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Autore: _Lisbeth_    22/02/2021    2 recensioni
Dal prologo:
"- E anche questa giornata di lavoro è giunta al termine. - la frase della dottoressa Warren fece annuire la giovane tirocinante, che raccolse tutte le sue cose dal divanetto e le sistemò nella borsa.
- A che ora dovrei venire, domani?
- Domani... - Danielle Warren si alzò dalla propria sedia e diede uno sguardo al calendario appeso alla parete, mettendosi in punta di piedi per poter vedere meglio. – Domani non abbiamo pazienti. Però ho una buona notizia da darti: da venerdì potrai tenere tu stessa le sedute."
"Jake prese un sorso dal bicchiere. – Perché sono qui?
- Perché sono il tuo numero di emergenza e ieri sera eri praticamente in coma etilico."
"- Jake. – la ragazza puntò gli occhi in quelli del fratello. – Ti rendi conto che è qualcosa che potrebbe aiutarti?
- No! – si alzò dalla panchina su cui era seduto e sbarrò gli occhi. – Come dovrebbe farmi stare meglio parlare con una persona che non ho mai visto dei cazzi miei? E’ come prostituire i propri neuroni."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jacob Kiszka, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Ma tu sei proprio sicura che non ti annoierai a fare il terzo incomodo? – domandò Maggie, le sue dita intrecciate in quelle del suo ragazzo in piedi accanto a lei.
Tracy scrollò le spalle e sorrise, nonostante in cuor suo si sentisse un po’ sola. Ma, d'altronde, lei e Maggie erano scese a un compromesso: Tracy sarebbe stata disposta a essere la ruota di scorta, ma avrebbero passato quella serata di luglio al concerto che Hozier avrebbe tenuto a Detroit.
E anche a Maggie non dispiaceva affatto la musica dal vivo, quindi potevano dire di aver fatto un affare.
Se c’era un posto in cui Tracy si sentiva a suo agio, nonostante fosse circondata da persone che non conosceva, era sotto un palco. Si perdeva completamente nella musica e amava l’atmosfera che si creava, soprattutto quando era in un luogo aperto e al fresco. Ed era proprio quello il bello dei concerti estivi, nonostante le ore di fila sotto il sole ad aspettare per aggiudicarsi un posto da cui si potesse vedere e sentire bene.
In quel momento il cantante non era ancora sul palco, ma in pochi minuti avrebbe fatto il suo ingresso in quella serata calda e luminosa. L’area era allestita perfettamente, grande abbastanza da poter contenere una decina di migliaia di persone, o anche di più. I tre ragazzi erano riusciti a capitare in un buon posto in terza fila, vicini al palco e verso il centro.
Tracy era così concentrata sull’ambiente che la circondava che quasi non si accorse dell’arrivo di Hozier, se ne rese conto solo quando un boato si alzò dal pubblico, accogliendo il cantante, che da quella posizione si riusciva a vedere benissimo (in tutta la sua altezza). La ragazza applaudì con foga, sentendo anche Maggie lanciare un grido mentre Brad, il suo ragazzo, scoppiava a ridere. Dopo un breve, imbarazzato saluto del performer, Tracy sentì un riff familiare, che aveva sentito innumerevoli volte, ma mai dal vivo.
“As it was” era una delle sue canzoni preferite, e sapeva che Hozier fosse solito ad aprire i suoi concerti con essa. Già dal primo momento sentì delle emozioni fortissime artigliarle il petto, mentre cantava anche lei insieme al pubblico e al performer. Maggie si girò verso di lei entusiasta. – Visto che non hai fatto male a venire con noi?
Tracy alzò gli occhi al cielo sorridendo. – Che ti aspettavi? L’ho scelto io il posto.
- Ma fammi il piacere! – dopo averle tirato uno schiaffetto sulla spalla, la sua migliore amica si voltò verso Brad e si mise sulle punte per baciarlo. Il ragazzo rispose abbracciandola e tenendola stretta a sé.
Il cuore della psicologa, ormai ventisettenne, si sciolse. Maggie era una delle persone a cui teneva di più al mondo, e le faceva piacere di vederla così felice accanto alla persona che amava.
Però, allo stesso tempo, si sentiva sola. Lei e lei stessa, come succedeva spesso. E nonostante fosse arrivata a pensare di non aver bisogno di una relazione e di poter essere felice anche da sola, provava quel senso di malinconia nel petto. Il senso di vuoto del non essere riuscita a trovare qualcuno da amare.
- Non pensavo ti piacesse Hozier!
Tracy si bloccò in quell’istante. Il suo cuore prese a battere fortissimo e sentì gli occhi spalancarsi e le mani tremare.
Quella voce la conosceva. E non la sentiva da anni.
 
