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Autore: futacookies    20/02/2021    5 recensioni
{tsukkiyama}
Dopo una disastrosa confessione d'amore, Tadashi scappa da casa Tsukishima. Oh, be', almeno ci prova.
«Ma, Tadashi-kun! Fuori c’è una bufera! Ho già parlato con tua madre, non possiamo davvero permettere che tu esca fuori con questo tempaccio.»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Condizioni meteorologiche sfavorevoli

(si sconsigliano spostamenti)



 

i. sereno variabile sulle campagne di Miyagi

 

«Oi, Yamaguchi?»

Yamaguchi, con la testa poggiata sul palmo della mano e lo sguardo rivolto verso le campagne illuminate dal freddo sole autunnale, non lo sente ‒ Kei aspetta qualche istante, lo richiama, ma Yamaguchi quasi sonnecchia nell’intervallo tra una lezione e l’altra.

È così carino, con un singolo raggio di sole che gli illumina le lentiggini e l’espressione finalmente rilassata, e quasi non vorrebbe svegliarlo. In fondo, tra il torneo primaverile alle porte e la responsabilità di essere capitano e gli esami e il diploma, dubita che abbia a disposizione molte ore di sonno tranquillo ‒ peccato, per lui, che Kei sappia essere anche terribilmente egoista, e che quindi non provi il benché minimo rimorso nell’interrompere il suo idillio.

«Yamaguchi!», lo scuote, e quello si raddrizza di soprassalto.

Si stropiccia un po’ la faccia, passandosi una mano davanti al volto, e sulla guancia che poggiava sulla sua mano si è formata una chiazza rossa.

«Scusa, Tsukki.», sbadiglia, e Kei sbuffa. 

«Vieni a studiare da me, dopo gli allenamenti? Ci sono alcune pagine di biologia che devo ripetere.»

Più che una domanda, Kei se ne rende conto, sembra quasi un ordine. Ma Yamaguchi non ci fa nemmeno caso, e se l’ha notato di certo non se ne lamenta, invece annuisce brevemente e poi torna a dormire sul tavolo, la testa appoggiata alle braccia incrociate. 

Yamaguchi dovrebbe andare a tagliarsi i capelli ‒ è un pensiero che lo coglie sul momento, perché deve trattenersi dallo scostare dalla sua fronte un ciuffo che si ostina a cadergli davanti agli occhi e forse dovrebbe proprio dirglielo. Dovrebbe dirgli “Yamaguchi, ti prego, va’ a tagliarti i capelli prima che io mi copra di ridicolo.” Oppure può sempre dirgli che, boh, gli stanno male. Di solito funziona. 

(Come quella volta in cui Yamaguchi gli aveva confidato che stava pensando di farsi un piercing all’orecchio e quell’immagine lo aveva perseguitato per giorni fino al punto in cui quasi non riusciva più a guardarlo in faccia. Alla fine aveva dovuto trovare il coraggio di dirgli che secondo lui non sarebbe stato bene e Yamaguchi prima aveva messo il broncio, poi ci aveva riflettuto un po’ su e grazie al cielo aveva accantonato il progetto. A volte Kei se lo sogna ancora.)

Quindi, ecco, la cosa migliore da fare sarebbe dirgli che è giunta l’ora di andare dal barbiere. Magari lo può accompagnare, giusto per assicurarsi che fino all’ultima di quelle ciocche che gli piacerebbe tantissimo toccare venga definitivamente tagliata. 

Il vento che soffia dalle montagne fa spostare rapidamente le nuvole sulle loro teste ‒ per un istante viene proiettata un’ombra sul viso di Yamaguchi, che muove una mano come a volerla scacciare via. Alcune delle loro compagne lo vedono e sorridono tra di loro. A Kei tocca uno sforzo sovrumano per non mostrarsi scocciato ‒ una volta le ragazze approcciavano Yamaguchi solo per chiedergli di lui e allora andava bene, perché lui poteva sempre rifiutarle, ma adesso vogliono tutte un appuntamento con Yamaguchi-kun e, be’, Kei non è stato cresciuto dai lupi, ma la voglia di ringhiare gli viene lo stesso. 

 

 

L’allenamento è sfiancante ‒ questo Tadashi può dirlo ancora prima di iniziare, perché l’ha scelto lui appositamente, per temprare lo spirito di squadra prima delle vacanze invernali. Un ultimo sforzo, ha detto, prima di giocare al torneo nazionale. Tsukki ha scrollato le spalle, Kageyama e Hinata sono stati abbastanza sfacciati da chiedere di fermarsi oltre gli allenamenti perché chiaramente puntano a strisciare fuori dalla palestra sulle punte dei capelli piuttosto che andarsene come delle persone normali e tutti i loro kouhai, che carini che sono, si sono semplicemente rassegnati al giro di tuffi punitivo dopo ogni partita. 

Essere capitano è elettrizzante per i primi dieci minuti, poi diventa soprattutto una scocciatura, come nel momento in cui vieni incolpato anche del fatto che i tuoi compagni di squadra respirino troppo o troppo poco o comunque male. Adesso, ad esempio, Takeda-sensei gli sta spiegando che tutti i ragazzi del primo anno, completamente presi dalla frenesia delle Nazionali, stanno trascurando i loro doveri di studenti.

Non sono mica loro padre, vorrebbe protestare, ma, ecco, Takeda-sensei minaccia di non farli partire con loro se i loro voti non miglioreranno per la fine del mese e Tadashi lo sa, sa che deve semplicemente minacciarli a sua volta affinché studino, ma in realtà vorrebbe soltanto abbracciare le ginocchia del professore e supplicarlo di chiudere un occhio e lasciarli in pace.

L’unica nota positiva della sua giornata sarà la serata da passare a casa di Tsukki a studiare e- si interrompe, dandosi una manata in fronte, perché l’ultima cosa a cui ha bisogno di pensare in questo momento è la sua imbarazzante cotta per Tsukki, che già lo distrae abbastanza da tutto quello su cui invece dovrebbe concentrarsi. 

