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Autore: dracosapple    23/02/2021    2 recensioni
La vita nelle campagne del Kansas scorre tranquilla e monotona per tutti, anche per il giovane Dean a cui non dispiace affatto essere un semplice ragazzo di campagna, gli va bene così, non pretende nulla di diverso per sé stesso, anche se vive negandosi la libertà per non deludere la sua famiglia.
Il destino però, anche se in modo crudele, certe volte presenta l'occasione di ricominciare, perché la vita è una sola, anche quando sembra distrutta e non resta altro da fare che rimettere insieme i pezzi.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo 4: Knockin’ on Heaven’s Door
 
New York, New York, 26 gennaio 1989

 
Aveva guidato per sedici ore di fila, non sentendo né la fame né la stanchezza per via dell’adrenalina che ancora gli scorreva in corpo. Era arrivato a Columbus, nell’Ohio alle quattro del pomeriggio più o meno e si era fermato in uno schifosissimo motel per mangiare e dormire qualche ora.
Si era rigirato sul vecchio materasso per un po’, poi aveva deciso di alzarsi e guardarsi allo specchio. Aveva un occhio nero, un taglio sullo zigomo sinistro, il labbro inferiore spaccato e un altro taglio sulla parte destra della fronte, gli occhi erano arrossati dalla stanchezza e stava spuntando un po’ di barba incolta. Ora capiva perché il ragazzo alla reception l’aveva guardato in quel modo strano, sembrava un reduce.
Si era fatto una doccia e aveva visto i lividi sul resto del corpo, dopodiché era tornato su quel materasso ed era crollato fino alle tre del mattino. Non aveva pianto, mai, nemmeno una volta. Si sentiva strano, come se quello che gli era successo fosse una specie di sogno lontano, non sembrava la realtà.
Era arrivato a Pittsburgh, in Pennsylvania e aveva visto la neve, la città imbiancata lo aveva immerso in una strana pace, gli piaceva la neve, quando era piccolo e d’inverno nevicava si ricordava dei campi diventare bianchi e lui e Sam che giocavano a palle di neve e che si rifugiavano nel granaio quando non ce la facevano più per il freddo. Guardò i fiocchi posarsi lentamente sul parabrezza dell’auto e venire scacciati via immediatamente dai tergicristalli che grattavano sul vetro. Avrebbe voluto fermarsi di più ma non poteva, doveva arrivare a New York il prima possibile, da suo fratello.
Aveva frugato nel cruscotto e tirò fuori due vecchie polaroid un po’ consumate. In una c’erano lui e Sam da adolescenti, quando il suo fratellino era ancora più basso di lui, aveva la giacca di pelle di Dean che gli stava grande e sorrideva. Dean osservò la versione più giovane di sé stesso, con i capelli un po’ più lunghi e uno spesso maglione verde.
Nell’altra foto invece erano entrambi un più grandi, seduti sul cofano dell’Impala, Sam stava ridendo e lui sorrideva con una sigaretta che gli pendeva dalle labbra.
Un colpo di clacson lo riscosse.
Dean aveva alzato la mano per scusarsi con il guidatore dietro e ripreso a guardare la strada dritto davanti a sé, pensando che tra poco sarebbe arrivato da Sammy.
Sam avrebbe capito, non l’avrebbe mandato via. Sam era diverso, l’avrebbe accettato, doveva andare così per forza, altrimenti non avrebbe saputo che altro fare.
Si sentiva proprio come Dean Moriarty[i], guidava e guidava, mentre cercava di non farsi sopraffare dalle emozioni e macinava chilometri di strada.
Era arrivato ad Harrisburg verso sera e si era fermato in un altro motel. Ormai stava finendo i soldi e sperava di arrivare il prima possibile o non avrebbe saputo come fare altrimenti.
Aveva dormito per un po’, ma non era stato un sonno ristoratore, aveva paura ad addormentarsi perché avrebbe sognato, anzi, avrebbe avuto gli incubi e non voleva assolutamente rivedere suo padre che lo riempiva di calci.
Si era svegliato alle cinque del mattino e si era guardato nello specchio macchiato di dentifricio del bagno del motel. Il livido attorno all’occhio da blu stava virando sul violaceo, il labbro si era un po’ sgonfiato ma i tagli erano ancora evidenti e ogni tanto sanguinavano ancora.
Non aveva intenzione di rimettersi a dormire, quindi aveva preso le sue poche cose, era uscito dalla stanza del motel, aveva pagato alla reception e poi si era ritrovato di nuovo fuori.
