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Autore: Altair13Sirio    20/02/2021    27 recensioni
Albert è l'autista di un carro funebre con il dono di poter vedere le anime dei morti che accompagna. A lavoro sente storie diverse ogni giorno e giura di portarle tutte quante nel proprio cuore, perché non vengano mai dimenticate, aiutando nel frattempo i trapassati a trovare sollievo mentre si lasciano alle spalle il mondo.
Genere: Generale, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Dove stiamo andando?»
«Al cimitero.»
«Perché?»
«Lo sai perché.»
«Non potremmo evitare? Non mi sento ancora pronto…»
«Certo che non lo sei.»
«E se ci fermassimo a prendere un gelato? Qui vicino c’è un posto davvero carino che…»
«Non puoi prendere un gelato: sei morto.»
Il fantasma guardò alle proprie spalle, dove dietro al vetro oscurato giaceva una bara in faggio levigato, e all’interno della bara riposava il suo corpo, mani unite al petto e con indosso i vestiti migliori che aveva.
«Oh…» Mormorò. «Giusto.»
Albert rimase in silenzio. Non era la prima volta che un suo passeggero si comportava come se non sapesse cosa stesse succedendo; non poteva certo biasimarli.
E dire che quando aveva deciso di fare quel lavoro pensava che avrebbe rischiato di essere addirittura noioso! Poi aveva scoperto di riuscire a vedere le anime di chi non c'era più, e da quel momento aveva cominciato a vivere quel lavoro diversamente.
Non rideva alle loro spalle, lui era una persona molto rispettosa dell’aldilà; ma poter comunicare con loro era bello, in un certo senso…
«Immagino che questi qui dietro siano i miei cari… C’erano tutti?» Disse a un certo punto il fantasma voltandosi a guardare alle spalle del carro funebre. Dietro di loro, una lunga fila di automobili li seguiva in silenzio, formando quella nera parata per le strade della città.
«Credo di sì…» Rispose titubante Albert.
Il fantasma si voltò con un sorrisetto eccitato. «C’era anche la cugina Petra? Non dirlo a nessuno, ma ho sempre avuto una sorta di cotta per lei…»
Albert sorrise a sua volta, notando che il suo passeggero si fosse rilassato. «Può darsi…  Dimmi com'è fatta.»
Il trapassato esitò un momento, poi cominciò a descrivere la cugina come una donna molto giovanile, bionda, taglio corto e, dalle sue parole, molto simpatica e vivace.
«Ora che mi ci fai pensare, mi pare di aver visto qualcuno che corrisponde alla tua descrizione…» Rispose Albert strofinandosi le dita sul mento. «Quanti anni ha? Siete cresciuti assieme?»
«Ha quarant'anni. È un po' più grande di me.» Rispose quello con un ghigno divertito.
Albert si girò sconvolto; la persona che aveva visto lui sembrava molto più giovane. «No! Sul serio? Mi stai prendendo in giro!»
«Fa sempre questo effetto.» Rispose il fantasma ridacchiando. Poi si ricompose e il suo tono divenne incerto. «E ti è sembrata triste?»
«Non avrebbe dovuto?»
Il fantasma sospirò. Esitò a spiegare il motivo di quella sua domanda, ma poi si convinse:«È che non ci vediamo da tantissimo tempo… Siamo sempre stati molto uniti, lei era un modello da seguire per me… Ma l’ultima volta che ci siamo parlati abbiamo avuto una discussione piuttosto seria e io… L’ho chiamata una “stronza strizzarape”.»
Albert non riuscì a trattenere la risata che gli provocò sentire quel termine e quasi sputò sul parabrezza. «Scusa, ma è l’insulto più originale che abbia mai sentito!» Disse coprendosi il viso con una mano.
L’altro non si mostrò seccato, anzi. L’ilarità del conducente lo contagiò; rise un poco anche lui. «Sì, bé… Un po’ se lo era meritato.»
«Bé, a me è sembrata davvero addolorata…» Disse Albert quando ebbe riacquistato la compostezza.
Il fantasma sorrise sollevato, poi il viaggio continuò in silenzio per un po’. Albert però non voleva limitarsi a trasportare quella persona fino alla sua ultima destinazione; voleva accompagnarlo, farlo sentire a casa un’ultima volta.
«Senti… Se vuoi me ne sto zitto e non dico più niente…» Cominciò senza staccare gli occhi dalla strada. «Ma se vuoi parlare un po’, fare… Quattro chiacchiere… Per me non c’è problema.»
Quello si voltò e lo guardò con sollievo. «Grazie.»