Ad esempio, quella mattina si era svegliato prima e, invece che ripetere per qualche interrogazione, o andare ad aprire la palestra per i suoi compagni, si era riaddormentato e aveva fatto questo sogno bellissimo in cui Tsukki prima lo invitava a studiare e poi gli confessava i suoi sentimenti-

«Yamaguchi-kun?», lo scuote Yachi. «Ti sei appena dato una botta in fronte.», gli fa notare, il più gentilmente possibile. «Un’altra.», aggiunge, leggermente preoccupata. 

Tadashi annuisce. Poi scuote la testa. Cos’è che deve dire? Ah, sì, giusto. I ragazzi del primo anno. Condotta inaccettabile ‒ no, quelli erano i ragazzi del secondo anno la settimana scorsa. Oddio, cos'è? 

-e quindi Tsukki, che gli aveva appena detto di essere sempre stato innamorato di lui, si toglieva gli occhiali e lo baciava e le sue labbra sapevano di torta alla fragole. Solo che poi era suonata la sveglia e non aveva avuto il tempo di dirgli che anche lui lo amava.

Hinata e Kageyama hanno di nuovo fatto volare la parrucca del vicepreside? No, quello è stato all’inizio dell’anno, ormai sono a fine novembre, non è possibile che Takeda-sensei si sia scomodato per parlargli di nuovo di quello. Forse i loro voti non erano sufficienti? Ma certo, i voti dei primini erano peggiorati. 

Bravo, Tadashi, si dice, dandosi una metaforica pacca sulla spalla. Mentre imbocca il fischietto per richiamare tutti all’ordine, osserva distratto i nuvoloni grigi che si accumulano impietosi all’orizzonte. Eppure era una così bella giornata.



 

ii. rovesci e precipitazioni su casa Tsukishima (e dintorni)

 

Ha iniziato a piovere. Esattamente nel momento in cui lui e Tsukki hanno messo piede fuori dagli spogliatoi si è sentito il boato di un tuono e pochi istanti dopo lo scroscio violento di un acquazzone. E nessuno si è portato un ombrello, perché sono tutti adolescenti, mica controllano il meteo prima di uscire di casa la mattina.

Certo, sua madre aveva detto qualcosa sul fatto che al telegiornale avessero sconsigliato di uscire, ma come si fa, non si va a scuola? O peggio, si saltano gli allenamenti? O, prospettiva davvero lugubre e inaccettabile, si rinuncia a studiare con Tsukki? Per fortuna casa di Tsukki è più vicina alla scuola rispetto alla sua. 

Tsukki, che ha appena finito di controllare l’app del meteo, annuncia che è inutile aspettare e sperare in uno spiraglio di pausa. Continuerà a piovere a dirotto almeno fino a tarda sera. Si lanciano uno sguardo sconfitto ‒ seppure non dovessero propriamente mettersi a correre sotto l’acqua, di certo cammineranno molto rapidamente cercando riparo sotto le occasionali grondaie. Vivono pur sempre in campagna, loro. Come minimo dovranno attraversare ogni sorta di pozzanghera possibile e arriveranno zuppi fino alle punte dei capelli.

Tsukki impreca sottovoce e infila gli occhiali, già macchiati, nello zaino. Adesso ha lo sguardo un po’ perso e acquoso di un pesciolino rosso ‒ sbuffa contrariato, e Tadashi riesce a immaginare le bollicine che gli escono da bocca. 

«Andiamo, vecchia talpa.», gli dice ridendo, e allunga la mano.

È una cosa che hanno già fatto tantissime volte ‒ quando Tsukki si leva gli occhiali comincia a sbattere contro qualunque tipo di ostacolo, e spesso capita che inciampi sui suoi stessi piedi, quindi Yamaguchi lo tiene per mano e lo sballotta da un lato all’altro della strada per evitare che si faccia troppo male.

Adesso, però, mentre la mano gelida di Tsukki si muove per stringere la sua, Tadashi ha quasi l’istinto di toglierla. Perché, insomma, non c’è niente di romantico nel giocare a fare lo slalom tra i pali della luce con il tuo migliore amico, ma invece correre sotto la pioggia tenendosi per mano può diventare un’attività molto più suggestiva con il tuo ragazzo. Eh. Se solo Tsukki gli confessasse i suoi sentimenti. Tadashi sbuffa, una nuvoletta di aria che si forma dalla sua bocca, e stringe un po’ più saldamente le dita ghiacciate di Tsukki, marciando quanto più rapidamente verso casa sua.

Normalmente, per la camminata, di poco più di un chilometro, ci vogliono circa trenta minuti. Questo succede perché loro due sono lenti, stanchi per gli allenamenti, perché si bloccano ogni volta che vedono un gatto randagio per fare delle fotografie, perché si fermano con la squadra al Sakanoshita a mangiare i panini al vapore e poi lui e Tsukki si allungano a salutare Shimada-san, che a volte chiede pure una mano per spostare gli scatoloni da un lato all’altro del negozio.

(A volte, semplicemente, si siedono sulla prima panchina disponibile, a qualche centinaio di metri dal Sakonishita, e si mettono a parlare e perdere tempo finché il cielo non attraversa tutte le sfumature del tramonto e diventa improvvisamente buio. Tadashi conserva gelosamente nella sua memoria quei momenti, perché, be’, se solo lui e Tsukki stessero insieme potrebbero contare come appuntamenti, e nulla gli impedisce di pensare che potrebbero davvero diventarlo, una volta di queste.) 

Ovviamente, nulla di tutto ciò oggi è possibile. Abbandonati Hinata e Kageyama, che si stanno ancora allenando, tutti sono scappati a casa e con questo nubifragio anche solo pensare di allungare il percorso è in sé un atto criminale. Quindi Yamaguchi tira dritto e dopo una decina di minuti stanno gocciolando copiosamente sul genkan di casa di Tsukishima, con sua madre che esclama che sicuramente si beccheranno un febbrone e che devono correre subito a farsi una doccia. 

