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Autore: futacookies    17/02/2021    2 recensioni
{souma/erina}
«Ti prego, dimmi che non hai fatto un powerpoint sui motivi per cui dovemmo frequentarci.»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erina Nakiri, Souma Yukihira, Yukihira Jouichirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: scritta per la seconda settimana del cowt di Lande di Fandom, con il prompt: "fuori stagione".
(Sovrabbondanza di metafore relative all'amore e al cibo, cinquantenni ubraichi in crisi di mezz'età, un matrimonio menzionato di striscio e tutte quelle cose che se non metto nelle mie fic non sono contenta. Tipo i dialoghi idioti. Anyway, lettore avvisato, mezzo salvato!

 
 



Come le fragole in autunno




 

«La stagione degli amori è finita, Souma.», lo canzona suo padre, buttando giù un altro bicchierino di sakè. «E adesso-», continua, picchiettando il dito sul biglietto di invito poggiato sul tavolo, in mezzo a loro, «chi ha seminato qualcosa ha la possibilità di raccogliere.»

Souma si gratta il mento, riflettendo brevemente sulle parole di suo padre.

«Nah, hai solo bevuto troppo.», conclude, mentre Gin-san, seduto accanto a lui, allontana di soppiatto la bottiglia.

«Non ascoltarlo.», gli suggerisce, mentre si alza per recuperare un po’ d’acqua. «Ci sono sempre le coltivazioni in serra. Altrimenti non potremmo mica mangiare le fragole in autunno.»

Gli porge un cestino che delle fragole in piena maturazione ‒ le serre della Totsuki, Souma lo sa benissimo, vengono curate maniacalmente, affinché si possa godere di determinare ingredienti tutto l’anno.

Suo padre, che sta continuando a blaterare qualcosa sul fatto che ormai ha dedicato i suoi migliori anni alla cucina ed è troppo tardi per trovare qualcuno che sia disposto a sopportarlo, potrebbe avere ragione. Solo un po’, eh. E non che la cosa gli importi più di tanto. Ha sempre i suoi amici, disposti a mollare tutto e correre da lui anche con poche ore di preavviso, e questo è tutto l’amore e il supporto di cui ha bisogno.

«Certo», borbotta sua padre, mentre appoggia la testa sulla braccia, «una relazione di serra potrebbe pur sempre funzionare.»


«Oi, Nakiri, ci sei solo tu oggi?»

Souma, che si è appena legato la bandana in fronte, guarda la porta che si chiude silenziosamente alle spalle della ragazza. Lei si scrolla le spalle, sedendosi sullo sgabello di fronte al bancone.

«Sono tutti impegnati ‒ tra concorsi, e la Totsuki, e il matrimonio di Megumi-san…»

«Quindi tu lo sapevi?»

Erina alza gli occhi al cielo.

«Se ogni tanto dessi un’occhiata al tuo telefono lo sapresti anche tu.», soffia contrariata. «E ovvio che io lo sappia. Mi ha chiesto di farle da damigella.», aggiunge arrossendo.

Souma ridacchia. Effettivamente, negli ultimi tempi ha preso questa pessima abitudine di lasciare il suo telefono nei posti più improbabili, ragione per cui è quasi sempre irraggiungibile. Be’, almeno avvisa prima di tornare a casa.

«Su, cos’è che dovrei provare questa volta?», chiede impaziente. «In qualità di preside ho davvero pochissimo tempo a disposizione.»

Souma, che adesso ha iniziato a prepare gli ingredienti, le rivolge un’occhiata divertita.

«Arato-san mi ha mandato un messaggio dicendo che sarai libera tutto il pomeriggio. E la sera ‒ e non so per quale motivo, ma mi ha anche detto che tutti gli impegni di domani mattina sono stati rimandati.»

Erina emette uno sbuffo sdegnoso e rimugina per un po’ sulle sue parole. Souma, impegnato a pelare le patate, la guarda passare dal suo solito pallore ad una colorazione via via più intensa, finché non diventa tutta rossa, dalla base del collo alla punta delle orecchie. Carina.

