I personaggi non mi appartengono,
La storia è scritta senza fine di lucro.
Nothing to Prove
- I'm falling asleep with you.
Torre dei Grifondoro.
Dormitorio degli studenti del Sesto Anno.
"Moony? Che hai? Non dormi?"
Remus non risponde ed incassa la testa nelle spalle,
lasciando sporgere unicamente il principio della fronte ed un ciuffo
di capelli.
Fuori un lampo illumina la silhouette di Sirius, la mano
che scosta la tenda del baldacchino, poi di nuovo ombra, il buio, la
pioggia copre il passo felpato, l'accartocciarsi delle lenzuola si
mescola al fragore del tuono.
"E' inutile che fingi. Quando dormi fai uno strano
rumore, come se avessi la bacchetta incastrata dentro una narice.”
Il corpo dell'amico scivola contro il suo, il petto gli
preme contro la schiena, la punta dei capelli gli solletica la curva
dell'orecchio.
“Allora? Cosa sta combinando quella tua lunatica
testolina? Mancano pochi giorni, ormai.”
Remus vorrebbe sbuffare, ma tenta di fingersi
addormentato ancora per un po'.
Dannazione, lo sa che mancano pochi giorni alla
luna, Sirius non deve fargli alcun memorandum: il corpo ed i sensi e
le emozioni non fanno che ricordarglielo, non gli danno requie, sente
le nevrosi accumularsi dentro lo stomaco e salire e salire e salire
ed il mal di testa acquattarsi lì, al congiungersi delle
sopracciglia, alla radice del naso, e le pupille scavare fosse
roventi dentro le orbite e la luce è una staffilata tra le ciglia, è
un coltello che affonda dentro il cranio, arriva alla nuca, si
liquefa, pus che si raggruma acido a stritolare la cervicale, a
tendere dolorosamente i muscoli del collo e delle spalle, mentre il
respiro artiglia polmoni e trachea e gola, tanto che persino
respirare è un atto suicida. Il profilo dei denti gli taglia la
lingua e le guance, ed il sangue che ne stilla è dolce e amaro, è
fame ed è sete, è colpa, raccapriccio, è desiderio, è brama, è
desiderio di follia, di perdizione, di odori e profumi ed erba umida
tra le dita e terra sulla pelle accaldata, stelle di rugiada sulle
labbra, sulle unghie, sotto i palmi delle mani, sotto le piante dei
piedi.
“Ehi? Moony, sei tutto sudato. Scotti!”
La tentazione di ridere è forte, questa volta. Remus si
trattiene soltanto perché sa quanto sarebbe orribile quella
risata sulla propria bocca: a differenza della risata di Sirius, così
simile ad un latrato, che gli arroventa le labbra e che gli vibra
nella gola con tale bellezza da rasentare la perfezione, il proprio,
ironico ululato avrebbe il potere di far accapponare la pelle a
chiunque.
Quando ride così, quando la voce gli si assottiglia in
un guaito stridente, Remus sente letteralmente la Belva dentro di lui
farsi strada, spingere, sgomitare, come un bolo infetto, come un
boccone avvelenato che dallo stomaco cerca la via d'uscita attraverso
la bocca. È così sbagliato che il corpo stesso si ribella,
rigetta se stesso, si prepara a combatterlo, in armi, un nemico, un
avversario, un mostro da abbattere a costo della vita.
La temperatura schizza alle stelle e la febbre lo assale
e i brividi scrosciano, a cascata, una secchiata di gelo e di arsura
ed il sudore ingiallisce la pelle e insozza le cornee e ingrigisce le
gengive e offusca la vista e gocciola dalle sopracciglia sulle tempie
e gocciola, gocciola, gocciola dal mento lungo il pomo di Adamo e
suda ovunque e ovunque gela e ovunque ha dolore e ovunque i muscoli
si tendono in spasmi, in crampi, come se un enorme Lupo li addentasse
brano a brano, facendo schioccare le mandibole, strappando,
lacerando, nutrendosi di lui ora dopo ora, ogni minuto più famelico
fino a quando non sarà abbastanza in forze da stracciarsi le sue
membra febbricitanti di dosso e sollevare il muso al cielo e annusare
a pieni polmoni, con le narici frementi, la dolceamara pazzia del
mondo circostante.
Dietro di lui, Sirius si stende sul fianco e gli cinge
la vita con un braccio, allungando le dita a cercare la sua mano.
Remus vorrebbe scacciarlo via, ringhiare il proprio
fastidio, abbaiandogli di andarsene, mostrandogli i denti, gli occhi
di fuoco e di oro e di baleno, rivoltarsi contro di lui, morderlo,
azzannarlo alla gola ed al cuore. La sua mente inselvatichita è
ottenebrata dal fastidio, dall'insonnia, nel petto di Remus
s'innalzano picchi di rabbia e di malessere e di furia e di nausea.
“Tranquillo.” sussurra Sirius ed egli ne può
avvertire il battito cardiaco, così calmo, così sereno,
tranquillizzante, dettare il ritmo del singhiozzo aggrappato alla
gola, insegnandogli di nuovo a respirare, a ritrovarsi nelle ampie
sorsate d'aria con cui si riempie la bocca ed il petto. La mano
dell'amico gli è di nuovo cara e Remus stringe la presa, serra gli
occhi, si rannicchia contro di lui, alla ricerca di conforto e
rifugio.
“Tranquillo. La affronteremo insieme.” ripete
Sirius, che ora ha appoggiato la tempia contro la sua, al punto che
le loro ombre sono ora l'abbraccio di un'unica forma “Ci sono io
con te. Non ti lascio solo.”