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Autore: D a k o t a    21/02/2021    1 recensioni
[Spoiler 15x20 - In cui io sono Andy Dufresne e il finale canon è una prigione - fix it!Everybody lives - due capitoli + epilogo]
Tutto è relativo.
Anche l'esistenza della 15x20.
"Poi si alza; si alza perché è Sam Winchester ed ha un piano. Si alza perché ha ingoiato il desiderio e la solitudine per anni, ha lavorato e viaggiato e fatto ricerche per anni, fino a quando non erano riusciti a trovare una soluzione per qualsiasi problema – il demone che aveva ucciso la mamma, Amara e dannazione, persino Chuck – e non si sarebbe arreso. Perché è Sam Winchester e anche quando si arrende, anche quando si lascia andare, lo fa curando ogni minimo dettaglio, così che nessuno potesse dimenticare che era stato lui."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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NDA: Menzioni di suicidal thoughts e varie tematiche delicate. 

Get busy living or get busy dying

I guess it comes down to a simple choice, really: get busy living or get busy dying.“

[Andy Dufresne, The Shawshank Redemption]

 

Quando incontra Eileen all’appuntamento che le ha dato in una tavola calda in Ohio, Sam non le dice subito di quel libro e della solitudine e del dolore che ne avevano fatto seguito, negli occhi di Dean. Non le dice di non aver mai provato una sofferenza così grande, neanche in tutto quel tempo che aveva passato nella Gabbia, convinto che non esistesse nessuno simile a lui, sulla faccia del mondo – e che per questo fosse un abominio, uno nuovo tipo di mostro.

Un giorno forse lo farà, le parlerà della Gabbia e Eileen non avrà nessuna frase di conforto da offrirgli perché non esistono parole abbastanza grandi, abbastanza morbide per avvolgerlo come merita e si limiterà a stringerglisi addosso e lui sospirerà contro la sua pelle perché la conosce ed è comunque l’unica persona a cui abbia mai davvero aperto il suo cuore dopo Jessica.

Un giorno. Non oggi che ci sono ancora ferite così fresche da leccare. Oggi si limita a rispondere all’abbraccio che gli offre, a nascondere il volto fra le sue ciocche castano chiaro e a soffocare un singhiozzo contro la sua pelle. Eileen gli circonda la vita con un braccio e gli accarezza i capelli con la mano libera. “Grazie”, le dice, toccandosi il mento, prima di trovare il coraggio di cominciare a parlare.

“Si tratta di Dean” riesce a sputare fuori alla fine, sedendosi mentre lei si accomoda di fronte a lui. “Potrebbe essere in pericolo.”

Ma è bastato che Eileen vedesse la risoluzione negli occhi di Sam ancora prima della forma che quelle parole assumono sulle sue labbra perché capisse.

 

 

***

L’ultima volta che suo fratello era sparito con la sua macchina era stata anni prima. Aveva lasciato solo un maledetto messaggio con scritto “Torno subito”, e quando l’aveva trovato, Dean l’aveva preso a pugni. Mentirebbe se dicesse che quell’impulso non lo assale anche adesso, che ha fatto la stessa identica scelta di merda, lasciandolo in una maledetta baita mentre se ne era andato chissà dove.

“Basta” si dice, lasciandosi cadere sulla sedia nel salotto, dopo essersi trovato di fronte alla segreteria del telefono di suo fratello per ben due volte. “Basta, dannazione” ripete alla stanza vuota.

Basta. Al diavolo Chuck. Se quella è la fine, è pronto ad accettarla, si dice, e vaffanculo anche a Sam, a quel suo avergli fatto venire voglia di pensare a cosa avrebbero fatto, adesso che tutto sembrava finito e i demoni non sembravano che essere una stupida leggenda folkloristica.

Non lo sopporta: non sopporta di essersi fermato una volta, sotto il cielo terso di Palo Alto, ed essersi chiesto come sarebbe stata la vita, se solo fossero potuti rimanere così per sempre.

Pensa a quel libro che pende sulla sua testa come un’incudine e si chiede distrattamente quando aveva cominciato anche lui ad avere speranza e quanto poco c’era voluto per tornare alle vecchie abitudini.

Scuote nuovamente la testa, pensando a Sam. Dean è certo di poche cose, nella sua vita: una era che la sua macchina non l’avrebbe mai tradito (finché sarebbe rimasta nelle sue mani e non in giro per l’America con suo fratello, grazie tante), che non c’era nessuna speranza di trovare una soluzione e che, a volte, la speranza e la fede non bastavano – se fossero bastate, Cas sarebbe ancora lì con loro e Dean non sarebbe stato costretto a provare questa assurda nostalgia per qualcuno che probabilmente stava patendo le pene dell’inferno a causa sua.

Ma Sam, con i suoi occhi sempre fissi sull’orizzonte, non l’avrebbe mai ascoltato, e Dean non aveva mai pensato nemmeno per un momento di spiegarglielo di nuovo perché aveva sempre ammirato la convinzione con cui sputava ogni singola parola e aveva sempre odiato il candore con cui usava parlare. Adesso però non può non trovarsi distrattamente a pensare in quanti pezzi sarebbe caduta tutta quella fermezza una volta che avesse capito che di lui non sarebbe rimasta che polvere, una volta che avesse capito che a volte non ci sono speranze.

***

 

“Dovrebbe essere a poca distanza da qui” esala Sam, in un solo sospiro, mentre il suo sguardo cade rapidamente sul volante, come a non voler guardarsi intorno.

Eileen gli lancia un’occhiata apprensiva, per poi osservare dal finestrino la distesa di verde in cui si trovano, fuori Canton. Grazie al libro di Chuck, non era stato difficile trovare l’area in cui si trovava quel fienile. Sam deglutisce, parcheggiando a poco meno di un miglio di distanza dal fienile; proprio là, dove secondo il libro si sarebbe dovuto fermare a preparare le armi con suo fratello prima che. Prima che.

Stringe appena più forte le dita contro il volante, perché quegli stessi alberi, quello stesso vento a muoverli, quello stesso cielo sono improvvisamente troppo e non può che sentirsi stritolato da come tutto sembri improvvisamente così tangibile. E’ tutto così nel copione da dargli un improvviso e agorafobico senso di soffocamento, da non fargli comprendere cosa sia reale e cosa non lo sia e -

Le dita affusolate di Eileen si appoggiano delicatamente sulle sue, sui suoi legamenti tutti in tensione sul volante; ancora una volta si trova a pensare che sì, quello è reale. Prima che Sam possa dire qualsiasi cosa, il suo sguardo si posa nel portaoggetti dove si trova il suo telefono. Il display si illumina con il nome di Dean ed Eileen intercetta rapidamente il movimento dei suoi occhi.

“Dovresti rispondergli. Si preoccuperà” commenta alla fine, allontanandosi appena.

Sam rimane in silenzio per qualche istante. Poi osserva lo schermo del telefono a distanza, fino a quando quello non smette di squillare. Le sue dita esitano, ma sa che non può permettere a Dean né di rintracciare il suo numero e di raggiungerli, né di percepire l’improvvisa tensione nella sua voce, perché basterebbe molto meno a farlo crollare. E, soprattutto, non può autorizzare se stesso all’idea di rischiare di trovarsi con Dean lì.

“Non posso” ammette, rifiutando quell’improvviso accenno di colpa che gli riempie la gola e la bocca dello stomaco, al pensiero della preoccupazione di suo fratello. “Sarebbe più facile per lui rintracciare il telefono, se rispondessi. Non posso rischiare che...”