“And the sights were as stark as my baby
And the cold cut as sharp as my baby
And the nights were as dark as my baby
Half as beautiful too”
 
Dopo un applauso appassionato, le note iniziali di “Dinner & Diatribes” danzarono nelle orecchie di Tracy nello stesso momento in cui si voltava a guardare la persona che le aveva parlato.
Jake.
Jake sorrideva come non l’aveva mai visto sorridere. Gli occhi brillavano, le occhiaie scure si erano affievolite notevolmente e il pallore spettrale aveva fatto posto a una carnagione olivastra sana e abbronzata. Il suo viso era cresciuto, lo sguardo era sereno e molto più spensierato. Tracy aveva voglia di abbracciarlo: vedere il suo viso disteso e tranquillo la rendeva felice, nonostante non si vedessero da tre anni. Era così… Diverso, in positivo.
- Jake... Da quanto tempo.
 
“And that’s the kind of love I’ve been dreaming of”
 
 
Tracy drizzò la schiena, tirando su le braccia sentì un rumoroso schiocco. Quella mattina aveva conosciuto il suo nuovo paziente, questa volta un ragazzino di undici anni, affetto da deficit dell’attenzione e iperattività. Aveva potuto osservare e analizzare dei comportamenti che le avevano permesso di conoscerlo quel tanto che serviva alla prima seduta.
Le era sembrato agitato e nervoso, e spostava di tanto in tanto lo sguardo in diversi angoli della stanza muovendo rapidamente le ginocchia. Ogni tanto era capitato che si distraesse, ma le sembrava un bambino molto intelligente. Era di sicuro una sfida, ma l’avrebbe affrontata con tutto l’amore che provava per quella professione. Aveva fatto tanti progressi da quando era un’adolescente. Anni prima le era difficile portare a termine realmente qualcosa, mollava spesso la spugna per paura di fallire o per la poca voglia di continuare un percorso.
Sentì il cellulare squillare e quando lo prese tra le mani lesse il nome di Piper. Un’espressione corrucciata si formò sul suo viso ma ripose quasi subito. – Ehilà?
- Devo parlarti, sono fuori dallo studio.
Tracy si sentì per un attimo spiazzata e assottigliò lo sguardo. – E… Di cosa dovresti parlarmi?
- Cristo, esci e basta, no? Non posso restare qui per tutta la vita.
- Non dirmi che si tratta di nuovo di Alex, non mi interessa.
- Ma che dici, idiota? Sai che cazzo me ne frega di quello.
- Devi per forza inserire un’imprecazione in ogni frase?
- Vuoi darti una mossa o devo entrare io?
La psicologa sospirò e scrollò le spalle. – Sì, okay. Dammi un secondo e arrivo. – tastò il pulsante rosso e infilò il cellulare nella tasca, indossando il cappotto azzurro e arrotolandosi la sciarpa attorno al collo. Appena superò il lungo corridoio e aprì la porta si trovò Piper a letteralmente due centimetri dal viso.
- Ehm…
- Vieni con me – Piper la tirò per un braccio e la portò sui gradini dell’edificio. Si accese una sigaretta e fece oscillare i capelli lunghi e corvini. – Vuoi fare un tiro?
Tracy inarcò le sopracciglia. – Sì.
- Ah. – Piper arricciò il labbro superiore. – Pensavo mi dicessi di no. Se avessi saputo la risposta non te l’avrei chiesto.
- Ma non ha…
- Tieni, sbrigati.
La psicologa afferrò la sigaretta, aspirando e trattenendo per un po’ il fumo nei polmoni per poi soffiarlo via.
- Pensavo iniziassi a sputare.
- Posso essere sorprendente. – Tracy alzò gli occhi al cielo e passò nuovamente il tubicino di carta alla ragazza. Piper le sorrise, prendendo un’altra boccata. – Scusami, so che a volte ho la delicatezza di un bufalo incazzato.
- Non è tanto quello, è che dovevo tornare a casa e preparare il pranzo.
Vide la ragazza sorridere ancora. Un sorriso vero, non quel solito ghigno che aveva sempre visto sul suo viso.
- Cosa volevi dirmi?
- Non ci girerò troppo intorno, non sono il tipo che si scrive il copione nel tempo libero. Quindi, in pratica, andando dritta al punto: mi piaci un sacco, “nome di merda”.
 
