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Autore: Old Fashioned    18/02/2021    10 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bella gente,
mi fa un gran piacere che qualcuno sia passato da queste parti a dare un’occhiatina^^
Ringrazio moltissimo tutti quelli che mi hanno messo in qualche lista, e ovviamente ringrazio ancor di più chi è stato così gentile da lasciarmi un commento.






Capitolo 2

Il tenente von Knobelsdorff passò in rassegna per l’ennesima volta l’arredamento della stanza in cui si trovava: una scrivania, un orologio a pendolo, un quadro, uno schedario, un paio di sedie.
Sul piano della scrivania c’erano dei fogli dattiloscritti, un portapenne, una scatola di legno e un posacenere.
Sollevò lo sguardo sull’orologio, constatando che era già passato un quarto d’ora da quando lo avevano fatto accomodare in quello strano ufficio. Tese l’orecchio: l’unico suono che si sentiva era il lieve ticchettare della pendola e forse una vaga eco di voci lontane.
Si girò verso la porta da cui era entrato, quasi aspettandosi di vedere finalmente la maniglia abbassarsi, ma essa rimase immobile.
Emise uno sbuffo infastidito. Non che avesse mai avuto modo di farsi un’idea precisa sullo spionaggio, ma di sicuro non se l’era immaginato così. Quello che vedeva gli ricordava piuttosto un lavoro da contabile, o qualcosa del genere. Uffici, carte. Niente che avesse a che fare con l’azione o il rischio. Per quale motivo si erano accertati che sapesse pilotare perfettamente un aeroplano, allora?
Aggrottò le sopracciglia, sollevò una mano a sfiorare la medicazione che ancora gli attraversava la fronte, poi si guardò intorno di nuovo. Tutto era così immobile da far pensare a un edificio abbandonato. Si chiese dove fosse la gente di cui gli pareva di sentire la voce ed ebbe la tentazione di far sentire la propria, di voce, ben alta, in modo da convincere chi di dovere a mostrarsi.
Passò altro tempo.
Von Knobelsdorff ripercorse la stanza con lo sguardo, schedario, orologio, quadro, scrivania. Orologio, scrivania, quadro, schedario. La porta era sempre chiusa, il silenzio sempre perfetto, a parte la misteriosa impressione di un brusio lontano.
Si sporse verso la scrivania, cercò di leggere i fogli che si trovavano sul sottomano. Gli parve di distinguere il suo nome.
Di nuovo aggrottò le sopracciglia. Allungò una mano per prenderli, ma all’ultimo interruppe il gesto. Si alzò, aggirò la scrivania e si piegò sul dattiloscritto: si parlava effettivamente di lui, si prendeva in considerazione la possibilità di sacrificarlo assieme all’aereo, se fosse stato necessario per la riuscita della missione.
A quel punto afferrò le carte, le scorse febbrilmente, poi di nuovo si guardò intorno.