Si scusano per il disastro che hanno combinato e si dirigono verso il bagno ‒ Tsukki gli dice che gli presterà un cambio e uhm, sì, certo, lui non vede l’ora di morire lentamente mentre sente l’odore di Tsukki addosso a ogni passo. Si fa una doccia velocissima, il pensiero di Tsukki bagnato come un pulcino che sta aspettando che lui finisca è tutto l’incentivo di cui ha bisogno. 

Quando esce dal bagno, con ancora i capelli umidi e un asciugamano sui fianchi, si imbatte in Tsukki, che già si è spogliato per entrare entrare nella doccia. Ora, Tadashi lo ha visto più o meno vestito un sacco di volte ‒ prima degli allenamenti e dopo gli allenamenti e quando è particolarmente fortunato anche durante gli allenamenti, quando si solleva il lembo della maglia per asciugarsi il sudore e lui riesce con dubbia abilità a rubare l’ennesima occhiata ai suoi addominali e-. Quindi. Non bisogna perdere il filo.

Lui ha visto Tsukki svestito un sacco di volte, perciò l’essersi paralizzato, sulla porta del bagno che ancora continua ad occupare, soltanto per guardarlo, è un’azione che ha quasi dello inspiegabile. E anche il fatto che lo stesso Tsukki si sia bloccato, mentre stava per spostarlo di lato ed entrare, potrebbe non essere un’evoluzione degli avvenimenti perfettamente comprensibile.

Però, ecco, qualunque parola sembra morirgli in gola mentre il suo sguardo sembra intrufolarsi tra i lembi del suo accappatoio, un po’ allentato, e Tadashi deve davvero impegnarsi tanto per impedirsi di guardare sempre più, oltre gli addominali, seguendo la v formata dai fianchi e- quando si è fatto così vicino?

«Yamaguchi.», soffia, quasi contro la sua guancia. 

Tadashi sente che sta per dire qualcosa di molto sconveniente. O, peggio, sta per fare qualcosa di molto sconveniente. Controllo. Ci vuole autocontrollo.

«Tsukki.», risponde un istante dopo, schiacciandosi contro la porta. 

Davvero, chi gli ha detto che poteva avvicinarsi così tanto?

Si guardano per un istante interminabile, e Tadashi ha la sensazione che la fine del mondo sia davvero imminente, perché non è possibile che Tsukki lo stia davvero fissando in quel modo, probabilmente si è solo fatto una doccia troppo calda e adesso sta avendo le allucinazioni, oppure Tsukki ha già tolto gli occhiali e quindi non lo vede tanto bene, il che spiega i suoi occhi appannati e quasi affamati.

Deglutisce e incapace di sostenere il suo sguardo, ma la sensazione che stia per succedere qualcosa di irrimediabile resta comunque, almeno finché il boato di un tuono non li fa sobbalzare entrambi. Adesso anche Tsukki, imbarazzato, sta guardando da un’altra parte. 

«Allora-», comincia, fissando ostentatamente la parete oltre le sue spalle. «-vado a farmi la doccia.»

«Sì, certo.», annuisce Tadashi, cominciando a muoversi rapidamente nella direzione opposta. «Io vado a cambiarmi.»

«Bene.», gli risponde, sbattendo la porta del bagno.

«Bene.», strilla in risposta, anche se non è sicuro che Tsukki possa sentirlo.

In dieci minuti è asciutto e vestito, con una felpa le cui maniche gli stanno un po’ lunghe e un paio di pantaloni su cui probabilmente inciamperà quando dovrà scendere le scale. Il pensiero dello sguardo di Tsukki su di lui continua a infestargli la mente. Tadashi crede che continuerà a pensarci finché avrà coscienza.

Ma forse si è trattato solo di uno stupido scherzo della sua mente. Proprio perché è così innamorato di Tsukki, ha deciso di leggere tra le righe più di quanto non fosse implicato. Certo, è andata così. Per forza. Tutto uno scherzo della sua mente suscettibile. 

Il vento, alle sue spalle, continua ad ululare paurosamente. 

 

«Allora-», inizia lui quando Tsukki lo raggiunge, tuffandosi sul suo letto con un sospiro.

Tsukki indica il libro di scienze sulla sua scrivania ‒ grugniscono un po’, tutti e due, perché con questo tempo chi ce l’ha davvero la voglia di studiare, non sarebbe molto meglio stare buttati sul divano con una tazza di cioccolata calda in mano, magari guardando uno di quei programmi che passavano in tv quando erano piccoli. 

«Yamaguchi-», inizia Tsukki, sicuramente per proporgli quello che lui ha appena pensato.

«Devi studiare.»

«Dobbiamo

«Sì, okay, come dici tu. Dobbiamo. Però domani l’unico che sarò interrogato sei tu.», gli ricorda, e apre il libro su una pagina a caso e finisce con il chiedergli della respirazione cellulare. Tsukki chiude gli occhi e comincia a elencare nel dettaglio tutti i passaggi necessari.  

Tadashi appoggia la guancia sul palmo della mano e lo osserva mentre parla ‒ non c’è davvero bisogno che controlli quello che sta dicendo, perché sicuramente Tsukki ha già studiato tutto alla perfezione e magari l’ha invitato lì solo perché vuole sentirselo dire. Di solito si ricorda meglio le informazioni, se ha qualcuno a cui ripeterle. Dopo anni passati a fare i compiti insieme quasi tutti i pomeriggi, nei giorni in cui non capita c’è la sensazione che sia sbagliato, sedersi alla scrivania da solo. 

Vorrebbe- vorrebbe sedersi accanto a lui e fargli appoggiare la testa sulla sue gambe. Vorrebbe accarezzargli i capelli mentre parla. Vorrebbe distrarsi e perdersi a guardarlo ‒ e lo sta già facendo, certo, ma vorrebbe farlo senza il continuo terrore che Tsukki decida di aprire gli occhi e scoprirlo. E potrebbe farlo, se solo confessasse i suoi sentimenti. Se solo Tsukki lo ricambiasse. Ma, onestamente, quali sono le possibilità che una cosa del genere accada?

