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Autore: Barbra    18/02/2021    1 recensioni
Sequel (spin-off) di Avatar e Pokémon - la Leggenda di Gong. Ambientato una quindicina di anni dopo.
DAL TESTO: "Soprappensiero, Sonia digitò di nuovo il nome di Sanna Lenew. Poi di Sanna Lenu, poi di Senna Lenu. Per un motivo o per l'altro, tutti quei nominativi non esistevano.
Lenu, scrittura quasi fonetica della sigla L.N.U., “Last Name Unknown”, era più comune di quanto Sonia volesse credere. Ma la ragazza che l'aveva appena truffata non era tra i Lenu registrati.
La Professoressa si precipitò alla porta del laboratorio e guardò in lontananza tra i passanti. L'imbrogliona era già sparita.
Allora si aggrappò al telefono, decisa a tagliarle ogni via di fuga dalla città e dalla Regione di Galar."
Personaggi non in elenco: Sird (Pokémon Adventures)
CONCLUSA il 20/05/21
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio, Team Galassia
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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8. Isola Cannella


 
 
 




Mr. Mime cadde sottolineando coi gesti il suo svenimento. Fu ritirato nella sfera.

Sabrina, che sapeva di essere osservata e di dover dire qualcosa, rispolverò l’ultima intervista rilasciata dal Professor Samuel Oak prima della sua dipartita: «Il nostro mondo sta cambiando. In questa corsa frenetica della civiltà umana, allenare i Pokémon ci permette di non dimenticare il passato».

Sedna ricevette la Medaglia Palude dalle sue curatissime mani.

Laran, seduto sugli spalti, batté le mani senza entusiasmo.

«Un’altra grande Allenatrice a tempo perso che colleziona tutte e otto le Medaglie, riesce a superare la selezione dei Superquattro, che ormai è un proforma… ma poi si tira indietro prima di sfidarmi. Che perdita di tempo e seccatura, per voi Capopalestra! Allenare i Pokémon adesso non ha lo stesso significato che aveva in passato. Ora è una moda».

Sabrina ne uscì con un diplomatico: «Probabile…» pronunciato a voce bassa.

«Guarda che tu sei solo un anno più vecchio di me, Campione!».

«Ha ragione lei» intervenne Yulia. «Non ricordi i racconti del padre di Emery? Allenare Pokémon, a Galar, era un’idiozia consumistica anche vent’anni fa. Non è una questine di tempi».

Laran ignorò le parole di Yulia.

Guardò l’altra ragazza con disprezzo. «Tu non sei un’Allenatrice…».

«Conosco una persona che considera il titolo di “Allenatore” un’offesa».

Laran aveva sentito abbastanza. «Non ti permetterò di infangare ulteriormente la nostra categoria. Se non ti presenterai all’Altopiano Blu per sfidarmi, Sedna, io verrò a cercarti».

Davanti a quello spettacolo, Sabrina appariva impassibile sotto il make-up. Ma niente le migliorava la giornata più di vedere la vita di qualcun altro complicarsi.

 


*
 

 

Due donne e un uomo in uniforme Rocket irruppero nel Dojo Karate di Zafferanopoli.

Tutti e tre avevano corte capigliature castane, lineamenti caucasici e occhi marroni. Erano così simili l’un l’altro da sembrare fratelli. Sulla giacca della divisa avevano stampata la R rossa che non si vedeva da molti anni.

Qualcosa non quadrava.

Il Maestro Cinturanera del Dojo chiese ingenuamente agli altri Allenatori presenti di mantenere la calma.

Lt. Surge, ex Rocket lui stesso, che era lì perché usava allenarsi in quel Dojo, fece cenno al suo Raichu di tenere alta la guardia.

Dall’altra parte delle telecamere installate negli occhi degli androidi, seduta davanti a uno schermo, Mars dirigeva l’operazione. Conosceva Lt. Surge per fama, conosceva la sua storia e la sua provenienza.

«Guarda chi c’è…! Ma chisseloaspettava?! Unoviani di merda…!».

Venus, seduto accanto a lei, le diede un buffetto sulla guancia. L’eterna ragazzina scoppiò a ridere. Gli prese la mano e gli baciò le dita. «Non mi distrarre, tu!».

Janine, catturata e interrogata da Sird e Saturno, aveva indicato il Dojo Karate come principale centro di addestramento dei Qi-blockers di Kanto.