Una giovane donna seduta a un tavolo ingombro di documenti chiese: “Cosa sta facendo?”
Un uomo alto e smilzo, dai radi capelli biondicci, vestito di scuro, raggiunse la parete, si sollevò sulle punte dei piedi per guardare attraverso uno spioncino e disse: “Si è alzato.”
“Alla buon’ora. Sta toccando qualcosa?”
“Per ora solo le carte.”
“Uhm. È difficile rilevare le impronte digitali dalle carte. Le foto gliele hai fatte?”
L’uomo annuì. “Certo, come al solito. Di fronte e profilo.”
La giovane donna si alzò e lo raggiunse. “Fammi vedere,” gli disse. L’altro le cedette il posto e spinse verso di lei un basso sgabello. Ella vi salì sopra con agilità, quindi scrutò a lungo attraverso lo spioncino. Infine abbandonò l’osservazione, tornò al tavolo e nella congerie di fogli che lo ricopriva individuò un fascicolo. Lo estrasse e cominciò a sfogliarlo. “Sta ancora leggendo?” chiese poi, senza sollevare gli occhi dalle carte.
L’uomo tornò allo spioncino, scrutò e rispose: “Sta girando su e giù come una specie di leone in gabbia. Che cosa gli hai scritto su quei fogli?”
“Il solito.”
“Per me se ne va.”
“In base a quello che c’è nel suo dossier, direi proprio che non lo farà. Ci sfiderà, piuttosto, vorrà dimostrarci che se la missione riuscirà, sarà solo grazie a lui.” La donna fece una pausa, poi soggiunse: “Di sicuro prenderà a male parole la prima persona che entrerà nella stanza.”
“Vado io?” propose allora l’uomo. “Oppure posso mandare Andreas, se vuoi.”
L'altra fece una risatina e rispose: “Dimentichi che ho affrontato uomini decisi a uccidermi, armi alla mano.”
“Vero anche questo,” considerò l'altro.
“Cosa vuoi che mi faccia quel bel galletto?” Senza alzarsi dal tavolo, la donna volse lo sguardo in direzione dello spioncino e disse: “Bello è bello, in effetti. Quasi troppo.”
“Si fa notare,” ammise l'uomo.
“Appunto, e nella nostra professione non farsi notare è fondamentale.”
“Però anche il Werwolf è così.”
La donna annuì, poi disse: “Ma il Werwolf è uno vecchio del mestiere. Sa come scomparire in mezzo a una folla, sa come rendersi perfettamente anonimo, anche se...” Si interruppe e alzò gli occhi al cielo con un sospiro.
A quel punto, nonostante l'insonorizzazione, al di là della parete esplosero dei clamori. “C'è nessuno?” stava dicendo iroso il giovanotto, “Si può avere udienza, in questa specie di ospedale abbandonato, o mi sono sorbito il viaggio dalla Piccardia fino a Berna solo per fare anticamera come un valletto?”
I due si scambiarono un'occhiata.
“Io sono un pilota!” si fece udire nuovamente la voce di von Knobelsdorff, “Devo combattere contro gli aviatori nemici. Ma come posso farlo, se mi tenete lontano dal fronte ad aspettare chissà che cosa?”
Si sentì il rumore della porta che si apriva.
“Quello se ne va,” constatò l'uomo preoccupato. Gettò uno sguardo alla donna, che invece appariva tranquillissima e anche vagamente divertita dallo sfogo del giovanotto.
Ella scosse la testa e rispose: “È solo offeso perché nessuno gli dà udienza.”
L'altro alzò le spalle. “Per me non è adatto.”
“Al contrario,” spiegò la donna, “ha il carattere perfetto per questa missione: uno troppo remissivo si farebbe ammazzare o prendere prigioniero.”
“Sicura?”
“Vado da lui. Vedrai come si ammansisce subito, quando gli racconto quello che dovrà fare.”