«So che tutto questo deve essere difficile per te… Che cosa ti attende alla fine di questo giro? Perché è dovuto succedere proprio ora? Queste cose non le so nemmeno io, sono solo un… Autista.» Continuò Albert. «Ma ho questo dono e se posso aiutarti a sentirti meglio, ne sarei felice.»
Il fantasma rimase a guardarlo meravigliato, poi sorrise di nuovo in modo ancora più sincero. «Grazie, davvero!» Questa volta ci fu la minima esitazione, solo onesta gratitudine.
Albert annuì, poi svoltò lentamente a destra, lasciando alle proprie spalle l’incrocio dove si erano fermati. «Per cominciare… Come ti chiami?»
Quello tornò a guardare i lati della strada. «Marco.»
«Piacere, Marco. Io sono Albert.» Disse con tono allegro l’autista, poi tornò a concentrarsi sulla strada. «E… Che facevi da vivo?»
Marco rise.
«Oh, scusa! Mi sa che non ho molto tatto.»
«No, non mi sono offeso.» Lo tranquillizzò il fantasma. «Ma suona davvero strano sentire qualcuno che ti chiede cosa facessi quando eri in vita!»
Marco smise di ridere, e questa volta toccò ad Albert concedersi una risatina, senza smettere di pensare di aver detto un’idiozia.
«Ero un tecnico informatico. Il migliore! Lavoravo per una azienda locale, mi occupavo di programmare i software con cui lavoravano i dipendenti…» Disse Marco quando Albert ebbe smesso di ridere.
«Era bello?» Chiese quello.
«Sì, anche se… Bé, negli ultimi tempi la vita era piuttosto monotona.» Rispose titubante il fantasma. «All’inizio era molto più stimolante, adesso tutto quello di cui mi occupavo era sistemare i computer guasti e risolvere qualche bug…» Guardò fuori dal finestrino e osservò i balconi delle case al lato della strada: tutte le finestre erano chiuse, quasi come se il loro passaggio fosse qualcosa di ripugnante.
«Non ti piaceva più?» Chiese Albert distraendolo da quei pensieri.
«No, non è questo… Ma avrei voluto qualcosa di più.»
«E che mi dici dell’amore?» Chiese Albert cambiando rapidamente argomento. «Non mi sembra di aver visto bambini al funerale… Non hai figli?»
Marco scosse la testa. «Non mi sono mai sposato. Avevo una fidanzata, ma mi ha lasciato qualche mese fa. Chissà se è venuta al funerale…»
Albert strinse le spalle. «Può essere… Siete rimasti in buoni rapporti?»
«Bé, sì…» Marco si guardò intorno spaesato. «Ma non è mai molto gradevole frequentare la tua ex.»
Albert sapeva come ci si sentiva; era buffo che per sentirsi in sintonia con qualcuno dovesse andare a parlare con i morti!
«Ehi, Albert! Non parliamo solo di me, voglio sapere qualcosa di te!» Disse a un tratto Marco, voltandosi verso di lui e sporgendosi un poco fuori dal sedile.
«Me?» Chiese sorpreso Albert. «Che cosa ci sarebbe di interessante in me?»
Marco rise. Aveva una risata stridula, ma era una di quelle risate genuine. «Vuoi scherzare? Riesci a vedere i fantasmi! Devi aver sentito decine di storie qui dentro. Voglio sapere tutto di te! Quand’è che lo hai scoperto?»
«Che posso parlare con i morti? Più o meno quando ho cominciato a fare questo lavoro, due anni fa… Anche se già da bambino ebbi qualche esperienza col paranormale.»
Marco fece un piccolo ululato intrigato, molto adatto alla sua condizione attuale. «Racconta.» Insistette come una adolescente curiosa. Albert non riuscì a trattenere una risatina pensando che fosse la prima volta che incontrava un fantasma così vivace.
«C’è poco da raccontare, in realtà… A dieci anni, al funerale di mia nonna, credetti di vederla seduta accanto al nonno per un breve istante. Non ci ho mai pensato troppo, ma negli anni a seguire mi accaddero eventi simili, fino ad arrivare a oggi, dove chiacchiero amabilmente con un fantasma seduto proprio accanto a me.»
Albert alzò lo sguardo e lanciò un sorrisetto a Marco, che rispose con un’occhiata di intesa. «È per questo che hai scelto questo lavoro?» Chiese dando un colpetto sulla leva del cambio.
Albert scosse la testa. «Non sapevo anche di poter parlare con i defunti; la mia scelta è stata condizionata principalmente dal fatto che mi piace guidare, e mi piace stare i silenzio.»