Il Maestro Koichi conosceva personalmente tutti i ragazzi addestrati in quell’arte.

Perciò doveva essere preso e interrogato. Usare delle spie per carpire informazioni avrebbe richiesto troppo tempo: una lettura neurologica forzata sarebbe stata la soluzione migliore.

Il Maestro fu invitato a inginocchiarsi mentre due fucili leggeri e sottili lo tenevano sotto tiro.

Gli fu fatto indossare un casco trasparente, munito di elettrodi e collegato a distanza allo schermo di Mars.

Una delle Unità Rosse vestite da Rocket parlò, come per formulare una domanda: «I tuoi allievi…?» e lì si interruppe.

La mente dell’ignaro Maestro evocò involontariamente quella che poteva essere una bella foto di gruppo. Ragazzi e ragazze in kimono sportivo disposti in riga. L’immagine di una di loro, una tredicenne dai capelli rosa con un fermaglio a forma di Rapidash Galariano, era particolarmente nitida e arricchita di una certa carica emotiva.

«Che schifezza! Pervertito!» gridò inorridita Mars, allontanando le mani dalla tastiera sullo schermo.

«Magari è la migliore dei suoi allievi. La sua pupilla...» le fece notare Venus.

«Lo spero!».

Il Maestro Koichi non avrebbe detto una parola sui ragazzi.

Sfortunatamente, le parole erano superflue.

Non poté nascondere la sorpresa quando il casco gli fu tolto, e gli strani intrusi fecero per andarsene.

Il silenzio fu rotto dal grido di Lt. Surge: «Raichu, use Thunder!».

Le informazioni erano già arrivate a destinazione e le tre reclute erano sacrificabili come il casco. Ma questo, lui non poteva saperlo. Era inoltre convinto di aggredire degli esseri umani.

Raichu non si fece scrupoli a eseguire l’ordine, e la donna che portava via il casco fu colpita da una scarica elettrica che si era formata proprio sopra la sua testa.

Mars selezionò uno dei comandi sullo schermo e cantilenò: «Granata...».

L’androide ormai a terra parve frammentarsi, e fu risucchiato in una frattura spazio-temporale assieme al casco, e ai due compagni che si trovavano nel raggio d’azione della granata.

Raichu fu respinto e volò all’indietro per colpa della carica elettrica accumulata nella pelliccia. Le telecamere oculari dei robot mandarono l’immagine disturbata del Luogotenente Surge che si tuffava nella discontinuità prima che si richiudesse.

Poi lo schermo divenne nero.

«Quanto sarà scemo, quell’uomo…!» commentò Mars.

«Sono morti?».

«Lui sì, se non lo recuperiamo. Io lo lascerei lì».

«Ma smettila! Non possiamo neppure buttare via così due androidi. Come li troviamo, adesso?».

«Sono tutti nel Mondo Distorto. Credo. L’ultima volta che abbiamo usato un aggeggio del genere, li ha spediti tutti lì…».

Il suo Holovox suonò in quel momento. E non era una chiamata interna.

La sua Purugly, Kitty, che sonnecchiava poco distante dalla padrona, tirò su la testa e protestò con un lungo e profondo miagolio. Era stata svegliata dalla suoneria. Fissò la Comandante con aria di rimprovero, ma lei non ci fece caso.

Cyrus si sarebbe infuriato, se avesse scoperto che aveva tenuto con sé un cellulare acceso durante un’operazione.

Perciò si accostò l’indice alla bocca e sussurrò a Venus: «Tu non dire nulla…!».

Poi rispose alla chiamata: «Pronto...?».

Si alzò e si allontanò chiacchierando dal computer.

N la guardò storto, con la stessa espressione scontenta della Purugly negli occhi chiari.

Né lui né Kitty gradivano quella telefonata.


 

*

 

 

Il battello approdò finalmente all’Isola Cannella.

Sedna scese a terra ed esaminò il posto.

L’eruzione di una ventina d’anni prima aveva distrutto e poi ridato vita a una terra brulla. Il Signore dell’isola, il vulcano, dominava con il suo cono il paesaggio a nord-est.

Non era un brutto posto per una vacanza. Ma viverci doveva essere incredibilmente noioso. Gli isolani si dividevano in due categorie: quelli che gravitavano intorno al laboratorio e quelli che gravitavano intorno al turismo.

