la stagione fredda. Inoltre, sembrava che il focus dell’immagine fosse un divanetto dove un paio di persone si stavano abbracciando. Ma oltre a quello…

“Ooooh, fammi vedere, fammi vedere!”

Shinra gli si gettò praticamente addosso nel tentativo di dare un’occhiata alla foto, finendo per assestargli una gomitata nelle costole. Shizuo sibilò un’imprecazione e un avvertimento insieme.

“È proprio vero, è Orihara-kun!”

Hah?!

“Dove?” Shizuo scansionò la foto in cerca del pidocchio, finché finalmente riconobbe, su una delle due figure avvinghiate sul divano, una familiare giacca nera sopra a una maglia rossa, che si abbinava al colore altrettanto scuro della capigliatura scombinata.

Solo allora si rese conto che le due figure – i due uomini – non si stavano abbracciando, no…

Il sangue assalì le sue guance quasi con aggressività, tingendole di rosso mattone.

Spinse il telefono in mano a Kadota con tanta violenza che solo per miracolo non ruppe né il Motorola né una o due ossa del polso dell’amico.

“Che cretinata. Quel tizio non assomiglia nemmeno alla pulce.”

“Eh, tu dici?” Shinra inclinò il capo con fare pensieroso, studiando la foto da sopra la spalla di Kadota. “A me sembra proprio lui. Stessi vestiti, stessi capelli-”

“Una semplice coincidenza!”, saltò su Shizuo. “Ma se pure fosse lui, non significa niente, no? Probabilmente il pidocchio stava solo manipolando quel tizio… cioè, la foto non prova che lui sia-”

Il trillo della campanella lo interruppe a metà frase, annunciando il termine della pausa pranzo.

Una piccola parte della mente di Shizuo fu profondamente grata per l’interruzione.

“Scusami, Shizuo”, disse Kadota, scuotendo il capo. “È possibile, immagino. Ammetto però che non mi interessa abbastanza per teorizzarci sopra. Izaya rimane un poco di buono, in un modo o nell’altro”, aggiunse con un sospiro.

“A-ah. Certo. Izaya è Izaya e il pidocchio è un bastardo.”

Shizuo annuì tra sé. Kadota era proprio una persona logica. Non acuto quanto Izaya, forse, ma saggio a sufficienza da riconoscere che non valeva la pena di porsi troppe domande sull’infinita eccentricità della pulce – e in generale, di prestare attenzione al bastardo. Shizuo lo ammirava per quello.

Gli venne alla mente un detto che aveva sentito in qualche film… qualcosa sul non guardare troppo a lungo dentro un abisso, o quello ti avrebbe fottuto il cervello. Izaya era così.

Passa troppo tempo attorno a lui, guarda troppo a lungo nella sua direzione, e magicamente la tua intera vita si trasformerà in un impossibile disastro. Il bastardo ti trascinerà giù al suo livello e sghignazzerà mentre ci anneghi dentro.

È interamente privo di decenza. Tch, non mi stupirei se si fosse fatto scattare quella foto solo per farmi incazzare…

Fece una smorfia e rabbrividì appena, come se il suo corpo stesse cercando di scrollarsi di dosso il senso di disagio causato dalla stupida immagine. Essere costretti a vedere una cosa simile era…

Ugh. Manco fossimo in America.

Quando i tre amici lasciarono il tetto battuto dal vento, Shizuo aveva già deciso di dimenticarsi dell’esistenza della foto.

Poco importava che essa si fosse impressa a fuoco dietro alle sue palpebre.


 

. . .


 

“Dovresti essere più indulgente nei confronti di te stesso, Nii-san.”

Shizuo si dondolava lentamente sull’altalena in un parco vuoto e infestato da erbacce rinsecchite. Sentiva il sudore colare giù lungo la sua schiena e impregnare i capelli appiccicati alle tempie, la sua presa sulla catena arrugginita dell’altalena resa umida e scivolosa.

Era un’estate calda a Ikebukuro. La maggior parte dei compagni di classe di Shizuo si era rifugiata al di fuori dell’afosa capitale, disperdendosi dall’Hokkaido fino a Okinawa. Non lui, però. La sua famiglia non poteva permetterselo.

Shizuo sospettava fosse colpa dei danni da lui causati di sovente alla proprietà pubblica, danni che i suoi genitori erano costretti in un modo o nell’altro a pagare.