Faceva freddissimo e c’era un po’ di neve ammucchiata agli angoli della strada e il parabrezza dell’auto era ricoperto di brina così aveva acceso il motore e aspettato che si sciogliesse per poter ripartire.
E adesso, alle dieci di mattina di quel ventisei gennaio, era parcheggiato fuori dal campus della Columbia da un’ora circa e stava iniziando a non sentire più le dita delle mani per il freddo.
Non riusciva a decidersi ad entrare. E se Sam fosse stato a lezione? L’avrebbe aspettato. Non sapeva nemmeno quale fosse la sua stanza.
Si prese il viso tra le mani e aspettò ancora qualche secondo, poi fece un profondo respiro e uscì. Il campus era immenso, pieno di edifici bianchi e con un immenso giardino con una fontana nel mezzo, si era sistemato bene Sammy.
C’erano alcuni ragazzi fuori a fumare una sigaretta e gli si avvicinò, sperando che non lo scambiassero per un vagabondo o qualcosa del genere.
-Scusate, conoscete Sam Winchester?- domandò. La voce gli uscì roca e si rese conto che era perché non parlava con nessuno da almeno due giorni se non per chiedere se c’era una stanza libera al motel.
-Sì perché?- gli chiese diffidente una ragazza dai capelli neri.
-Sono suo fratello maggiore, per favore è importante. Qual è la sua stanza?- si rese conto di aver usato un tono dannatamente supplichevole.
-Sta negli appartamenti nell’ala est. Il suo è il numero ventinove- rispose la ragazza impietosita. –Stai bene?- domandò poi.
Dean non rispose e si allontanò facendo un gesto con la mano. Doveva trovare Sam e non voleva che qualcuno si impicciasse negli affari suoi, anche se probabilmente veniva naturale chiedergli come stesse viste le sue condizioni.
Trovò l’appartamento ventinove e indugiò per qualche secondo sulla soglia prima di bussare un paio di volte. Stava per bussare una terza quando la porta si spalancò facendo apparire la figura di quasi due metri di Sam Winchester.
Il suo fratellino non era cambiato di una virgola, anche se in realtà si erano visti poco meno di un mese fa, aveva gli stessi capelli con quella specie di frangia, l’espressione da cucciolo e una delle sue innumerevoli camicie a quadri.
Sam studiava per entrare alla facoltà di legge e diventare un avvocato, Dean era sicuro che ci sarebbe riuscito, era così intelligente e soprattutto gli piaceva così tanto studiare. Era sempre stato bravo a scuola e anche adesso Dean sapeva che passava gli esami con il massimo dei voti ogni volta.
-Dean? Che ci fa qui? Gesù, che hai fatto alla faccia?- esclamò Sam. Sul suo viso si era dipinta un’espressione di puro stupore mista a preoccupazione.
-Ciao fratellino, mi fai entrare?-
Sam si scostò per farlo passare senza togliergli gli occhi di dosso. Che diavolo ci faceva Dean lì e soprattutto in quelle condizioni? Sembrava un vagabondo.
Dean entrò guardandosi intorno. L’appartamento di Sam non era molto grande, c’era una cucina con un tavolo di formica con due sedie, un liso divano arancione e una piccola tv posata sopra un tavolinetto rovinato componevano una specie di salotto le cui pareti erano rivestite di libri di ogni genere. C’erano poi due porte che Dean supponeva nascondessero le camere.
-Vuoi dirmi che ci fai qui e perché sembra che tu sia appena uscito da una rissa o devo tirare fuori la palla di vetro e indovinare?- fece Sam, una nota di preoccupazione nella voce.
Dean si lasciò cadere pesantemente sul divano. –Puoi farmi un caffè?-
-Dean per favore, mi sto preoccupando. Cosa ti è successo?-
Il maggiore si torse nervosamente le mani mordendosi un labbro. Aveva pensato così tanto all’arrivare a New York da Sam che non si era minimamente preoccupato di cosa raccontargli quando l’avrebbe rivisto.
Inspirò profondamente e aprì la bocca ma si rese conto che le parole non gli uscivano.
-Non dovresti essere a lezione?- domandò invece alla schiena del minore che si era diretto in cucina per preparare il caffè.
-Il giovedì ho lezione al pomeriggio e non cambiare discorso! Che hai combinato?-
Dean respirò un paio di volte, come se volesse farsi entrare più aria possibile nei polmoni, sbatté le palpebre un paio di volte e poi alzò lo sguardo su Sam.
-C’entra papà?- provò a indovinare Sam porgendogli la tazza fumante colma fino all’orlo e anche un pezzo di torta avanzata dalla sera prima, aveva l’impressione che suo fratello non avesse mangiato granché negli ultimi giorni.
