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Autore: E_AsiuL    22/02/2021    1 recensioni
Il rapporto tra il medico legale Tessa Beale e il detective Gabriel Giuliani non è mai stato idilliaco. Ma le cose potrebbero cambiare per via di un serial killer, il cui operato toccherà Tessa un po' troppo da vicino.
Genere: Introspettivo, Noir, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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A/N: Buonasera! Con questo capitolo, apriamo una piccola parentesi e andiamo a scavare un po' su Tessa. E non sarà una cosa allegra, vi voglio avvisare (e nemmeno l'unico capitolo del genere, ahimè). Se volete abbandonarmi, sentitevi più che liberi di farlo ;)


3


Alex schiacciò il pulsante del campanello col gomito, le mani impegnate una dai cartoni di pizza, l’altra da un sacchetto del supermercato.

Tessa gli aprì, sorpresa di trovarselo fuori casa, armato di pizza e provviste.  O meglio, sorpresa di trovarsi chiunque fuori casa.

«Mi fai entrare?» le chiese, inclinando la testa di lato e sfoderando il suo miglior sorriso da bravo ragazzo.

Tessa si fece da parte, facendogli cenno di entrare. «Conosci la strada», rispose, in tono piatto, senza la minima inflessione nella voce. Quando lui fu entrato ed ebbe svoltato l’angolo che dall’ingresso portava al cucinino – letteralmente due passi – chiuse la porta, rimettendo il chiavistello, e lo raggiunse, le mani affondate nel tascone della felpa.

Come se fosse a casa sua, Alex aveva gettato il giaccone su una sedia, poggiato le pizze sul piano e stava apparecchiando la tavola.

«Hai cambiato posto ai bicchieri?» le chiese, voltandosi verso di lei, appoggiata al frigo. Tessa annuì, indicandogli il pensile giusto.

«Che hai da bere in frigo?» le chiese, avvicinandolesi.

«Acqua. Forse una birra», rispose lei, facendogli spazio. Sollevò un braccio per ravviarsi dietro l’orecchio una ciocca di capelli. Erano talmente rossi che, spesso, le chiedevano che tintura usasse. Ma, invece, erano tutti suoi.

Quel gesto innocente fece tintinnare un campanello d’allarme nella mente di Alex. Guardò meglio Tessa: scalza, pantaloni della tuta, capelli legati alla bell’e meglio. E fin qui, niente di preoccupante: era a casa sua, poteva conciarsi come le pareva. La nota stonata erano le maniche della felpa: la destra era tirata su fino al gomito, la sinistra abbassata fino al polso. Alex sospirò: l’aveva fatto di nuovo.

«Fammi vedere il braccio, Tess», ordinò, tendendo la mano.

Istintivamente, Tessa arretrò, stringendosi il braccio sinistro al petto, scuotendo la testa.

«Tess…» cercò di convincerla, guardandola negli occhi. Erano talmente chiari che, a seconda della luce, potevano sembrare o azzurri o grigi. «Theresa», disse, afferrandole il polso e costringendola a stendere il braccio. Tirò su la manica e, come pensava, trovò la benda sull’avanbraccio. Sospirò, lasciandola andare di scatto.

Tessa ritirò il braccio, coprendolo di nuovo. Voltò la testa di lato, ansiosa di evitare il suo sguardo.

«Perché?» le chiese, guardandola severo. «Da cosa stai scappando, stavolta?» cercò di non suonare esasperato, ma temeva di fallire. Era, più che altro, preoccupato: e se, un giorno, ci fosse andata più pesante? Se, prima o poi, non sarebbe stata solo un’altra cicatrice da aggiungere al ricamo che si stava facendo sul braccio? Se, ad un certo punto, non avesse più tagliato in orizzontale, ma fosse andata dal polso al gomito?

Tessa sbuffò, tormentandosi la frangetta, senza rispondere. Quando faceva così, lo odiava. Che diritto aveva, Alex, di impicciarsi dei fatti suoi? Perché non la lasciava in pace? Perché continuava a cercare di salvarla da se stessa?

Armeggiando con piatti e posate, parlando più alle pizze e a se stesso che a lei, Alex riprese. «È perché è passato un mese da quello scantinato e noi siamo ancora fermi, mentre tu ne hai un’altra, conciata uguale, sul tavolo? È perché quel pezzo di merda ne ha uccisa un’altra?» sbraitò, alzando lo sguardo su di lei. Tessa era ancora poggiata al frigorifero, le braccia strette al corpo, il capo chino. Con un sospiro, Alex tornò da lei. Lentamente, dandole il tempo di opporsi, la trasse a sé. Quando vide che lei non sembrava scappare, la strinse.

«Non è colpa tua, Tess…» le sussurrò fra i capelli, accarezzandole la schiena. «Non. È. Colpa. Tua», scandì.

Tessa ingoiò rumorosamente. «E allora perché mi sento così male?», bisbigliò, le labbra che sfioravano il tessuto della camicia del detective.