Si distinguevano a vista.

Una signora dai capelli grigi in camice bianco venne loro incontro.

Un Omanyte la seguiva con placida lentezza. Era un mollusco cefalopode azzurro con dieci tentacoli, che si portava dietro la sua conchiglia protettiva giallo ocra.

La sconosciuta non degnò Sedna di uno sguardo.

Parlò a Yuri: «Tu sei il figlio di Grigorij, non è vero?».

«Sì, Dottoressa. Sono Yuri Grigorevich. Che bell’Omanyte!».

Il Pokémon Ammonite agitò i tentacoli. Aveva capito che parlava di lui.

La scienziata sorrise appena. «Oma è con me da vent’anni, e ancora non ha imparato a riconoscermi. Se mi perde di vista, va dietro a chiunque indossi un camice».

Solo allora, la scienziata parve fare caso a Sedna.

«Tua sorella non è con te?».

«No. Laran le ha “chiesto” di fermarsi con lui a Zafferanopoli. Glielo ha imposto, diciamo».

 

 

*

 

 

Sul tetto dell’edificio Galassia, una navetta attendeva il suo pilota.

«N…?! Dove vai?!».

Venus si voltò e vide la Comandante Eris camminare verso di lui. Camminava con un’eleganza difficile da imitare. Lui avrebbe dovuto essere già partito, ma era stata l’incertezza a trattenerlo. Solo una cosa, in quel momento, avrebbe potuto allontanare Hua dai suoi pensieri. Quel qualcosa era una relazione vera con Mars, con cui aveva trascorso ogni notte dal suo arrivo a Sinnoh. Purtroppo, la sfavillante stella rossa del cielo Galassia non sembrava interessata a impegnarsi, né con lui né con nessun altro.

Innervosito anche dal comportamento di Mars, che lui avrebbe preferito persino ad Eris, N aveva esitato fin troppo a parlare: «Non è il caso che rimaniamo qui entrambi, Hua. Io torno a Unova».

«Aspetta. Tu resta qui, vado via io. Un palazzo in mezzo al deserto ha già una difesa naturale, e Hoopa potrebbe garantirmi sia protezione che una via di fuga».

«Se te ne vai, cerca di non tornare. Non voglio più vederti».

Lei piegò la testa di lato. «Adesso esageri!».

Lui era sul punto di risponderle, ma si rese conto che l’avrebbe soltanto insultata. Hua era la figlia naturale dell’umana in assoluto più vicina ad Arceus.

Lui, Natural, in fin dei conti era solo un comune mortale in grado di parlare coi Pokémon, generato da un uomo inviso ad Arceus: per Hoopa sarebbe stato molto più facile fare del male a lui e rimanere impunito, piuttosto che a lei.

Hua ci trovò da ridere. La sua era una risata piacevole e musicale, forse modulata dalla padronanza della recitazione. Gli si avvicinò e gli buttò le braccia al collo.

«Torna pure dentro. Chiederò ad Halqa di venirmi a prendere stasera».

N cercò di liberarsi dal suo abbraccio. Ma se Sird era quattro volte più forte di un uomo della sua stessa stazza, la sua fragile figlia era forte appena la metà di lei. E non lo lasciava andare.

Lui scosse la testa e cercò di non guardarle le labbra. «No. Non credo di potermi fidare di te. Se fossi tu a partire, torneresti qui a tuo piacimento, e saremmo punto e a capo. Se vorrai raggiungermi… di’ a Hoopa di portarti da me ad Unova».

 

 

*

 

 

Mentre la Dottoressa accompagnava Yuri al Laboratorio, Sedna andò dritta verso la Palestra. Era di Tipo Fuoco e lei, per la prima volta, era sicura di superarla anche senza i consigli di Yulia.

La Palestra era stata ricostruita proprio ai piedi del vulcano.

Sedna entrò tranquilla come se stesse andando al cinema. Poi le venne il dubbio di aver sbagliato edificio. La Palestra era un’unica, grande sala vuota, eccetto per una persona seduta in un angolo.

Emery, il ragazzo timido che Laran aveva protetto dai bulli, non era quello che Sedna si aspettava.

Coi suoi sedici anni appena compiuti, era un gigante di due metri e dieci.

Sulla sua fronte spiccava in rosso il tatuaggio di un occhio stilizzato. Un occhio aperto in verticale, con tre linee orizzontali che nascevano da entrambi i lati.