Dean non rispose e il minore imprecò. –Che cazzo! È stato quel maledetto bastardo? Perché?-
Dean continuò a stare zitto e a guardare il pavimento come se volesse perforarlo con lo sguardo mentre Sam camminava avanti e indietro nella stanza. Il più piccolo era davvero preoccupato, non era la prima volta che suo padre e suo fratello venivano alle mani ma era la prima volta che Dean non riusciva a parlare. Di solito dopo ogni litigata si sfogava imprecando con tutte le parolacce che conosceva, a volte addirittura inventandole (ed era piuttosto creativo) e spaccando qualcosa, ma stavolta si limitava a fissare per terra impassibile.
-Dean non posso continuare a indovinare. Devi dirmi cosa è successo, adesso-
-Ti ricordi Anna Milton?- iniziò Dean.
-Sì una delle tue “ragazze” del liceo, ma che c’entra ora?- rispose Sam facendo il gesto delle virgolette con le dita quando pronunciò la parola “ragazza”.
-Sta’ zitto e fammi parlare cazzo. Lei…ha scoperto una cosa, e…l’ha detto a Lisa. E lei l’ha detto a papà…-
-Papà ti ha fatto questo perché hai tradito Lisa con un’altra?- tirò a indovinare Sam che aveva un’espressione davvero confusa sul viso.
-Sì- rispose e si sentì subito in colpa per avere mentito. Cioè, non aveva proprio mentito, aveva detto una parte di verità. Non riusciva a dirlo a Sam, non ancora.
-Credo che sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso- aggiunse stendendosi sul divano con un gemito, gli faceva ancora male dappertutto.
-Quello stronzo sta veramente andando fuori di testa, perché gli è venuto in mente di fare una cosa del genere?- commentò Sam scuotendo il capo. –Ti sei disinfettato quelle ferite?- chiese poi.
-Da quando sei tu il maggiore? E comunque no, sono scappato di casa come un adolescente ribelle e non ho avuto il tempo, ma non credo che morirò per queste sai. Se non mi ha ucciso papà…-fece con la voce strozzata sul finale.
-Sei un idiota- sentenziò Sam.
-Che cosa?-
-Sei scappato di casa, la mamma adesso starà morendo per l’angoscia, devi telefonarle e dirle che sei qui e che va tutto bene e che tornerai a casa…-
-No!-
Dean aveva quasi gridato mentre afferrava la mano di Sam che stava alzando la cornetta.
-Dean che ti succede? Perché ti comporti così?- fece Sam con sguardo indagatore.
-Niente-
-Sono tuo fratello non puoi mentirmi-
-Non sto mentendo. Te l’ho detto cos’è successo. Papà aveva bevuto e ha dato di matto più del solito okay? E io ho colto l’occasione per andarmene, se non mi vuoi qui me ne posso andare non ti preoccupare- ribatté piccato incrociando le braccia.
-Va bene- rispose il minore dei Winchester con poca convinzione, non poteva costringere suo fratello a parlare ma sentiva che sotto c’era dell’altro però non volle insistere. Non era da Dean scappare a quel modo, doveva essere successo qualcosa di più.
-Puoi stare qui per adesso, penseremo domani a una sistemazione- disse Sam.
-Grazie- rispose Dean, lo sguardo colmo di gratitudine. –Sam ascolta, era da un po’ che volevo andarmene okay? Questa è stata solo…l’occasione adatta. Sai com’è fatto papà, non gli è mai andato a genio come mi comportavo. Ho colto la palla al balzo, come hai fatto tu-
-Senti Dean, io non so cosa sia successo veramente, non ne vuoi parlare adesso e per me va bene, però non puoi piombare qui in quelle condizioni e pretendere che io non faccia domande. Non so perché tu non voglia dirmi la verità…-
-Sam è la verità- lo interruppe.
-No, non lo è ma non importa. Sei qui adesso, mi dirai le cose a tempo debito okay? Va’ a farti una doccia e dormi, sembri uno zombie-
Dean rivolse un sorriso sghembo al fratello e si diresse nella camera che gli aveva indicato Sam.
-Bagno privato, lusso!- fischiò guardando la stanza ricoperta di piastrelle bianche. Si infilò nella piccola doccia (ma come faceva quel gigante di Sam a starci?) e lasciò che l’acqua calda lavasse via i suoi pensieri. Ne aveva un disperato bisogno, aveva bisogno di credere che adesso sarebbe andato tutto bene e le cose si sarebbero sistemate da sole.