«Hisako!», esclama, coprendosi il volto con le mani. «Non darle retta, Souma-kun.», borbotta, la sua voce ovattata.

Souma fa spallucce e continua a tagliare le verdure. 

 
 

«E quindi c’era questo venditore ambulante - avresti dovuto vederlo, tu non ti ci saresti avvinata neanche per tutto l’oro del mondo - ma ha preparato le crêpes migliori che io abbia mai mangiato.», racconta, mentre la testa di Erina ciondola un po’ in avanti.

«Oi, Nakiri-», tenta, scuotendola un po’. 

Erina salta su e si ricompone immediatamente.

«Non è che stai lavorando troppo?», le chiede, mentre l’altra gli rivolge uno sguardo sarcastico.

«Lavoro troppo da quasi dieci anni.», borbotta, «Lo sapresti, se ogni tanto ti fermassi all’Accademia.»

Souma fa una smorfia. Non se la ricorda nemmeno, l’ultima volta che ha messo piede alla Totsuki, ma non significa che abbia passato l’ultimo decennio a bighellonare in giro per il mondo. Certo, le occhiaie di Nakiri sono molto più marcate delle sue, ma solo perché lei ha deciso di sprecare la sua gioventù chiusa nella presidenza della scuola non significa che-

«Oi, Nakiri, ma tu vedi qualcuno?»

«Vedo un sacco di gente ogni giorno, Souma-kun. Dovrai essere più specifico.», commenta, versando del tè.

«Nah, intendevo-», inizia, e poi si ferma per un istante.

Dove vuole andare a parare? Seppure Erina fosse stata così oberata dal lavoro da non avere alcun tipo di relazione, cosa ne otterrebbe lui? Dimostrerebbe a suo padre che non è stato l’unico a saltare a piè pari la stagione degli amori, come si ostina a chiamarla lui, oppure spera di convincerla a diventare ‒ com’è che aveva detto? ‒ un amore di serra? Be’, quella cosa lì. 

Non è che abbia interessi premeditati, eh. Solo che lui e Erina si conoscono da un sacco di anni ‒ bene, anche ‒ e hanno interessi comuni e cosa più importanti sono entrambi soli, a modo loro, il che non è necessariamente la fine del mondo, ma piuttosto un incentivo allo stare insieme? Ha senso, no? Perché non farlo e basta?

«Intendevo-», riprende sghignazzando, «ti vedi con qualcuno? Hai una relazione?»

«Le relazioni politiche, commerciali e sociali della Totsuki sono una faccenda pri-», si interrompe. «Una relazione?», chiede, incerta.

«Mhh.»

«Romantica

«Mh.»

«Ma insomma! Ti sembrano domande da fare?», esclama, indignata, con una vocetta stridula che lo fa sganasciare dalle risate.

«Scusa, scusa.», le dice, mantenendosi la pancia.

«Ti interessa?», domanda Erina, assottigliando gli occhi ‒ sembra improvvisamente seria e tremendamente severa. Souma non ha mai avuto paura di nessuno, ma pensa che se continuasse a fissarlo in questo modo potrebbe sicuramente iniziare ad avere paura di lei.

«Forse.», risponde, facendo spallucce.

Restano a guardarsi per alcuni lunghissimi istanti, l’uno di fronte all’altra ai due capi della tavola. Erina tamburella nervosamente le dita sulla superficie di legno e Souma fischietta, cercando di capire esattamente cosa stiano aspettando ‒ magari dovrebbe darle delle spiegazioni sulla sua improvvisa curiosità, oppure Erina sta decidendo se dirgli qualcosa e soprattutto quanto dirgli della sua vita sentimentale. 

Il fatto è che poi arriva suo padre e-

«Oh, Erina-chan, come mai qui? Avete un appuntamento?», si intromette, sedendosi tra loro.

Il “no!” che entrambi strillano offesi lo fa sobbalzare sulla sedia. Giusto quello che si merita.