Sembrava un tipo silenzioso e tranquillo, ma era anche il terrore di chiunque conoscesse il sub-dominio della Combustione.

Il suo terzo occhio era il motivo per cui doveva starsene da solo: essere lì era come trovarsi disarmati in una stanza chiusa, assieme a un uomo armato di fucile.

Quando si alzò e venne nella sua direzione, Sedna fece un passo indietro. Sarebbe volentieri scappata rinunciando alla Medaglia.

«Benvenuta nella Palestra dell'Isola Cannella. Come vedi, ci sono solo io».

«Oh... e come mai...?».

Era pericoloso vivere a contatto con un mostro del genere.

Emery fece spallucce. «Quest'isola vive principalmente per il Laboratorio, tutti gli Allenatori di buon livello sono scienziati, e io non ho un grande feeling con gli scienziati... né loro con me».

«Oh... scommetto che ti sbagli...!».

Gli scienziati adoravano gli scherzi della natura, i mutanti come lui.

Il ragazzo non comprese il suo sottinteso.

Continuò a presentarle la sfida che la attendeva. «Ho una squadra di sei Pokémon, ma per superare la mia Palestra è sufficiente batterne quattro».

«Come mai questo vantaggio...?».

«Lo vedrai».

La ragazza lo seguì per prendere il posto dello sfidante.

Lui prese una sfera e mandò in campo Cinderace. L’energico coniglio bipede non sapeva stare fermo, e iniziò una corsa sul posto in attesa di conoscere l’avversario.

Sedna si sentì obbligata a mandare Inteleon.

Il coniglio bipede non nascose la sua sorpresa, ma era tra i pochi esemplari in grado di sfruttare positivamente l’entusiasmo.

Cominciò a correre con un piccolo sasso infuocato tra i piedi, evitando gli attacchi di Inteleon uno dopo l’altro e scagliandogli contro pietre circondate da fiamme.

Ma un tiratore come Inteleon, malgrado le ustioni procurate da Palla Infuocata, non poteva essere ingannato tante volte da un semplice bersaglio mobile.

Un doppio Tiromirato lo ferì rendendolo incapace di combattere.

Emery lo ritirò e mandò Magcargo, Pokémon Lava dal corpo rovente e viscoso, il guscio di roccia vulcanica, e l’aria amabilmente tonta.

Sedna ritirò Inteleon solo per far vedere quegli occhioni gialli a Primarina.

Primarina batté entusiasta le pinne, e poi lo mandò al tappeto con Cantoeffimero.

Dopo Magcargo, entrò Charizard. Era una femmina, ed Emery l’aveva avuta da adulta, quando per qualche motivo non era stata considerata più idonea fare la riproduttrice. Yulia non voleva che il suo esemplare maschio si distraesse dall’allenamento, perciò, nonostante ne apprezzasse moltissimo la specie e il carattere obbediente, l’aveva lasciata a lui.

In qualche modo, sfruttando le sue ali e le sue mosse di tipo Volante e Drago, riuscì a battere Primarina.

Sorpresa, Sedna mandò Greninja.

La Charizard precipitò colpita dal getto d’acqua al alta pressione di Idropompa.

Fu ritirata prima che toccasse terra.

La sostituì una bellissima e fiera Ninetales.

Quella scelta derivava dall’esperienza della madre Medium di Emery.

I Greninja, come altri Pokémon legati alle arti marziali orientali, soffrivano di un’inspiegabile e profonda succubanza psicologica nei confronti del grande gruppo dei Kitsune, ossia le Volpi. Fossero essi Vulpix, Eevee, Zorua o le loro evoluzioni.

Di fronte alla ruota di nove folte code della Pokémon Volpe, la Ninja rimase imbambolata.

Poco mancava che si inginocchiasse.

Sedna la ritirò e al suo posto mandò Feraligatr.

La grande Pokémon coccodrillo ruggì. Lei si sarebbe volentieri sgranocchiata le fragili ossa delle Volpi.

Dopo aver subito Idrondata e Sgranocchio, Ninetales si accasciò e fu ritirata nella Pokéball.

Era il quarto Pokémon che gli mandava al tappeto.

Sedna si aspettava di aver terminato la sfida.

Invece, il gigante Emery fece un passo avanti.