«Oh.» Disse Marco imbarazzato, e tacque.
I due rimasero in silenzio per qualche istante. Ad Albert non dava fastidio sentir parlare Marco, se era quello che preoccupava il fantasma. Per qualche motivo parlare con i defunti era diverso che parlare con i vivi. Albert non sentiva la stessa pressione che gli metteva cercare di conversare con un’altra persona in vita.
Alla fine Marco disse come se non riuscisse più a trattenersi:«Ti abbiamo levato il divertimento, eh?» Albert rise.
«No, mi piace parlare con voi.» Disse con tono spensierato. «Mi dà la sensazione di aver ricevuto una… Missione divina.»
«E quale sarebbe la missione?»
Albert rimase con una mano sul volante mentre si fermava di fronte a un semaforo rosso e si voltò a sorridere a Marco. «Assicurarmi che le anime di chi passa per di qua non abbiano rimorsi.»
Lo sguardo di Marco si fece serio. Subito la sua allegria fu sostituita da una attenzione quasi religiosa, in attesa della domanda che Albert gli avrebbe fatto a breve.
«Tu ne hai?»
Marco non disse niente. Facendosi improvvisamente cupo, cominciò a guardare fuori dal finestrino e per rispetto Albert non disse niente.
Il carro funebre ripartì quando il semaforo diventò verde e approcciando un incrocio, Marco riprese a parlare.
«Ci sarebbe una cosa…» Disse senza staccare gli occhi dal bordo della strada. Albert era tutto orecchi. Quello si voltò verso di lui e per la prima volta sembrò veramente triste. «Potresti passare lungo il fiume, prima di portarmi al capolinea?»
Il fiume che attraversava la città. Non era di strada, ma per quale motivo non avrebbe dovuto esaudire quell'ultima volontà di un'anima impaurita? Glielo leggeva negli occhi che aveva paura di quello che sarebbe successo, per questo Marco non riusciva a voltarsi verso di lui.
Così Albert svoltò all'incrocio, stravolgendo il percorso del corteo e creando più di qualche dubbio nelle menti di chi lo seguiva.
Il resto del viaggio passò in silenzio: Marco guardava fuori dal finestrino con chissà quali pensieri per la mente, e quando raggiunsero il fiume e lo costeggiarono per diversi minuti, non staccò mai gli occhi da quelle rive verdeggianti, dove bambini e ragazzi giocavano tra urla e risate, e gli adulti si sdraiavano sull'erba e prendevano il sole.
L'auto scorse lungo il fianco del fiume il più lentamente possibile, poi dovette tornare sulla propria strada e allora cominciò ad allontanarsi. Marco salutò per l'ultima volta il fiume posando una mano sul finestrino oscurato, quindi si abbandonò al proprio sedile con malinconia e non disse più niente.
 
*
 
Il carro funebre si fermò di fronte ai cancelli del cimitero e Albert scese guardandosi attorno. Due paia di uomini vestiti elegantemente si avvicinarono al retro del suo Mercedes e, aperto il cofano, iniziarono a sfilare la bara per caricarsela sulle spalle. I familiari di Marco osservavano la scena dalle scale che portavano all'interno delle mura del cimitero.
L'autista sospirò, poi girò dall'altro lato del carro funebre dove Marco era già sceso. Stava guardando verso le scale.
«Rita è venuta davvero…» Mormorò pensieroso.
«Chi?» Fece Albert guardando nella sua stessa direzione.
Marco allungò il braccio indicando una ragazza castana con un vestito scuro e un broncio sconsolato sul viso. Lo sguardo basso tradiva una grande paura di perdere ancora lacrime, come lasciavano intravedere gli occhi arrossati.
«La mia ex.» Disse Marco stralunato. La osservò ancora un po' e vide come non riuscì neanche ad alzare lo sguardo verso la sua bara. Alla fine il defunto si intristì e distolse lo sguardo. «Forse non è stata lei a lasciarmi… E io non ho capito quanto ci tenesse a me.»
Albert si trattenne dal dare voce ai suoi pensieri, ma a lui sembrò proprio di star guardando una giovane donna innamorata dal cuore in pezzi.
«E la cugina Petra è quella là?» Disse invece puntando il dito contro la donna che aveva visto al funerale.
Marco si voltò sorridendo, ma cambiò rapidamente espressione quando la vide. Si strofinò le palpebre con le nocche e aggrottò la fronte. «No… Non è lei.»
Albert ritirò il braccio e lo fissò interrogativo. «No? Ma è come l'hai descritta tu…»
Marco fece girare lo sguardo da una parte all'altra della folla che aveva coperto la scalinata, ma per quanto cercò non la trovò da nessuna parte: la cugina Petra non si era presentata al funerale.