Erina si alza, ancora più indignata di prima, e sbatte i pugni sul tavolo.

«Ma si può sapere che vi prende?», sbuffa, prima di recuperare il cappotto e uscire a grandi passi.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?», gli chiede suo padre, ma Souma lo ignora e la segue fuori il ristorante.

 

«Hisako mi sta per mandare un taxi.», gli dice Erina, mentre Souma la affianca. «Si gela qui fuori.», si lamenta, sfregando le mani. 

«Potremmo tornare dentro.», propone.

«E lasciare che lo chef Saiba faccia altre scandalose allusioni sul nostro rapporto?»

Souma deve trattenersi dallo scoppiare a ridere ‒ pur essendo sempre stata considerata un prodigio, per molti versi Erina sembra essere rimasta una ragazzina che non ha altra conoscenza dell’amore che quella rubata a qualche rivista. 

«Potremmo ‒ uhm ‒ fare in modo che non siano più allusioni. O scandalose. Insomma, hai capito-»

Erina lo guarda come se gli fosse spuntata un’altra testa.

«Non che non ho capito.», protesta, mettendo il broncio. «Non so proprio che ti sia venuto oggi.»

«È che- be’, non sono mai stato bravo in queste cose, ma- insomma- se tu non hai una relazione-»

«Non ce l’ho.», sussurra, puntando lo sguardo sulla strada.

«- e io non ho una relazione-»

«Ah, no?»

«-potremmo, uhm. Avere una relazione. Io e te

Dopo una piccola esclamazione da parte di Erina, tra di loro piomba un silenzio quasi insopportabile. Souma, con le braccia giunte al petto, tamburella un piede in attesa di una qualunque risposta ‒ in fondo, si dice, seppure dovesse essere rifiutato, lei non è certo l’ultima ragazza single rimasta sulla Terra. Certo, potrebbe essere più difficile costruire una relazione da zero, e potrebbe trattarsi di una ragazza che non gli piace quanto Erina e-

Quindi gli piace?

Cioè, nel senso, ovviamente gli piace, sono stati rivali e amici e si conoscono da tantissimi anni e lei è sempre stata un’inesauribile fonte di ispirazione e motivazione, ma- gli piace piace? Gli piace nel senso che se suo padre non gli avesse improvvisamente messo in testa la malsana idea che se non avesse trovato qualcuno il prima possibile sarebbe rimasto da solo per sempre, sarebbe comunque finito con il chiederle una cosa del genere? Una relazione? Una relazione romantica? Perché, be’, è questo che le sta chiedendo. Quindi questo deve essere quello che vuole. 

«Souma-kun.», lo chiama, e c’è una minacciosa freddezza nella sua voce che lo fa immediatamente scattare sul posto, pur essendo già in piedi. «Mi stai chiedendo ‒ offrendo? ‒ una relazione soltanto perché sei single?», strepita. 

Sembra offesa ‒ perché dovrebbe essere offesa? C’è forse qualcosa di poco chiaro, o di sbagliato, in quello che le ha detto? È stato onesto, nelle sue intenzioni. Avrebbe potuto indorare la pillola e, chi sa, fare qualcosa di un po’ più galante, ma ormai sono entrambi alla soglia dei trent’anni, come avrebbe potuto pensare che certe romanticherie fossero ancora necessarie? D’altro canto, trattandosi di Erina, era scontato che sottovalutare un passaggio del genere potesse offenderla. 

«Be’- no- ecco, vedi- mio padre-», borbotta, sconnesso, mentre Erina si pizzica il ponte del naso.

«Cosa c’entra tuo padre?»

«Perché lui- le serre- le fragole fuori stagione-», continua, cercando di articolare una frase a riguardo che abbia un senso compiuto e realizzando con suo sommo orrore che spiegare la questione razionalmente è come buttarsi la zappa sui piedi. 