Con un movimento fluido del corpo e una smorfia spaventosa sul viso, che lo portò a sgranare entrambi gli occhi nell’atto di aprire il terzo, rilasciò dal centro della fronte il suo raggio contro Feraligatr.

La Pokémon, malgrado la stazza, fu sbalzata all’indietro da una deflagrazione appena il raggio la raggiunse. Quando la sua schiena toccò terra, era già svenuta.

Sedna corse da lei, sconvolta, per controllare come stesse. Quando Feraligatr emise un verso flebile, la ritirò nella sfera con le lacrime agli occhi.

Per qualche motivo, era convinta che quel colpo le avesse fatto più male dell’attacco di un Pokémon.

Emery non poteva nascondere di essere un Dominatore, perciò ne approfittava.

Si avvicinò per consegnarle la Medaglia Vulcano quando lei ancora era scossa.

«Il tuo Pokémon guarirà come da qualsiasi altra lotta» disse. «Loro sono molto più resistenti di noi. Non preoccuparti».

La ragazza fece saltare le tubature della Palestra e attirò a sé quanta più acqua possibile. Cominciò a frustare il mostro che aveva picchiato così duramente e, lei pensava, a tradimento una sua Pokémon.

Il ragazzo era disabituato a combattere, oltre ad essere consapevole di non poter modulare il suo Dominio come facevano gli altri Dominatori del Fuoco.

Arretrò con le mani alzate e cercò di calmarla a parole.

 

 

*

 

 

N rientrò nel suo palazzo sotterraneo di Unova, ormai completamente restaurato e ritrasformato nella reggia magnifica e deserta che era stato vent’anni prima. Dove lui vedeva un’abitazione in rovina, i Galassia avevano visto un bunker. Non avrebbero rinunciato a quel posto tanto facilmente. Anche se Venus in cuor suo lo odiava.

Credeva di aver dimenticato la luce accesa nella sua stanza, ma quello che vide lo sorprese.

Mars era seduta sul pavimento e armeggiava intorno al trenino giocattolo ormai rotto da moltissimi anni.

Posato accanto alla sua gamba c’era il modellino dell’aereo che avrebbe dovuto volare in cerchio attaccato a un’asta di ferro. Quello, l’aveva già trasformato in un drone.

«Ma quanto ci hai messo...?! Sei venuto a piedi?!».

«Non avevo idea di trovarti nel palazzo. Vengo qui soltanto per dormire. Mi sono trattenuto a Sciroccopoli».

I begli occhi color ambra della Comandante Galassia mandarono lampi.

Se fosse stata una Purugly, avrebbe inarcato la schiena e rizzato il pelo. Smise di lavorare sul trenino giocattolo: «Da Elesa? La modella?» domandò.

«No. Dalla ruota panoramica».

Mars si calmò così come si era arrabbiata.

Dette gli ultimi ritocchi al modellino e finalmente lo posò sulla ferrovia. Il trenino giocattolo ripartì.

N sorrise appena: «Grazie. Se avessi trovato la voglia, mi ci sarei messo anch’io, a riparare i giocattoli».

Lei fece un gesto di noncuranza. «Figurati!».

Dopo aver controllato che il trenino non si fermasse, la ragazza si alzò in piedi e si stiracchiò. Era stata in una posizione scomoda per troppo tempo.

Guardò distrattamente in alto e vide un anonimo soffitto grigio. «Mi avevi detto che questa stanza aveva le nuvolette sul pavimento e l’erba coi fiori sul soffitto. Dove sono?».

«Li ho cancellati».

«Ti facevano venire le vertigini?».

«Mi mettevano tristezza. Tutto, qui, mi mette un po’ di malinconia».

«Me l’hai detto...» ricordò Mars. «La prima parte della tua vita è stata in chiave minore, hai detto».

«Già. Quella volta, non avresti dovuto farmi bere».

«Mica solo quella volta! Non t’ho mai visto ridere, da sbronzo. Per questo ho più succhi di frutta che whiskey e vodka, in camera. Dov’è il carillon?».

«Quello rotto?».

«Sì».

«Non lo voglio sentire. Non ci riesco...».

«Se non l’hai buttato via, perché non provi ad aggiustarlo? È impossibile che un carillon per bambini sia stato concepito per suonare una musica inquietante. Non ti piacerebbe sapere come avrebbe dovuto essere?».



 

 

   
 
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