Ha una vulnerabilità tale nella voce che non può fare altro che fermarsi.

La stretta di Eileen sulla sua mano si fa per un attimo più forte. La sua pelle è una terra conosciuta – Sam potrebbe tracciarne a occhi chiusi ogni contorno, ogni cicatrice e ogni neo e raccontare la storia dietro ogni ferita – che sembra essere stata disegnata, con tutta la morbidezza e i suoi spigoli, per accoglierlo e riportarlo indietro con la forza che solo le braccia di un’altra (ex) cacciatrice possono avere. Perché Eileen può dormirgli accanto, senza che lui debba temere di strozzarla nel sonno in preda ad uno dei suoi incubi – come era successo con Amelia, come potrebbe succedere con ...- e Sam ha sempre potuto lasciare che i suoi nemici la vedessero al suo fianco senza dover temere per la sua vita.

Sbatte le palpebre, tornando alla realtà, quando percepisce la presenza di quella mano sulla sua sparire.

“Dean capirà. Urlerà, minaccerà di prenderti a calci e poi capirà” gli dice alla fine, cercando di suonare rassicurante.

Sam stringe gli occhi per un attimo, come a metterla fuoco e a comprendere che è davvero là, che suo fratello non c’è e che non gli succederà niente – non gli succederà niente, non gli succederà niente, non gli succederà niente - e che è diverso da quel libro, che Chuck non è diventato una maledetta versione di Nostradamus.

Respira, focalizzandosi sul suo volto e sull’aria che la donna ha nel guardarlo, fra l’allarmato e l’interrogativo.

“Non capisco, Sam” afferma, scuotendo la testa. “Se Jack ha eliminato tutti i mostri, perché pensi che quel nido di vampiri possa essere là?”

La risposta che arriva è semplice, ma – Eileen l’ha ormai imparato – non è del tutto inaspettata.

“Non lo penso” afferma, con ritrovata fermezza. “Ma devo capire perché papà ha lasciato quel caso irrisolto. E non c’è nemmeno una possibilità che Dean non avrebbe controllato questo posto, se si fosse trattato di me”

E di questo, insieme alla sua ritrovata compostezza, Eileen non può dubitare neanche per un istante.

 

***

Dean regge due ore di segreteria telefonica di Sam solo per riempire quel silenzio pesante come l’aria gravida di umidità nella stanza, prima di lasciare andare il telefono sul tavolo a cui è seduto, in un moto di stanchezza. Ha imparato a non parlare, a riflettere prima di farlo. Ha dovuto, per poter sopravvivere alla sua solitaria esplorazione del mondo, ma maledizione, non è mai stato bravo a tollerare i pensieri che gli si affollano nella mente e pretendono attenzioni, quando tutto intorno a lui tace. Perché sì, il mondo è pieno di meraviglie, ma l’erba di Central Park è un po’ meno verde, quando l’unica ragione per cui lo frequenti è interrogare i passanti su un possibile fantasma; l’Oceano Pacifico è un po’ meno blu, quando puoi osservarlo solo dal finestrino perché c’è sempre un altro caso, ci sono sempre altre ossa da bruciare, altri posti e catastrofi soprannaturali da fermare e non c’è mai tempo. Fino a quando Jack non aveva portato via tutti i mostri, ma dannazione, come aveva fatto a credere solo per un momento che fosse finita?

Quando il suo telefono squilla, lo afferra per rispondere con tutta l’intenzione di dirne quattro a suo fratello per essere scappato così all’improvviso, per aver preso la sua macchina e per aver permesso che sperasse che -

“Sam, ti giuro che se non torni subito a casa, io...”

Ma Dean non fa in tempo a completare quella minaccia prima di essere bruscamente interrotto.

“Dean?” chiede la voce femminile dall’altro capo del telefono, con chiara preoccupazione. “Ho visto la tua chiamata. Va tutto bene? Dov’è Sam?”

Jody. Un singulto esce dalle labbra di Dean, insieme ad un’imprecazione. Per un attimo, è davvero ad un passo dal confidarle tutto, dirle di come suo fratello l’abbia piantato in asso in nome di chissà quale missione suicida e di come quelle parole suonino come l’ultima beffa, un’ultima condanna a morte. Ma poi si schiarisce la voce e si impone un suo contegno, perché se c’è una cosa che, dannazione, si impone di non fare è gettare di nuovo tutta quella merda addosso a Jody e alle ragazze, non ora che ne sono fuori.

“Jody, ehi. Scusa per prima, ho sbagliato numero.” inizia e la sua voce non sembra neanche un po’ colpita dallo scarso uso, perché è bravissimo a nascondere la frustrazione e la paura sotto un tappeto. “Sam, lui è... uscito a prendere da mangiare e dannazione, sto morendo di fame….Come state tu e le ragazze? “

Dean esita, perché grazie tante, era stato decisamente più bravo nel tergiversare in passato, possibile che stesse già perdendo il suo tocco? Non può fare altro che raddrizzare la schiena e aspettare, in attesa di un giudizio o di una condanna.

Jody dall’altro capo del telefono si lascia andare ad un sospiro.

“Alex è tornata all’università con Patience” risponde, per poi esitare un attimo, rincorrendo un pensiero. “Claire non è voluta andare con lei, ma ci sta lavorando...”

Il maggiore dei Winchester scuote la testa e non può fare a meno di roteare gli occhi, perché nessuna delle due cose è poi particolarmente sorprendente.

“Su cosa? Su qualche stronzata adolescenziale su quanto la scuola faccia schifo?” ribatte, un po’ troppo velocemente.

Da Jody arriva uno sbuffo di dissenso e Dean non fa fatica ad immaginare lo sguardo storto che gli avrebbe rivolto, se fosse stato lì con lei. Dalla sua voce, quando parla nuovamente, non traspare nessuna rabbia, solo un misto di stanchezza e sollievo.

“E’ impegnata a capire chi vuole essere adesso, Dean” lo redarguisce Jody e ha nella voce il tono di chi sa. “Ne ha passate tante. Ha solo bisogno di tempo.”

Dean si lascia sfuggire un sospiro. Non è colpa di Claire, ma Claire è tutta capelli biondi, occhiate scettiche e sorrisi ostentati, e non può non sentirsi vicinissimo a quel segreto che nasconde nell’armadio, al sé stesso che non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi davvero. Perché Claire è come lui, solo con l’assolutismo di chi ha poco più di diciotto anni: non è pronta a nulla che rimanga, non è pronta a dedicarsi a qualcosa che rimanga.

E’ tutto solo un terribile gioco di specchi, in fondo.

“Beh, ha tutto il tempo che vuole” commenta con una punta appena di amarezza, perché l’unica cosa bella del morire adesso sarebbe sapere che sì, forse ne ha davvero, forse ne hanno tutti davvero ed è un po’ anche grazie a lui, no?

Jody sembra esitare, rimanendo per un attimo in silenzio, davanti alla leggera punta di inquietudine che quell’affermazione tradisce. Un’espressione morbida si dipinge sul suo volto, mentre si appoggia allo stipite della porta, e Dean può quasi immaginarla chiudere gli occhi, nel riflettere su quella frase.

“Solo che a volte le cose che vogliamo ci fanno paura” mormora alla fine, sovrappensiero. Forse pensa distrattamente a sé, al suo aver lasciato entrare le ragazze in casa, dopo aver perso un figlio.

