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Autore: Juriaka    20/02/2021    2 recensioni
[AtsuHina] [Side!BokuAka, IwaOi, KageHina, KenHina - le ultime due sono più di stampo platonico, ma potrebbero variare perché questa storia procede infischiandosene delle mie volontà]
Hinata si ritrova in un mondo in cui tutto funziona al contrario, o non funziona affatto. Non ricorda da dove provenga, né la sua famiglia. Sa soltanto che ha perduto qualcosa - non sa però di preciso cosa -, e che per uscire da quel luogo sottosopra dovrà ritrovarlo. Ci sono, tuttavia, alcune regole fondamentali da tenere a mente: non arrivare mai in ritardo, non pronunciare mai quella parola che inizia per 'F', e non dimenticare mai il suo nome. Più circa un altro migliaio.
Con la gentile partecipazione d'un gatto un po' (parecchio) diabolico, una ciurma di pirati, un motociclista sotto l'oceano e due volpi ancor più diaboliche del gatto, e tanti altri.
(AU ispirata ad Alice nel Paese delle Meraviglie)
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Osamu Miya, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note iniziali: Intanto, ciaaao e grazie per essere qui! Volevo solo avvertire i lettori che in questo capitolo specifico, seppur tramite metafora, si accennerà alla depressione. E, in generale, in questa storia potrebbero essere presenti descrizioni abbastanza cruente (ho inserito l'avvertimento 'dark' di proposito), e saranno trattate tematiche delicate (esempio: autolesionismo). Scusate la specifica noiosa, ma non vorrei vi ritrovaste a leggere qualcosa di disturbante! Detto ciò, grazie e buona lettura!
 

Capitolo I


Hinata cadde. Precipitò in un baratro grigio scuro, un miscuglio di cenere e pece. Sotto di lui, biancheggiava una distesa che pareva l’oceano. Il gatto nero, al suo fianco, allargò le zampine come se stesse tentando di assumere una posizione aerodinamica.
‘’AAAAAH!’’ gridò Hinata, e il suo urlo si perse nell’aria. Il gatto si voltò a guardarlo perfettamente tranquillo e gli fece l'occhiolino, prima di iniziare a leccarsi la zampa.
Hinata cadde, cadde e cadde ancora, per quello che parve un tempo infinito, dilatato, che trascendeva qualunque concezione di tempo avuta sino a quel momento.
‘’AAAAAAAAH!’’ continuò a urlare, terrorizzato.
‘’Non preoccuparti’’ miagolò il gatto ruffiano, smettendo di pulirsi. ‘’Non puoi morire precipitando. È una delle regole di Qui. Vedi? Stai già rallentando.’’
E difatti, il gatto nero aveva ragione. Hinata s’accorse di non precipitare più in picchiata libera come un proiettile umano. Piuttosto, volteggiava dolcemente proseguendo verso il basso, come il polline dei pioppi.
‘’Potevi dirmelo prima!’’ sbottò allora Hinata, con il cuore che palpitava impazzito nel petto.
‘’Tu mi hai detto di dirti solo le regole importanti.’’
‘’Questa mi sembra piuttosto importante!’’
Il gatto reclinò le orecchie, pensieroso.
‘’Beh, immagino dipenda dai punti di vista. Mi auguro che tu sappia nuotare’’ aggiunse poi, ammiccando al mare che diveniva sempre più vicino.
Hinata ebbe giusto il tempo di annuire, e poi splash!, sprofondò in quell’oceano sconfinato, dal colore piuttosto strano. Era d’un bianco lattiginoso, e l’odore era dolciastro, molto più delicato rispetto a quello della salsedine. Iniziò a muovere freneticamente le braccia a cagnolino per restare a galla, e quando un’onda s’infranse sulla sua faccia, Hinata s’accorse che anche il sapore era diverso da quello dell'acqua salata.
‘’Ma è latte!’’ esclamò, sorpreso.
‘’E che ti aspettavi? Succo d’arancia?’’
Hinata si leccò le labbra per assaporarlo, e il gatto gli gettò un’occhiata torva.
‘’Attento’’ lo rimproverò, muovendo le zampe. ‘’Guarda che i bambini ci pisciano lo stesso.’’
Hinata imbastì un’espressione disgustata, prima di sollevare l’arco delle sopracciglia per la meraviglia. ‘’Non sapevo che i gatti sapessero nuotare!’’
‘’Oh sì, siamo anche piuttosto bravi. Solo che siamo troppo pigri, il più delle volte. E buona parte della nostra specie è propensa a istinti suicidi, ecco perché finiamo sempre sotto le macchine.’’
Poi il gatto nuotò fino alla sua spalla e s’aggrappò con gli artigli alla sua veste.
‘’E adesso? Da che parte vado?’ domandò Hinata, con le braccia che iniziavano a dolere per lo sforzo protratto di mantenersi a galla. Il mare si estendeva fino all’orizzonte in ogni direzione.
‘’Beh, sei nel bel mezzo dell’oceano di latte. Non ti resta che annegare.’’
‘’Come, scusa?’’
‘’Mi hai sentito. E ti ho già detto che non mi piace ripetermi.’’
‘’Ma sei stato tu a farmi finire quaggiù!’’
‘’Non è Quaggiù. È Qui. E comunque, se non avessi attraversato La Porta, saresti rimasto intrappolato per sempre in una dimensione che non esiste. Meglio annegare, no?’’
‘’Ma non posso annegare! Insomma, sono precipitato e non mi sono schiantato…’’
‘’È un’altra delle regole. Non puoi morire cadendo, ma puoi morire affogato.’’
‘’Ma non ha senso!’’