Poche. Anzi, pochissime. Molto più probabile che stanotte nevichi dal nulla e l’intera regione finisca sepolta dalla neve ‒ c’era questo problema di matematica, che hanno svolto la settimana scorsa, e non si ricorda nemmeno di che cosa parlasse, ma si ricorda che il risultato era una probabilità che sfiorava lo zero. Ecco, magari il protagonista era lui con il suo amore per Tsukki.

Sospira. Certo, se non glielo dice, non lo saprà mai. Questo suo improvviso moto di coraggio potrebbe però costare caro alla loro amicizia e Yamaguchi non vuole che succeda qualcosa alla loro amicizia. Ma d’altro canto se i suoi sentimenti fossero corrisposti la loro amicizia potrebbe evolvere ‒ sarebbe perfetto. Così perfetto che le possibilità che succeda davvero sono, per l’appunto, vicine allo zero. 

In moto di generosità nei propri confronti ha deciso che ci sia almeno un piccolo margine di riuscita ‒ un risultato per cui, straordinariamente, Tsukishima Kei, alto, biondo, bellissimo, che riceve lettere di confessioni un giorno sì e l’altro pure, ricambi i suoi sentimenti. Che poi, ecco, povere quelle ragazzine, tutte quelle loro confessioni così accuratamente vergate e decorate finiscono nel primo cestino della spazzatura perché “Non sono interessato alle ragazze, Yamaguchi”.

Il che gli lascia almeno sperare che possa essere interessato ai ragazzi, e, in un moto selvaggio della propria fantasia, che sia interessato proprio a lui ‒ motivo per cui, ehi, magari oggi è proprio un buon giorno per confessarsi. Magari gli dirà “Tsukki-”, oppure sarà abbastanza coraggioso da dire “Kei-”, perché ormai non c’è un’anima che possa definirsi sua amica e non chiamarlo Tsukki e Yamaguchi lo sa che è colpa sua ma non può fare a meno di essere geloso comunque.

Diceva, sì, forse lo avrebbe chiamato Kei e gli avrebbe detto che è innamorato di lui dalla prima volta in cui l’ha visto ‒ e che il suo amore non ha fatto altro che crescere, giorno dopo giorno, diventando sempre più ingombrante, a tratti quasi soffocante, fino al punto in cui non c’è un momento della giornata in cui non rivolga, almeno distrattamente, il suo pensiero a lui. 

Certo, dopo una dichiarazione del genere, rifiutarlo sarebbe praticamente impossibile. Si dà mentalmente una pacca sulla spalla, bravo, Tadashi, ha sempre saputo che guardare tutti quegli sceneggiati romantici con sua madre un giorno gli sarebbe tornato utile. 

Quasi come richiamato da tutto questo suo rumoroso pensare, Tsukki solleva appena le palpebre, sorridendogli pigramente. Tadashi ha l’impressione di avere le guance in fiamme. 

«Ho sbagliato qualcosa?», gli chiede, corrucciato. 

Tadashi, che non ha la più pallida idea di cosa abbia detto negli ultimi dieci minuti, scuote vivamente la testa ‒ Tsukki assottiglia gli occhi.

«Stavi ascoltando, vero?»

Tadashi annuisce, senza dire una parola ‒ ha l’impressione che nel momento in cui aprirà la bocca tutto quello che ne uscirà sarà la sua dichiarazione di sempiterno amore e di certo non è questo il momento adatto.

«A un certo punto mi sono messo a cantare la prima sigla di Naruto e tu non hai battuto ciglio.», gli fa notare, quasi seccato. «C’è qualcosa che non va?»

Tadashi fa una smorfia. Per amor del cielo, potrebbe anche non sembrare così carino mentre si preoccupa per lui. Potrebbe anche non preoccuparsi proprio, così almeno non dovrebbe sentirsi in colpa mentre cerca di nascondere la sua cotta gigantesca sotto al tappeto. 

Però, ecco. Uhm. Forse è arrivato il momento di smettere di nascondersi? Le condizioni indubbiamente sembrano propizie. Potrebbe prendere questo Tsukki, steso di fronte a lui come una damina rinascimentale (okay, forse in modo meno aggraziato, è pur sempre un diciottenne di un metro e novanta), diceva, potrebbe prendere questo Tsukki, prenderlo per le guance, magari passargli una mano sul collo, magari afferrargli qualche ciocca più lunga di capelli, guardarlo negli occhi e dirgli quanto lo ama. Potrebbe farlo. Sarebbe bello.

«Mi piaci, Tsukki.», borbotta, sovrappensiero, sconfitto.

«Mi piaci anche tu, Yamaguchi. Per questo siamo amici.», Tsukki fa una pausa, tirandosi su a sedere. «È un problema?»

Tadashi, che non si è nemmeno accorto di quello che si è appena lasciato sfuggire di bocca, scatta su come una molla nel momento in cui registra la sua risposta. Amici, certo. Loro sono amici. Ottimi amici. Migliori amici. Emette un guaito a metà tra il sofferente e l’esasperato. È proprio quello il problema. 

«Sì che è un problema!», esclama, quasi offeso dalla naturalità con cui Tsukki abbia parlato ‒ a lui non sta fastidio che siano solo amici? Il chiodo fisso che potrebbero effettivamente essere qualcosa di più non lo sta lentamente portando alla pazzia? 

«Tu-», Tadashi si alza, camminando avanti e dietro per la stanza, le sue mani si aprono e chiudono un paio di volte. «Tu mi piaci.», scandisce, lentamente. «Mi piaci piaci.», aggiunge, ignorando il fatto che Tsukki lo stia guardando come se fosse impazzito. «Io-», dice, indicandosi, deglutendo appena, «-sono innamorato di te, Kei.», spiega per buona misura, indicandolo.

Il suo nome ‒ Kei ‒ rotola sulla sua lingua portando con sé una sensazione aliena e dolcissima allo stesso tempo. E proprio la realizzazione che non l’ha chiamato Tsukki, ma ha proprio trovato il coraggio di dirlo ‒ sono innamorato di te, Kei ‒ lo riscuote abbastanza da fargli rivivere gli ultimi istanti come se stesse riavvolgendo una vecchia pellicola. Lancia uno sguardo quasi orripilato a Tsukki, che è rimasto seduto sul bordo del letto a fissarlo con gli occhi spalancati.