Una protesta muore sulle labbra di Dean, mentre quasi sussulta di consapevolezza e si stupisce del suo essere così colpito dalle parole di una donna poco più grande di lui. Qualcosa si stringe nel suo stomaco perché c’è una cosa peggiore dell’essere grato a Cas per essersi sacrificato per lui, peggiore di qualsiasi stronzata scritta sul libro di Chuck - qualsiasi cosa significhi -, c’è una cosa peggiore del morire sotto le grinfie di un vampiro; è desiderare di sapere quale delle stupide versioni di sé che si porta dentro prevarrà fra tutte le altre.

“Mi fa fottutamente paura” mormora, perché è facile parlare, mentre abbraccia il silenzio di una stanza vuota, mentre Jody crede che stia parlando della paura di vivere e non di quella di morire o di non sapere come vivere.

A volte, Dean si trova a guardarsi alle spalle, a cercare di capire quali passi l’abbiano condotto dove si trova ora. E’ facile trovare l’inizio nel momento in cui sua madre era morta – la prima volta, pensa distrattamente, senza soffermarsi sulla stilettata di dolore che ne consegue perché non doveva andare così – ma ben presto il filo della matassa si perde nel reticolo di strade che l’hanno condotto in un infinito girotondo per l’America; si mischia ai capelli di Jack, che sembravano brillare di luce propria e assomigliare ad una stupida aureola l’ultima volta che li aveva visti, si perde fra litri di sangue e veleno e odore di zolfo e…

“Dean? Sei ancora lì? Va tutto bene?” ripete nuovamente Jody, dall’altro capo del telefono, con una rinnovata nota di allarme.

Stringe i denti e si costringe a parlare, perché non importa quanto non voglia morire, quando gli rimbombi nelle orecchie il borbottio di Bobby - “Dannazione, ragazzo! E’ la tua vita!” - in un ricordo lontano, c’è un’altra cosa che viene prima, che non può permettere che accada e...

“Jody...” inizia, ma la voce gli esce più spezzata di come aveva programmato. “Se succedesse qualcosa, dai un occhio a Sam, d’accordo?”

Non attende una risposta, prima di tirare giù, non attende che lo copra con tutta quella premura e preoccupazione a cui non è abituato e che l’ha sempre messo un po’ a disagio.

Tira giù il telefono, si lascia andare contro lo schienale della sedia e pensa che non sia giusto, non adesso, maledizione. Non adesso che per la prima volta percepisce il senso di vertigine di avere una vita davanti, non adesso che l’erba di Central Park e l’Oceano Pacifico sembrano improvvisamente più luminosi. Non è giusto, ma c’è qualcos’altro che non può permettere ed è che le carni di Sam inizino a morire con lui o qualsiasi dannata cosa significhi.

 

***

Le cose iniziano a finire fuori Canton, poco dopo il tramonto, quando Sam passa gli shuriken* a Eileen, senza dire una parola, e lei gli concede la grazia di afferrarle e di non chiedergli perché abbia bisogno di quelle stupide stelline ninja. Sam chiude il cofano, andando contro ad ogni istinto che gli dice di prendere l’Impala e andarsene il più lontano possibile da lì.

“Dobbiamo andare da quella parte” afferma, imponendosi una parvenza di fermezza.

Prima che incomincino a camminare in silenzio, Eileen gli lancia uno sguardo rassicurante, che sembra vedere ogni timore che vuole nascondere a sé stesso prima ancora che a lei; Sam non può non trovarsi a sperare che non percepisca il leggero tremito che gli scuote le dita, spera che non si accorga di come, mentre camminano sul sentiero alberato, tenda sempre a restarle alle spalle. Ma è una speranza vana, perché Eileen si volta a guardarlo e per un attimo sembra non sapere cosa dire. Poi abbozza un mezzo sorriso e gli tende la mano e il cacciatore esala un sospiro, prima di stringere le dita della mano in cui non tiene il machete.

Il bosco fuori Canton è pieno di colori, ma l’aria è spaventosamente fredda e Sam sente quel gelo risalirgli nelle vene e cristallizzarglisi nei polmoni, quando vede la sagoma del fienile stagliarsi contro l’orizzonte. Distoglie lo sguardo, ma non è abbastanza per nascondere l’immagine di quei gemiti di dolore e dell’odore del sangue che sembra risalirgli le narici e incastrarvisi come terriccio.

La pressione della mano di Eileen stretta alla sua aumenta appena. Poi si gira verso di lui, con aria apprensiva.

“Sei sicuro di stare bene?” chiede alla fine.

Sam la osserva per un momento, prima di guardare il fienile. Gli ricorda quella scena, suo fratello, i capelli appoggiati contro quel legno e non è la stessa cosa, non c’è la stessa violenza, ma Sam trattiene a stento l’istinto di allontanarsi e sussultare, con l’immagine degli occhi di Dean – sbarrati e spaventati – fissa nella sua mente. Lascia andare la mano di Eileen per poi aprire il palmo e toccarsi il petto con il pollice, in uno “Sto bene” che non sembra affatto convincerla, ma si ingiunge comunque di proseguire in silenzio verso il fienile, che agli occhi del minore dei Winchester non può che sembrare un grosso felino pronto a balzargli addosso.

Un passo è il pensiero di quel bambino che aveva conosciuto e che viveva lì, a Canton. Chissà che fine aveva fatto col tempo, chissà se era riuscito a diventare astronauta come affermava di volere, con gli occhi pieni di stelle dietro a un minuscolo banco di legno.

Cinque passi. Sam cerca di non rabbrividire, di non ricordare: denti bianchi e maschere e buio e sangue e i suoi singhiozzi che si mischiavano al rumore del battito rallentato del cuore di suo fratello.

Dieci passi. Stringe il pugno della mano libera fino a sentire le semilune delle sue unghie contro il palmo della mano e si impone di respirare – inspira, espira, inspira, espira –, di non pensare ai vampiri che hanno tentato di ucciderlo quando aveva poco più di vent’anni, di non rivedere i loro denti bianchi nel buio della stanza in cui aveva dormito quella volta con suo fratello.

Trenta passi, ed è la porta che fa resistenza, è una preghiera, è la voce di Eileen che -

“Ci sono i sigilli della polizia” afferma alla fine, guardandolo con un’espressione indecifrabile. “Qualcuno è stato qui prima di noi”

Ed Eileen non sa se sia sorpresa o terrore quello che vede dipingersi sul suo volto.

 

***

Due giorni dopo

 

Per un istante, Sam rimane a osservare l’ombra che il suo pugno disegna sulla porta chiusa che lo separa da Dean, si chiede se suo fratello sia rimasto lì per tutto quel tempo, lo immagina muoversi; si chiede se lo prenderà a pugni appena lo vedrà o se lo stia attendendo.

Ripensa ad Eileen e al suo volto privo di espressione, quando le aveva raccontato di quel libro.

“Ho trovato l’indirizzo di quel fienile” gli aveva detto, con un’ombra di preoccupazione. “Ma sei sicuro di volerci andare?”

Sam non aveva risposto, allora. Si era limitato a guardarla e a scuotere leggermente il capo più per il rifiuto della domanda che in risposta ad essa, ma ora si trova di fronte a quella porta e lo sa che la risposta era sì. Era sempre stata sì.

Da quando aveva visto quella dignitosa paura negli occhi di Dean, da quando ha dato appuntamento ad Eileen a Canton, da quando ha visto quei sigilli su quel fienile, la risposta è sempre stata sì.