 
Il concerto era stato… Strano, in un certo senso. Hozier era assolutamente stato all’altezza delle aspettative di Tracy, quindi la stranezza della situazione non era dipesa da lui, quanto dal fatto che, per tutto il tempo, affianco a lei ci fosse stata la persona che aveva vissuto nei suoi sogni e nei suoi pensieri per anni. In modo completamente inaspettato.
Non lo vedeva da tre anni e di certo non avrebbe mai immaginato di poterlo incontrare ad un concerto.
Si erano salutati, e poi lui era andato via. Non si erano detti niente, solo un “ciao” e un “devo andare”. Tuttavia, per tutto il concerto, lei non era riuscita a pensare ad altro se non a quel sorriso radioso che non aveva mai visto prima sul viso di Jake. Aveva ventisette anni ma le sembrava di essere una sedicenne.
Si sentì prendere per un braccio.
- Sono io ad avere le traveggole, o quello era Jake? – Maggie si era staccata da Brad per un attimo.
- Grazie a Dio non hai le traveggole.
- Ah, menomale. Cioè, non proprio, in realtà.
Tracy si limitò a scrollare le spalle.
- Non mi sembri entusiasta.
- E perché dovrei? – sospirò la ragazza, incurvando la schiena. – Non abbiamo più nulla a che fare l’uno con l’altra. E lo sai anche tu che non avrei dovuto…
- Tracy.
In quel preciso istante, Tracy sentì il braccio di Maggie abbandonare il suo, mentre la voce del ragazzo dietro di lei le risuonava nelle orecchie come un’eco. Trasse un respiro profondo e si voltò, sorridendo appena.
- Ti è piaciuto il concerto? – era cambiato così tanto, ma Tracy lo trovava comunque dolorosamente bello. Dopo anni non avrebbe dovuto farle alcun effetto, eppure sentiva le farfalle nello stomaco e gli occhi luccicare come fosse una ragazzina.
- Sì, certo. Più di quanto mi aspettassi. – la sua voce era leggermente più alta del solito e si augurò di non essere arrossita. Si schiarì appena la gola. – A te?
- Se te lo spiegassi con un cannolo davanti?
Un cannolo? Tracy aggrottò la fronte e abbozzò un sorriso. – E dove lo trovi un cannolo, a Detroit?
Jake puntò il dito verso un posto poco lontano, e l’occhio della ragazza finì sull’insegna di una pasticceria italiana.
- E se non facessero i cannoli?
- Un’alternativa si trova di sicuro.
 