“Dovresti essere più indulgente nei confronti di te stesso, Nii-san.”

Il bambino voltò la testa per guardare il suo fratellino minore, che si dondolava sull’altalena accanto alla sua.

Perché direbbe una cosa simile…?

Ah, giusto. Gli ho chiesto se ha paura di me.

L’espressione di Kasuka era pacata e indifferente, come al solito. Esattamente il contrario di quel disastro di suo fratello che all’età di otto anni aveva cercato di lanciargli addosso un frigorifero.

Inutile dirlo, Shizuo considerò le parole di Kasuka con estremo scetticismo.

“Fai bene.”

Sbatté le palpebre, sollevando la testa dalle braccia incrociate sopra alla superficie di quello che realizzò essere un banco scolastico.

Mi sono addormentato a scuola?

Izaya gli sorrise, la sua schiena reclinata contro il muro e le gambe accavallate davanti a lui. Giocherellava pigramente con un coltello.

“Fai bene a non fidarti di te stesso. Sappiamo tutti quali impulsi bestiali ci siano dentro di te, ne?”

“Chiudi la bocca”, gli disse Shizuo, ma Izaya si limitò a scuotere il capo con aria falsamente delusa.

“Mentiamo ancora a noi stessi, vedo. In tal caso, sarà meglio che vada a divertirmi con qualcun altro. Intanto-”

“-la lezione è finita. Vi chiedo cortesemente di mettere in ordine la classe prima di andare a casa.”

Shizuo grugnì e seppellì più a fondo la testa tra le braccia. Riprese lentamente conoscenza, e come riacquistò la capacità di concepire un pensiero coerente, fu rapido a realizzare cosa fosse accaduto. Non era esattamente una novità, dopotutto.

Merda. Mi sono addormentato di nuovo in classe.

“…inoltre sarebbe il caso che qualcuno svegliasse Heiwajima-kun.”

Shizuo aggrottò la fronte come avvertì su di sé gli sguardi dei suoi compagni di classe.

“Ma sensei!”, protestò qualcuno. “Noi non ci teniamo a morire. Non potrebbe svegliarlo lei?”

Irritato, Shizuo sollevò finalmente la testa dal banco. Identificato l’individuo che aveva parlato, lo fulminò con un’occhiata. Quello deglutì vistosamente, per poi fuggire dalla classe con la scusa di un improvviso malessere che richiedeva attenzione immediata in infermeria. Dalle espressioni degli altri compagni di classe, non era difficile immaginare che stessero considerando di mettere in atto la stessa strategia – e il professore non era da meno.

Shizuo si incupì.

Essere più indulgente nei confronti di me stesso, eh?

Il suo malumore e aura funesta dovevano essere percepibili a metri di distanza, perché gli studenti rimasti indietro come lui per mettere in ordine la classe misero tra di loro quanta più distanza possibile, praticamente allineandosi contro il muro opposto.

Shizuo si trovò presto a digrignare i denti. Okay, era disposto ad ammettere che gli altri studenti avessero un buon motivo per essere apprensivi nei suoi confronti, ma quel comportamento era ridicolo.

“Io vado a casa”, annunciò quando percepì la sua misera pazienza scarseggiare pericolosamente.

Nessuno osò protestare. Al contrario, poté giurare di avere scorto un paio di sospiri di sollievo.

Buona parte degli studenti non aveva ancora lasciato la scuola, tuttavia i corridoi non erano così gremiti da rischiare di frantumare la fragile calma del biondo, il quale percorse in un cupo silenzio il tragitto verso l’uscita, mani in tasca, spalle incurvate ed espressione scontrosa incisa sul volto, in un silenzioso avvertimento rivolto a potenziali seccatori di girare al largo.

Si guardò attorno in cerca di Kadota, trovandosi a desiderare la presenza calmante dell’amico, e di Shinra, sperando al contrario che l’esasperante occhialuto non fosse nei paraggi.

Non incrociò nessuno dei due – e tuttavia, proprio come girò nel corridoio che conduceva alla porta d’ingresso, sullo sfondo chiaro formato dalla luce che attraversava le vetrate dell’edificio, notò un’altra sagoma, una figura sottile e chinata che riconobbe prima ancora di poter distinguere chiaramente i suoi tratti, o di annusare l’inconfondibile odore che lo seguiva dappertutto.