Il rumore delle sue nocche che si scontrano contro il legno della porta è quasi assordante nel silenzio che regna nel paesaggio ovattato dalla neve. Dall’altra parte lo accoglie il silenzio assoluto e, mentre cerca le chiavi di quel posto, Sam sente un nodo in gola formarsi alla prospettiva che Dean non sia più lì, che forse non sia più in quello stato, quando, improvvisamente, sente un sospiro affranto, frustrato, sorpreso, scontrarsi contro le tavole e infine la porta aprirsi sul volto di suo fratello.

Suo fratello indossa un paio di jeans e una maglietta nera con le maniche arrotolate e il suo volto sembra essere scolpito nella pietra e solo i suoi occhi che seguono, guardinghi, ogni suo agitato movimento sembrano tradire qualche emozione.

“Ciao, Sammy. Hansel ha trovato la strada di casa, vedo” commenta sardonico, non appena apre la porta di casa.

Sam si aspettava un ringhio, che gli sputasse addosso tutta la sua ira, ma la sua voce è fredda e distante e la cosa fa ancora più dannatamente male. C’era calore negli occhi di Dean, c’era calore negli occhi di suo fratello ogni volta che lo guardava – anche quando era furioso, anche quando avrebbe voluto solo strozzarlo -, ma ora non c’è più nessuna luce nel suo sguardo. Sam potrebbe essere un perfetto sconosciuto, un’ombra sull’entrata di casa.

“Ho provato a chiamarti stamattina, Dean” chiarisce, in un flebile tentativo di difesa. “Ma non rispondevi. Non hai risposto neanche a Jody”

Dean scuote le spalle, un braccio mollemente appoggiato allo stipite della porta. La posa sembra casuale e rilassata, ma Sam può scorgere come faccia attenzione a nascondere la tensione che gli irrigidisce i muscoli - come faccia attenzione a non offrirgli la minima fessura di spazio in cui infilarsi. Dentro quella baita e dentro la sua vita.

“Non...” alza la mano ed esala un ringhio frustrato. “Oh, maledizione. Non ci credo che tu abbia davvero il coraggio di rinfacciarmelo, Sammy”

E’ il tono con cui lo dice, è l’espressione che ha sul volto che gli racconta che suo fratello ha passato due giorni a chiamare la metà dei loro contatti per avere sue notizie, è il leggero movimento delle spalle, il leggero voltarsi come a mettere fine a quella conversazione, a sé stesso, a loro che gli spezza il cuore e le parole che ha da dire – quelle che si era preparato in macchina – gli si affollano in bocca.

“Non c’era altro da dire, Dean ” inizia, e riesce ad elaborare un mentale mi dispiace - lo volevo-ci ho provato, prima che il pugno di suo fratello rimbombi secco nell’aria.

Dean è il primo a rimanere paralizzato con lo sguardo fisso sulla sua mano e sul volto di Sam, spostato più per la sorpresa che per la violenza del colpo.

Il minore dei Winchester ci mette pochi secondi a ricomporsi, mentre un livido rossastro comincia a fermarsi sul suo zigomo sinistro e si rifiuta di percepirne fino a fondo il dolore.

Guarda Dean. Non ha paura di suo fratello, ma gli si spezza il cuore a vederlo così con lui. A vedere i chilometri che ha frapposto fra loro.

“Puoi colpirmi quanto vuoi, Dean.” insiste, tenendo lo sguardo fisso sugli occhi di suo fratello. “Nascondere il dolore non lo farà diminuire”

Improvvisamente, il petto di suo fratello sembra essere scosso da un ruggito ferale. Soltanto uno stupido bambino poteva fermarsi per un momento e credere che quella storia potesse avere un finale diverso dalla canna di una pistola o dalla lama di un coltello o di chissà quale altra arma. Soltanto un ingenuo poteva permettersi il lusso di pensare a qualcosa di diverso, ma lui è Dean Winchester e di sogni così futili e così pericolosi non ha bisogno.

C’era stato un momento in cui Dean aveva pensato -

Ma era passato ed era stato sciocco anche solo immaginare di avere una vita abbastanza lunga da poter perdere tempo su una spiaggia.

“Oh, per favore. Piantala con le stronzate e risparmiami la pietà, Sammy.” esala in un solo respiro alla fine.

Il minore dei Winchester chiude gli occhi per un istante prima di riaprirli, rialzare il capo dolorante e approfittare di un attimo di distrazione di Dean per entrare dentro la stanza e chiudersi la porta alle spalle, sotto lo sguardo improvvisamente atterrito di suo fratello.

“No, Dean” afferma con tutta la fermezza del mondo, puntandogli un dito contro e pregando che suo fratello non si accorga del tremore che gli scuote in maniera irrimediabile la voce. “Non smetterò mai di parlare perché tu hai bisogno di qualcuno che ti dica le cose come stanno”

E perché, se le cose fossero andate diversamente, avresti detto che è quello che ammiravi di me, non aggiunge.

Dean scuote il capo, irrigidendosi davanti a quel rifiuto e alzando gli occhi al cielo. Sam lo guarda, ne osserva gli occhi chiari e furiosi, la piega ferrea che assume la sua bocca, il tremore che scuote le sue labbra. Sapeva che non sarebbe stato facile farlo ragionare e fargli capire che aveva ragione lui, grazie tante, ma in nessuno dei suoi peggiori incubi sarebbe stato capace di immaginare la frustrazione che lo riempie, mentre cerca di discutere con Dean, che si comporta come un fottuto muro di gomma. Vorrebbe urlare che non dovrebbe essere lui il maggiore fra i due e allo stesso tempo sa che sarebbe inutile, che non c’è altro modo.

“Sam” ringhia Dean, e per la prima volta gli permette di percepire un po’ di quella stanchezza che ha nelle ossa.

“Non saresti così incazzato” mormora, avvicinandosi con sicurezza verso di lui, perché è suo fratello e non ha paura. “Se non stessi soffrendo. E non saresti ancora vivo, se non tenessi ancora a qualcosa.”

A me, rimane sospeso fra di loro.

“Sammy” mormora Dean, in un nuovo ammonimento, mentre si lascia cadere sul divano del salotto, in un moto di improvvisa stanchezza.

Sam – my.

Sam sospira e abbozza un mezzo sorriso, perché non è molto, ma è qualcosa che riconosce, finalmente.

E’ la sua voce che ha di nuovo quel tono che sembra volersi prendere cura del suo nome, ancora prima che di lui.

E’ solo quando è sicuro che Dean non scappi, che si siede su quel divano, accanto a lui.

Il maggiore dei Winchester si ripete che, maledizione, quella concessione non ha nessun significato.

 

***

“Te ne sei andato, Sammy”

Dean aveva immaginato cosa dire, fra le stanze silenziose di quella piccola baita in mezzo al nulla. Un discorso lungo e articolato che avrebbe spiegato a Sam che si era comportato di merda e che non iniziava con quel tono da disperato, maledizione.

Si morde la lingua e si maledice, ma è troppo tardi per tornare indietro.

“Dannazione, te ne sei andato” ripete con più forza, schizzando in piedi e trovandosi improvvisamente davanti al tavolo, a fronteggiarlo. “Non me ne frega un cazzo dei vampiri né di quello che avevi letto. Te ne sei andato.

Come avevi già fatto, come faceva papà, come ha fatto la mamma, non sottolinea.

Quando suo fratello minore fa ribattere, lo zittisce con un gesto.

“E non hai avuto neanche il coraggio di dirmelo, Sam” continua ancora, girando come uno squalo intorno al tavolo e puntandogli un dito contro. “E sai qual è la cosa peggiore, fratellino? E’ che ti avrei aiutato, se tu mi avessi detto cosa stavi cercando di fare. Se tu ti fossi fidato di me.”