 
Nell’esatto momento in cui Jake mise piede in casa, si vide sua sorella piombargli addosso. Veronica gli avvolse le braccia intorno al collo, stringendolo forte a sé. Aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo sulla ragazza, posandole una mano sulla schiena e massaggiandola leggermente. – E’ il mio compleanno?
- No, idiota, siamo a dicembre.  – Ronnie sciolse l’abbraccio e guardò Jake con un sorriso stampato in volto. Gli prese le mani, stringendole. Il ragazzo non ci stava più capendo nulla.
- Sammy.
- Sammy che?
- Lo dimettono oggi. Hanno detto che sta meglio, che le cure stanno funzionando. Ovviamente deve continuare a prendere le sue medicine… Però può tornare a casa.
Jake sentì il cuore fermarsi per un secondo. Ormai erano passati due anni dal giorno in cui era entrato in quella clinica, due anni tremendi sia per il povero ragazzo che per la sua famiglia. Jake sentì le spalle alleggerirsi da quel peso enorme che gli piegava la schiena: aveva temuto spesso di perdere un altro fratello, avrebbe avuto solo Ronnie al suo fianco, l’unica rimasta, perché non riusciva più a considerare sua madre come tale. Viveva nella loro casa e cercava ogni giorno di rimediare ai suoi errori, che erano troppo grandi da dimenticare e, nonostante Jake l’avesse già perdonata, non riusciva a togliersi il pensiero del suo abbandono dalla testa. Sarebbero stati lui e Ronnie, da soli, sarebbero dovuti essere l’uno la roccia dell’altra ma sarebbero potuti crollare in un battito di ciglia.
E il pensiero che Sam stesse bene…
Il loro piccolo e goffo Sam che anche se, probabilmente, non sarebbe stato più lo stesso, sarebbe stato libero come meritava e desiderava. E l’amore che nutriva Sam per la libertà, Jake non l’aveva visto in nessun altro.
Il maggiore sorrise dolcemente, respirando a fondo e rilassando le spalle.
- Che c’è? Non sembri troppo contento. – mormorò sua sorella. In tutta risposta, Jake la prese nuovamente tra le braccia e le accarezzò i capelli infondendole tutto l’amore che aveva riscoperto in se stesso.
- Sono felice, Ronnie. Sono così felice.
 
 
Mentre parlava con Tracy, Jake si accorse per davvero di quanto gli fosse mancata. Aveva pensato spesso a lei, alle sue espressioni buffe, ai gesti timidi e alla sua gentilezza. Non si era dimenticato della sua risata, ma in quel momento si stava dimostrando anche più divertente e… Tranquilla, forse. Si erano conosciuti in un ambiente completamente diverso e formale, e ora erano in una pasticceria italiana dopo un concerto.
Però non avevano i cannoli.
“Quelli, prendiamo quelli”, gli aveva sussurrato davanti alla vetrina dei dolci, indicando dei biscotti dalla forma allungata con all’interno quelle che sembravano essere delle mandorle.
“Cosa sono?”, aveva sussurrato in risposta, chinando la testa verso di lei.
- Dio, i cantucci. – sorrise la ragazza mordendo nuovamente il suo biscotto. Poi rizzò la testa e indicò quelli che Jake aveva nel suo piattino, accanto al bicchiere di succo d’arancia. – Ti piacciono?
Il chitarrista sorrise e si rimboccò le maniche della camicia larga e fiorata. – Direi di sì. – ne mise in bocca un altro, gustandosi il dolce sapore dello zucchero e delle mandorle. – Nel Michigan il massimo che puoi trovare sono i brownies. Mia madre ne faceva in quantità industriali, quando dovevamo fare merenda.  – sospirò ricordando quei teneri momenti della sua infanzia, quando Josh si sporcava sempre di cioccolato le guance e Ronnie si lamentava per le briciole che le cadevano sui vestiti. Ma ormai quei momenti erano lontani, doveva pensare al presente.
- Mi fa piacere, sai?
- Sì, anche a me, non li avevo mai assaggiati.
- No, io intendevo… - Tracy abbassò appena lo sguardo, e quando lo rialzò gli occhi le brillavano. – Mi fa piacere vederti così. Sorridente, rilassato. Ti si sono anche schiariti i capelli.
Jake prese una ciocca dei propri capelli tra le dita, osservandola. – Oh, sì. D’estate sono sempre più chiari. I tuoi sono molto più lunghi. E non sono più rossi.
- Sai che l’anno scorso li avevo blu?
Il ragazzo rise appena. – Come?
- Credimi. Non mi stavano male, però.
- Ti credo. Solo, non riesco a immaginarti.
- In questo momento ho il cellulare scarico per tutti i video che ho fatto, altrimenti ti farei vedere una foto.
- A proposito. Che canzone ti è piaciuta di più?
- Che domande. Jackboot jump. Però anche Movement. Oh, e ovviamente Dinner & Diatribes.
Jake sorrise, posando la guancia sulla mano aperta. Mentre ne parlava, Tracy sembrava una bambina. Le brillavano gli occhi e avrebbe potuto ascoltarla per ore.
- A te, quindi?
- Sono banale se dico Nina cried power?
- Nah, è una canzone stupenda.
- Anche Wasteland, baby!
- Non farmi piangere, Jake.
In quell’istante sprofondò il silenzio. Tuttavia, non era quel silenzio fastidioso e imbarazzante che, quando cadeva, faceva venire voglia a Jake di darsela a gambe e tornare a casa. Durante quegli istanti di silenzio, gli occhi di entrambi erano puntati su quelli della persona che avevano davanti.
Quegli sguardi dicevano tante cose.
“Come ti senti?”
“Mi sei mancato”
“Sono felice che tu stia bene”.
 