Quando uscì aveva la pelle arrossata dal calore. Si avvolse un asciugamano attorno alla vita e uscì dal bagno per tornare nella camera di Sam.
Le pareti erano piene di poster di Guerre Stellari, band e c’erano anche alcune fotografie.
Dean riconobbe alcune polaroid di loro da bambini.
La scrivania era posizionata sotto la finestra ed era sommersa di tomi e fogli scritti nella grafia stretta e ordinata di Sam. C’erano mensole ovunque sulle quali erano appoggiati altri libri e un paio di fotografie incorniciate di Sam e una ragazza bionda e carina, Jessica.
Si vestì in fretta prima che Sam potesse rientrare e vedere il resto dell’operato di John sul proprio corpo e tornò in soggiorno.
-Stai meglio?- domandò il più piccolo strofinandosi gli occhi con le mani.
-Sto bene Sam. Comunque ora che sono qui devi presentarmi Jessica, è carina-
Sam sbuffò guardando in tralice suo fratello maggiore. Avrebbe voluto spingerlo a parlare veramente di quello che era successo ma Dean sapeva essere testardo come un mulo, quindi decise di archiviare l’argomento, almeno per un po’.
-Stasera ho il turno alla Roadhouse, se ti va puoi venire con me e conoscere Ellen e Jo e Bobby. Mi hanno aiutato davvero tanto da quando sono qui, loro sono brave persone, aiutano i ragazzi in difficoltà- propose Sam.
Dean aveva sentito moltissimo parlare di Ellen e Jo, madre e figlia, le proprietarie di un locale chiamato Roadhouse, dove Sam aveva iniziato a lavorare dopo aver mollato il precedente lavoro che aveva trovato quando era arrivato a New York e anche di Bobby, che era una specie di meccanico o qualcosa del genere.
Sì, gli faceva piacere conoscerli, voleva vedere com’era la vita di Sam da quando se n’era andato.
-Ellen aiuta sempre chi ha bisogno nel quartiere. Lei ti troverà sicuramente un posto dove stare e un lavoro in men che non si dica, l’ha fatto un sacco di volte o almeno così mi hanno detto alla Roadhouse, conosce veramente un mucchio di persone e…-
-Frena Sam, sono appena arrivato- rispose Dean con uno sbadiglio.
Dio, era così stanco. Voleva solo gettarsi sul letto di Sam e dormire, però si rese conto di avere anche fame, non mangiava veramente da più di due giorni e sentiva lo stomaco brontolare.
-Mmmmm Sam non è che potrei farmi un sandwich?-
-Sì, guarda cosa c’è in frigo. Dean dovrò avvisare il mio nuovo coinquilino che sei qui comunque-
-Ah sì?- fece il più grande con la testa infilata nel vano del frigorifero. –Che tipo è il tuo coinquilino?-
Non fece in tempo a porre la domanda che la porta si spalancò facendo entrare un ragazzo basso e asiatico.
-Ciao Kevin- esordì Sam mentre l’altro entrava sbuffando con le braccia cariche di libri.
Kevin bofonchiò qualcosa e fece cadere pesantemente i libri sul tavolo della cucina.
-E lui chi è?- domandò poi sgranando gli occhi.
-Ah, Kevin, questo è mio fratello Dean. Dean, questo è Kevin, vive qui da due settimane-
-Oh Cristo ma che hai fatto alla faccia?- domandò Kevin.
Dean sospirò e non rispose dando le spalle al ragazzo asiatico per continuare a prepararsi il panino, poi si voltò e si squadrarono per qualche istante, poi Dean porse la mano all’altro ragazzo che la strinse con diffidenza.
-Senti Kevin, Dean rimarrà qui per qualche giorno, se per favore potessi evitare di dirlo in giro mi faresti un favore. Giuro che sarà al massimo per un paio di giorni-
-Okay, ma io devo studiare quindi digli di non fare confusione!-
-Non ti preoccupare Bruce Lee, mi basta il divano- s’intromise Dean ridendo.
Kevin gli scoccò un’occhiata di fuoco poi girò i tacchi e si chiuse nella sua stanza.
Sam alzò le mani in un gesto di scuse poi si alzò e si diresse verso Dean che aveva finito di preparare il suo sandwich.
-Avrei preferito vederti in altre circostanze ma…è bello che tu sia qui Dean, davvero-
-Beh almeno adesso siamo più vicini-
Si abbracciarono per qualche secondo poi Dean guardò suo fratello minore dritto negli occhi.
-Sam, io non posso tornare a casa lo capisci vero? Anche se…non dovessi trovare lavoro qui, o un posto dove stare, non posso tornare a Lawrence-
-Non preoccuparti, troveremo una soluzione- rispose Sam stringendolo un po’ più forte.