Affacciato sul corridoio, von Knobelsdorff si guardava intorno come un torello alla ricerca di qualcosa da incornare.
Mezz'ora ad aspettare, e quando finalmente si era deciso a dare un'occhiata alle carte sulla scrivania aveva scoperto cosa c'era in serbo per lui: lo consideravano una pedina sacrificabile, un marmittone di nessuna importanza, buono solo a pilotare un velivolo che avrebbe attirato il fuoco nemico mentre la vera operazione di spionaggio si svolgeva altrove. Uno zimbello, in pratica.
Non sarebbe diventato un Asso né avrebbe ricevuto il Pour le Mérite, perché per certe cose non c'erano né gloria né riconoscimenti.
Udì dei passi.
Si volse in quella direzione e vide che una giovane donna gli si stava avvicinando. Rimase perplesso: era certo che fino a un istante prima il lungo corridoio fosse completamente deserto.
“I miei rispetti, signorina,” la salutò comunque formale.
La donna lo raggiunse e a quel punto von Knobelsdorff si rese conto che era la stessa che aveva visto al campo di Douai. “Ci siamo già incontrati,” le disse.
“Ha buona memoria,” apprezzò lei.
Il giovanotto mantenne il silenzio.
Ella lo oltrepassò, raggiunse la porta dell'ufficio e propose: “Vogliamo entrare?”
“Per fare che cosa, signorina?” la rimbeccò lui senza muoversi, “Per farmi spiegare l'importantissima missione a cui dovrò prendere parte? Ho già visto di che si tratta, grazie.”
La donna sbatté gli occhi perplessa. “Lei non è un soldato?” s'informò.
“Certo che lo sono.”
“E dunque, non è suo dovere eseguire gli ordini?”
Von Knobelsdorff si irrigidì. In tono asciutto rispose: “Quelli dei miei superiori, certo. A lei, signorina, obbedisco solo in qualità di gentiluomo.”
“E allora, come gentiluomo, mi segua, prego.”
Andò alla scrivania, l'aggirò e vi si sedette. Prese i fogli che erano rimasti sparsi in giro, li riordinò con calma, quindi chiese: “Che gliene pare, tenente?”
Il giovane ufficiale rimase in silenzio. Osservava la donna: minuta, graziosa, di età indefinita ma giovane, forse addirittura molto giovane. Modi autorevoli, dietro l'apparenza fragile, gesti sicuri, nessuna esitazione nel parlare. “Qual è il suo nome?” le chiese.
Per tutta risposta, lei gli indicò la sedia che si trovava di fronte alla scrivania e disse: “Si accomodi, tenente.”
Il giovane aggrottò le sopracciglia. “Non mi accomodo proprio da nessuna parte, se non so con chi sto parlando.”
La donna annuì grave, quindi gli rispose: “Se non le dico nulla, tenente, è per la sicurezza della Patria che entrambi abbiamo giurato di servire. Qualora cadesse in mani nemiche, meno informazioni avrà e meno ne potrà rivelare.”
“Io non rivelerei mai nulla.”
“Ne è così sicuro?”
Di nuovo calò un silenzio greve, rotto solo dal ticchettare della pendola. Si udì un lieve fruscio quando la donna raccolse le carte che erano rimaste sul sottomano e le fece scivolare in un cassetto.
Infine, von Knobelsdorff chiese: “E lei è così sicura che io le obbedirò come una specie di scimmia ammaestrata, se non mi dà motivi per fidarmi di lei? Potrebbe essere chiunque, per quello che ne so, anche una spia nemica che mi sta ingannando per convincermi a lavorare per la sua nazione.”