Marco si fece improvvisamente malinconico. Rimase in silenzio per un po’ e Albert si chiese se avrebbe dovuto provare a tirarlo su di morale, ma prima che potesse parlare fu il defunto ad aprire bocca.
«Allora era davvero una stronza strizzarape, se mi ha tenuto il muso fino alla morte!» Rise sdrammatizzando, ma si poteva intuire che fosse deluso.
Albert sorrise a sua volta decidendo di non sollevare più l’argomento se quello era il volere di Marco.
Quello lo guardò come se volesse ringraziarlo per la sua comprensione, poi lo fece davvero. Alzò una mano e con un nuovo sorriso, spontaneo, disse:«Bé, Albert… È stato un piacere conoscerti! Grazie per tutto.»
Albert fissò la mano del fantasma. Non esitò un istante a stringergliela, ma quando le loro mani si unirono avvertirono una forte scossa che gliele fece allontanare.
Albert si massaggiò il braccio reso insensibile fino alla spalla. Ormai ci era abituato; anche se poteva vedere i trapassati, nessuno dal mondo dei vivi sembrava essere autorizzato a toccarli direttamente. Quella regola non gli importava: non avrebbe negato a un’anima il suo ultimo saluto.
«Che stranezza…» Mormorò Marco aprendo e chiudendo la mano. Poi si voltò verso le scale, dove gli uomini con la sua bara erano spariti oltre il cancello e la folla in lutto aveva cominciato a seguirli. Tornando a guardare Albert, sospirò. «Credo sia ora che io vada.»
Albert annuì. Era giusto.
«Prima però, vorrei farti una domanda.»
Albert si mostrò sorpreso. «Sì?»
Marco si guardò i piedi e ciondolò con nervosismo di fronte a lui prima di parlare. «Non è difficile tutto questo?»
Albert lo guardò non sicuro di aver inteso il senso di quella domanda. «Che cosa?» Chiese con tono confuso.
Marco sembrò in difficoltà e si voltò più volte a guardare l’entrata del cimitero, come se avesse paura di perdere una fermata importante. «Tutto questo… Come riesci a vivere tranquillo se sai di poter vedere i morti? Non hai paura di non riuscire a distinguere la realtà da…» Si interruppe.
In realtà fu Albert a fermarlo. Il suo sguardo era stranamente calmo, sembrava che avesse inteso alla perfezione il significato delle sue parole e avesse già pronta una risposta.
«Per prima cosa: non c’è realtà o finzione. Tu sei reale quanto me, con l’unica differenza che il tuo corpo è laggiù e sta per essere sigillato dietro a un muro di cemento e la tua anima è qui con me.» Albert indicò alle proprie spalle verso al cimitero. «E secondo… Io non vedo alcuna differenza tra te e quelle persone che seguono la tua bara. Se posso vederti e comunicare con te, che cosa cambia veramente?» Marco fece per rispondere, ma rimase in silenzio con la bocca aperta. Alla fine abbassò lo sguardo perplesso e si portò le mani ai fianchi.
«Forse hai ragione…» Commentò. «Ma che mi dici di te? Come reagisci a questa cosa?»
Albert pensò che si stesse concentrando troppo sulla stessa domanda, ma Marco scosse la testa.
«È questa storia di vedere i morti… Non è pesante entrare in contatto con tutta questa tristezza?»
Albert scosse la testa piano. «Tu sei triste?»
Marco trattenne il respiro. Forse, o forse no… Non era stato chiaro, ma aveva detto di non avere rimpianti. Forse, arrivato lì, era meno sicuro di ciò, ma questo non cambiava il senso della sua domanda, anzi né rafforzava il significato.
«Nessuno è felice di morire.» Disse seccato come se stesse dicendo una cosa talmente ovvia che non ci fosse nemmeno il bisogno di spiegare. «Di sicuro, a un certo punto della tua vita ti sarai trovato di fronte a qualcuno che non voleva andarsene o che non capiva cosa stesse succedendo!»
Albert si portò una mano al mento e ci pensò su. Aveva molte storie simili, ma l’unica che ricordava veramente bene riguardava il funerale di un ragazzino di dieci anni.
«C’è stata un volta.» Disse cupo. «Un bambino. Diceva di avere paura di non volere andare. Continuava a piangere e mi chiese di non portarlo al cimitero.»
Marco ascoltò il racconto con occhi spalancati. Era esattamente questo di cui stava parlando. «E tu che hai fatto?»