-Fa’ piano Sam, credo di avere un paio di costole rotte- rise Dean.
 
 
 
New York, New York, 28 gennaio 1989
 
Quella Ellen Harvelle conosceva davvero tutti, proprio come aveva detto Sam.
Non era andato alla Roadhouse la sera di quando era arrivato, era troppo provato e si era addormentato sul divano non appena Sam era andato a lezione lo stesso pomeriggio, ma c’erano andati insieme il giorno dopo. Faceva un freddo cane anche se non nevicava e le strade di New York erano piene di traffico, Dean aveva osservato affascinato gli alti palazzi e i grattacieli che si stagliavano contro il cielo plumbeo e le auto che scorrevano lungo la strada assieme ai taxi gialli.
Dean non era abituato a guidare in mezzo a tutto quel casino, si sentiva un po’ disorientato mentre dirigeva l’Impala secondo le indicazioni di Sam.
Gli faceva male la schiena perché aveva dormito sul divano la sera prima e si sentiva una sorta di cerchio alla testa. E si sentiva in colpa per avere mentito a Sam.
Si erano fermati davanti a un edificio un po’ vintage che portava una grossa insegna luminosa rossa che diceva Harvelle’s Roadhouse e scesero dall’auto.
Dean si era stretto ancora di più nella giacca di pelle maledicendosi per aver preso quella invece del suo giaccone di lana.
-Ciao Ellen, ti presento mio fratello Dean- aveva detto Sam entrando nel locale. Non era molto grande, c’era un bancone di legno sulla sinistra e un piccolo palco sul fondo della sala. Dietro al bancone c’era una porta che conduceva alle cucine, da dove uscì una ragazza bionda che si era presentata come Jo, la figlia di Ellen, e aveva lanciato subito un’occhiata ammiccante a Dean, il quale aveva elegantemente ignorato la cosa.
-Ah, quindi tu sei il famoso Dean! Abbiamo sentito parecchio parlare di te- aveva esclamato una donna più grande porgendogli la mano. –Sono Ellen. Ti serve qualcosa ragazzo?- aveva chiesto poi guardando Sam.
-Ellen so che ti sto chiedendo molto ma avrei bisogno che trovassi una sistemazione a Dean lui…-
-Sono scappato di casa. E non intendo ritornare, ma se è un problema posso cavarmela da solo- lo aveva interrotto Dean seccamente.
-Immaginavo- aveva risposto Ellen, notando il viso di Dean, dove il livido stava diventando verdognolo e i tagli non si erano ancora completamente rimarginati. –E comunque non serve che te la cavi da solo ragazzo, chi ha bisogno qui trova sempre un aiuto. Soprattutto uno che ha passato quello che hai passato tu- tagliò corto la donna.
Intuitiva quella Ellen, e non aveva fatto neppure troppe domande, a Dean era piaciuta subito.
-Come te la cavi con le auto?- aveva domandato poi a Dean.
-Bene, ero un meccanico prima-
-Jo!- aveva intimato allora Ellen alla figlia. –Passa da quella vecchia carogna di Bobby Singer e digli che gli ho trovato un aiutante. Voi due aspettatemi qui, torno subito- e sparì nel retrobottega.
I due rimasero impalati nel mezzo del locale vuoto guardandosi attorno mentre Jo usciva e la voce di Ellen diceva qualcosa che non riuscivano a capire.
-Sì sì, garantisco io!- fu l’unica cosa che riuscirono a captare.
La donna li raggiunse di nuovo dopo circa dieci minuti.
-Nel palazzo qui di fronte all’ottavo piano, all’appartamento 131 c’è bisogno di un coinquilino, l’affitto non è alto e per adesso ho garantito io per te con il padrone di casa, non farmene pentire ragazzo- aveva detto Ellen in tono spiccio.
-Grazie Ellen, se c’è qualcosa che possiamo fare per ricambiare…-aveva iniziato Sam.
Dean non era abituato a quella gentilezza. Era praticamente uno sconosciuto per quella donna e lei gli aveva trovato un posto dove stare e forse anche un lavoro.
-Sì, ehm…grazie signora Harvelle- disse Dean in chiaro imbarazzo. Non sapeva mai come comportarsi in quelle situazioni.
-Chiamami Ellen. Sei il fratello di Sam e questo mi basta, se sei come ti ha descritto posso fidarmi di te. E poi- aggiunse squadrandolo da capo a piedi –Non devi essere in una bella situazione se sei qui-
Dean sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come di sollievo.