“Si deve fidare,” fu la risposta.
Senza lasciarsi impressionare, l'ufficiale replicò: “Signorina, se il meccanico mi dice che ha riempito serbatoio del mio aereo, io vado comunque a controllare di persona, perché dalla presenza o meno della benzina dipende la mia vita. È chiaro il concetto?”
Ignorò il gesto della sua interlocutrice, che ancora una volta lo invitava a sedersi, arretrando addirittura di un passo.
“Tenente...”
Von Knobelsdorff scosse la testa. “È inutile, signorina. Per restare nella metafora di prima, o mi permette di controllare personalmente che il serbatoio sia pieno, o non decollo neppure.”
“Lei sta creando problemi.”
“Io faccio solo quello che ogni ufficiale che abbia un minimo di senso di responsabilità farebbe: chi è lei? Cosa vuole da me? A che titolo? Chi sono i suoi superiori? Che garanzie ho che lei stia servendo la stessa Patria che servo io?”
A quel punto, si aprì la porta alle spalle dell'ufficiale. Egli si girò di scatto e si trovò di fronte un uomo che poteva avere fra i trenta e i quaranta anni, anche se portati decisamente male. Era smilzo, non tanto alto, con le spalle curve e una giacca nera un po' lucida sui gomiti. Lo sguardo chiaro, apparentemente slavato e scialbo, lasciava trasparire a una seconda occhiata una durezza metallica.
“Che succede?” chiese in tono sommesso il nuovo arrivato, e von Knobelsdorff ebbe l'impulso di giustificarsi come avrebbe fatto con un istruttore dell'Accademia. Rimase in silenzio, arretrando come un cavallo riottoso. Lo fissò con diffidenza.
“Qualcosa non va?” volle sapere l'uomo. Lo sguardo assunse una nota di sollecitudine premurosa, a von Knobelsdorff ricordò un albergatore alle prese con un cliente insoddisfatto della stanza.
Fu la donna a rispondere. “Il tenente non si fida di noi, Matthesius.”
L'uomo annuì grave. “Già, certo,” disse poi, massaggiandosi il mento con una mano dalle dita lunghe e nervose, “l'avevo previsto.” Sollevò lo sguardo sul tenente, quindi soggiunse: “Per lei potremmo essere chiunque, non è vero? Anche agenti di potenze nemiche, magari.”
“È così,” rispose senza scomporsi il giovane ufficiale.
“L'avevo previsto,” ripeté Matthesius, come tra sé e sé. Poi, rivolto all'ufficiale: “Vuole seguirmi, tenente?”
Von Knobelsdorff arretrò di un altro passo, arrivando quasi con la schiena contro la parete. Sotto le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi verdi assunsero una fosforescenza felina. “Per andare dove?” ringhiò.
L'altro si limitò a una risatina. “Venga, Maximilian,” lo invitò poi, “non avrà paura di un omino come me, spero.”
Il giovanotto avrebbe voluto rispondere che con una pistola in mano anche l'omino più insignificante del mondo avrebbe potuto diventare mortalmente pericoloso, ma sotto lo sguardo pacato e vagamente divertito del signor Matthesius, di colpo tutte quelle recriminazioni gli parvero fuori luogo come le bizze di un bambino. Si limitò ad abbandonare la parete in silenzio.