Sam quasi sobbalza di consapevolezza, perché ci sono cose che si possono negare, ma non quella. Lascia cadere le spalle in un gesto di impotenza, prima di alzarsi in piedi e avvicinarglisi, con cautela.

“Lo so, Dean.” concede alla fine, in un sospiro. “Ed è esattamente la ragione per cui non potevo dirtelo. Avevo bisogno di qualcuno che non corresse alcun rischio nel verificare se fosse vero oppure no.”

Si trattiene dal dire che se ci fossero stati dei vampiri, se Chuck avesse avuto ragione, non sarebbe stata Eileen a morire in quella storia. Non era previsto.

Una risata strozzata e amara lascia le labbra del maggiore dei Winchester, zampilla come il sangue rosso e limpido da una ferita finalmente pulita dall’infezione che lo stava divorando.

“Cosa diavolo significa questo, Sammy?” chiede alla fine, con una nota di diffidenza appena a incrinargli la voce.

Sam prende un respiro, trattiene dell’aria nei polmoni che non gli serve più a nulla, se non a ricordargli gli esercizi che aveva imparato a fare, quando non capiva se qualcosa fosse reale oppure no. Si gratta distrattamente il palmo della mano, alla ricerca di una ferita invisibile che non è più lì da tempo, perché non si può più permettere il rischio di illudere Dean. Non nuovamente.

“Dean, sta’ zitto e ascoltami: papà non ha abbandonato quel caso perché non ha saputo riconoscere un vampiro. E, per la cronaca, ti prenderebbe a calci se sapesse che è quello che hai pensato.” inizia, e attende che gli occhi di Dean si posino, irritati e furiosi, su di lui. “Ha lasciato quel caso perché c’era un sospettato, tale Fred Wilson”

Dean non gli corre incontro, non lo abbraccia, non esulta perché è Dean ed è impegnato a guardarlo con una tenue e terrorizzata speranza nei suoi occhi, con i pugni serrati e i denti che vogliono trasformarsi in zanne, e un lupo sotto pelle che vorrebbe ringhiare e-

“Oh, per favore, Sammy. Come se il fatto che la polizia avesse un sospettato fosse mai stato rilevante per papà” si limita a dire, a denti stretti.

Sam non può fare a meno di sbuffare, scuotere il capo e fare un passo avanti, con maggiore sicurezza, perché è suo fratello e non è cambiato, è distrutto da tutto ciò che sta succedendo, ma è Dean e non gli avrebbe fatto del male.

“Nell’86 ci sono stati tre casi di questo genere sulla strada ‘66, ad Arkon, Canton e East Sparta. I padri dei bambini erano stati uccisi, mentre alle madri era stata tagliata la lingua. I corpi dei padri vennero rinvenuti sull’entrata, mentre quelli dei bambini non furono mai trovati. Una sola delle tre donne sopravvisse alle lesioni” inizia, cercando di tenere ferma la voce e di non lasciare che Dean percepisse la minima esitazione. “Ora, dimmi, qual è la prima cosa che avrebbe fatto papà nel sentire un caso del genere?”

Dean, in piedi a poca distanza da lui, alza gli occhi al cielo e non può fare a meno di rivolgergli un’occhiata in cagnesco, irrigidendosi automaticamente a quelle parole.

“Cos’è, un interrogatorio? Devo preoccuparmi del fatto che papà ti abbia posseduto adesso, Sammy?” gli chiede, un filo di sarcasmo ad incrinargli la voce, a smorzare quel filo di speranza che ha negli occhi.

“Dean” tenta di ammonirlo, ma il suo nome assume ben presto la forma di una supplica, di un pigolio.

Sam prende un respiro, azzardando un altro passo. Quando se n’è andato, l’ha fatto perché ha sentito l’aria mancargli, perché ha visto il terrore nascosto negli occhi di Dean e ha capito che sarebbe stata la fine, che Dean sarebbe potuto morire se non avesse fatto qualcosa e non se lo sarebbe mai potuto perdonare. Aveva chiamato Eileen, aveva serrato i pugni e aveva costretto i suoi piedi a muoversi, ad andarsene prima di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito per l’eternità. O prima che fosse suo fratello ad andarsene.

Dean gli lancia una lunga occhiata truce, prima di esalare un lungo respiro e cedere.

“Va bene, finiamola, maledizione” acconsente, ma senza evitare di sottolineare che si tratta di questo: di una concessione. “Avrebbe cercato una connessione fra i delitti e avrebbe interrogato la sopravvissuta. Sei contento, adesso?”

Sam non riesce a trattenere uno sbuffo, davanti all’aria vagamente minacciosa di suo fratello.

“Esatto. Ho fatto delle ricerche e non è stato difficile risalire al fatto che quei nuclei familiari fossero legati l’uno con l’altro da una parentela. Samantha Wilson era la cognata di Peter Tuxon” prosegue alla fine, senza far vacillare di un secondo la sua convinzione. “La Wilson, unica sopravvissuta, è morta anni fa. Le lesioni erano molto gravi e non ha mai recuperato l’utilizzo della parola. Ha passato buona parte in una casa di igiene mentale, a disegnare questo

Sam ha un vago bagliore di soddisfazione negli occhi nel lasciare scivolare un foglietto da block-notes sul tavolo, con un disegno simile a quello sull’agenda di suo padre. Dean dall’altro lato non sembra ancora pronto a dargliela vinta, sebbene non possa fare a meno di deglutire e serrare la mascella, nel guardarlo, perché per un attimo può sperare -

Alza le sopracciglia, in un moto di incredulità.

“Grazie, Sammy. Il fatto che possa essere uno spirito vendicativo accanitosi su un nucleo familiare è incredibilmente rassicurante.” afferma alla fine, allontanandosi da suo fratello, come a porre una nuova distanza. “Hai almeno bruciato le ossa?”

Sam chiude gli occhi e serra la mascella perché, ovviamente, suo fratello aveva scelto il momento meno opportuno per comportarsi come un maledetto testardo.

“Riesci a stare zitto per un momento e ad ascoltarmi, Dean?” non può fare a meno di intimargli nuovamente. “Quella maschera è stata trovata da un cane della polizia nella proprietà di Fred Wilson, fratello delle due donne dei primi due nuclei familiari e cugino di primo grado della terza. Fu sospettato, ma non venne mai arrestato per insufficienza di prove. E per la cronaca, Dean: il test del DNA non era ancora utilizzato su larga scala, negli anni ‘80”

Una risata amara e gracchiante – la gola gli brucia per quei due giorni, in cui l’alcol sembrava essere stato come acido sui quei pensieri e sulle sue corde vocali – gli sfugge dalle labbra. Si lascia andare stancamente su una sedia, per poi alzarsi di scatto e fronteggiarlo.

“Questo non spiega un cazzo, Sammy. Non è detto che sia stato lui perché c’era una stupida maschera nella sua proprietà.” gli dice alla fine, puntandogli un dito contro. “Non spiega dove siano finiti quei bambini e non spiega perché diavolo abbia tagliato la lingua alle sue sorelle e a sua cugina.”

Sam trattiene un respiro, perché ecco, quella è la parte più dolorosa, quella di cui sperava Dean non chiedesse, quella che lo fa sentire sbagliato e schifosamente egoista per aver impiegato un secondo di troppo a pensare che quei bambini sarebbero dovuti diventare grandi, che avrebbero meritato una chance. Non aveva subito connesso il fatto che avrebbero avuto poco più della sua età, se solo avessero avuto una maledetta chance. Non può fare a meno di trattenere un singulto, prima di iniziare a parlare.