«Perché sei umana», le rispose, scostandola appena da sé per poterla guardare. Le sollevò il mento con un dito, sorridendole con dolcezza. «E non sei il ghiacciolo che Gabriel sostiene tu sia» la prese in giro, facendole l’occhiolino, sperando di farla sorridere. Funzionò a metà: ottenne una smorfia.

«Quel coglione…» borbottò Tessa, tirando su col naso.

«Amen, sorella». Le poggiò le mani sulle spalle, tornando serio. «Davvero, Tess. Tu stai facendo il tuo lavoro con tutto l’impegno del mondo. Stai rivoltando ogni millimetro delle vittime, il laboratorio sta facendo gli straordinari per analizzare l’analizzabile. Non hai trascurato dettagli. Non è colpa tua se non riusciamo a trovarlo», disse, gli occhi nei suoi. «Dovrà tradirsi, prima o poi», continuò.

«Spero prima della terza…»

«Ovviamente» annuì. Tessa sospirò, Alex le prese di nuovo il polso. «E basta con ‘ste cose, chiaro?»

Tessa voltò di nuovo la testa, senza rispondere.

«Ho detto, basta con ‘ste cose, Tessa. Chiaro?», la strattonò.

Tessa annuì, poco convinta. Alex sospirò.

«Me lo farò bastare. Vieni a mangiare», la prese per mano.

«Non ho fame», scosse la testa.

«Devi mangiare».

«Ho detto che non ho fame», ribatté lei.

«Devi mangiare, Tess. Solo un pezzo. Uno, e non ti rompo più le scatole, stasera», la tirò verso il tavolo. «È la tua preferita», la tentò. Tessa sospirò, lo stomaco che brontolava la tradì. Si sedette, arrossendo.

«Il tuo stomaco è d’accordo con me», gongolò Alex.

«Se mangio una fetta, poi te ne vai al diavolo?» gli chiese, guardandolo in tralice.

«Se mangi una fetta, vado dove vuoi».

 
Finì che Tessa mangiò tutta la sua pizza. E che lei ed Alex si spartirono anche la ciambella al cioccolato del supermercato.

«Questo perché non avevi fame», la prese in giro, mentre lei si leccava via le briciole da un polpastrello. Per tutta risposta, Tessa gli mostrò il medio.

«Come ti senti?» le chiese, sfiorandole la frangetta. «Va meglio?»

Tessa iniziò a rosicchiarsi un’unghia. Andava meglio? Forse. Annuì, senza parlare. Andava meglio. E non era normale che Alex la facesse sentire ancora così. Come se non avesse un solo difetto, come se tutti i suoi pezzi incasinati fossero miracolosamente in ordine, come se fosse la persona migliore del mondo.

Come se non avesse bisogno di farsi del male per sapere di essere ancora viva.

Rannicchiata sul divano accanto a lui, la pancia piena, Tessa si sentiva quasi bene. Quel senso di vuoto e male che le avevano stritolato lo stomaco appena tornata a casa, facendole girare la testa, vomitare l’anima e cercare qualcosa di affilato, sembravano essersene tornati nel loro angolino buio. Sospirò, poggiando la testa sulla spalla del detective. Lui, di contro, le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé.

«Come facevi a sapere che stavo male?» gli chiese, dopo qualche minuto.

Alex alzò le spalle. «Istinto, forse», scherzò, iniziando a disegnarle cerchi col pollice su una spalla. Tesa gli diede un pugno fiacco su una gamba.

«Stronzate», borbottò. Lui rise.

«Ti conosco, Tess. So che questa storia ti ha presa parecchio. So che effetto ti fa. E che Gabriel non aiuta».

«Giuliani è un coglione», sbottò lei. «L’altra volta mi ha fatto trovare le luci spente», si raddrizzò. Alex le baciò la tempia.

«Ha scoperto che hai paura del buio», commentò.

«Non ho paura del buio», sbuffò Tessa «Mi dà fastidio non vedere», protestò, suonando come una bambina. Alex si morse il labbro per non ridere.

«Certo», la blandì.

«Sono altre le cose di cui ho paura…» ammise, in un sussurro. Ingoiò rumorosamente, tornando a tormentarsi l’unghia.

«Tipo?» le chiese Alex, immaginando la risposta. In quel momento, la cosa di cui Tessa aveva più paura era se stessa, e il mostro che la divorava da dentro, portandola a farsi del male. Aveva paura di stare ancora così, e di restare sola. Contemporaneamente, aveva paura di aver bisogno di qualcuno. Avevano litigato fin troppe volte, nel corso della loro relazione, per questo. Forse, era stato proprio quello il motivo per cui, alla fine, avevano scelto di fare un passo indietro e darci un taglio. Erano rimasti in ottimi rapporti, forse persino migliori, ma sembrava che, in un modo o nell’altro, continuassero ad essere sempre sulla stessa frequenza, pronti a cogliere qualsiasi segnale che l’uno avesse bisogno dell’altro. Per quanto Tessa si trincerasse nella sua piccola roccaforte e cercasse il più possibile di tenere Alex fuori, lui avvertiva sempre quando stava crollando. Come quella sera. Stava tornando a casa, ma poi aveva deciso per una deviazione nella corsia dei dolci confezionati al supermercato, un’altra in pizzeria e poi da lei. E ci aveva visto giusto.