Uscirono in fila indiana. Per primo Matthesius, rapido e agile come un folletto, poi von Knobelsdorff. Da ultima veniva la giovane donna, con un passo così leggero che quasi non produceva alcun rumore sull'impiantito di assi di legno.
Il tenente si sorprese ad ascoltare il suono dei propri passi, marziale, appesantito dagli stivali, e a valutarlo di colpo come qualcosa di inopportuno, fuori luogo esattamente come poco prima lo erano state le sue proteste.
Giunsero a una stanza in cui si trovavano diversi apparecchi telefonici e un paio di telegrafi. Uomini in borghese, dall'aria di impiegati, erano affaccendati intorno agli strumenti. Von Knobelsdorff udì uno di essi condurre una conversazione telefonica in francese, annotando di tanto in tanto appunti su un foglio. Un altro parlava con disinvoltura in una lingua scandinava, compilando nel corso della conversazione una scheda.
Il ticchettio delle macchine da scrivere sembrava grandine contro i vetri.
La voce di Matthesius lo richiamò bruscamente alla realtà: “Venga avanti, prego.”
I tre entrarono nella stanza, un uomo si fece loro incontro. La giovane donna disse: “È per quella chiamata, Franz.”
“Certo,” rispose l'altro, quindi fece cenno di seguirlo.
Il frastornato ufficiale fu condotto attraverso un labirinto di scrivanie ingombre di carte e uomini che parlavano al telefono nelle più diverse lingue. Telegrafi e macchine da scrivere funzionavano a pieno ritmo, apparecchi squillavano un po' ovunque.
Alla fine il gruppetto raggiunse un angolo appartato, nel quale la confusione della stanza giungeva vagamente ovattata. Il signor Matthesius a quel punto indicò un apparecchio telefonico posto al centro di una scrivania. Come in risposta a quel gesto, esso cominciò a squillare. L'uomo si voltò verso von Knobelsdorff e gli disse: “Risponda, su.”
“Io?” chiese il giovane perplesso.
“È per lei.”
Il tenente sollevò la cornetta, se la portò all'orecchio. Si piegò verso il ricevitore e in tono esitante disse: “Pronto?”
Rispose la voce di von Stade: “Immaginavo che mi avrebbe chiamato.”
“Cosa?”
“Sì, mi permetta di dire che conosco i miei polli. I miei aquilotti, in questo caso. Immaginavo sarebbe stato diffidente di fronte alle proposte della signorina.”
Von Knobelsdorff fece guizzare lo sguardo dalla giovane donna all'uomo di nome Matthesius, e poi di nuovo verso la donna. “Signore, chi sono queste persone?” chiese.
Giunse lapidaria la risposta: “Meno cose sa, meno rischierà di rivelarne.”
Il giovane aggrottò le sopracciglia. “Io non rivelerei mai nulla. Morirei, piuttosto.”
“Noto che non è cambiato, tenente. Questo va molto bene, perché i signori hanno cercato in tutte le Jasta, compresa la 11[1], per trovare un carattere come il suo.”
Piccato, von Knobelsdorff chiese: “Perché, come sarebbe il mio carattere, signore?”
Il maggiore fece una breve risata, quindi rispose: “Faccia quello che le dicono i signori, tenente, sono persone della massima fiducia e hanno bisogno di un pilota abile e coraggioso per una missione importante.”
“Ma signore...”
“A presto, tenente.”
La comunicazione si interruppe.
Von Knobelsdorff abbassò adagio la cornetta, quindi fissò Matthesius e la donna come se li vedesse per la prima volta.
“È convinto adesso?” gli chiese la giovane signora.
L'ufficiale rimase in silenzio.