“Sam? Cosa diavolo è successo?” lo esorta allora Dean, senza che quel bagliore di terrorizzata speranza nei suoi occhi si spenga.

“Io e Eileen abbiamo trovato il fienile. Abbiamo scoperto che in quel periodo era in mano proprio a Wilson” afferma, con la voce che trema appena. “I nuovi proprietari hanno deciso di ristrutturarlo, ma nell’iniziare i lavori, hanno trovato delle ossa al suo interno. ”

Dean non può fare a meno di girare un paio di volte per la stanza, come una tigre in gabbia che non aspetta altro che scapparne, senza sapere davvero come fare. Continua a scuotere la testa nervosamente, fino a quando non si ferma, animato da un pensiero.

“Spero che quel figlio di puttana abbia passato gli ultimi giorni della sua vita in prigione, ma non puoi sapere per certo che sia andata così, Sammy” afferma, irrigidendo la mascella e fronteggiandolo, senza vacillare nemmeno un secondo. “Non puoi sapere che non sia un altro stupido giochetto di Chuck per farci credere di essere al sicuro. Non puoi saperlo, Sammy”

E’ di nuovo il suo nome quello a cui si attacca come se fosse un’ancora, è di nuovo il suo nome a tenerlo ancorato mentre galleggia in un mare di disperazione. E Sam decide che non può arrendersi, che lo deve a sé stesso prima ancora che a lui.

“Non è mai stato condannato per questo reato, ma ha finito i suoi giorni in prigione, Dean. E’ morto di cancro nel 2016, nella Prigione di Stato del Montana. Era dentro per aver ucciso sua madre, che viveva in quello stato. Fu ritrovata con la lingua tagliata” afferma alla fine, per poi concludere. “Ho parlato con alcuni conoscenti dei Wilson. Fred aveva smesso di parlare durante l’infanzia, in seguito a degli abusi. I vicini non ricordano molto, ma gli inquirenti sono convinti che il suo vero obiettivo fossero le figure della sua famiglia, specialmente quelle femminili. Non è stato uno stupido spirito vendicativo, Dean. E’ stato un uomo.

Suo fratello maggiore resta in piedi di fronte a lui per qualche secondo, regge il suo sguardo per un po’ e Sam non può fare a meno di chiedersi cosa stia pensando, se sia sul punto di colpirlo di nuovo. Ha i pugni serrati lungo i fianchi e fra di loro cala un silenzio vischioso e Sam si guarda intorno, cercando di non impazzire o peggio, riprendere a parlare a vanvera pur di sentire qualcosa. La stanza era elegante, seppur dai toni troppo scuri e barocchi per i suoi gusti. Lo si riesce a capire anche adesso che sembra sepolta sotto le schegge di legno di quelli che una volta erano stati mobili, sotto gli strati di piume liberate dai cuscini squartati e dai divani sventrati, sotto gli strati di fogli che suo fratello aveva sparso per la casa, alla ricerca di un minimo indizio.

Dean sospira, si passa stancamente una mano sul volto e si allontana di qualche passo. Distoglie lo sguardo.

“Volevo uccidermi, Sammy” si lascia sfuggire, in un sussurro, mentre il suo intero corpo sembra essere scosso da brividi e si ostina a non guardarlo negli occhi.

A quelle parole, Sam non può fare a meno di sbarrare gli occhi: aveva sempre saputo che quel genere di pensieri aveva attraversato la mente di suo fratello in passato, ma che ci avesse pensato di recente...avrebbe voluto dire qualcosa – che gli dispiaceva, che era terribile o forse solo abbracciarlo e proteggerlo anche da quello –, ma Dean riprende a parlare prima che possa decidersi, trovando il coraggio di sollevare il capo.

“Non perché volessi morire, dannazione! Ma perché se dovevo morire, volevo farlo a modo mio e non come uno stupido mezzo di intrattenimento di Chuck” ammette alla fine, scuotendo il capo, improvvisamente scottato dalle sue stesse paure. “Ero pronto a morire.”

Sam sussulta a quelle parole, ma è solo un attimo. Ritrova subito il controllo perduto e si impone di fare un passo avanti, di mettere fine a quella storia.

“Ma non l’hai fatto, Dean” constata solamente.

Per un lungo istante rimangono immobili a guardarsi: gli occhi di Dean sono due fenditure incazzate; quelli di Sam sono immensi e fermi, mentre si sforza di non distogliere lo sguardo, di non mostrare la paura e il dolore che gli scivolavano lungo la schiena.

“Chissà come mai. Forse perché non era così che finiva quella stupida storia, fratellino.” ribatte alla fine, irrigidendo ogni muscolo del suo corpo ed avanzando di un passo a sua volta.

Il volto di Dean è così vicino al suo che basterebbe così poco perché Sam lo tiri in un abbraccio, ma è troppo presto. Ci sono armadi da svuotare e scheletri da ricomporre, prima.

“No, Dean. Non l’hai fatto perché non ti sei arreso nemmeno quando avevi ogni motivo per farlo.” afferma, trovando in sé stesso la forza di scuotere la testa e di abbozzare un sorriso. Spera che suo fratello non senta quel sollievo di lacrime che sembra essersi accalcato – minaccioso – alla base della sua gola. “E posso saperlo, perché ti conosco meglio di chiunque altro. Conosco il Dean che mi ha cresciuto. Ma non funzionerà mai se non ti fidi di me e se non ti fidi di te.”

L’uomo solleva la mano e per un attimo Sam non sa se prepararsi all’impatto di un colpo o a qualcosa del genere. Ma Dean si limita a sbuffare, a lasciarsi andare ad un moto di frustrazione e a sfiorare il vuoto, davanti a sé.

“Non so come fare, Sammy. Maledizione, non so nemmeno se posso farlo, oramai.” ammette, in un sospiro frustrato.

Sam china il capo e quanto vorrebbe poterlo appoggiare sulla spalla di suo fratello e lasciarsi andare, lasciarsi respirare contro la sua pelle. Rialza la testa, torna a guardarlo negli occhi.

“Neanche io, Dean” ammette, scuotendo le spalle. “ Forse è una cosa che va imparata. E che...possiamo imparare?”

L’ultima sua frase assume, contro la sua volontà, la forma di una domanda, di un vecchio accusato in attesa di un verdetto sul patibolo, ma quando Sam se ne accorge è ormai troppo tardi per tornare indietro: le parole sono già lì nell’aria, con quell’inclinazione finale.

Dean esala un sospiro, quasi contro la sua pelle.

“Non so se sono in grado di farlo, Sammy”

Sam alza gli occhi al cielo e non può fare a meno di scuotere il capo e nascondere più di quanto vorrebbe la paura, le lacrime che gli stringono la gola.

“Non era davvero una domanda, idiota”

Dean esala lo sbuffo di una risata, che assume il retrogusto di una certa amarezza. E’ Sam a chiudere la distanza fra sé stesso e suo fratello, è Sam a mormorare un è quello che avrebbe voluto anche papà che sembra svuotarlo di ogni energia, che sembra risucchiare tutta la violenza che riempie la stanza.

Resta il vuoto, restano le braccia di Dean intorno alle sue spalle, il suo sospiro spezzato quando borbotta qualcosa come “Da quando ti importa di quello che avrebbe voluto papà?” e non hanno risolto niente, non davvero, ma forse basta così. Forse è un inizio.

Resta uno spazio, uno spazio per costruire qualcosa.