 

«Io sono innamorato di te, Kei.»

Kei, che di certo non si aspettava una simile risposta quando gli aveva innocentemente chiesto se ci fosse qualcosa che non andava, resta un attimo paralizzato. Come un cervo accettato dai fanali improvvisi di un’auto, sente che la dichiarazione di Yamaguchi lo ha letteralmente investito in pieno.

Pensava solo che fosse stanco, che si fosse distratto, che avesse del sonno in sospeso. Gli stava per proporre di fermarsi e magari riposare, per una volta, di certo non credeva che- ‒ gli ha proprio detto che è innamorato di lui. Non c’è dubbio. Cioè, l’ha proprio detto.

Più che un attimo di coraggio, sembra un gesto dettato dalla forza dell’esasperazione. Dovrebbe dirgli qualcosa? Tipo che anche lui è innamorato. Potrebbe ricreare il modo molto cavernicolo e assolutamente adorabile in cui si è indicato, per poi puntare il dito verso di lui, specificando accuratamente chi era innamorato di chi e se ci pensa quasi gli viene da ridere ‒ ma non potrebbe mai ridere in un momento del genere, sarebbe semplicemente crudele.

Yamaguchi approfitta di questo suo momento di silenzio, o forse lo fraintende, e si lancia fuori da camera sua. Mentre sente i suoi passi rimbombare sulle scale, lo invade un moto di confusione. Dovrebbe seguirlo? Sì, seguirlo sembra la decisione migliore. Ma perché scappare così? Non poteva dargli un paio di istanti per assorbire l’urto, e magari dargli la possibilità di rispondere? Deve interessargli ben poco, la sua risposta.

Magari è tutto uno scherzo. Magari si stava annoiando e aveva deciso che per movimentare un po’ la serata era il caso di gettare nella mischia una bella dichiarazione d’amore. A pensarci, è stata effettivamente una dichiarazione molto strana. Lasciando da parte il moto di stizza che pare averla generata, aveva anche un che di impersonale. Come se- come se non fosse importante, dichiararsi al proprio migliore amico. Come se non avesse importanza.

Sì, forse è meglio lasciarlo andare a aspettare che la situazione evolva da sé. Probabilmente domani mattina lo incontrerà e gli chiederà scusa per questa buffonata, o nel migliore dei casi non menzionerà mai più l’accaduto e potranno rapidamente dimenticare che una cosa del genere sia mai avvenuta. 

Se, invece, Yamaguchi è stato onesto, nei suoi sentimenti, se quel moto di stizza voleva significare qualcosa ‒ e cioè che anche lui non riesce più a sopportare il pensiero che siano solo amici quando potrebbero essere qualcosa di più ‒ magari domani mattina, quando si incontreranno sotto casa sua per andare insieme a scuola, lo affronterà ed esigerà una risposta. 

Kei si lascia un attimo cullare da questa prospettiva prima di riscuotersi e decidere che in ogni caso, scherzo o meno, non si può di certo aspettare fino all’indomani. Ancora incerto sul da farsi, sul mettere o meno anche i propri sentimenti sul piatto della bilancia per scoprire il risultato finale, si precipita per le scale. 

Yamaguchi indossa ancora i suoi vestiti, e gli stanno un po’ larghi e Kei sta per dirgli qualcosa quando sua madre li interrompe.

«Tadashi-kun, cosa stai facendo?»

«Ah! Mi scusi, Tsukishima-san, ma si è fatto più tardi del previsto e dovrei tornare subito a casa.», spiega, aggiungendo un mezzo inchino. Si gratta imbarazzato la nuca e non si volta per guardarlo nemmeno un istante ‒ dal modo in cui si è improvvisamente irrigidito, però, Kei può dire che lo ha visto perfettamente.

Kei si affaccia per spiare la reazione di sua madre.

«Ma, Tadashi-kun!», esclama, preoccupata. «Fuori c’è una bufera! Ho già parlato con tua madre, non possiamo davvero permettere che tu esca fuori con questo tempaccio.»



 

iii. tormenta improvvisa sul Tohoku

 

A quanto sta raccontando sua madre, nel momento in cui sono finalmente rincasati le temperature hanno iniziato ad abbassarsi ancora di più, e non ha certo smesso di piovere, per cui tutta quella pioggia era diventata per qualche decina di minuti grandine ‒ e come diamine non l’hanno sentita, si chiede distrattamente ‒, e poi si era trasformata in una bufera di neve da manuale. 

Per cui adesso Yamaguchi è bloccato a casa sua. Kei sbuffa, indeciso sul da farsi, perché di certo preferirebbe morire piuttosto che affrontare una discussione con Yamaguchi di fronte agli occhi curiosi di sua madre, ma non può nemmeno permettere che trascorrano la notte senza aver chiarito, no?

«Tornate pure a studiare.», consiglia sua madre, indicando le scale. «Vi chiamerò quando è pronta la cena.»

Yamaguchi annuisce, la ringrazia, le rivolge un sorriso imbarazzato e si avvia lentamente verso le scale, trascinandosi un passo dopo l’altro. Quando lo sorpassa, Kei si sente quasi invisibile. Vorrebbe mugugnare qualcosa, afferrarlo per una manica, mettergli lo sgambetto affinché possa cadere tra le sue braccia, ma alla fine si limita a seguirlo mestamente. Devono sembrare una visione molto strana, due adolescenti grandi e grossi come loro che camminano in silenzio come se si stessero avviando al patibolo.

Dovrebbe fermarlo e ne dovrebbero parlare. Kei sente ‒ sa ‒ di avere diritto a una spiegazione: che cosa diamine era passato per la mente di Yamaguchi quando gli ha detto di essere innamorato? Può davvero trattarsi di uno scherzo? Se così fosse, gli toccherebbe prenderlo a pugni.

«Yamaguchi-», lo chiama, mentre si infila in camera sua.

«Respirazione cellulare, no?», gli risponde, correndo a riappropriarsi del libro abbandonato per terra. Ha il volto tirato e sofferente, e nell’attesa di capire cosa effettivamente stia succedendo, Kei rimane in silenzio.

Ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo, ecco cosa dovrebbe dirgli. 

Invece si limita a ripetere formule e processi vari. Yamaguchi ogni tanto lo corregge, segno che almeno lo sta ascoltando, ma persiste un’aria terribilmente tesa. Come se anche solo ripetere potesse spingerli a dire la cosa sbagliata e a rovinare per sempre il loro rapporto. prima di aprire bocca, ad ogni domanda, Kei esita. È insopportabile.

Se si trattasse di qualcun altro, se si trattasse letteralmente di qualunque altra persona a questo mondo, Kei non si farebbe problemi ad essere molto più meschino e a cercare di ottenere, almeno, la verità. Ma sente, indistintamente, che a prescindere da quali siano o meno i loro reali sentimenti, c’è uno strappo nel loro rapporto che non permetterà di essere ricucito tanto facilmente.

È una sensazione spiacevole che gli si è appiccicata addosso ‒ è la seducente, e proprio per questo ancora più fastidiosa, dimensione della possibilità. Perché fino a un quarto d’ora prima Yamaguchi era soltanto il suo migliore amico di cui era innamorato, è adesso invece potrebbe anche essere il suo migliore amico che è innamorato di lui. Ed è, questo, tutto ciò che ha sempre voluto, tutto ciò che potrebbe renderlo felice, a un passo da lui, e sente che sta per essergli brutalmente portato via.


 

Tadashi inspira profondamente. Okay, ha fatto una sciocchezza ‒ una doppia sciocchezza, se si pensa che dopo quella vergognosa confessione da cavernicolo, per nulla simile a come l’aveva immaginata lui pochi istanti prima, ha anche cercato di scappare. E invece adesso è bloccato a casa di Tsukki, nella stessa camera di Tsukki, in cui dovranno dormire stanotte. Insieme. Dire che è stato un fallimento su tutta la linea non sarebbe abbastanza.

Ma poi, cos’era quella reazione? Perché, di tutte le reazioni possibili, Tsukki è rimasto immobile, con una faccina da pesce lesso che avrebbe tanto voluto prendere a schiaffi, quando avrebbe potuto fare qualsiasi altra cosa, letteralmente. Avrebbe potuto, che ne sa, stupirsi? Spalancare la bocca e poi esclamare che lo amava anche lui? Non sarebbe stato molto più facile così? Invece no. E quel suo restare fermo, senza commentare, senza dare alcun indizio di quello che stava provando, lo aveva chiaramente gettato nel panico più totale.

Quello non poteva essere altro che il preludio di un mortificante rifiuto, che Tsukki aveva esitato a dargli nel timore di rovinare la loro amicizia. È palese. È così ovvio che Yamaguchi non può fare a meno di sentirsi ancora terribilmente imbarazzato e in colpa. Adesso, però, tocca a lui farsi carico della situazione: comportandosi da persona matura, deve rinunciare ai suoi sentimenti per permettere che il loro rapporto possa continuare. Ma a cosa diamine stava pensando quando ha parlato? Avrebbe dovuto starsi zitto e ingoiare i suoi sentimenti fino al momento in cui non sarebbe esploso. A quel punto, almeno, Tsukki non avrebbe avuto di rifiutarlo.

Anche ora che continua ad ascoltarlo, mentre ripete, non può fare a meno di avvertire una tensione che potrebbe tagliare con un cucchiaio, altro che coltello. Tsukki, che solitamente non si prende mai abbastanza sul serio da impegnarsi in qualcosa, adesso siete dritto, rigido di fronte a lui, e il suo sguardo vaga senza sosta da un lato all’altro della stanza senza mai posarsi su di lui. 

Deve sentirsi davvero molto a disagio: pensi di conoscere qualcuno davvero bene, come le tue tasche, al punto che puoi leggere ogni suo pensiero senza neanche bisogno di guardarsi, e poi questa persona di cui ti fidi e a cui vuoi bene ti sgancia una bomba di dimensioni astronomiche sulla testa. Non deve essere stato piacevole, per lui, subire quella confessione. Il solo fatto che non lo abbia immediatamente allontanato e che non abbia dato di matto si potrebbero, di per sé, già definire grandi risultati.

«Yamaguchi-»

«Tsukki.», lo interrompe. «Mi dispiace. Se ti ho dato fastidio, possiamo sempre far finta che non sia successo niente.», aggiunge, tutto d’un fiato.

È quasi fisicamente doloroso, dirlo, perché questa è l’ultima cosa che vuole. Ma se è necessario per  preservare la sua amicizia con Tsukki, ben venga. Non vuole che soffra soltanto perché lui si è sentito abbastanza egoista da volergli rivelare i suoi sentimenti.


 

«Io-», comincia, poi si interrompe. «-se mi ha dato-», ripete, elaborando quello che Yamaguchi gli ha appena detto. «-fastidio?», sussurra, sconnesso, nel tentativo di capire quale processo di pensieri lo abbia portato a una conclusione del genere.

«Uhm, okay. Sì, certo.», acconsente infine, perché l’unico motivo plausibile poiché Yamaguchi si scusasse è che si è trattato, come ha sospettato quasi dal primo istante, di uno scherzo ‒ perché ovviamente lui non poteva essere abbastanza fortunato da ottenere qualcosa di così bello, perché probabilmente Yamaguchi non ha idea di quello che in realtà provi, di quello che stia provando adesso, mentre gli chiede di dimenticare l’unico appiglio di speranza che gli era stato caritatevolmente concesso, o di quello che abbia provato mentre gli aveva parlato, uno stupore e un’euforia tali da paralizzarlo.

Yamaguchi annuisce, apparentemente sollevato, e nei successivi minuti sembrano scivolare nuovamente nella familiare intimità che ha sempre caratterizzato il loro rapporto. Eppure, sembra diversa. C’è ancora un’elettricità inspiegabile tra di loro, come se stiano per saltare in aria da un momento all’altro. Come se si stessero entrambi sforzando di ricucire quello strappo, fallendo miseramente. Come se avessero il filo del colore sbagliato, o un ago troppo piccolo, o una toppa che non si incastra alla perfezione con il buco che stanno cercando di colmare.