Sì, era decisamente sollevato, avrebbe iniziato una nuova vita, era vicino a Sam, se n’era andato di casa…non era sicuro che fosse reale, forse era solo un bel sogno dal quale si sarebbe risvegliato al più presto, non era possibile che qualcosa nella sua vita stesse girando per il verso giusto.
Poi erano andati all’officina di Bobby Singer, dove li aspettava Jo Harvelle, assieme ad un uomo sulla sessantina con un cappello consunto calcato sulla testa.
C’era voluta tutta l’arte persuasiva di Sam per evitare che Bobby mettesse subito Dean a lavorare (-Bobby ma è appena arrivato!- aveva detto subito il minore dei Winchester.
-Beh allora se non vuole lavorare perché diavolo Ellen me l’ha mandato? Mi serve un assistente e mi serve subito!-
Era un tipo abbastanza scorbutico aveva intuito Dean ma a quanto pare doveva un favore ad Ellen quindi dopo avergli dato dell’idiota un paio di volte gli aveva intimato di presentarsi il lunedì dopo, puntuale), anche se a Dean non sarebbe dispiaciuto, aveva messo gli occhi su una Mustang niente male.
Il giorno successivo si svegliò sul divano di Sam col telefono che squillava. Sam era andato a lezione presto e il pomeriggio l’avrebbe accompagnato al suo nuovo appartamento.
Bofonchiò tirandosi faticosamente su dal vecchio divano arancione e si diresse con passo pesante verso la mensola sopra la televisione.
-Pronto?- borbottò con voce impastata.
-Dean…Dean sei tu? Sapevo che eri lì…-
La voce di Mary Winchester era più che un sussurro ma Dean si sentì gelare. Non era vero, non poteva essere vero.
-Dean tesoro, sono io, sono la mamma. Ti prego non riattaccare, dovevo chiamare perché tuo padre non è in casa adesso e sono preoccupata, io…-
Il ragazzo buttò giù la cornetta di scatto e si appoggiò al muro tremando.
Non era possibile. Era scappato, fuggito, andato via per mettere più distanza possibile tra sé stesso e quella vita che ora più che mai capiva di non aver mai voluto. Nonostante fossero passati pochi giorni le cose sembravano prendere la giusta direzione e lei lo chiamava.
“Cazzo!” imprecò mentalmente mentre sentiva le sue ginocchia diventare gelatina e la vista appannarsi.
Sperava solo che Mary non lo dicesse a suo padre, che se ne stesse zitta e facesse finta di niente come faceva sempre, se quell’uomo l’avesse scoperto…rabbrividì al solo pensiero.
Doveva buttare giù qualcosa per calmarsi così aprì il frigorifero di Sam e mandò giù una birra in tre sorsi, poi tornò nella stanza del fratello e spulciò tra i cd di Sam, non c’era nulla che gli interessasse così accese lo stereo che stava sulla scrivania sintonizzandolo su una stazione di rock classico.
 
“Mama take this badge off of me
I can’t use it anymore
It’s getting’ dark, too dark to see
I feel I’m knockin’ on Heaven’s door
Knock-knock-knockin’ on Heaven’s door
Knock-knock-knockin’ on Heaven’s door”[ii]
 
Non vedeva l’ora che Sam tornasse e lo portasse al suo nuovo appartamento. La sua famiglia era riuscito a raggiungerlo anche lì, ma doveva aspettarselo, era stato uno stupido a non averlo messo in conto.
In fondo sapevano benissimo quanto lui e Sam fossero legati e per Dean era stato quasi automatico pensare a Sam come meta della sua fuga, e di conseguenza anche i suoi genitori.
Sperò che Mary tenesse la bocca chiusa, aveva combinato abbastanza guai.
 
“Mama put my guns in the ground
I can’t shoot ‘em anymore
That long black cloud is coming down
I feel I’m knockin’ on Heaven’s door”
 
Chiuse gli occhi e si addormentò fino al ritorno di Sam dopo pranzo.
-Ha chiamato la mamma stamani- annunciò con tono incolore al fratello minore appena rientrato.
-Che cosa? Come faceva a sapere che eri qui?- sbottò Sam, sorpreso.
-Sam, era abbastanza scontato che venissi qui non credi?-
-Non hai tutti i torti…ehi non preoccuparti, adesso andiamo all’appartamento che ci ha suggerito Ellen e andrà tutto bene. Non sapranno mai dove sei e se mi chiederanno di te non risponderò. Però Dean se solo mi dicessi cosa è successo davvero…-
-No Sam, lascia perdere te l’ho già detto com’è andata ma tu non vuoi credermi- ribatté con tono perentorio. Era stufo di quella domanda e soprattutto non era ancora pronto a dirlo ad alta voce.
