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Autore: AlessiaOUAT96    22/02/2021    1 recensioni
E se la noia fosse insieme a noi come presenza vera e propria?
E se decidesse di raccontare alcuni dei suoi incontri che ha avuto con noi esseri umani?
Dal testo: "Di me vi basti sapere che ho tenuto compagnia ad almeno ogni singolo essere vivente su questo pianeta, almeno una volta durante la sua vita"
Partecipante al premio letterario Caterina Percoto 2020
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il secondo racconto è ambientato nel XX secolo, nel 1918 più precisamente. In quella che adesso viene chiamata Europa, si era appena conclusa la Prima Guerra Mondiale, detta anche la Grande Guerra. Tra i tanti che ho incontrato, scelgo di narrarvi la storia di un ormai ex soldato.
Francesco era appena tornato dalla guerra quando scoprì di aver perso tutto quello che aveva lasciato, o quasi tutto.                                                                   

Aveva combattuto in trincea, aveva visto così tante volte la morte che non gli faceva più paura, anche se era ben intenzionato a non incontrarla più, almeno per i prossimi 20 anni. Tuttavia, non appena rientrò nella sua città non trovò la sua futura moglie ad aspettarlo.                                                    
Quando arrivò a casa sua la trovò deserta, ma integra: non c’erano segni di guerra e violenze là dentro, solo un gran vuoto con l’appena percettibile, ma conosciuto odore di morte. Quella cara vecchia amica era passata di lì recentemente e si era portata via qualcuno. Ma chi?                                                              
Francesco guardò bene in ogni stanza, ma trovò la risposta in camera da letto, grazie a un rigonfiamento delle coperte che attirò immediatamente la sua attenzione.         
L’ex soldato si avvicinò senza parole, ma con alcune lacrime a rigargli il volto: sua nonna era distesa con gli occhi chiusi, senza vita, ma con un pezzetto di carta tra le mani ossute. Non frenò il pianto e si sedette accanto a lei, carezzandole i capelli bianchi e dandole un bacio sulla fronte, come lei era solita fare con lui da quando era bambino.
«Addio, nonna Lucia. Mi mancherai»

Io incontrai Francesco in una piccola stanza di ospedale, stranamente con un solo ospite malato di “Influenza Spagnola”.                                                                       
 Francesco era frustrato e malinconico. Era in quella stanza da solo qualche giorno e ormai la conosceva benissimo: dal numero di piastrelle, alle minuscole crepe sui muri; era capace di distinguere persino i cigolii del letto e i passi dei dottori e infermieri che camminavano in corridoio. L’infermiera Silvia per esempio, aveva una camminata pesante nonostante la corporatura minuta, mentre il dottor Alberto una più claudicante. Memorizzare questi dettagli in poco tempo era una delle abilità che Francesco aveva sviluppato in guerra, quindi in un altrettanto breve tempo comparvi io.

«Non avrei mai pensato di sentirti così vicina, Noia»

Nemmeno io a dirla tutta, in guerra ci siamo incontrati quasi sempre di sfuggita e quei rari momenti di ozio te li sei goduti fino in fondo.                                          
Nonostante la malattia, Francesco era annoiato e come quasi tutti gli esseri umani iniziò a ripensare al passato.
Era stata una guerra violenta, crudele e impegnativa. Moltissimi soldati italiani e non perdevano la vita ogni giorno tra le trincee, filo spinato, bombe e fucili. Quando era bagnato, il terreno montagnoso del Carso rendeva tutto più difficile.

«Avevo un amico di nome Mario, avevamo combattuto assieme sin dai primi momenti. Ci siamo sempre coperti le spalle a vicenda, anche letteralmente» chiuse gli occhi ed espirò col naso
 «Una sera, mentre rientravamo da un giro di ricognizione scivolò nel terreno fangoso»

Strinse amaramente i pugni per il destino crudele che la vita aveva riservato al suo amico.

«Riuscii a prenderlo per un lembo della manica, tutta rovinata dalle intemperie, ma quando inizia a tirarlo su, il tessuto si lacerò e Mario cadde in una delle gole della montagna. Vista la profondità, non riuscimmo a recuperare nemmeno il cadavere»

Francesco ricorda ancora qualche dettaglio della vicenda: gli occhi azzurri spalancati e il sorriso rassegnato alla morte. Mario, così come Francesco, la considerava parte del ciclo vitale, quando accadeva senza intromissioni umane.      
La guerra non era parte della natura, i proiettili e le granate non erano frutti del terreno.                                                                                                                             
 Pianse lacrime amare senza vergogna, in silenzio; come a volersi tenere il dolore del lutto per sé per non dare fastidio a nessuno.