«Facciamo così:», gli dice Erina, quando vede l’auto svoltare l’angolo, «io valuterò la tua proposta, per quanto inaccettabile, e tu penserai se effettivamente si tratta di un capriccio o di una buona idea.», conclude, sbattendogli la portiera in faccia.

 

I giorni successivi sembrano quasi non passare: l’ora di punta lo tiene sempre impegnato, e lo Yukihira ha fin troppi clienti affezionati che non vedono l’ora di precipitarsi al suo interno nel momento in cui lo vedono aperto, per cui Souma mentirebbe nel dire che abbia effettivamente riflettuto alle parole di Erina. 

Se c’è un modo migliore di avanzare proposte, ancora non l’ha capito: lui è stato diretto, ha spiegato perfettamente il punto, ha dato anche ottime motivazioni ‒ okay, forse non ottime, ma comunque valide ‒, quindi la sua reazione è stata esagerata. Indubbiamente, definirla “inaccettabile” è stato un eufemismo. 

E per quanto riguarda i suoi sentimenti, be’, potrebbero non essere freschissimi e anzi, se ci sono stati in tutti questi anni, è stato troppo impegnato per pensarci. Probabilmente sono- marciti? No, marciti sembra esagerato. Impolverati? Ecco, impolverati è la parola giusta. Come dello scatolame dimenticato per mesi su uno scaffale buio. Certo, forse paragonare i suoi sentimenti per Erina al cibo, e di tutti i cibi possibili allo scatolame, non gli sembra un inizio promettente. Forse ha lavorato troppo a lungo. 

E non si tratta di un capriccio. Capisce benissimo che possa sembrarlo, ma è stato in realtà più il risultato di una serie di coincidenze dettate dal caso ‒ e da suo padre ‒ che lo hanno spinto ad avanzare una simile proposta e poi a realizzare i suoi sentimenti ‒ che ci sono, eh, abbiamo detto che ci sono, forse deve lavorarci un po’, coltivarli in una serra apposita e- che diamine adesso sembra Isshiki-senpai.

Ma Erina accetterà, alla fine. Ne è sicuro. 

Ne è così sicuro che nemmeno si accorge di essere rimasto sveglio tutta la notte a pensarci. Quando sbatte contro suo padre, in cerca di caffé, realizza che le luci dell’alba stanno appena rischiarando il cielo.

«Oh, Souma. Anche tu sveglio?», chiede, aprendo la credenza per recuperare due tazze. Poi dà un’occhiata alla divisa che ancora sta indossando e borbotta: «Lascia stare.»

«Papà-», si lamenta, strascicando la a finale mentre batte la testa sul tavolo. «Come ci si dichiara a un’inguaribile romantica?»

«Con un gesto inguaribilmente romantico?», tenta suo padre, poi scrolla le spalle. «Tua madre è sempre stata un tipo molto pragmatico.», commenta con tono nostalgico. «E io e Gin siamo adulti, ormai, quindi non ho mai avuto bisogno di gesti eclatanti.», spiega, girando rumorosamente lo zucchero.

«Problemi in paradiso?», chiede poi, porgendogli una tazza fumante.

Souma sbuffa. Non pensa che il suo rapporto con Erina sia mai stato paragonabile a un paradiso: più simile a una partita di dodgeball infernale in cui facevano del loro meglio per tirarsi contro il piatto migliore che potessero preparare e poi fare finta che non fosse, effettivamente, la cosa migliore che avessero mai mangiato. E poi c’è stata quella volta in cui Erina gli aveva tirato contro un intero set di piatti dopo che aveva disertato non si ricorda nemmeno quale evento, per cui il dodgeball metaforico era diventato anche fisico. No, se ci sono problemi di certo non sono in paradiso. 

«È colpa tua.», grugnisce, mandando giù il suo caffè in un colpo solo. «Tu e quella stupida storia della stagione degli amori.»

Suo padre sogghigna.