 
- No.
- E dai, Jake! Perché no?
- Perché non mi piace, che senso ha? Perché dovete forzare qualcosa? E’ una questione di chimica. E questa chimica non c’è.
Mackenzie sospirò e allargò le braccia, facendo oscillare i capelli lunghi. – Alice è una brava ragazza, ti farebbe stare bene. E poi cucina dei biscotti buonissimi.
Jake stava perdendo la pazienza - Non…
Danny rise appena, posando una mano sulla spalla della ragazza. – Mac, lascialo stare. Sappiamo com’è fatto il nostro Jake.
- Il nostro Jake dovrebbe aprirsi di più al mondo.
Il chitarrista assunse un’espressione che oscillava tra l’incredulo e lo stizzito. - Da quando in qua “aprirmi al mondo” vuol dire farmi piacere la prima ragazza che incontro solo perché mi farebbe i biscotti?
Sam intervenne con un sorriso, stringendo a sé Joy. – A Jake piacciono le ragazze che gli fanno rischiare la morte per soffocamento, altroché.
- Avvisatemi quando smetterete di tirare in ballo questa storia, eh. – Jake tirò fuori una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca, accendendola dopo essersela infilata tra le labbra. Di per sé, era già raro che potesse piacergli davvero una ragazza. Alice era molto carina, i tratti dolci del viso contrastavano, in un certo senso, con la personalità inusuale ed esuberante che la rendeva unica. Ma, seppur Jake riconoscesse le qualità della ragazza, in testa aveva sempre la stessa persona da tre anni.
Tracy, per lui, era difficile da dimenticare. Era stata lei a fargli rendere conto di poter provare ancora emozioni di quel tipo, di poter innamorarsi e l’intesa che aveva avuto con la ragazza, seppur in un contesto per lei lavorativo, non gli era capitato di averla con nessuno. Soprattutto, era un rapporto diverso da quello che aveva con la sua nuova terapeuta, totalmente formale. Si augurò che la ragazza stesse continuando a lavorare nonostante ciò che era accaduto tra loro.
Soffiò via il fumo e appoggiò il mento sulla propria mano. Stava bene, comunque. Certo, il dolore fantasma che la morte di Josh gli aveva portato non era mai andato via e non sarebbe mai svanito, ma sapere che almeno Sam stesse meglio gli aveva alleggerito di molto il peso che si portava sulle spalle. Lo vedeva sorridere molto di più, nonostante in certi momenti scivolasse in uno stato di isolamento e apatia. E anche se quegli istanti erano difficili, paragonati a quelli in cui vedeva Sam sorridere acquisivano meno importanza. E, sebbene la sua salute dipendesse dai farmaci che prendeva, almeno non era più pericoloso né per stesso né per le persone che gli erano attorno ed era, finalmente, a casa. Indossava dei vestiti colorati e leggeri al posto del pigiama che portava sempre nella clinica in cui era rimasto per due anni.
E ogni mattina, quando si svegliava, riusciva a vedere nel suo specchio qualcuno che stava migliorando giorno per giorno. Riusciva a mangiare qualcosa in più ogni volta che si sedeva a tavola, nonostante si sforzasse per riuscire a finire il piatto che si trovava davanti, raramente passava notti insonni e i suoi occhi e il suo sorriso stavano riprendendo piano piano la loro luce.
Sentì Danny schiarirsi la gola ed esordire con: - Tra una settimana c’è il concerto di Hozier. Ci andiamo?
   
 
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