Gli angoli delle labbra di Shizuo si piegarono immediatamente all’ingiù in un’istintiva reazione di scontento alla vista del rivale, proprio quando si sentiva già frustrato e di cattivo umore; fu solo un istante però prima che una certa immagine lampeggiasse nella sua mente, imporporandogli le guance.

Dio… e dire che si era ripromesso di non pensare mai più a quella foto… e invece, nonostante avesse posato gli occhi su di essa soltanto una volta, a questo punto gli risultava quasi familiare, tale era il numero di volte in cui aveva attraversato la sua mente durante le ore di lezione.

Rallentò automaticamente, notando che invece di muoversi con gli studenti che fluivano verso l’uscita, il pidocchio era fermo al centro del corridoio, chinato per raccogliere qualcosa da terra. Libri e fogli sparsi, realizzò a una seconda occhiata.

Considerò una serie di possibilità. Sarebbe stato meglio girarsi e andarsene? Trovare un’altra uscita? Attaccarlo, approfittando della sua distrazione? Semplicemente ignorarlo? Oppure passargli di fianco? Forse, se si sbrigava, sarebbe riuscito a passargli dietro non visto mentre Izaya raccoglieva i libri da terra.

I suoi occhi si trovarono a vagare verso la parte del corpo della pulce dietro a cui avrebbe dovuto passare, rendendosi finalmente conto di un dettaglio.

Izaya non stava indossando i pantaloni dell’uniforme.

Oh no.

I pantaloni che portava gli arrivavano a metà coscia, così da esporre le gambe lunghe e diafane. Peggio ancora, erano elastici e molto, molto aderenti – mettendo in assoluto risalto tutte le parti sbagliate e assolutamente non interessanti per Shizuo del corvino.

Eppure, per un momento, Shizuo se ne trovò quasi ipnotizzato. Non che avesse mai considerato la forma del sedere di qualcun altro prima di allora, ma era piuttosto sicuro che in genere non avessero una forma così- così perfetta.

Si ricordò di colpo come l’uomo nella foto avesse stretto quei globi impeccabili, afferrandoli con mani a coppa.

Shizuo contrasse distrattamente le dita. Chissà se erano morbidi al tatto, nonostante l’aspetto così sodo…

Scosse violentemente la testa, riscuotendosi dallo stato ipnotico. Si rese conto d’un tratto di quanto gli era appena passato per la mente e rabbrividì, inorridito.

Che diavolo sto pensando?! Perché cazzo sto pensando a quella parte del corpo della pulce?!

Ugghh.

Era colpa della pulce, decise. Il bastardo doveva avergli incasinato la testa di proposito, o qualcosa del genere…

Come? Shizuo non ne aveva idea, ma si trattava pur sempre del dannato pidocchio. Se c’era qualcuno in grado di trovare il modo, era lui!

Raccolti i libri, Izaya iniziò a raddrizzarsi – mentre mentalmente, il biondo imprecava per avere perso la sua occasione di filarsela non visto – soltanto per vedersi i libri sbattuti nuovamente per terra.

“Ops!”, esclamò ad alta voce il ragazzo che lo aveva colpito.

Il gruppetto di amici che lo seguivano si misero a sghignazzare.

“Ci dispiace che ti devi chinare di nuovo, Orihara”, disse uno.

“Tanto sei abituato a stare a novanta, no?”, aggiunse un secondo, e gli altri si lasciarono andare a risate sguaiate.

Izaya ignorò i commenti con un’esagerata alzata di occhi al cielo, e procedette a chinarsi per raccogliere i libri tra i fischi della banda di ragazzi.

“Piegati, finocchio!”

“Facci vedere come fai!”

“Wow, guardate che culo!”

Il primo che aveva parlato colpì il posteriore del corvino con una sberla. Izaya si drizzò di scatto, mollando i libri e infilando una mano in tasca dove Shizuo sapeva che teneva il coltello, ma gli studenti se ne stavano già andando tra commenti volgari e grasse risate.

Per un momento, Izaya rimase immobile, e così fece il biondo, scioccato, chiedendosi a cosa diamine avesse appena assistito.

Non appena l’altro si mosse per raccogliere le sue cose, finalmente senza interruzioni, i piedi di Shizuo si spostarono di loro spontanea iniziativa.

“Oi.”