«Sai, sono sempre stato dell’idea che andasse bene darti la libertà di fare quello che volevi. È così che ho vissuto io, quindi pensavo solo fosse giusto permetterti di fare le stesse esperienze. Poi ho pensato che a lasciarti fare solo quello che volevi avresti combinato un pasticcio.», fa una pausa, lanciandogli uno sguardo scettico.

«Non mi fraintendere, sono orgoglioso dello chef che sei diventato e di tutti i premi e bla, bla, bla.», aggiunge sorridendo, e indica lo scaffale in cui sono esposti targhe e trofei e articoli di giornale che parlano dell’allora astro nascente dell’arte culinaria Yukihira Souma. 

«Forse mi sono fatto vecchio.», nota, con un velo di malinconia. «Ho visto tutti i tuoi amici innamorarsi e mettere su famiglia e ho pensato che un giorno ti saresti potuto pentire di non averlo fatto anche tu.», scrolla le spalle. «E ovviamente ti serviva una spintarella, povera Erina-chan, quanti anni ha passato in attesa che ti decidessi a fare qualcosa?»

Souma sbuffa. Come se Erina non avesse fatto altro che attendere che suo padre una sera di novembre decidesse di alzare il gomito e suggerirgli sibillino che forse era arrivato il momento di mettere radici ‒ e forse è davvero andata così o comunque è successo qualcosa di molto simile e tutto quello che è stato in grado di offrirle in cambio è stata una proposta che sembrava più un contratto d’affari che una dichiarazione d’amore e oddio è stato davvero inaccettabile. Se lui fosse stato nei panni di Erina si sarebbe rifiutato da solo. E se lo sarebbe meritato, onestamente. 

Ma, ecco, Erina ancora non l’ha ancora rifiutato.



Quella stessa mattina, innaffiato dal caffè e dalle mortificanti parole di suo padre, Souma decide che è il caso di agire ‒ una scelta consapevole e non dettata da un capriccio. La scelta di andare alla Totsuki, cosa che si è rifiutato di fare per anni, per dire ad Erina che non importa, se la stagione degli amori è finita o meno. Loro possono sempre coltivare la loro relazione in una serra ‒ e forse, si dice, se davvero Erina è rimasta ad aspettarlo tutto questo tempo non sarà nemmeno necessario ricorrere a misure così drastiche. 

La prima che lo vede è, ovviamente, Arato-san, che scatta su come se avesse visto un fantasma e gli chiede di aspettare un paio di minuti che Erina-sama finisca la sua riunione con i fornitori, perché naturalmente lui è lì per vedere Erina-sama, no?

Souma annuisce distrattamente. Arato-san sembra essere più agitata di lui. Passeggia nervosamente davanti alla porta chiusa della presidenza, ogni tanto appoggia l’orecchio per capire a che punto siano, si offre di preparargli del té ma è così impegnata a scavare solchi nel pavimento che Souma il tè è costretto a prepararselo da solo. 

Alla fine però non ha neanche il tempo di berlo, perché nel momento in cui lo versa nella tazza sente distintamente dei saluti di commiato e la porta si apre. Erina, che in un primo momento non l’ha notato, segue la direzione del dito della sua segretaria puntanto nella sua direzione per poi lanciare un’esclamazione sorpresa.

«Ti avviso che ho davvero pochissimo tempo.», lo reguardisce severa.

Souma sta per alzare le braccia, difensivo, quando Arato lo interrompe.

«Erina-sama, sono sicura che il prossimo appuntamento sia almeno tra un’ora.», avvisa, sfogliando freneticamente l’agenda. «Anzi, considerando il tempo necessario per arrivare fino alla presidenza potrei dire che è libera per la prossima ora e mezza. Quasi due ore.», aggiunge, perentoria. 

Erina le rivolge uno sguardo oltraggiato e un filino tradito, poi si gira verso di lui. 

«A questo punto suppongo di non avere molta scelta. Prego, Souma-kun, entra pure.»

 

«Ho pensato a lungo dall’ultima volta che ci siamo visti.», inizia, restando in piedi di fronte alla sua scrivania. 

Erina sbuffa, un po’ incredula.