 

 

***

 

Sono entrambi in piedi: Dean gli si è avvolto intorno e Sam non può fare a meno di stringerselo contro, esalando un singhiozzo che è solo parzialmente di sollievo. Le dita di Dean sono tanto strette intorno alla stoffa della sua maglietta da essere diventate bianche come piccole perle.

Il suo respiro sembra essere tornato regolare, ma muoversi significa ammettere che ogni cosa – anche quell’assurdo, disperato ed impacciato abbraccio – sia reale. Quindi, semplicemente, stanno.

Stanno, ma non può durare per sempre. Dean è il primo a muoversi: sospira e scosta impercettibilmente il volto che aveva sepolto nell’incavo del collo di suo fratello, per poterlo guardare. Sam ha la testa china e i capelli gli ricadono intorno in ciocche scomposte e scompigliate; dalla posizione in cui si trova, Dean non riesce a vederne gli occhi, ma può intravedere l’ombra del livido che si sta formando sotto l’occhio sinistro. Sente la bile risalirgli nella gola e l’odio e la rabbia verso sé stesso e -

Sam si scosta di qualche centimetro e lo costringe a guardarlo, mentre volta il capo verso di lui e gli sorride timidamente, come se avesse letto nella sua mente cosa lo turbasse e di cosa avesse bisogno, prima ancora che apra la bocca per elaborare delle scuse.

“Stai zitto” lo rimbecca, per poi proseguire. “Sei libero. Va bene, Dean. Va tutto bene. Puoi andare adesso...possiamo andare dove vuoi”

Lo aveva preso a pugni, gli aveva rinfacciato il fatto di essersene andato, sono circondati da macerie e resti di mobili e quella è l’unica cosa che Sam sembra essere intenzionato a soffiargli, con sollievo, a pochi centimetri dal viso: sei libero, va tutto bene, puoi andare adesso.

Dean posa la fronte contro la spalla di suo fratello e Sam fa finta di non sentire le lacrime che attraversano la stoffa della sua maglietta e gli scivolano lungo la spalla.

***

 

Dopo, Dean è seduto con la schiena appoggiata allo schienale della sedia e gli occhi fissi sul tavolo di fronte a sé. E’ sorprendente, pensa, l’idea di avere un intero mondo ad aspettarlo ed è fottutamente terrificante perché è quasi tutta la sua vita, quella che si sta lasciando alle spalle.

Dal divano, Sam di tanto in tanto gli lancia delle occhiate apprensive, seppur discrete, ma nessuno dei due sembra più intenzionato a parlare – di quel caso, del futuro o di tutto il resto -, fino a quando Dean non si lascia andare ad un sospiro frustrato.

“All’inizio non volevo saperne nulla, Sammy” mormora, con gli occhi fissi nel vuoto. “Tutte queste stronzate su una vita normale erano una debolezza e una distruzione. E tu invece...credevi in cose insperabili per la nostra famiglia. Quando papà mi ha salvato, l’ho odiato per averlo fatto...”

Una risata spezzata e amara gli lascia le labbra tumide.

“Maledizione, quando mi ha detto che forse avrei dovuto ucciderti, sopravvivergli mi è sembrato solo un altro carico di merda da dover sopportare...” ammette, in un solo sospiro, prima di proseguire. “E poi c’è stato Cas, le cose buone succedono e tutte quelle stronzate del genere...”

Sam si alza, sedendosi di fronte a lui, sentendo improvvisamente il bisogno di avvicinarglisi con discrezione, senza interromperlo.

“Li ho odiati entrambi per questo. Io...non volevo essere salvato. Non ho mai voluto...” afferma, lasciando quella frase a metà.

Sam esala un empatico “Dean” e il maggiore dei Winchester non può che guardarlo e poi chiudere gli occhi e sentire la pressione delle lacrime dietro di essi.

“Ma poi Cas si è ribellato, ha deciso di restare con noi. E ho cominciato a farmi quelle stupide domande che ti facevi tu e che papà non avrebbe approvato, non avrebbe capito.” afferma, scuotendo la testa, prima di guardarlo, in cerca di un cenno di assenso o di una condanna. “Mi sono chiesto perché diavolo avrei dovuto sentirmi in colpa, se quella volta a St. Petersburg abbiamo rallentato per guardare il mare dal finestrino… è stato allora che ho capito che...”

Le parole di Dean muoiono in un singulto e serra le palpebre per non lasciare uscire nessuna delle lacrime che sente premergli negli occhi. Ha imparato che il momento perfetto – quello in cui si è pronti e sicuri e ogni cosa va al suo posto – non esiste davvero, non nella sua vita almeno, e non sa se si perdonerà mai per avere voluto tutto ciò.

“Che volevi qualcosa di normale. Dean, non c’è nessuna vergogna nell’ammetterlo.” soffia allora Sam, completando la frase che suo fratello aveva lasciato in sospeso.

Sam non può non vedere il corpo di Dean irrigidirsi.

“Già. Comunque” ribatte, trafelato, scuotendo la testa mentre le sue labbra si incrinano in un sorriso sardonico e si alza in piedi. “Era un pensiero stupido. Voglio dire, cosa diavolo dovrei fare? Scrivere “Salvo le persone, caccio le cose” nel mio stupido curriculum? Far finta che Cas, che papà, che le persone che sono morte a causa mia semplicemente non esistano?”

Dean si allontana di qualche passo, scuotendo la testa e calciando via i resti di un appendiabiti per terra.

“Dean, dannazione!” lo chiama di nuovo Sam, dopo aver tratto un altro respiro, arrivandogli da dietro e posandogli una mano sulla spalla – lentamente, per non spaventarlo. “Smettila di mentirmi e di mentire a te stesso!”

Lo sente irrigidirsi contro la sua presa sulla sua spalla e non può fare a meno di rifiutarsi di desistere; non può permettergli di scappare di nuovo, di sparire di nuovo dietro a montagne e muri, non ora, non da lui.

“Oh, dannazione. Vuoi che ti dica la verità, Sammy?” grida allora, scrollandosi di dosso la sua mano e sferrando un pugno contro il muro. “La verità, Sammy? La verità era che Cas era innamorato di me ed è morto a causa mia!”

Sam si lancia verso di lui prima che possa aggiungere anche solo una parola e il suo gesto avrebbe molto più effetto se fosse effettivamente riuscito a farlo indietreggiare almeno un po’.

“Non è stata colpa tua” sibila, con urgenza. “Non sei stato tu ad ucciderlo, non è stata colpa tua”

Mesi prima, Dean avrebbe inarcato un sopracciglio o gli avrebbe sorriso, tutto allusioni e battute sagaci, ma ora si limita ad alzare uno sguardo vacuo su di lui, quando cerca vanamente di strattonarlo verso di sé.

“Bel tentativo, Sammy. Ma il Vuoto l’ha preso con sé perché era innamorato di me. “ gli urla, contro il volto.

Sam scuote la testa, lasciandosi andare ad un sospiro frustrato.

“Questo non ne fa una tua colpa!” grida, senza dargli nemmeno una possibilità di intimidirlo. “Stai zitto e ascoltami, Dean: decine di persone sono morte perché abbiamo preso decisioni sbagliate. Quelle persone, quelle famiglie, quelle morti sono una nostra responsabilità. Ma Cas...non è stata colpa tua. E quando ce ne andremo da questo posto, risponderai a quella proposta di Sonny, perché io ti conosco e so che puoi fare tutto questo. So che salvare le persone è sempre venuto prima di uccidere le cose. Lo sapeva anche Cas.”

Dean scuote il capo e irrigidisce la mascella, nel registrare quelle parole.

“Non ho neanche potuto fargli un maledetto funerale, Sammy. Me ne sono andato e...” la voce gli si spezza.