Izaya sussultò, voltandosi di scatto, ma si rilassò una volta resosi conto che si trattava del biondo.

…Si rilassò. Davanti a Shizuo.

Doveva essere l’evento più improbabile e paradossale in cui Shizuo si fosse mai imbattuto. Non che il resto della sua giornata fosse stato ‘normale’.

“Salve, Shizu-chan. Qual dispiacere vederti, come al solito. Ancora non ti sei deciso a mollare la scuola per trasferirti nel tuo habitat naturale, vedo. Oh e quando dico ‘habitat naturale’, intendo lo zoo, nel caso l’ovvietà sia sfuggita al tuo cervellino protozoico.”

Una vena pulsò sulla fronte di Shizuo.

Come non detto. Tutto nella norma.

“Sta’ zitto, pidocchio”, grugnì. “Chi erano quei cretini di prima?”

Izaya inarcò un sopracciglio. “Prima mi intimi di tacere e poi mi fai una domanda? Così mi confondi, Shizu-chan~”, si lamentò con un finto broncio. “Hai mai preso in considerazione la possibilità di concederti un periodo di riflessione in Tibet o in un qualche luogo equamente distante per chiarire cosa vuoi davvero nella vita?” Un sorriso si fece strada sul suo volto. “Non che Shizu-chan avrebbe i soldi per permettersi il viaggio~.”

Shizuo serrò la mascella con così tanta forza che i suoi denti scricchiolarono. “Stai… zitto…”, ringhiò.

Non perdere il controllo, non perdere il controllo, non perdere il controllo…

Izaya, bastardo che non era altro, sghignazzò. “Ah, così la bestia ha finalmente preso una decisione! E dire che-”

La frase del corvino fu bruscamente troncata da uno spintone come uno studente diretto verso l’uscita si assicurò di centrarlo in pieno, il gesto accompagnato da un insulto.

“Frocio.”

Quale cazzo è il problema di ‘sto tizio?, pensò Shizuo, colto alla sprovvista, prima ancora che l’ingranaggio dell’ovvietà scattasse nella sua mente, connettendo l’insulto a quella foto.

Oh.

Quindi anche la scenetta di prima con quel gruppo di stronzi… era davvero…

Scosse un po’ il capo tra sé.

Cazzo, fu l’unico pensiero coerente che riuscì a formulare.

Shizuo non aveva mai creduto che avrebbe assistito al giorno in cui Izaya sarebbe diventato vittima di bullismo.

“Fuori dai piedi, frocio.”

Un secondo ragazzo assestò una spallata al corvino, il cui occhio destro si contrasse pericolosamente; oltre a quello, Izaya non offrì ulteriore reazione.

Invece, sorrise a Shizuo – un sorriso tirato che non raggiungeva i suoi occhi. “Sei ancora qui, Shizu-chan?”

“Izaya…”

“Sì, quello è il mio nome, Shizu-chan. Molto bravo.” Izaya batté brevemente le mani in un applauso di scherno.

Shizuo esitò, accorgendosi di non avere la più pallida idea di come finire la sua frase.

Diavolo, la pulce era il suo nemico giurato, non era come se avesse mai dovuto fare conversazione con lui, prima! In genere, le loro interazioni si risolvevano rapidamente in violenza e insulti reciproci – uno schema comportamentale che il biondo avrebbe volentieri applicato anche al momento corrente… se soltanto fosse riuscito a fare di più che arrossire e massaggiarsi nervosamente il retro del collo.

Ugh, riusciva a malapena a guardare in faccia l’altro dopo avere visto quella foto.

Né lo aiutavano i dannati pantaloncini del corvino, che lasciavano completamente scoperti i tre quarti delle sue gambe, gambe che erano affusolate e chiare e… lisce, realizzò, deglutendo con forza.

Porca puttana… Aspetta, dove diamine sto guardando?!

Riprenditi dannazione! Non è mica una donna!

Fece scattare lo sguardo all’insù, verso quel viso affilato su cui era ancora spalmato il sorriso più falso della lunga carriera di sorrisi falsi dell’altro.

“Izaya-”

Un gruppetto di ragazze passò loro affianco, ridacchiando tra di loro e gettando occhiatine di soppiatto al corvino. Il sorriso di Izaya si fece ancora più teso e a Shizuo vennero improvvisamente in mente lame e punte affilate.