«Ci siamo visti due giorni fa.», gli fa notare.

Beh, sì, sono stati solo due giorni, e in realtà la maggior parte delle sue elucubrazioni ha avuto luogo nelle ultime ore, ma questi non sono altro che dettagli di cui Erina non deve necessariamente venire a conoscenza. 

«Tu hai valutato la mia proposta?»

Erina lo guarda come se l’unica cosa che avesse valutato fino a quel momento fosse la dimensione del batticarne con cui lo avrebbe dovuto maciullare.

«Spero di no.», aggiunge frettolosamente. «Perché potrei avere qualcosa di meglio.»

«Ti prego, dimmi che non hai fatto un powerpoint sui motivi per cui dovemmo frequentarci.», supplica, massaggiandosi le tempie. «È solo martedì, ma se dovessi vedere un altro powerpoint potrei mettermi a urlare.», aggiunge, fissando astiosa il proiettore sulle loro teste.

Souma non commenta qualunque deformazione lavorativa sia in atto e la lascia borbottare contrariata per qualche altro secondo su abbinamenti di colori illeggibili e davvero quanto può costare assumere un grafico?

«Ti ho portato delle fragole.», le dice poi, poggiando il cestino di fronte a lei.

«Siamo a novembre.», commenta, asciutta.

«Esatto.»

Erina continua a massaggiarsi le tempie, guardando afflitta il cestino. 

«Queste fragole», le spiega, «siamo noi.»

Ci ha riflettuto, davvero. Forse poteva essere ubriaco, nostalgico e preoccupato per lui, ma suo padre gli ha davvero dato una buona dritta. Questo è il modo migliore per sbrogliare il filo del loro rapporto, l’unica metafora che può davvero funzionare.

«Se queste fragole le avessimo mangiate a maggio, sarebbero state di stagione.», inizia. 

Erina annuisce.

«Ma a maggio non le abbiamo mangiate.»

«No?»

«No. È una metafora, Nakiri, cerca di seguirmi. Ora, non avendo potuto mangiare le fragole questa primavera, nè tantomeno questa estate, ci dobbiamo accontentare dei prodotti di serra per averle.»

«Non ti sto seguendo.»

«L’importante è che alla fine siamo riusciti a mangiarle, queste benedette fragole, no?»

«Sì? Non lo so. Souma-kun, non ho la più pallida idea di quello che tu abbia detto.», confessa, guardando ancora confusa il cestino. 

Souma aggira la scrivania e si siede per terra, accanto alla sua poltrona, prendendole le mani. Erina arrossisce, e dopo un primo tentativo di toglierle, le abbandona tra le sue.

«Quello che voglio dire-», riprende, poi sbuffa un po’ perché sperava che la metafora delle fragole sarebbe bastata a far arrivare il concetto, visto che questo genere di esplicite dichiarazioni non è per niente il suo forte.

«Quello che voglio dire è che alla fine non importa, se non siamo stati insieme, prima. Perché probabilmente ero innamorato di te dieci anni fa, e cinque anni fa, e lo sono adesso ‒ e so che anche tu provi lo stesso, non tentare di negarlo, ce l’hai scritto in faccia. Lo sapeva persino mio padre.», borbotta, mentre Erina cerca di fulminarlo dallo sguardo. 

«Quindi-», termina, alzandosi e allungando una mano verso il cestino, «-l’importante è stare insieme, alla fine.»

«Sei davvero incorreggibile!», protesta Erina, alzandosi di scatto e gettandogli le braccia al collo. «È stato molto romantico, però.», concede, la voce ovattata contro il suo petto.

Souma ridacchia prima di addentare una fragola ‒ che non ha proprio il sapore dolcissimo e un filino aspro delle fragole appena colte, ma quello è impossibile da ricreare, in questo periodo. Però ha la forma di una fragola, e l’odore di una fragola, e il colore di una fragola e alla fine l’importante non è forse mangiarsela, questa benedetta fragola?







 
  
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