«E sono sopravvissuto per cosa? Per scoprire che la mia famiglia è morta a causa di una pandemia?» Francesco aveva letto la lettera che sua nonna teneva tra le mani. Era un testamento, la
calligrafia era quella sottile e leggera di sua sorella minore. In quel pezzo di carta Francesco aveva scoperto che la pandemia aveva contagiato tutti in famiglia, ma che non erano riusciti a recarsi in ospedale a causa della virulenza della malattia. La sua famiglia era al corrente della corrispondenza epistolare tra lui e Teresa, quindi la casa sarebbe stata intestata a loro, così come tutti quei pochi beni rimasti.

«Sai cosa è buffo e amaro allo stesso tempo? Che la morte non risparmia nemmeno i giovani e gli innocenti» sorrise amaramente, pronto a un’altra memoria di guerra «E io ricordo ogni giovane morto in guerra prima ancora di raggiungere i 25 anni»

Francesco iniziò a parlare come se potesse davvero vedermi. Vista la tristezza che riempiva il suo cuore, i suoi pensieri erano fissi sulla morte, in particolare di quella di un soldato giovanissimo, deceduto in trincea.                                                                     
Il ragazzo si chiamava Ludovico, aveva appena 19 anni. Era inverno quando morì. Qualche giorno prima aveva piovuto, ma furono le temperature fredde a peggiorare la situazione. Ognuno cercava di coprirsi, di sopravvivere come meglio potesse, ma i soldati più giovani si ammalavano più facilmente. Nonostante i pasti caldi, i tremori e la febbre non scesero mai. Ludovico diventava ogni giorno più pallido, mangiava sempre meno e la tosse non accennava mai a smettere.

«L’unica cosa che lo faceva stare bene erano le lettere che scrivevo a Teresa. Gli piaceva sentirmele leggere perché riusciva a pensare alla sua famiglia» chiuse gli occhi al ricordo della ninnananna che gli cantò all’orecchio pochi attimi prima che spirasse, come se fosse suo fratello minore.

«Quando morì, fu come se un’onda gelida mi attraversasse e poco dopo iniziò a nevicare»

Subito dopo iniziò a ridere, preso da una strana isteria febbricitante. Rideva per non piangere, per non lasciarsi andare alla disperazione. Chiedersi perché fosse rimasto vivo era una domanda più che lecita e sensata. Potevo sentire le sue emozioni, percepire i suoi pensieri e Francesco non sapeva come rispondersi. Era sopravvissuto alla guerra, alla fame, alle malattie e al terreno mortale del Carso; aveva visto giovani morire per mano umana e non. Tutto questo per cosa? Per scoprire che tutta la sua famiglia era deceduta e che centinaia di innocenti continuavano a perdere la vita.

«Non ho intenzione di morire in questo modo, non posso lasciare questo mondo per mano di un’influenza. Se sono arrivato fino a qui devo andare avanti. Mi rimane solo lei dopotutto»

Teresa, la ragazza per la quale si era innamorato gli aveva scritto tante lettere mentre era in guerra e in ognuna di quelle Francesco immaginava di trovarsi tra le sue braccia, vicino al fuoco e con la sua testa castana poggiata contro il suo petto; sognava di sussurrarle parole dolci.                                                                                  
Ogni volta era come se quelle lettere creassero una sorta di barriera, di bolla contro la guerra dove stava combattendo.                                                                                  
Mentre era in ospedale non smise mai di pensare a lei: ai suoi capelli lisci e sottili come seta, ai suoi occhi verde muschio, alle sue labbra rosee, ma soprattutto al suo temperamento dolce e ferreo allo stesso tempo.
Francesco mi percepì spesso man mano che il decorso ospedaliero migliorava e mi parlava come se fossi una vecchia amica; parlare con me, la Noia, era il suo unico modo di sentirsi meno solo, di ammazzare quel tempo che non sembrava passare mai.                                                                                                                                          

Uscì dall’ospedale sereno, pronto a dare una degna sepoltura a suoi cari e prepararsi alla sua nuova vita che lo aspettava, sperando di non dover più combattere, di non applicare il “morte tua, vita mia”.                                                                                        
No, Francesco ero proiettato al futuro.

«Voglio chiedere a Teresa di sposarmi come desiderava la mia famiglia, voglio iniziare da zero e dimenticare le atrocità della guerra»










Angolo dell'autrice!
Rieccomi qui dopo quanti mesi? Sicuro più di un paio... Tra lezioni, sessione ed essere pendolari ho avuto poco tempo di aggiornare. Di nuovo se vedete spaziature o paragrafi strani (tipo troppo corti) è l'unico modo in cui l'editor di efp non mi cambia il testo. Ne ho provate di tutti i colori, ma continuo ad avere difficoltà.
Detto ciò ringrazio chi ha letto anche questo capitolo! Il prossimo potrebbe essere l'ultimo, visto che nel concorso la storia di Francesco era la seconda e ultima. 
Grazie a tutti e alla prossima!
 
   
 
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