‘’Non ho mai detto che lo avesse. Sei tu che ti ostini a cercarlo.’’
Il panico tornò a scoppiettargli nella pancia. Regole, regole e ancora regole, nient’altro che regole! Si guardò intorno disperato alla ricerca del più piccolo appiglio, della più piccola ombra, anche lontana, che testimoniasse la presenza di un qualcosa (qualunque cosa, davvero!) che non fosse quella distesa di latte. Necessitava con urgenza di riposare le membra, che stavano diventando rigide come pietra. Tra poco sarebbero iniziati i crampi, e a quel punto sarebbe affondato a picco come un sasso.
Poi, qualcosa si mosse sul velo del mare di latte, poco distante. Fu un luccichio, che brillò come una moneta nascosta nel prato.
‘’Oh, un pesciolino d’argento!’’ esclamò il gatto, e Hinata inarcò le sopracciglia incuriosito, perché lui un pesciolino d’argento non l’aveva mai visto.
Quando però poi riuscì a distinguere la forma effettiva del pesciolino d’argento che zigzagava sulla superficie liquida diretto verso di lui, smise persino di respirare per la paura densa come melma che lo avvolse. Quello non era un pesciolino. Non era nemmeno un pesce normale. Non era neanche una creatura acquatica. Era una scolopendra gigante.
‘’Non è il momento di farsi prendere dal panico, gamberetto!’’ soffiò il gatto al suo orecchio, rifilandogli una zampata sulla guancia. ‘’Hai un’arma. Utilizzala.’’
Giusto. Hinata aveva un arma. Un piccolo pugnale di ossidiana infilato nella cintura, che rispetto alle dimensioni della scolopendra acquatica che s’avvicinava inesorabile pareva un aghetto di paglia.
‘’Puoi farcela’’, riecheggiò una voce nei meandri della sua testa. ‘’Puoi farcela. Sii coraggioso. Muoviti. Muoviti. Muoviti.’’
Ma Hinata non si mosse. Hinata non percepiva più neanche la stanchezza. Era solo paralizzato. Oramai la scolopendra argentata era talmente vicina che riusciva a udire lo schiocco delle tenaglie che s’aprivano e si chiudevano (claclac!, claclac!, claclac!).
Un’onda alta si sollevò all’improvviso, e Hinata fu spinto in avanti. Vittima della corrente che lo travolse, finì con la nuca sotto il latte. A causa del liquido che gli entrò nelle palpebre, non riusciva a vedere più niente, neanche la scolopendra. I polmoni iniziarono a bruciargli per la mancanza di ossigeno, e il suo ultimo pensiero razionale fu ‘’il gatto! dov’è il gatto?’’, prima che una fitta lancinante gli percorse l’avambraccio: qualcosa di affilato gli aveva squarciato l’epidermide. Preda del panico, iniziò a scalciare e ad agitare le braccia intorno a sé alla cieca, ma era indebolito e ostacolato dalla stanchezza fisica e dalla corrente.
‘’Il pugnale’’, pensò disperato, ‘’il pugnale.’’
Ma la mancanza d’aria era diventata insostenibile. Bruciava tutto. Era stanco, stanco morto. E c’era la scolopendra, che l’avrebbe divorato da lì a pochi istanti, e nessuno l’avrebbe più ritrovato…
‘’Ma nessuno chi?’’ si domandò, allucinato, il flusso di coscienza sempre più labile, lontano. ‘’Io non ricordo niente. Chi dovrebbe cercarmi?’’
Poi, qualcosa lo arpionò per la collottola della veste, issandolo verso l’alto. L’aria gli sferzò la faccia, infine sbatté il coccige contro una superficie fredda. E mentre ispirava ampie boccate di ossigeno, fece giusto in tempo a vedere il gatto nero strofinarsi contro le sue gambe zuppe facendo le fusa, e un ragazzo dall’espressione torva e due occhi blu come l’abisso del mare (il mare vero), che lo trafiggevano da parte a parte.
‘’Scemo’’ borbottò il ragazzo.
Hinata spalancò la bocca d’istinto, per rispondere a tono, e poi svenne.

 
*

Quando Hinata aprì di nuovo gli occhi, fu l’oscurità ad accoglierlo. Non si trovava più nell’oceano di latte, bensì sdraiato su una battigia, percepiva la sabbia sotto i polpastrelli, incagliata nelle unghie. Con un grugnito e un gemito di dolore, si mise seduto. Il braccio sinistro pulsava atrocemente. Hinata si tirò su la manica, e vide che qualcuno gliel’aveva bendato, ma il tessuto candido della garza era già tinto di vermiglio. Le onde del mare si infrangevano schiumose sulla punta delle calzature in pelle. Il cielo era buio, e inquietantemente uniforme. Non c’erano né la luna, né le stelle, eppure un vago chiarore illuminava il mare e gli permetteva di distinguere la sagoma della spiaggia e delle sue ginocchia storte. Osservandosi intorno, scoprì che era proprio la sabbia a essere punteggiata da quelle che parevano piccole perle che emanavano luce, come se al posto delle conchiglie vi fossero incastonate delle lucciole.
Hinata ne afferrò una fra l’indice e il pollice, circospetto. Aveva la stessa dimensione di una pralina. Era calda e pulsava, come se fosse viva.
‘’Stelle’’ disse la voce del gatto. Hinata sobbalzò, ritrovandoselo accanto. Eppure era certo di essere da solo, fino a un istante prima.
‘’Stelle’’ ripeté allora perplesso, inclinando la nuca. ‘’Un momento, cosa?!’’
‘’Ma perché non capisci mai al primo colpo?’’ domandò il gatto con un sospiro, poi avvicinò il muso appuntito a terra, ne annusò una e se la mangiò. ‘’Buone. Sanno di polpo.’’