§

Il tenente von Knobelsdorff scostò appena una tendina e guardò fuori. La campagna francese si estendeva leggermente ondulata a perdita d'occhio. Qua e là, macchie di alberi spezzavano la monotonia del paesaggio.
La giovane donna, irriconoscibile in abiti da contadina, con i capelli di un colore diverso e le guance pitturate in modo da sembrare rubizze, seduta al tavolo della cucina stava decodificando un messaggio. Aveva accanto a sé una casseruola, in cui avrebbe infilato rapidamente ogni cosa se qualcuno fosse entrato all'improvviso.
“Una volta non riuscii a distruggere subito le mie note e fu un vero problema,” disse, senza alzare gli occhi dal lavoro. “Dovetti scappare a nuoto in un fiume, venni ripescata da una chiatta.”
Il tenente, che a sua volta vestiva modesti abiti borghesi, senza distogliere gli occhi disse: “Davvero?”
“Ero in macchina con un ufficiale belga quando d'un tratto mi sfuggì un foglio di appunti. Feci fermare la macchina, cercai di recuperarlo, ma lui fu più svelto di me. Fece finta di nulla, disse che il foglio gli era sfuggito, ma io capii che ne aveva visto il contenuto. Al primo villaggio fermò la vettura vicino a un gruppo di gendarmi, per consegnarmi a loro. Io approfittai del fatto che era sceso per parlare con il comandante della pattuglia, saltai al posto di guida e diedi gas. Purtroppo all'epoca non sapevo ancora condurre la macchina, per cui dopo poco mi schiantai contro un albero. Saltai giù, scappai in un bosco, raggiunsi un fiume. Mi tolsi i vestiti e me li legai sulla schiena, quindi mi buttai in acqua e cominciai a nuotare. Per fortuna venni ripescata da una chiatta olandese, che mi portò in salvo.”[2]
Von Knobelsdorff si voltò verso di lei. Non stentava a credere che il fatto fosse accaduto realmente. Erano bastati pochi giorni a contatto con lo spionaggio per cambiare completamente ogni sua idea in proposito. In primo luogo, aveva scoperto che le spie erano ovunque, chiunque poteva esserlo: un commerciante, un operaio, un sacerdote, donne, uomini, ragazzi. Aveva sentito dire che i russi adoperavano persino i cani, anche se non riusciva a figurarsi in che modo.
Secondariamente, aveva notato che erano proprio le persone più insignificanti quelle che spesso si rivelavano più pericolose. La giovane donna, che nelle sue vesti di contadina francese si faceva chiamare Marie, sembrava poco più di una ragazzina, eppure aveva affrontato in svariate occasioni i soldati nemici, uscendo sempre vincitrice dagli scontri.
Si chiese quante volte aveva avuto a che fare con spie, tedesche o straniere, senza saperlo. Chissà, forse anche l'ostessa del bistrot dove andavano ogni tanto alla fine della giornata di volo era una spia. Magari fingeva di non sapere il tedesco e poi invece ascoltava minuziosamente le conversazioni degli ufficiali e le riferiva ai suoi superiori.
Tornò a guardare fuori. La casa in cui l'avevano portato, ufficialmente dimora di una famiglia di contadini, era in realtà gestita dallo spionaggio tedesco. Tutti i suoi abitanti erano spie e si occupavano di raccogliere e smistare la maggior parte delle informazioni che venivano raccolte in Francia.
Il fienile non ospitava bestie, ma apparecchi di ogni genere. Più lontano era stato allestito quello che da fuori appariva come un capanno per accogliere la fienagione, mentre in realtà era un hangar nel quale si trovava l’aereo che avrebbe dovuto usare. Due uomini stavano allestendo la pista da cui sarebbe decollato.
“Quando partirò?” chiese, senza distogliere gli occhi dall'aia.
Alle sue spalle, la donna rispose: “Stiamo aspettando un comunicato.”
“Da chi?”
“Da lui.”
Von Knobelsodrff alzò gli occhi al cielo. “Quello che dovrò andare a recuperare?”
“Precisamente.”
Si girò a fissare la sua interlocutrice. “Ma lui me lo dirà, come si chiama?”
Lei alzò le spalle. “Ne dubito, è un agente troppo esperto.” Fece una breve pausa, che utilizzò per piegare accuratamente il foglio che aveva appena finito di compilare, quindi proseguì: “Del resto, vi vedrete al massimo per un'ora, poi lei tornerà alla sua unità e si comporterà come se tutto questo non fosse mai accaduto.”
Il tenente stava per replicare quando entrò nella cucina un uomo che trasportava due secchi pieni d'acqua.
Il nuovo arrivato posò i due recipienti da una parte, poi si voltò verso di lui e con la massima naturalezza disse: “È opportuno salvare le apparenze, non le pare?”
“Nel senso che dovete fingere di essere una famiglia di contadini francesi?”
“Precisamente. Se qualcuno stesse tenendo d'occhio questo posto, cosa vedrebbe? Monsieur Escargot che porta in casa l'acqua per cucinare la bouillabaisse.” Fece una risatina. “Venga,” disse poi, “andiamo a dare un’occhiata.”
“Dove?”
“Ma che domande: le presento il suo Bucefalo.”