Si schiarì la gola. “Izaya, va tutto… cioè… ah…”

Un altro gruppo di ragazze, altre risatine.

Un muscolo nella guancia di Izaya si contrasse.

Uno studente che gli passò un po’ troppo vicino, sfiorandolo forse accidentalmente, forse no.

Ancora Shizuo non trovava le parole adeguate.

Aprì la bocca, pronunciò la prima sillaba – ma fu interrotto da un ragazzo occhialuto in uniforme blu, il quale si accostò al corvino e sollevò una mano per sfiorarlo sulla spalla…

Un istante dopo lo studente si trovò a barcollare all’indietro con uno strillo, stringendosi con una mano il naso sanguinante.

Ma sei ibpazzido?”, stridette il ragazzo, la voce nasale, gli occhi inondati di lacrime di dolore che presto gli rotolarono sulle guance. “Mi hai roddo il daso!

Whoa…

Shizuo non aveva mai visto Izaya sferrare un gancio. Ma cazzo se sapeva farlo.

Fissò il corvino a bocca aperta.

“È stata autodifesa”, si giustificò questi immediatamente.

Audodifesa?!”, ripeté istericamente il tizio sanguinante. “Quale audodifesa?! Volevo chiederdi se eri d’accordo a coffroddare gli appuddi di sdoria, dado che preddi sebpre vodi eccelleddi, beddre io bi drovo id difficoldà! Du sei pazzo, Orihara!

“Che cosa sta succedendo qui?”

Tutti e tre si voltarono in direzione dell’insegnante che proprio in quel momento aveva deciso di percorrere il corridoio, capitando in tempo per assistere alla colluttazione.

Da dietro un paio di scintillanti occhialetti rotondi, il duro sguardo di disapprovazione della donna si rivolse verso Izaya, che per la prima volta nella sua vita pareva essere realmente a disagio.

Orihara bi ha colpido!”, strillò il ragazzo.

L’insegnante gli rivolse un’occhiata comprensiva. “Stai perdendo molto sangue. Sarà meglio che ti rechi in infermeria. Heiwajima-kun, per cortesia accompagnalo.”

Shizuo borbottò scontento, muovendo il capo in una sorta di cenno d’assenso, senza tuttavia accennare a muoversi.

Il tono dell’insegnante si fece freddo come il ghiaccio come ella spostò la sua attenzione sul corvino. “Quanto a te, Orihara-kun, spero tu sia pronto ad affrontare le conseguenze delle tue azioni.”

Izaya aprì la bocca per ribattere; quindi la richiuse e abbassò lo sguardo. Questo, più di ogni altra cosa, toccò un nervo che Shizuo non sapeva neanche di avere.

“Non è colpa sua.”

Due teste sorprese e una – pulciosa – assolutamente costernata si girarono a guardarlo.

“Cioè.” Shizuo si schiarì la gola. “C’erano un sacco di stronzi che- ah, mi perdoni il linguaggio. C’erano tutti questi be’, ehm, stronzi, davvero, che infastidivano la pulce, cioè Izaya, perciò-”

“Grazie, Heiwajima-kun”, lo fermò l’insegnante, mentre Izaya roteava platealmente gli occhi nelle orbite. “Tuttavia la scuola non può condonare atti di violenza in nessuna circostanza. Per non parlare dell’atroce violazione del nostro codice d’abbigliamento”, disse la donna con un’occhiata disgustata ai pantaloncini del corvino. “Se non c’è altro… Orihara-kun, seguimi, per cortesia.”

“Bel tentativo, protozoo”, mormorò Izaya nel passargli a fianco.

Shizuo rimase a guardare, frustrato e imbarazzato, mentre la pulce ingrata si allontanava a ruota dell’insegnante.

Assorto in vaghi pensieri ed emozioni confuse di mortificazione e rabbia, finì per dimenticarsi dei suoi dintorni come nella sua testa ogni concezione della realtà fu sostituita dalla pulce e tutto ciò che c’era di pulcioso, in un nebuloso turbinio di sentimenti, idee, impulsi violenti, e una certa immagine di cui avrebbe preferito non serbare memoria…

Almeno finché una voce nasale non gli strepitò nelle orecchie.

Heiwajiba-kud, che cosa sdai faceddo? Non peddere tebpo. Mi sdo dissagguaddo qui! Hai seddido, Heiwajiba-kud?! Heiwajiba-kud!


 

 

   
 
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