‘’Si mangiano?’’
‘’Certo che sì. Che ti aspettavi?’’
Hinata storse la bocca, piccato. Quel gatto lo faceva sentire così stupido.
‘’Da me le stelle non sono mica commestibili. Sono tipo… gigantesche palle di gas incandescenti.’’
‘’È una metafora per dire che sono piccanti?’’
‘’No, sono proprio incandescenti.’’
‘’Che mondo strano’’ replicò il gatto con un sorriso furbo - un ghigno che, di gattesco, non possedeva proprio niente. Poi se ne ficcò un’altra in bocca.
La pancia di Hinata brontolò.
‘’Mangia’’ suggerì il gatto, dopo essersi leccato i baffi. ‘’Non ti uccideranno mica. Per di più, sono molto nutrienti.’’
Hinata ubbidì. D’altronde, dopo tutto quello che era accaduto, non avrebbe dovuto stupirsi se le stelle in quel mondo erano molluschi commestibili che si trovavano per terra, invece che nel cielo.
Ne afferrò quindi una manciata, soffiò via la sabbia, e se le ficcò in bocca un po’ riluttante. In realtà, superato lo scetticismo iniziale, le stelle sapevano proprio di polpette al polpo, e avevano una consistenza croccante. Ci si riempì le guance.
‘’Che ti avevo detto?’’ disse il gatto compiaciuto.
‘’Sono buone’’ concordò Hinata biascicando. ‘’E la luna? Esiste qui?’’
‘’Certo che esiste’’ rispose il gatto stizzito, come se avesse detto chissà quale sciocchezza. ‘’Però si trova in fondo al mare.’’
Hinata rimase in silenzio, ficcandosi in bocca una pralina dietro l’altra mentre processava l’informazione. Era esausto, ma quel mondo era talmente stravagante che non riusciva a essere triste o abbattuto. L’incontro con la scolopendra, però, era stato come un secchio di acqua ghiacciata improvviso. Hinata non era stato in grado di reagire. Il terrore aveva avuto la meglio, pietrificandolo e rendendolo inerme come carne da macello. Se non fosse stato per quel ragazzo che gli aveva dato dell’idiota, sicuramente sarebbe…
‘’Un momento’’ disse Hinata, voltandosi verso il gatto che drizzò le orecchie. ‘’Chi era il tizio che mi ha aiutato?’’
‘’Oh, lui’’ rispose il gatto, poi iniziò a fare le fusa. ‘’Lo rincontrerai.’’
‘’Mi ha bendato il braccio, non è vero?’’
Il gatto annuì. O almeno, così gli parve..
‘’È tutto così assurdo’’, pensò Hinata. ‘’Sembra  tutto troppo reale per essere solo un sogno. E se non riuscissi a svegliarmi?’’
‘’Te l’ho detto’’ ribatté il gatto, leggendogli nella mente. ‘’Per svegliarti, dovrai trovare Quello.’’
Poi, il gatto si stiracchiò allungando le zampe anteriori, e piegò elegantemente la coda curvandone la punta.
‘’Beh, il mio compito è finito.’’
‘’Come? Cosa? Non vorrai lasciarmi mica qui da solo!’’
‘’Ma certo che voglio lasciarti qui da solo. Non avrai pensato che ti facessi da guida!’’ soffiò il gatto scioccato, come se Hinata avesse suggerito una possibilità chissà quanto blasfema.
‘’C’è altra gente che devo far cadere Qui. Son tutti sperduti come te, quando arrivano.’’
‘’Perché, ce ne sono altri?’’
‘’Ma certo, che domande. Arrivano a grappoli, ogni giorno. Capita a tutti di perdersi, prima o poi.’’
‘’Ma io nella sala della nebbia non ho visto nessuno!’’
‘’Non li hai visti tu, ma c’erano eccome. È che siete tutti tanto egoisti, e presi da voi stessi, da non accorgervi mai degli altri.’’
E il gatto iniziò a svanire.
‘’Non te ne andare!’’ Hinata balzò in piedi ignorando la fitta lancinante che gli esplose nel braccio, con la disperazione nella voce. ‘’Dimmi almeno che direzione prendere!’’
Il gatto sorrise, un ghigno che di gattesco non aveva niente. Oramai si vedevano solo i denti affilati (erano sempre stati così appuntiti?) e gli occhi gialli, quasi fluorescenti.
‘’A destra. Però ricorda: mai fidarti dei gatti. E non temere, gamberetto. Troverai altra gente disposta ad aiutarti.’’
Poi fece una pausa, che risuonò molto teatrale. ‘’O disposta a mangiarti. La differenza è sempre così sottile!’’
‘’Miao’’ soffiò infine dolcemente, e svanì nel nulla.
Hinata si ritrovò solo, la veste ancora umida di latte. Un brivido lo scosse.
Certo che era proprio un gatto strano.

 
*

Rifocillato dalla scorpacciata di stelle (molluschi?), Hinata si spolverò via la sabbia dalle gambe, e voltò le spalle al mare. Dove terminava la battigia, iniziava un bosco che si estendeva a perdita d’occhio, e Hinata s’incamminò verso di esso. Era consapevole dei rischi, soprattutto in seguito all’esperienza con la scolopendra, tuttavia rimanere immobile, attendendo che giungesse il mattino, gli pareva una tortura insopportabile. Fare qualcosa lo aiutava a calmarsi e a pensare con lucidità. E insomma, non sarebbe certo riuscito a fuggire da quel luogo rimanendo impalato.