Come se non bastasse, Yamaguchi è saltato sul posto quando gli ha poggiato una mano sulla spalla, e quando sua madre ha chiamato per la cena, si è assicurato di sedersi il più lontano possibile da lui. La cena, per fortuna, passa in fretta ‒ Akiteru è rimasto bloccato a Sendai e sua madre non ha fatto altro che preoccuparsi, mentre continuava a riempire i loro piatti. 

Alla fine si trascinano in soggiorno, con la pancia piena, e sprofondano sul vecchio divano ‒ lo stesso divano su cui Kei aveva sognato più volte di baciarlo, magari durante i titoli di coda di un film che avevano visto insieme, oppure appena prima che Yamaguchi tornasse a casa sua. 

Sbuffando, comincia a girare tra i canali: non c’è nulla di interessante, solo decine e decine di repliche oppure servizi straordinari su l'improvvisa tempesta di neve che in meno di dodici ore ha travolto il Tohoku ‒ c’è qualche sterile dibattito sul surriscaldamento globale, alcuni propongono di chiudere straordinariamente le scuole, c’è sempre qualcuno che consiglia vivamente di limitare gli spostamenti. 

Yamaguchi, rannicchiato dall’altro lato del divano, sembra lontanissimo. Si starà pentendo di aver accettato il suo invito, quando avrebbe potuto essere tranquillamente a casa sua, oppure sta ancora rimuginando su quel suo scherzo malsano ‒ com’è giusto che sia. In questo momento, Kei si sente ancora troppo ferito per poter fare qualcosa a riguardo, ma non esclude che in un futuro prossimo, quando non gli si stringerà più il cuore al pensiero che il proprio migliore amico abbia deciso di giocargli un tiro del genere, si assicurerà di farlo sentire sufficientemente in colpa. 

Il resto della serata scorre in un lugubre silenzio. Restano entrambi sul divano, senza scambiarsi una parola, cambiando canale ogni cinque minuti nell’infruttuosa ricerca di qualcosa da guardare. Kei si chiede, distrattamente, se Hinata sia riuscito ad arrivare tutto intero all’altro lato della montagna, o se invece lui e Kageyama siano rimasti bloccati a scuola dalla tormenta e abbiamo dovuto chiedere al vicepreside il permesso di accamparsi in palestra ‒ ne sarebbero capaci, in fondo: l’unica cosa di cui hanno davvero bisogno è un pallone e qualcuno con cui giocare. 

Quello di cui avrebbe bisogno lui, ovvero che Yamaguchi ricambi i suoi sentimenti, sembra molto più difficile da ottenere: si rigira, sul posto, un paio di volte, prima di annunciare che tanto era comunque stanco e non valeva la pena sforzarsi di restare alzato.

«Tu che fai, vieni?», chiede a Yamaguchi.

Lui sembra riscuotersi come da un sogno: sbatte le palpebre, un paio di volte, e poi si gira a guardarlo con degli occhi enormi e colpevoli che per un istante gli fanno completamente passare la voglia di fargliela pagare. Piuttosto, sembra che abbia bisogno di un abbraccio ‒ dopo che lo ha affiancato, decisamente troppo inibito per poterlo abbracciare senza preoccuparsi delle conseguenze, Kei si limita a dargli una vigorosa pacca sulla schiena, dritto in mezzo alle scapole. 

Si cambiano in silenzio, dandosi le spalle. Kei non ha proprio il coraggio di voltarsi e guardarlo, non quando la situazione quel pomeriggio gli era già scappata di mano. Che Yamaguchi avesse intuito, da quel suo attimo di debolezza, i suoi sentimenti? Che perciò avesse deciso di tendergli quell’orribile trappola? Forse avrebbe dovuto insistere di più per discuterne, ma Yamaguchi è stato così rapido a zittirlo e a sviare la questione che non ne era valsa pena.

«Be’, buonanotte.», gli dice, ficcandosi a letto e tirando le coperte fin sopra la sua testa.

«Buonanotte, Tsukki.», risponde Yamaguchi, e Kei ascolta in silenzio i suoi movimenti mentre si stende nel futon preparato accanto al suo letto. 


 

Tadashi non riesce a chiudere occhio. C’è l’immagine di Tsukki che accetta di lasciare a parte l’intera questione della sua dichiarazione nella sua mente, ed è terribilmente difficile da cancellare.

Si sente svuotato. La sua piccola, stupida cotta, cresciuta a dismisura fino a diventare in grado di ingurgitarlo, adesso sputacchia fuori le sue ossa distrutte. Cosa dovrebbe fare, ora? Fingere che gli vada bene così, che ormai si sia arreso all’eventualità che tutto il suo amore sia andato sprecato, o magari tentare un approccio un po’ più sfacciato e diretto?

Non riesce nemmeno a biasimare Tsukki per non ricambiare i suoi sentimenti ‒ adesso può sembrare più alto, forse più attraente, adesso è capitano della squadra di pallavolo, ma la verità è che continua a sentirsi piccolo e sfigato e nascondersi dietro Tsukki è l’unica cosa che gli dà conforto ‒ e gli viene così naturale, amare Tsukki, che può affermare senza dubbi che sia l’unica cosa in cui sia mai stato immediatamente bravo nella sua vita.

E adesso, il pensiero che a prescindere da quello che farà non potrà sperare nel vedere i suoi sentimenti ricambiati lo fa soffrire all’inverosimile. C’è un dolore sordo nel suo petto, e ogni volta che ripensa a quello che è successo, al fatto che prima gli abbia confessato il suo amore e dopo sia dovuto tornare sui suoi passi, rimangiandosi le proprie parole, gli viene voglia di piegarsi a riccio su se stesso e non rialzarsi mai più. 