Gay? Omosessuale? Quale parola avrebbe dovuto usare? Non ne aveva idea e non voleva neppure starci a pensare, voleva solo andarsene, avere un po’ di respiro da tutte quelle domande e quei dubbi che lo torturavano.
-Spero solo non dica nulla a papà- disse invece.
-Dean, ma che cosa ti ha fatto quell’uomo? Litigate di continuo ma così…-
Davanti agli occhi di Sam c’era ancora la prima volta in cui aveva visto Dean e suo padre picchiarsi.
Ricordava distintamente che la lite era iniziata per colpa sua, aveva preso un brutto voto a scuola (il primo e l’ultimo), aveva solo quattordici anni e suo padre non l’aveva presa affatto bene.
Si ricordava di come gli stesse per saltare addosso sotto lo sguardo terrorizzato di Mary ma Dean si era messo in mezzo per proteggerlo, come un milione di altre volte, da sempre, anche quando non alzava le mani.
Dean l’aveva sempre protetto, dai bulli a scuola prima e dal loro stesso padre poi, c’era sempre stato e gli aveva permesso di aggrapparsi a lui quando le cose sembravano soffocarlo, e Sam pensò che adesso era il momento di ricambiare.
Il più piccolo sospirò riscuotendosi da quei ricordi. –Dai prendi l’auto e andiamo-
Non aveva voglia di insistere ancora quindi si limitò a scuotere la testa e a seguire il fratello maggiore, che nel frattempo aveva recuperato il borsone verde con cui era arrivato, e si diressero insieme verso l’Impala mentre iniziava a piovere.

 
 
 
-Okay, questo dovrebbe essere il palazzo. Ottavo piano giusto?-
Dean guardò il portone del palazzo, era marrone con la vernice un po’ scrostata, i muri dell’edificio erano ricoperti di graffiti.
I due fratelli entrarono nell’androne del palazzo mentre un ragazzo con un lungo impermeabile beige li superò e uscì nella pioggia.
L’ascensore si aprì cigolando sotto lo sguardo diffidente di Dean mentre Sam gli rivolse un sorriso d’incoraggiamento. –Speriamo non si fermi- disse allegramente.
-Grazie Sam, ora sono più tranquillo-
Sembrò metterci un’infinità ad arrivare al loro piano e quando si fermò i due ragazzi si ritrovarono in un lungo corridoio ricoperto di una polverosa moquette blu. Sul piano c’erano due porte e i due si avvicinarono a quella con appeso il numero 131 in caratteri dorati.
Dean notò che il numero tre non era attaccato bene e si stava per rigirare.
-Ci siamo- disse. Non sapeva cosa aspettarsi, non aveva mai vissuto da solo. Adesso gli sembrava tutto così folle e avventato, non avrebbe dovuto andarsene così senza un piano, ma a cosa stava pensando quand’era scappato? Che avrebbe potuto vivere nell’appartamento di Sam? Dio, che idiota che era.
La porta si aprì, era talmente immerso nei suoi pensieri che non si era neppure accorto che Sam aveva bussato, rivelando la figura alta e magra di un ragazzo, probabilmente più piccolo anche di Sam, con spettinati capelli biondi, jeans sdruciti e una maglietta sgualcita dei Rolling Stones.
-Sì?- domandò con aria circospetta.
-Ehm…ciao, sono Dean Winchester. Questo è mio fratello Sam, sono il nuovo coinquilino, mi ha mandato Ellen, della Roadhouse- disse tutto d’un fiato.
Il viso del ragazzo s’illuminò e rivolse ai due fratelli un ampio sorriso.
-Ah anche tu sei un ragazzo di Ellen? Ciao, io sono Adam Milligan!- esclamò stringendogli energicamente la mano.
I due Winchester si lanciarono un’occhiata interrogativa mentre Adam li invitava ad entrare. –Ellen non mi ha detto nulla ma scommetto che ha parlato con Rufus, il padrone di casa, altrimenti non saresti qui. Allora, hai detto Winchester? Come il fucile?- snocciolò Adam praticamente senza respirare tra una frase e l’altra.
-Uh…sì- rispose Dean un po’ stordito dall’irruenza del ragazzino.