Si addentrò verso l’interno con passo prudente. La vegetazione divenne più fitta, e ben presto Hinata si ritrovò circondato da salici piangenti, le cui chiome ricadevano rigogliose intorno ai tronchi possenti, sfiorandogli il viso e le spalle mentre procedeva immerso nella notte. Le stelle incastonate nel terriccio illuminavano i fili d’erba e i sassi d’una pallida luce argentata, quel tanto che bastava a impedirgli di inciampare nei propri passi. C’era un silenzio innaturale, interrotto soltanto dal fruscio della sua veste e delle scarpe. 
E poi, vide i cartelli.
Due segnali svettavano davanti a lui, attaccati al tronco di un salice. Uno puntava verso destra, l’altro verso sinistra. Aggrottando le sopracciglia sottili, Hinata si chinò e raccolse qualche stella da terra, utilizzandole come torcia per illuminare ciò che c’era scritto sopra .
‘’Sinistra’’ diceva quello che puntava a destra.
‘’Destra’’ recitava invece quello che indicava la sinistra.
Ora, non è che Hinata fosse proprio una cima con la logica, ma era piuttosto sicuro che quei segnali non avessero il benché minimo senso. Cos’è che gli aveva detto, il gatto? Di andare a destra? Dunque avrebbe dovuto imboccare la direzione indicata dal segnale su cui c’era scritto ‘destra’, e perciò a sinistra? O avrebbe dovuto svoltare a destra (seguendo la propria concezione di destra) e quindi seguire il cartello che diceva ‘sinistra’? Inoltre non poteva fidarsi del gatto, era una delle regole. Oppure non doveva fidarsi del gatto neanche quando diceva di non fidarsi, e dunque, al contrario, avrebbe dovuto fidarsi? Che poi, che razza di parole strane erano 'sinistra' e 'destra'? E chi aveva deciso quale fosse la destra e quale la sinistra? Così, in maniera arbitraria, un tizio un giorno s’era destato e aveva asserito ‘’ebbene sì, signori miei, da oggi questa sarà la destra e questa sarà la sinistra!’’. Forse perché s’era svegliato storto?
In quel momento, Hinata si rese conto di aver appena perduto il senso dell’orientamento. Nord, sud, est, ovest. Destra e sinistra. Sotto e sopra. Erano solo parole utilizzate per determinare un concetto che però, in quel mondo, non esisteva. Lui si trovava semplicemente Qui. E doveva proseguire.
Scuotendo la testa come per scacciare via tutti quei pensieri contorti, prese finalmente una decisione: andò dritto. Fu un’idea talmente improvvisa e geniale (secondo lui), che una lampadina si accese sopra la sua zazzera di riccioli scompigliati, e non in senso metaforico. Una lampadina concreta si materializzò sopra la sua nuca, illuminando per qualche secondo il suo viso, prima di svanire come se non fosse mai esistita.
Scivolò sotto i segnali rifiutandosi di imboccare sia il primo che il secondo sentiero, sentendosi piuttosto compiaciuto per aver trovato una soluzione così efficace che gli permettesse di ovviare all’indecisione. Era davvero fiero del proprio ragionamento (che cuore impavido, che animo spavaldo!). Il terreno si inarcò come il pelo rizzato di un animale, in salita, tuttavia Hinata stillava energia e stamina a fiotti, e dunque senza percepire la minima stanchezza s’inerpicò mantenendo un passo allegro e le labbra distese in un sorriso soddisfatto.
Hinata non poteva saperlo, ma lui, come funzionasse quel luogo, non l'aveva ancora compreso, e avrebbe fatto molto meglio a seguire i cartelli. Credendo di aver avuto chissà quale illuminazione, aveva al contrario imboccato la strada che conduceva in uno dei (tanti) luoghi più orridi, pericolosi e cruenti di Qui.
Da qualche parte, acciambellato su un ramo, un gatto nero scosse la testa e sospirò.

 
*

Hinata comprese che qualcosa non andava non appena iniziò a udire i primi lamenti. Ululati flebili, ma persistenti, che riecheggiavano nell’oscurità e facevano tremolare di paura persino le stelle incastonate nel terreno (erano sempre più rarefatte, Hinata se ne accorse solo in quel momento. Troppo tardi).
Mancavano pochi metri al termine della salita. Non era proprio certo di voler scoprire cosa si trovasse in cima.
Il pugnale in ossidiana nella cintura iniziò a riscaldarsi, come se volesse richiamare la sua attenzione. Hinata lo estrasse e strinse le dita attorno all’impugnatura, che pareva pulsare contro i polpastrelli. Si sentì un po’ più sicuro. A passo felpato, trattenendo il fiato e con i sensi all’erta, arrivò in cima. I suoi occhi necessitarono di qualche istante per processare ciò su cui si erano poggiati.