L’autista sospirò. «Non potevo fare molto. Ho cercato di spiegargli che non ci si poteva sottrarre, e alla fine sono riuscito a calmarlo un po’, dicendo che lo avrei accompagnato nel cimitero… Ma mentre camminavamo vide sua madre e cercò di chiamarla. È… Difficile restare a guardare un bambino che piange perché la sua stessa madre non riesce a vederlo.» Fece una pausa e guardò in basso con occhi persi nel vuoto. «Quando l’ho lasciato, è stato veramente straziante…»
Marco vide la trasformazione del volto di Albert quasi come se non si trattasse più della stessa persona. Quel racconto gli aveva messo i brividi e adesso era pentito di avergli fatto quella domanda, ma provò a immaginare a quanto potesse essere importante per Albert raccontare a qualcuno quella storia e si sentì un po’ meglio. Provò a immaginarsi la scena e il modo in cui lui si sarebbe comportato, ma non ci riusciva per quanto si sforzasse.
«È come un lavoro…» Disse Albert sciogliendo di colpo la tensione nelle spalle. «E quando i tuoi “clienti” non sono felici… Ti senti deluso.»
Marco si imbronciò. «Mi dispiace, Albert…»
«No…» Borbottò l’autista andando a grattarsi una palpebra con discrezione. «Sono io che dovrei scusarmi. Il tuo ultimo ricordo sulla terra sarà il racconto deprimente di un… Un…» Non ce la fece a finire la frase; forse non era sicuro di cosa fosse veramente, oppure non voleva ammetterlo.
Marco però sorrise. «Ma che stai dicendo?» Allargò le braccia di scatto e lo guardò incredulo. «Tu mi hai donato tutto quello che avrei potuto chiedere! Hai esaudito il mio desiderio, mi hai fatto divertire, mi hai accompagnato in questo ultimo viaggio con onestà e gentilezza! Io non sapevo nemmeno che avrei avuto un’ultima possibilità di parlare con una persona, hai idea di quanto mi abbia reso felice?»
Le labbra di Albert si piegarono in un timido sorriso. Non sapeva se Marco fosse totalmente sincero, ma volle crederci. Che motivo aveva di mentire una persona che stava per andare all’altro mondo?
«Sono riuscito a farmi un amico anche da morto. È la sensazione più inebriante che ci possa essere, e non posso nemmeno sentire niente!» Disse infine Marco alzando lo sguardo al cielo. Il suo autista scoppiò a ridere, ma dovette soffocare le risate subito per non attirare gli sguardi sdegnosi delle ultime persone del corteo.
«Va bene, va bene! Se dici così ti credo.» Disse coprendosi la bocca con una mano e ammiccando, senza riuscire a controllarsi.
Marco sorrise allegramente, poi diede un buffetto sulla spalla di Albert. Un’altra scossa gli attraversò il braccio, ma non ci fece caso.
Quando Albert ebbe smesso di ridere tirò un lungo sospiro e riacquistò la sua compostezza. Infine abbassò lo sguardo e disse pensieroso:«È ora di andare…»
«Sì.» Rispose Marco mettendosi le mani nelle tasche. Dietro di lui, il fiume di gente che seguiva la sua bara era ormai scemato. Esitò ancora un poco.
«Sei pronto?» Gli chiese Albert.
Marco sospirò, come per liberarsi da un grosso peso. «Sì, adesso sì.» Rispose con voce più rilassata. Poi guardò il suo nuovo amico negli occhi. «È stato bello conoscerti, Albert.»
«Anche per me, Marco.» Rispose quello. «Buon viaggio.»
Marco fece un ultimo, timido gesto di saluto con la mano e si voltò incamminandosi sugli scalini del cimitero, stringendosi nella sua giacca scura. Raggiunse i cancelli dopo una breve corsetta sulle scale e poi scomparve dopo aver svoltato l’angolo.
Albert trattenne il respiro per tutto il tempo e quando non vide più il fantasma avvertì una tristezza non estranea scendere su di lui. Rimase accanto all’auto per qualche minuto, passeggiando nervosamente in tondo. Poi, quando si fu calmato, salì a bordo e chiuse con decisione lo sportello.
Nel cruscotto teneva una piccola agenda rilegata in pelle assieme a una biro dall’inchiostro nero. Le prese e cominciò a sfogliare le pagine, poi si fermò.
Su una nuova riga aggiunse il nome “Marco” con grafia ordinata, poi chiuse l’agenda e la mise a posto con cura.
Girò rapidamente la chiave della macchina, mise in moto e lasciò il cimitero.
   
 
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