Raggiunsero quello che a prima vista sembrava un capanno di assi. Nella costruzione, che in realtà era un allestimento provvisorio realizzato in stoffa dipinta, si trovava un aeroplano coperto da un telo.
Subito interessato, il tenente si avvicinò al velivolo. “Cos'è?” chiese.
Alle sue spalle, l'altro rispose: “Albatros C.III.”
Von Knobelsdorff lo percorse dapprima con lo sguardo, quindi chiese: “Si può togliere questo lenzuolo?” Senza attendere risposta ne afferrò un lembo e lo fece scivolare a terra. Comparve un biposto da osservazione di un uniforme color grigio chiaro, senza marche, emblemi o segni distintivi di alcun genere. Il tenente prese a girargli lentamente intorno. “Velocità massima?” chiese.
“140 chilometri orari.”
“Autonomia?”
“550 chilometri.”
“Che motore ha?”
“Mercedes-III, raffreddato a liquido.”
Il tenente continuava a girare intorno all'aereo. Toccò la fusoliera, vi fece scorrere sopra la mano come avrebbe fatto con la groppa di un cavallo. “Suppongo che un volo di prova sia fuori discussione?” s’informò poi.
“Impossibile, già è stato difficile farlo arrivare qui senza che nessuno se ne accorgesse.”
“Lo immaginavo,” replicò l'ufficiale con un’alzata di spalle, quindi montò sull'ala e si sporse all'interno della carlinga per vedere il quadro comandi. Si protese ad afferrare la barra e la spostò da una parte e dall'altra, poi gettò un'occhiata alla Spandau MG08 montata nell'abitacolo dell'osservatore e disse: “Le armi saranno cariche, spero.”
“Ovvio.”
“La persona che dovrò trasportare sa maneggiarle?”
Con una risatina, l’uomo rispose: “Meglio di quanto lei sappia maneggiare quella che le ha fornito madre natura, tenente.”

Una volta completata l’ispezione del velivolo, l’ufficiale tornò in casa e salì al piano superiore. Andò nella camera che gli era stata assegnata, dispiegò sul letto una carta della zona e vi sovrappose la sottilissima mappa che a suo tempo i signori dello spionaggio avevano consegnato al maggiore von Stade.
La studiò in silenzio per un po', quindi recuperò bussola, compasso e regolo e cominciò a tracciare la rotta per la navigazione.
A livello tecnico era tutto così semplice che persino un pilota con venti ore di volo avrebbe potuto portare a termine la missione con facilità.
Riguardò la mappa. Forse non proprio venti, dal momento che avrebbe dovuto atterrare su un campo sconosciuto e non preparato. Niente di preoccupante, comunque, se paragonato alla più innocua delle missioni di guerra.
Lavorò un po’ sulla navigazione – decisamente semplice, praticamente una linea retta – poi abbandonò sul letto gli strumenti e si alzò in piedi. Fece qualche passo nella stanza.
Nonostante tutto, c’era qualcosa che non gli quadrava. Erano proprio le cose più semplici, del resto, quelle che nascondevano i rischi maggiori.
Il primo elemento che lo lasciava perplesso, ad esempio, era proprio l'uso dell'aereo. La donna era stata più volte dietro le linee nemiche, eppure non aveva mai fatto ritorno a bordo di un apparecchio.
Addentrarsi per chilometri nella zona controllata dai francesi era ovviamente un rischio, così come lo era attraversare la linea del fronte. C'erano zone tranquille, chiaramente, anche zone così tranquille che quasi non sembrava esserci nemmeno la guerra, ma la guerra comunque c'era, e di certo era molto più difficile nascondere un aeroplano in volo che una persona a piedi. Di nuovo ripensò a quello che la giovane donna gli aveva raccontato: era fuggita in mille modi dal territorio nemico, una volta addirittura in treno come una viaggiatrice qualsiasi, e non era mai stata scoperta.
Perché quindi organizzare un volo? La risposta più logica era una: avevano bisogno di fare più in fretta possibile, e niente era veloce come un aeroplano.
Guardò verso la porta, e attraverso essa fissò le scale che conducevano al piano inferiore. Di certo non avrebbe avuto alcun senso scendere di nuovo in cucina e chiedere spiegazioni alla donna. Come a ogni sua domanda, la risposta sarebbe stata che meno sapeva, meno avrebbe eventualmente rivelato al nemico.
Ma se potevano evitare di dargli informazioni, di certo non gli potevano togliere la facoltà di ragionare. Perché era necessario fare in fretta? Perché sicuramente quel tizio aveva con sé qualcosa di molto importante, qualcosa che era opportuno far arrivare al quartier generale dello spionaggio tedesco il prima possibile, al fine di evitare che i nemici tentassero di riprenderselo indietro.
Come la Germania aveva agenti segreti, del resto, poteva immaginare che li avessero anche le altre nazioni, e se quell'individuo era giunto in possesso di qualcosa che aveva tutta quella rilevanza ai fini della condotta bellica, di certo spie abili quanto o forse più di lui erano sulle sue tracce.
Con uno sbuffo di impazienza abbandonò la navigazione e volse lo sguardo fuori dalla finestra. Il cielo era terso, le fronde immobili facevano capire che non c'era un filo di vento. Ripensò agli altri piloti della sua Jasta, si chiese cosa stessero facendo. Volavano, probabilmente, e ottenevano vittorie. Di certo anche Hoffmeyer ormai doveva aver acquisito i fatidici otto abbattimenti.
Volse nuovamente lo sguardo al cielo: una volta tornato alla sua unità, sarebbe stato l'unico senza alcuna decorazione al valore, se non quelle che si era guadagnato come ufficiale degli ulani. Si chiese se il servizio che stava per svolgere sarebbe stato premiato con qualche riconoscimento, ma era quasi certo che l'oscuro compito sarebbe stato premiato unicamente con l'oblio.
In ogni caso, concluse, non valeva la pena di stare a ragionarci troppo sopra. Le decorazioni se le sarebbe guadagnate una volta rimesse le mani sui comandi di un Albatros D-III, e i problemi della missione dietro le linee li avrebbe affrontati – e di certo risolti – qualora si fossero presentati. In fin dei conti si trattava solo di pilotare un aereo, atterrare, recuperare una persona e tornare indietro: l'aveva fatto decine di volte, l'avrebbe saputo fare praticamente a occhi chiusi.
E la gentile donzella dabbasso, che faceva tanto la misteriosa con le sue missioni dietro le linee, avrebbe presto imparato chi era Maximilian von Knobelsdorff.