Era come se fosse sbucato in un cimitero. Senza tombe, però. Una nebbiolina fitta lo avvolgeva come una coperta soffocante e ghiacciata. Quella, più la notte e la quasi totale assenza di stelle, gli impedivano di distinguere con chiarezza tutto ciò che aveva intorno, ma c’erano delle cose, che strisciavano e si contorcevano intorno a lui. Erano le stesse che si lamentavano. Hinata ebbe la spiacevole sensazione - anzi, la certezza - che quelle cose fossero esseri umani. Terrorizzato, continuò ad avanzare in maniera automatica, aggrappandosi al calore emanato dall’elsa del piccolo pugnale. Le scarpe venivano risucchiate dal terreno sempre più melmoso, come se si fosse trasformato in un’immensa distesa di fango che voleva ostacolarlo, impedendogli di proseguire, di andare avanti, risucchiandolo. Quei grumi informi erano ammassati gli uni sugli altri, come se fossero stati gettati in una vera e propria discarica. E tremavano, sussurravano, strisciavano, piangevano. Somigliavano a larve pallide e rigonfie, aggrovigliate. Di alcune figure, Hinata riuscì a distinguere le mani, le guance scavate, le lingue penzolanti, tutto ciò che rimaneva delle loro sembianze originali. Altre, invece, erano completamente deformi, come se fossero cera sciolta. Le orecchie di Hinata non riuscivano a distinguere i loro sussurri, troppo confusi e flebili, ma era certo che esprimessero pura disperazione. Rimase raggelato quando passò accanto a un’ombra piccola, esile, che poteva appartenere solo a un bambino. Nonostante la paura, nonostante il senso di repulsione che lo spingeva a fuggire via da lì il prima possibile, Hinata si inginocchiò accanto a quel grumo lamentoso nella speranza (vana, lo sapeva, lo sentiva) di poter aiutare. Sollevò il braccio con l’intenzione di accarezzare la nuca di quell’esserino acciambellato su se stesso per confortarlo in qualche modo, i denti che battevano, ma non appena le sue dita lo sfiorarono, quest’ultimo emise un lamento atroce, agonizzante, come se stesse bruciando vivo, e s’allontanò strisciando di qualche metro.
Hinata provò quindi a rialzarsi, ma fallì. Le gambe erano divenute pesanti come il piombo, e non rispondevano agli impulsi. Nel panico più totale, strinse i denti e cominciò a colpirsi con i pugni cosce e polpacci, sperando che il formicolio e il dolore scaturiti dall’impatto lo spronassero a muoversi, ma era come se il suo corpo si fosse anestetizzato. E poi, capì.
Non erano le gambe, il problema, quanto piuttosto la disperazione fitta che colmava quel luogo. S’era infilata nella pelle e nell’anima, soffocandogli tutti i pori della pelle e la volontà di andare avanti, di proseguire. Persino respirare era diventato faticoso, persino inutile.
Hinata esaurì le sue ultime forze per rannicchiarsi su se stesso, tremante di freddo. Senza accorgersene, aveva iniziato anche lui a emettere gemiti di dolore, di disperazione, a causa di un’agonia così pungente e letale che trapassava le ossa. Il pugnale, poggiato mollemente sul suo palmo, non irradiava più calore. C’era solo quella persistente voglia di lasciar stare, nient’altro che disperazione, e Hinata era così stanco (stanco, stanchissimo), però doveva costringersi a respirare (respira!). Tuttavia l’idea di trattenere il fiato, smettendo di muovere il diaframma, era così allettante… Dopotutto, perché continuare? Sarebbe stato così facile chiudere gli occhi per far sì che quel dolore perpetuo finalmente svanisse per sempre e...
Un’ombra piccola e veloce catturò la sua attenzione. Quella distrazione, seppur minima, permise ai suoi polmoni di riempirsi d’aria un’altra volta. C’era un topo, poco lontano. Zampettò per qualche metro, fermandosi ad annusare i vari corpi che pulsavano sul terreno, e più si avvicinava, più Hinata si rendeva conto di quanto fosse grosso. Non era un topo normale, quello. Gli occhietti rossi brillavano cupi, inquietanti, vermigli come il sangue caldo.  
Si soffermò proprio sulla figura esile che Hinata aveva tentato di aiutare.
E poi, il ratto iniziò a mangiare.
Hinata avrebbe dato qualunque cosa per non sentire i lamenti agonizzanti del corpo che veniva dilaniato dai denti aguzzi dell’animale. Inorridito, ma inchiodato al suolo dalla disperazione e dalle membra che non volevano saperne di rispondere ai comandi, non poté far altro che assistere alla scena. Il ratto affondò il muso ancora e ancora e ancora, mentre quella creatura sotto di lui si contorceva dal dolore, e strillava, e implorava…
‘’Smettila!’’, pensò Hinata, le lacrime agli occhi, la rabbia nel petto. ‘’SMETTILA!’’
Ma il suo rimase un pensiero, un grido che riecheggiò solo per se stesso. Non ricordava più neanche come si parlasse, come si emettessero suoni. Però non si arrese, continuò a sforzarsi con tutto se stesso di sfuggire a quella paralisi totale, senza successo.
Poi, a quel ratto se ne aggiunse un secondo. E un terzo. E un quarto, finché un’intera colonia di topi non si ammassò su quella creatura come un vestito brulicante, punteggiato di rosso, creando una sinfonia di lamenti e di squittii.
Un topo si avvicinò a lui. Gli zampettò proprio davanti al viso, e Hinata riuscì a distinguere con chiarezza il pelo rizzato, i dentini affilati, gli occhi terrificanti.
‘’Va’ via!!!’’ avrebbe voluto gridare. ''Il pugnale'' pensò. ''Devo colpirlo col pugnale.''
Il muso del topo ora era vicinissimo. Sarebbe morto lì, mezzo sepolto nel fango, divorato vivo dai ratti.
Poi, il roditore drizzò la nuca e s’irrigidì, come se avesse percepito qualcosa. Un istante dopo fuggì via veloce come un proiettile, seguito da tutti gli altri. Prima che Hinata potesse chiedersi come mai, un paio di occhi luminosi come fari si allacciarono ai suoi. Erano gli occhi di una volpe, che s’era seduta davanti alla sua faccia prendendo il posto del topo, la coda affusolata avvolta intorno alle zampe con eleganza. Hinata, inerme, non poté fare altro che guardarla stralunato.
La volpe gli fece un occhiolino.