Sam non può fare altro che allontanarsi abbastanza da poterlo guardare negli occhi.

“Ora ci alzeremo e poi chiameremo Jody, le diremo che stiamo bene e organizzeremo un funerale.” mormora.

E potrai parlargli, potrai dirgli tutto quello che non hai detto a me e potrai salutarlo, pensa, ma non lo dice perché sa che Dean non è pronto e ci sarebbe stato tempo.

Da suo fratello arriva solo un sospiro.

Ci sarebbe stato tempo.

 

***

C’è il sole quando lasciano quella baita, il giorno dopo, e c’è un leggero profumo di fiori di montagna nell’aria.

“Dean?” chiede Sam, dal sedile del passeggero dell’Impala.

Dean attende qualche secondo, lasciando che quel sole sia come balsamo sulle ferite altrui e sulle proprie. Una coppia di anziani si volta a guardarli, all’entrata del parcheggio di un sentiero per fare trekking: la donna sorride con condiscendenza, prima di voltarsi verso il marito e mormorargli qualcosa in una lingua che Dean non comprende e che lo spinge a voltarsi e a guardarli con un sorriso cortese così simile a quello della moglie. Per un istante sembrano avere quasi gli stessi lineamenti, ma è solo la familiarità. Sono solo gli anni passati a guardare intorno, respirarsi e inconsciamente, imitarsi. Ed è spaventoso che un giorno potrebbe accadere a Sam o a lui – che forse sta già accadendo. Che accetta che gli accada. Che accetta di crescere e di invecchiare e di farlo dopo aver visto due Apocalissi e intere città crollare come castelli di carta. Che lo accetta, che lo vuole – maledizione, è così spaventoso – e si perdona, nonostante tutto. Per tutto.

Che non teme più così tanto di finire per assomigliare a suo fratello. Che non teme lo scoprire cosa rimarrà di lui, fra una decina di anni. Non è certo di essersi ritrovato – niente affatto -, ma almeno ha recuperato il filo di Arianna da seguire e ha tutto il tempo per scovarsi.

“Dean?” insiste Sam, affacciandosi dal finestrino del passeggero, con un filo di impazienza. “Dobbiamo andarcene prima che ci arrestino per danneggiamento di proprietà privata. Ed è maleducato fissare le persone in quel modo”

Dean scuote la testa.

“Mi ero incantato” borbotta, a mo’ di scuse, mentre sale in macchina.

“L’ho notato” osserva, guardando la coppia di anziani fuori dal finestrino. “Ma dobbiamo andare”

Dean inarca un sopracciglio.

“Non pensavo che avessimo degli orari così stringenti anche adesso, Sammy”afferma, nel guardarlo.

Sam scuote le spalle, con un sorriso. Non dice che ha avuto lo stesso pensiero, che sa che non sarà facile, ma che per il momento non ha intenzione di andare da nessuna parte dove non possa tenerlo d’occhio; non gli dice che ha comunque ogni intenzione di lasciare quel posto, bruciare quel libro e non tornarvi per i prossimi cinque secoli.

Non glielo dice, ma Dean gli stringe la spalla in un gesto di conforto e mormora un quasi inudibile “grazie, Sammy” prima di mettere in moto, come se sapesse.

Un giorno, i telegiornali di tutto il mondo saranno aperti da immagini di pura devastazione. Una baita è crollata nella notte, intitoleranno i quotidiani, sotto il peso della neve e della leggerezza del vuoto su cui è costruita e ci saranno macerie e sangue e ossa e così tanti morti, ma il suolo sarà finalmente pieno e solido. Ci saranno macerie, ma sarà un inizio.

 

 

 

 

Quando Jody sente squillare il telefono e vede, sullo schermo, un numero sconosciuto, tutto si aspetta fuorché di sentire la voce roca e aspra di Sam Winchester e il rumore di un'automobile in sottofondo.

“Chi è?” chiede Claire, alzando la testa dal suo telefono.

“E’ Sam” mormora, sorpresa. “Stanno tornando a casa”

 


NDA. 
Ai coraggiosi che sono arrivati fino a qui senza sbadigliare, un immenso grazie. 
Questo capitolo, il penultimo, è stato un parto. Quando ho iniziato a scrivere questa storia, sapevo che doveva essere abbastanza soddisfacente e - seppur in modo assurdo e paradossale - volevo che fosse abbastanza canon- compliant da darmi un senso di chiusura - la chiusura o te la danno o te la vai a cercare e non indugio sui miei pensieri sulla 15x20, perché - ancora una volta - sarebbe come aprire il vaso di Pandora.  
Questo capitolo ha varie difficoltà, in primis c'è tutta la questione di un abilismo di cui spero di non aver peccato. Il mio primo ragazzo era non udente, ma eravamo adolescenti e non ho mai imparato la lingua dei segni perché lui leggeva il labiale (e non la utilizzava, ogni situazione è ovviamente a sé), quindi ho indubbiamente tantissimo da imparare su questa comunità e spero di non aver scritto troppe cavolate, in merito. I - pochi, perché Eileen legge il labiale canonicamente - gesti che ho scelto di utilizzare all'interno della storia sono in ASL. Credo che - nonostante non l'abbia esplicitato del tutto - sia praticamente evidente che i due finiranno insieme in questa storia - se non lo è, lo sarà nel prossimo e ultimo capitolo.
L'introspezione di Sam&Dean, soprattutto quella di Dean, all'interno di questa storia è forse la cosa a cui ho dedicato più tempo, perché secondo me, non è tutto così semplice  e automatico, credo davvero che in qualche modo ci sia una dinamica psicologica molto complessa che va di pari passo con quella fisica. Tutto il capitolo è orientato su questo concetto: Dean qui è libero, ma si sente libero? 
Shawshank è calzante da questo punto di vista e gran parte - anche tutto - questo capitolo è orientato sul binomio morte-vita, sul prezzo che costa il sopravvivere. Perché volevo scrivere un happy ending e volevo scrivere una storia life-affirming, ma per affermare la vita, bisogna necessariamente negare la morte. Far sembrare tutto happy-go-lucky in questo capitolo avrebbe secondo me fatto sembrare il prossimo capitolo completamente tacked-on e ricordiamoci che ho adottato questo video molto interessante  da un'intervista di Tim Robbins per capire cosa volevo scrivere in questa storia. E volevo, soprattutto, che tutto fosse ponderato e genuino. La scena del "you can go now" doveva essere, in questa storia, il culmine di questo processo - del trasformare una storia di morte in una storia di vita. 
Cas&Jody&le ragazze: spero di aver fatto un buon lavoro nel non tradire il concetto di found family, perché se Sam e Dean escono vivi da questa storia, lo devono senz'altro anche alla famiglia che si sono scelti lungo la strada. E Cas... mi piace l'idea che la ribellione di Cas abbia acceso il dubbio in Dean o lo abbia quanto meno risvegliato. 
Nel prossimo capitolo avremo un flashback da Jody dove Dean avrà le ultime risposte di cui ha bisogno per quanto riguarda la situazione di Cas, sapremo cosa farà Sam adesso (ho già accennato a cosa farà Dean e amo quest'idea per lui...l'idea per Sam non è particolarmente originale, ma è quello per cui ha lottato), e avremo - dopo la scena a casa delle ragazze - un salto temporale di tre o cinque anni (devo pensarci un attimino).
Vi lascio un video a caso dove lo spirito di Shawshank viene catturato in sei minuti per nessuna ragione oltre al fatto che è un edit perfetto. 

   
 
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