§

La volta celeste era di un azzurro cupo, ancora punteggiato qua e là delle ultime stelle. Sulla linea dell'orizzonte, a est, il sorgere del sole si annunciava con un baluginare dorato.
Il tenente von Knobelsdorff si chiuse intorno al collo il pesante pastrano di pelliccia. Sotto l'ampio indumento non gli avevano permesso di indossare l'uniforme, ed egli, che da tempo non portava altri abiti che la sua divisa, si era risolto a mettere un completo come quelli che aveva nelle battute di caccia al cervo, di loden verde scuro con i bottoni di corno. Sorrise fra sé e sé: se qualcuno l'avesse abbattuto, cos'avrebbe potuto pensare? Che era così eccentrico da andare a caccia con l'aeroplano?
Si girò verso Levante e strinse appena gli occhi: il disco solare stava comparendo, le ombre lunghe dell'alba si disegnavano sui campi. Anche l'aereo, investito da quei primi raggi, da grigio che era diventava d'oro e ambra.
Con un gesto quasi automatico, il tenente gli fece scorrere una mano sulla fusoliera, quindi batté due colpetti affettuosi.
“Non è un cavallo,” si fece udire la voce della donna.
Il tenente alzò le spalle. “Abitudine.”
“È preoccupato?”
A quel punto, von Knobelsdorff si voltò a fissarla: la cosiddetta Marie portava uno scialle stretto fin sotto il mento. Era così minuta che gli arrivava a malapena alla spalla e le si sarebbero dati a esagerare vent'anni, forse anche meno. Come avrebbe potuto rispondere che era preoccupato, quando quella ragazza, così piccola e fragile, aveva compiuto innumerevoli missioni dietro le linee?
“Per nulla,” rispose disinvolto.
“Il segno di riconoscimento le è chiaro?”
“Tutto chiaro.”
“Ha con sé documenti o oggetti che possano identificarla come ufficiale tedesco?”
“No.”
“Ha controllato bene? A volte anche solo un biglietto del teatro o una fotografia sono sufficienti.”
Von Knobelsdorff emise un sospiro infastidito, quindi in tono tagliente replicò: “Signora, non sarò una spia, ma non sono nemmeno una testa di legno. Se lei mi dà istruzioni, io mi attengo a esse.”
La donna non disse nulla. Era evidente dal suo sguardo che avrebbe preferito controllare di persona ogni suo indumento, e non certo per motivi di interesse personale, tuttavia si limitò a uno scarno: “Spero per lei che sia vero.”
Gli girò le spalle e rientrò in casa.
Il tenente la seguì per un istante con lo sguardo, poi tornò a dedicare le sue attenzioni all'aereo: era una bella macchina, con l'aria di essere appena uscita dalla fabbrica. La vernice era ancora lucida in alcuni punti, la tela tesa alla perfezione. Con il muso proteso verso l'alto, sembrava letteralmente invocare aria e cielo. “Ci divertiremo,” gli assicurò il tenente. Spostò poi lo sguardo sugli uomini che se ne stavano occupando: gente che chiaramente sapeva dove mettere le mani. Si chiese se avessero prelevato anche loro da qualche Jasta o se si trattasse di gente che si occupava di aeroplani già prima della guerra.
Incrociò lo sguardo di uno di essi. “Un bell'apparecchio, non è vero?” gli disse, battendo di nuovo la mano sulla fusoliera dell'Albatros C-III.
L'uomo annuì. “Sissignore.”
Sotto lo sguardo attento del meccanico, il tenente salì sulla semiala, di nuovo si sporse sulla carlinga, poi scese e andò a controllare che il serbatoio fosse pieno di benzina. Infine disse: “Beh, penso che sia ora di partire. Stia pronto a dare il giro all'elica.”
“Sissignore.”
Von Knobelsdorff si calò nello stretto abitacolo, si sistemò la carta sulla coscia, fissandola in modo che il vento non la portasse via, quindi cominciò i controlli pre-volo.
Completata la procedura, diede il contatto e urlò: “Contatto!”
Il motore partì e andò a regime con un rombo cupo, che gli faceva vibrare la gabbia toracica. Alzò la mano e fece segno di togliere i tacchi da sotto le ruote. L'aereo cominciò a rullare lentamente.
Von Knobelsdorff socchiuse gli occhi e cercò di cogliere l'essenza della nuova macchina attraverso le vibrazioni che il movimento gli trasmetteva, esattamente come avrebbe fatto con un cavallo mai montato prima.
Diede un po' di motore. L'aereo aumentò la velocità di rullaggio, le vibrazioni si fecero più intense. Portò la manetta tutta in avanti, l'aereo cominciò a divorare il prato nella corsa di decollo, il tenente incollò gli occhi agli strumenti, che stavano prendendo vita insieme all'aereo. Alla velocità giusta tirò indietro la barra ed esso si staccò dolcemente da terra.
Il tenente gli lasciò prendere quota, intervenendo al minimo sui comandi. L'Albatros C-III saliva docile, senza scossoni, senza tentativi di ribellione. Pensò che se si fosse trattato di un cavallo sarebbe stato un bel castrone robusto, di quelli in sella ai quali si può affrontare un'intera giornata di caccia, forse lenti, ma più comodi di una poltrona.
Abbozzò una virata e l'aereo reagì come previsto, con un movimento calmo, sicuro, senza scosse.
A quel punto, von Knobelsdorff abbassò lo sguardo sulla cartina, poi inclinò l'aereo e si sporse di lato alla ricerca del primo dei punti di riferimento con cui aveva contrassegnato la navigazione.

A terra, la donna si pose la mano di taglio sulla fronte per schermare gli occhi dalla luce nitida dell'alba. Fissò l'aereo, che ormai era un puntino all'orizzonte, poi emise un sospiro e disse: “Speriamo.”
Al suo fianco, l'uomo che le faceva da aiutante chiese: “Non ti fidi?”
“È una testa calda, vorrà fare a modo suo.”
L'altro alzò le spalle. “Non credo che con il Werwolf potrà permettersi tante alzate di testa.”
“Sai com'è fatto il Werwolf,” fu la replica.
“Non penso che si lascerà distrarre,” disse l'uomo, rivolgendo uno sguardo distratto alla gente che si dava da fare per cancellare ogni segno del decollo, “anche per lui la missione viene prima di tutto.”









[1] La Jasta 11 era quella di von Richthofen
[2] Questa vicenda di Annemarie Lesser (celeberrima spia tedesca, nota come “Mademoiselle Docteur”) è storicamente documentata.



   
 
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