Poi, qualcosa gli morse la caviglia. Sentì distintamente dei denti aguzzi perforargli la pelle. La testa iniziò a martellare, il battito cardiaco accelerò a dismisura come se un veleno fosse entrato in circolo e si sentì andare a fuoco. L’ultima cosa che vide, fu una seconda volpe grigia che si sedette accanto a quella chiara, rifilandogli un’occhiata incuriosita.
‘’Ma sono due!’’, pensò Hinata, stupefatto.
E poi, il buio.

 
*

Quando Hinata si svegliò, non riuscì ad aprire gli occhi sin da subito. Era come se avesse le ciglia appiccicate fra di loro da una sostanza viscosa, simile al miele. Il suo primo istinto fu quello di strofinarsi la faccia, ma scoprì di essere legato.
Iniziò a divincolarsi con tutte le sue forze, contraendo invano i muscoli delle braccia per rompere le corde che gli stringevano la pelle sottile dei polsi, sbuffando e ringhiando.
‘’Sta’ buono’’ sussurrò una voce alla sua destra in tono divertito, caratterizzata da un accento esotico.
‘’Slegami!’’ gridò Hinata, indeciso se essere furioso o tremendamente spaventato.
‘’Lasciagli aprire gli occhi, ‘Tsumu’’ sibilò una voce alla sua sinistra, più distante, col medesimo accento.
Qualcosa di umido, qualcosa che pareva un dito, gli strofinò la palpebra. Hinata trasalì a quel contatto improvviso e tentò di divincolarsi con più ferocia.
‘’E piantala!’’ sbottò la voce, infastidita. ‘’Se continui muoverti non riesco a toglierti la cera dalla faccia.’’
‘’La cera?’’ esclamò Hinata, confuso.
‘’Quella che hai fra le ciglia.’’
Spaesato, Hinata rimase immobile. Anche perché, che altro avrebbe potuto fare?
Lasciò che l’altro gli strofinasse l’occhio, e quando finalmente fu in grado di aprirlo, riprese a contocersi: era tutto sfocato.
‘’Vuoi stare fermo?!’’
‘’Non vedo un accidenti!’’ esclamò Hinata, spalancando la bocca e provando a mordere la mano che sentiva vicino alla guancia.
‘’Ci vuole qualche minuto per abituarsi, ma se preferisci te li cavo direttamente entrambi!’’
Questo, con suo enorme disappunto, riuscì a farlo ammutolire. Si paralizzò e rimase quieto, mentre avvertiva le proprie ciglia piegarsi come bambù sotto le dita dell’altro.
Finalmente, fu in grado di spalancare entrambe le palpebre. Dapprima non vide altro che chiazze indistinte di colore che si mescolavano fra loro come grosse pennellate confuse, ma col trascorrere dei secondi i contorni divennero sempre più netti, finché Hinata non fu in grado di riconoscere due sagome umane. i
‘’Et voilà’’ disse il tipo più vicino a lui, scoprendo i denti in un ghigno soddisfatto. Un ghigno molto affilato.
Hinata s’accigliò. Si trovava in una specie di grotta, o di stanza circolare dalle pareti in pietra, incise con delle icone che non riuscì a decifrare. Era praticamente vuota, tranne per un lungo (lunghissimo!) tavolo di legno, e quella che sembrava una fornace, che emanava una luce calda che illuminava l'ambiente. Davanti a lui c’era un ragazzo che sembrava della sua stessa età, dal naso dritto, i capelli biondo chiaro, e le sopracciglia foltissime (foltissimissime!). Una linea sottile e arancione gli incorniciava gli occhi affamati, esaltando la tonalità chiara delle iridi, una via di mezzo fra il verde oliva e il miele. Portava allacciata una maschera di kitsune al lato destro del viso, che gli nascondeva l’orecchio. Era bianca, probabilmente fatta di gesso, con i dettagli del naso, della bocca e degli occhi rifiniti di vernice rossa e dorata.
‘’È rimasto senza parole per la mia bellezza!’’ gongolò faccia di volpe uno, voltandosi.
‘’Ma piantala’’ rispose l’altra voce, e Hinata torse immediatamente il collo con così tanto impeto da farselo scrocchiare.
Poco lontano, c’era un altro ragazzo, identico spiccicato a quello che aveva davanti, a differenza della tonalità degli occhi che era più scura, e quella dei capelli era più fredda, virava sul grigio. Anche lui indossava una maschera di Kitsune allacciata al capo, però pendeva sul lato sinistro invece che sul destro, era nera e luccicante come l’elitra degli scarabei, con i dettagli dipinti d’argento e di blu. Si trovava vicino al tavolo di legno su cui erano poggiate pentole, padelle, arnesi di vario tipo per cucinare, recipienti e brocche. In mano, stringeva un coltello affilato e stava sminuzzando qualcosa che Hinata non riusciva a vedere, ma c’era un odore simile a quello delle carote che aleggiava nell’aria. Entrambi indossavano due ampie tuniche che ricadevano morbide come neve, e dei sandali tradizionali. Con disappunto, ma anche con sollievo, vide che il gemello (perché doveva trattarsi di gemelli, giusto?) dalla maschera nera aveva il suo pugnale legato alla cintura di corda stretta intorno alla vita. Almeno non era andato perduto in quella sottospecie di cimitero.
‘’Lo cuciniamo arrosto con la salsa o lo facciamo alla griglia insieme al pesce?’’ chiese quest’ultimo.
‘’Mariniamolo! Col limone e il pepe rosa!’’
‘’Non se ne parla’’ rispose faccia di volpe due, schioccando la lingua. ‘’Non mi fido, fa che ci viene qualche malattia. Voglio cucinarlo per bene.’’
‘’Ma crude le cose sono più buone!’’
‘’E cotte sono più sane. Arrosto o alla griglia.’’