«Tipo… me» rispose lei, alzando solo per un attimo gli occhi su di lui, voltando rapidamente la testa nella direzione opposta.

Fu come se gli avessero tirato una cannonata in pieno petto. L’aveva vista stare male. L’aveva vista farsi del male. L’aveva vista piangere. Cazzo, l’aveva fatta piangere. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, per toglierle quell’ombra dagli occhi. Fece l’unica cosa che, generalmente, si era dimostrata utile. La strinse a sé, talmente forte da farle male – e sapeva che era così. Poteva sentire le spalle di Tessa alzarsi e abbassarsi rapidamente. Quando iniziò a singhiozzare, la cullò, accarezzandole i capelli. Dirle che sarebbe andato tutto bene era inutile, non gli avrebbe creduto. Anzi, gli avrebbe urlato contro che no, non va mai bene, non mai a finire bene. Avrebbero alzato la voce, e litigato. E non era di quello, che Tessa aveva bisogno.

Dopo qualche minuto, sembrò essersi calmata. Si scostò da lui, tirando su col naso e asciugandoselo con la manica.

«Scusa. Non so che mi è preso…», borbottò, portandosi i capelli dietro le orecchie con entrambe le mani.

«Non c’è niente di cui ti debba scusare», le sorrise, scuotendo la testa, accarezzandole le braccia. Piccola, arruffata, il naso arrossato, le guance chiazzate e con ancora qualche lacrima che vi tremava sopra, gli faceva una tenerezza infinita. Qualcosa gli si annodò in gola, mentre la guardava. Quando si erano avvicinati così, i loro visi? E perché quella lacrima sulla guancia lo attirava così tanto? Spostò rapidamente lo sguardo dalla guancia agli occhi di Tessa e viceversa. Poi, senza pensarci, si sporse verso di lei, poggiandole le labbra sulla guancia, più delicato di una farfalla su un fiore.

Sgranò gli occhi, sorpreso, quando lei spostò appena la testa, cercando le sue labbra. Non se lo aspettava, ma di certo non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione: se lei voleva baciarlo, gliel’avrebbe lasciato fare, e più che volentieri.

Non c’era urgenza. Non c’era fame, come era capitato molte volte durante – e diverse dopo – la loro relazione. Solo una enorme, sconfinata dolcezza. Conforto, quello di sapere che l’altro era lì, e niente e nessuno l’avrebbe mai portato via.

Quando si separarono, avevano entrambi il cuore in gola e il fiato corto. Abbassarono lo sguardo, imbarazzati. Tessa si morse il labbro inferiore, risucchiandolo in bocca. Alex provò una tremenda fitta di nostalgia a quel gesto: lo faceva sempre, quando si baciavano, e, quando una volta lui le chiese perché, lei gli rispose che era per sentire ancora il sapore delle sue labbra. Doveva essersi lasciato sfuggire qualche suono, perché lei alzò lo sguardo su di lui, avvampando.

«Tess…» cominciò, sollevando una mano per sfiorarle la guancia.

«So quello che stai per dire», lo interruppe lei, raddrizzando le spalle. «Adesso mi dirai che è meglio se te ne vai, prima di fare qualcosa di cui ci pentiremo, di nuovo. Che abbiamo deciso che tra di noi non funzionava. E che dobbiamo smetterla» disse, la voce meno ferma di quanto volesse. Si erano lasciati di comune accordo, avevano pensato entrambi fosse meglio così. Eppure si giravano ancora intorno. Eppure nessuno dei due aveva trovato qualcun altro. Eppure, occasionalmente, finivano ancora a letto insieme. Si erano detti che era meglio così. Ma non lo era, non per lei. Forse, nemmeno per lui. «Giusto?» concluse.

Alex la guardò, senza rispondere. Si erano baciati. Non era la prima volta, da quando si erano lasciati. Non gli era dispiaciuto. Dannazione, non gli dispiaceva mai! E nemmeno andare oltre. La loro relazione era ufficialmente finita, ufficialmente erano solo buoni amici. Ufficiosamente, finivano con lo scaldarsi ancora ogni tanto, senza impegno, ovviamente.

«Il fatto è che non voglio che te ne vai, Alex. Non stasera» ammise Tessa, tormentando i polsini logori della felpa. «Per favore, non te ne andare…» quasi implorò, a bassa voce.

Di nuovo, Alex la guardò. Quanto le era costata, quella richiesta? Quanto le era costato, guardarlo? Quanto le era costato buttar giù le sue difese e ammettere che, sì, aveva bisogno di lui?

«Oh, Tess…» sospirò, prima di prenderle il viso fra le mani e baciarla di nuovo.

 

Alla prossima (se non mi abbandonate)! Come sempre, ogni opinione è ben accetta e gradita

 
  
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