Resta immobile, fissando la finestra contro cui si può distintamente scorgere la tormenta che lo ha portato in questo pasticcio, e ascolta Tsukki che si rigira tra le coperte, una, due, tre volte, e se non si sentisse così ferito adesso lo avrebbe già fronteggiato chiedendogli se avesse voglia di parlare di qualunque pensiero lo stesse affliggendo. Tsukki, a differenza sua, non ha mai avuto un sonno pesante, e soprattutto quando è agitato non riesce a chiudere occhio ‒ Tadashi si ricorda di innumerevoli volte in cui si era mantenuto sveglio a fatica, pur di fargli compagnia, soprattutto dopo il grande litigio con Akiteru. 

Quindi Tsukki è agitato. Nervoso, forse, o spaventato, ma la possibilità di essere amato lo infastidiva a tal punto? Cosa c’era di così sconvolgente nelle sue parole da giustificare una simile reazione? Quasi vorrebbe chiederglielo ‒ non ha forse anche lui diritto ad arrabbiarsi e restarci male, a vedere i suoi sentimenti, offerti su un piatto d’argento, brutalmente rifiutati? 

Prende un profondo respiro. Okay, si dice. Puoi farcela. E poi ancora, Dai, Tadashi, affronta l’unico ragazzo di cui tu sia mai stato innamorato. Cosa può mai andare torto? 

Ma quando ha racimolato abbastanza coraggio per girarsi dall’altro lato, Tsukki gli sta dando le spalle e il suo respiro sembra più pesante del solito. Qualunque cosa fosse, non sembrava poi avergli dato così fastidio. 


 

Nel corso della sua infanzia, per evitare che i suoi genitori restassero in camera sua per assicurarsi che si addormentasse ‒ operazione che poteva richiedere ore e che nella maggior parte delle volte finiva con sua madre addormentata al bordo del suo letto e lui ancora più sveglio di prima ‒ Kei aveva affinato l’arte del fingere di dormire. 

Basta dare le spalle a chiunque si voglia ingannare e respirare un po’ più rumorosamente del previsto. Semplicissimo, davvero. Yamaguchi sa perfettamente che ne è capace, perché lo ha visto più volte in azione, eppure anche lui ogni volta ci casca come se fosse la prima. Si stende a pancia all’aria, fissando il soffitto ‒ Yamaguchi, accanto a lui, russa lievemente.

Il problema, che lo tiene sveglio e che lo ha fatto agitare al punto da fargli sembrare anche qualche ora di sonno simile ad un eresia, è che lui quasi non riesce a crederci ‒ sente una vena alla base del collo che minaccia di scoppiare ogni volta che ci pensa: Yamaguchi non è mai stato il tipo da fare questi giochetti. Yamaguchi non si prende gioco delle persone ‒ sì, va bene, ride alle sue battute anche quando queste sono tutto fuorché gentili, ma si tratta più di cameratismo che di effettiva cattiveria. Sua madre gli ha sempre detto che ha avuto una cattiva influenza su di lui.

Ma il punto è che non lo farebbe mai per ferire deliberatamente qualcuno ‒ e ovviamente non poteva sapere fino a che punto le sue parole gli avrebbero fatto male, ma di certo poteva immaginare che una frase del genere avrebbe lasciato strascichi sulla loro relazione. 

Era stato davvero terrorizzato dal fatto che i suoi sentimenti non venissero presi sul serio al punto di convincersi che non ci fosse nulla di vero, nelle sue parole? Non avrebbe fatto meglio a rincorrerlo immediatamente e confessargli la verità dal primo momento, piuttosto che trascinarsi per ore nel dubbio e nel rimorso?

Kei sospira pesantemente prima di tirarsi a sedere ‒ non vale forse la pena mostrare un briciolo di coraggio a sua volta, pur di raggiungere una meta a cui evidentemente aspirano entrambi?

«Yamaguchi.», lo chiama, sottovoce. 

«Yamaguchi.», ritenta, alzando un po’ il tono e allungando un piede sul suo fianco per scuoterlo un po’.

Yamaguchi si risistema tra le coperte, a disagio, e riprende a dormire.

«Tadashi!», sibila, e quello scatta immediatamente su, borbottando qualcosa che suona orribilmente come “Ti prego, mamma, altri cinque minuti”.

Quando poi comincia a riprendere conoscenza, dopo aver sbadigliato più volte ed essersi stropicciato gli occhi, trova la forza di chiedere: «Ah, Tsukki, è successo qualcosa?»

«Eri serio, prima? Quando hai detto di essere innamorato di me?»

«Certo che-!», esclama, la sua voce ancora impastata dal sonno. «Credevi che non fossi serio?», domanda, un po’ incredulo e un po’ irritato.

Kei si passa una mano sulla faccia ‒ per avere la reputazione di ragazzo intelligente e razionale, di certo sa scegliere quando essere stupido.

«Vieni qui.», supplica, allungando un braccio verso di lui.

Yamaguchi, all’inizio confuso, accetta la mano che gli ha offerto e Kei lo tira verso di lui. Quando la gravità fa sbilanciare entrambi e cadono sul suo letto, non perde neanche un istante e lo stringe a sé, correndo a nascondere il volto nel suo collo.

«Tsukki, che cosa significa?», gli domanda, il tono un po’ incerto e quasi preoccupato.

«Kei.», suggerisce lui, il volto ancora nascondo contro la sua spalla.

Yamaguchi ridacchia: «Sì, okay, come vuoi. Kei, che cosa significa?»

Gli piace come suoni il suo nome, detto da lui. Sua madre lo pronuncia con un tono esasperatamente affettuoso, ogni volta che lo dice suo fratello gli viene voglia di prenderlo a pugni. Ma dalle labbra di Yamaguchi esce un suono dolcissimo che vorrebbe ascoltare in ogni momento della giornata.

Glielo dice, e riesce a sentire la risata di Yamaguchi vibrare contro di sé.

«Sto ancora aspettando una risposta.», gli ricorda, accarezzandogli le guance e scoprendo finalmente il suo volto. 

«Sono uno stupido, Tadashi.», si lamenta. «E sono innamorato di te.»

Yamaguchi annuisce, piano, e la fioca luce offerta dalla finestra gli illumina gli occhi ‒ quando Kei si sporge per baciarlo, però, sono già chiusi.

Alle loro spalle, il paesaggio miracolosamente innevato incornicia la scena come una cartolina.




 
  
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