Faccia di volpe uno s’imbronciò come un bambino a cui era stato negato un giocattolo. Poi pestò i piedi e saltellò frustrato, dondolandosi da una gamba all’altra.
‘’Alla griglia’’ soffiò infine indispettito, vedendo che il gemello non gli stava prestando la benché minima attenzione.
‘’Scusate’’ s’intromise dunque Hinata con voce sottile, mantenendosi quanto più gentile ed educato possibile. ‘’Ma di cosa stareste parlando?’’
‘’Della cena.’’ 
‘’Non sono io, vero?’’ chiese, ridacchiando isterico.
Il sorriso del tizio biondo - quello più antipatico - divenne ancora più largo. Hinata poté praticamente contare ogni singolo dente luccicante.
‘’Certo che sei tu.’’
‘’Non t’abbiamo mica salvato la vita dai ratti per pura bontà d’animo’’ aggiunse faccia di volpe due, continuando a sminuzzare come se stesse preparando un soffritto.
‘’Vi ringrazio per avermi aiuato. Però sapete, io non ci tengo proprio a essere mangiato’’ insistette Hinata, mantenendosi il più cordiale possibile.
‘’E perché dovremmo darti retta?’’ domandò faccia di volpe uno.
‘’Perché... ve lo sto chiedendo con gentilezza?’’
‘’Tu ti faresti scappare la tua cena solo perché te lo chiede con gentilezza, Shouyou-kun?’’
‘’Beh…’’ e qui, Hinata s’interruppe. ‘’Un momento. Come fai a sapere il mio nome?’’
‘’Non ne ho idea’’ rispose l’altro, e sembrava sincero. ‘’Ora tappati la bocca, vuoi? Il cibo non chiacchiera.’’
‘’Ma io non sono cibo!’’ ribatté Hinata, iniziando a muovere a scatti i polsi nel tentativo disperato di liberarsi dalle corde. ‘’Tra l’altro, ho sicuramente un sapore schifosissimo.’’
‘’Lascia stare’’ disse faccia di volpe due, scuotendo la testa. ‘’Dicono sempre tutti così. Non è più una scusa credibile.’’
‘’Tutti? Tutti chi? Voi mangiate spesso altri esseri umani? Siete forse cannibali?’’
‘’Noi non siamo umani’’ rispose il gemello più vicino, storcendo il naso come avesse detto qualcosa di estremamente offensivo. ‘’Noi siamo volpi. Anzi, kitsune, per la precisione. Siamo demoni.’’
‘’Oh!’’ rispose Hinata, in parte sollevato perché almeno non si trattava di cannibali. ‘’Sì, beh, chiedo davvero scusa, ma io non ci tengo proprio finire divorato. Non c’è qualcos’altro che potrei fare per voi?’’
Faccia di volpe uno scoppiò a ridere. ‘’E cos’è che saresti mai in grado di offrirci, piccolo umano?’’
‘’Beh, pur di non morire le persone farebbero follie!’’ ribatté Hinata, con sincerità. ‘’Immagino che sarei disposto a fare qualunque cosa.’’
‘’’Samu’’ chiamò allora, rivolgendosi al fratello. ‘’Tu hai un desiderio in particolare?’’
‘’Veramente io ho solo fame’’ rispose l’altro senza battere ciglio.
Faccia di volpe uno si voltò nuovamente verso Hinata, e si leccò le labbra. ‘’L’hai sentito. Non puoi fare nulla per noi, se non diventare la nostra cena.’’
‘’Ma davvero, ho un tasso nutrizionale super scadente. E sono molto poco digeribile.’’
‘’Sta mentendo’’ intervenne il gemello più distante. ‘’Gli umani possiedono uno dei tassi nutrizionali più completi, per noi kitsune. È per questo che nelle leggende tentiamo sempre di mangiarvi. Perché siete buoni, oltre che salutari.’’
‘’Accidenti’’ rispose Hinata, sinceramente intristito. ‘’Però, sei un intenditore!’’
L’altro alzò lo sguardo, piuttosto compiaciuto. ‘’Beh, se vuoi metterla così…’’
‘’’Samu, guarda che ti sta fregando’’ ribatté faccia di volpe uno, arricciando le labbra. Poi si rivolse a Hinata. ‘’Non credere di poterci adulare così facilmente.’’
‘’Oh, non potrei mai!’’ rispose, chinando leziosamente la testa per esprimere dispiacere e rispetto. Poi alzò nuovamente lo sguardo e lo allacciò al suo. ‘’L’ho capito subito, che siete troppo intelligenti.’’
L’altro sgranò gli occhi e arrossì un poco, poi si voltò verso il fratello imbastendo un’espressione dubbiosa.
‘’Beh… forse potremmo tenerlo come animale da compagnia?’’
‘’No’’ sbottò l’altro, accigliandosi. ‘’Lo sta facendo di proposito. Ma noi siamo demoni-volpe. Nessuno può ingannarci. Siamo noi quelli che inganniamo gli altri.’’
‘’Per favore’’ supplicò Hinata, sbattendo le ciglia. ‘’Non mangiatemi. Sono… simpatico, credo! Ho una pessima memoria, ma imparo velocemente! Posso aiutarvi a trovare altro da mangiare, per questa sera! E se volete posso anche pulire i piatti, e lucidare le posate, e…’’
‘’No.’’
‘’Per favore! Sono… sono anche bravo a fare i massaggi, ecco!’’ esclamò Hinata, aggrappandosi a tutto ciò che gli balzava in mente.
‘’Massaggi?’’ esclamarono allora entrambi, irrigidendosi. Faccia di volpe due lasciò persino il coltello.
‘’Sì?’’ titubò Hinata intimorito, pensando di aver detto qualcosa di offensivo. Erano così volubili, quelle volpi!
Per un po’, riecheggiò solo il silenzio..
‘’E... i grattini dietro le orecchie?’’ domandò poi il gemello più lontano in un sussurro appena udibile, come se stesse pronunciando parole proibite.
Hinata annuì.
‘’Anche… anche sotto il mento?’’
Hinata annuì di nuovo, con più convinzione..
‘’E… e anche sotto la pancia?’’
‘’Oh, ma certo! Soprattutto sotto la pancia!’’
Scoppiò il pandemonio. I due gemelli svanirono in uno sbuffo di fumo con uno schiocco assordante, e quando quest’ultimo si diradò, trovò due volpi scodinzolanti, che presero la rincorsa e si fiondarono su di lui con un balzo. A causa della ferocia dell’impatto, Hinata perse l’equilibrio e cadde a terra. Una fitta atroce di dolore gli attraversò il braccio, a causa della ferita lasciata dalla scolopendra.
‘’Aspett… aspettate!’’ biascicò Hinata trattenendo le lacrime, investito da quel vortice esagitato di pelo e zampette. ‘’Ho le mani legate!’’
La volpe dal manto più chiaro, sgusciò dietro la sua schiena e rosicchiò via la corda con i denti appuntiti. Poi saltellò nuovamente davanti a lui e gli poggiò il muso in grembo, la coda che saettava a destra e a sinistra, in trepidante attesa.
''Non ci posso credere'', pensò Hinata, e non appena sollevò entrambe le braccia per accarezzarle, le volpi iniziarono a guaire e a rotolarsi sul pavimento, scodinzolanti e pancia all’aria, ebbre di gioia.
‘’Non ci posso credere’’, pensò di nuovo sconvolto, mentre grattava il petto di una e il mento dell’altra. ‘’Vogliono davvero solo le coccole!’’
E, con un sorriso stampato in faccia (in parte perché il loro pelo era soffice come una nuvola, e in parte perché non sarebbe diventato la cena di nessuno), accarezzò le volpi finché non s’addormentarono acciambellate vicino alle sue gambe, con i musetti appuntiti adagiati sulle sue ginocchia.
''Certo che Qui è davvero un posto strano'' sussurrò Hinata, con le palpebre che divenivano pesanti. Infine, si rannicchiò su se stesso vittima del torpore e cadde in un sonno profondo.
Sognò di essere divorato da delle larve, e due volpi che ridevano di lui.



Note finali
EHILAAA. Ciao! Allora ho tante cose da dire quindi mi muovo, ma prima GRAZIE per aver letto. Davvero. Okay, andiamo avanti.
Nella vecchia fattoria, ia ia oh. Io l'ho pensato mentre scrivevo il capitolo perché la presenza di animali è spropositata. Mi dispiace.
Allora, questa storia è il mio guilty pleasure, nel senso che amo scriverla e che è un po' il mio rifugio in questo periodo molto stressante in generale per tutti quanti. Questo significa, però, che la sto scrivendo molto di getto senza minimamente ponderare la forma e in generale lo stile. Cioè, solitamente impiego eoni per revisionare capitoli perché sono un po' fissata con i termini e la sintassi ecc ecc, tuttavia in questi mesi so già che non avrò davvero tempo per dedicarmi con cura alla revisione e INSOMMA IN BREVE cioè i capitoli li pubblico un po' come li caco scusate la volgarità, quindi mi scuso per eventuali sminchiate grammaticali/stilistiche/eccetera ma non vorrei fossilizzarmi troppo sulla parte formale. Quindi ecco insomma mi dispiace se questa storia non sarà proprio (per niente) scritta al meglio ma vabbé. DETTO ciò. Allora, immagino vi starete tutti chiedendo (...no? facciamo finta di sì) ''ma com'è che Hinata non ha chiesto ai due gemelli informazioni sul luogo dov'era stato?'' perché sarebbe stata la cosa più logica da fare, e la risposta è questa: perché io ero esausta, Hinata era esausto, e quindi le domande più le informazioni sono tutte rimandate al prossimo capitolo. Scusate se Hinata sviene quarantamila volte, ma sto palesemente sfruttando la tecnica di Dante nella Divina Commedia perché WOW è meraviglioso ti permette proprio di alternare scenari senza stare lì a dover dare centomila spiegazioni su come si arriva in quel punto e niente è così fantastico meraviglioso vabbè grazie Dante. Poi oddio dovevo dire un'altra cosa ma non me lo ricordo. AH ECCO I RATTI. Allora, premettendo che io ami tutti gli animali, dovevo far fare la parte macabra a una specie e niente ho scelto i ratti su PALESE ispirazione presa da Coraline, il libro di Neil gaiman, che io AMO alla follia e chiudo qui perché altrimenti queste note si trasformano in un secondo capitolo e NIENTE GRAZIEEEEE davvero tengo molto a questa cosa scema e sono felice che siate arrivati sin qui!!! Love you all e spero che stiate tutti bene, alla prossima! ♥
EDIT: FERMI!!! Mi sonoo ricordata pure un'altra cosa!!! Relativa al pesciolino d'argento!!! Allora cioè io tipo una settimana fa ho scoperto tipo questa cosa assurda dei pesciolini d'argento che non sono pesci bensì quegli insetti che ogni tanto sgusciano per casa! Io le ho sempre chiamate forbicette e invece si chiamano PESCIOLINI D'ARGENTO raga ma che nome meraviglioso ??? E quindi niente da lì è nata la cosa della scolopendra CHE POI LO SO CHE NON È INTERESSANTE però volevo dirlo vabbé di nuovo LOVE YOU ALL ciao scusate sono logorroica
  
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