-Fico! Ci serviva un nuovo coinquilino dopo che Krissy se n’è andata. Siamo sempre stati in quattro quindi quando lei se n’è andata ci serviva un altro quarto capisci? Ora sono da solo in casa perché gli altri sono fuori, io sono il più piccolo comunque. Charlie non sarà felice credo, sei un altro ragazzo quindi vuol dire che mmmm…siamo tre ragazzi e Charlie. È in svantaggio, perché lei è una ragazza!-
-Ma quanto parla?- bisbigliò Sam al fratello che stava osservando Adam con gli occhi sgranati. Quel ragazzino era davvero un vulcano.
-Allora questo è il soggiorno, è tipo lo spazio comune. La sera a volte guardiamo la tv insieme o beviamo, cose così- disse Adam facendo un gesto con la mano per indicare il soggiorno. Era un’ampia stanza con le pareti dipinte di rosso, sul lato destro c’era un’immensa libreria un po’ sbilenca e al centro, davanti a un grosso televisore c’era un divano componibile di uno stinto color ocra sul quale erano gettate malamente delle coperte.
Sul pavimento di legno consumato dall’usura c’era un vecchio tappeto che ne ricopriva la maggior parte, sulle pareti si notavano delle macchie di umidità e le tende della grande finestra erano un po’ impolverate.
-Questa invece è la cucina- continuò il ragazzo attraversando un arco che dal soggiorno portava a un’altra stanza.
La cucina era più piccola rispetto al salone, arredata con vecchi elettrodomestici, un tavolo un po’ traballante e delle sedie scompagnate.
-Il bagno è in comune e la lavanderia è nel seminterrato del condomino- aggiunse Adam uscendo dalla cucina e attraversando di nuovo il soggiorno.
Si ritrovarono in uno stretto corridoio con cinque porte.
-La prima è il bagno e le altre sono le camere. Quelle sulla destra sono la mia e di Charlie. Sulla sinistra ci sono le altre, questa qui è la tua- disse Adam aprendo l’ultima porta sulla destra.
I tre ragazzi si ritrovarono in una stanza con un letto matrimoniale, una scrivania spoglia con una sedia da cui usciva un po’ di imbottitura e un armadio che avrà avuto almeno trent’anni.
La finestra però era grande e dava sulla strada posteriore dove si vedevano le auto sfrecciare.
A Dean la casa piaceva, certo i mobili erano vecchi, c’erano macchie d’umidità un po’ dappertutto e Adam parlava veramente senza sosta, però pensò che avrebbe potuto abituarsi. E poi Ellen gli aveva trovato quel posto in un secondo, non poteva dire di no.
-Che te ne pare?- gli domandò Sam.
-È okay, ed è sicuramente meglio del tuo divano- rispose ridendo.
Adam li riportò in cucina dove tirò fuori tre birre dal frigorifero e le appoggiò sul tavolo.
-Beh benvenuto nel Team Free Will![iii]- esclamò stappando la sua bottiglia.
-Team…che?- domandò Sam.
-Team Free Will- ripeté Adam. –Ci chiamiamo così qui nell’appartamento perché siamo una famiglia. Ora vi spiego, qui dentro abbiamo tutti storie simili, io per esempio sono scappato di casa due anni fa perché mia madre è morta e non volevo stare con quello stronzo del mio patrigno che di sicuro mi avrebbe usato come una specie di schiavo, così sono scappato e sono venuto qui- disse velocemente. –Il primo  mese è stato una merda, dormivo letteralmente sotto i ponti, poi sono capitato alla Roadhouse e ho conosciuto Ellen e Jo, che mi hanno mandato qui e mi hanno trovato un lavoro. Qui c’erano già gli altri due ragazzi, poi è arrivata anche Krissy. E prima degli altri due ragazzi ce n’erano altri, insomma un ciclo continuo- spiegò prendendo un sorso di birra.
Dean notò che Adam non aveva quasi respirato per buona parte del suo discorso.
-In pratica sono anni che Ellen lo fa, ha creato una specie di rete di aiuto per ragazzi bisognosi, i ragazzi di Ellen. E Bobby la aiuta, anche se fa il vecchio stronzo. E anche Rufus, che è il padrone di casa e un amico di Bobby-
-E perché Team Free Will? Che c’entra il…libero arbitrio?- chiese Dean.
-Come ti ho detto abbiamo tutti delle storie famigliari un po’…turbolente, ma non sta a me dirtele. Comunque, abbiamo tutti scelto di andarcene o di essere qualcosa di diverso da quello che i nostri genitori volevano per noi e beh, eccoci qui- concluse Adam allegramente.
Fuori dalla finestra il cielo si stava facendo scuro e Sam si alzò dalla sedia.
-Beh Adam, grazie. Dean, se per te va bene io andrei, devo studiare e domani mattina ho lezione presto-
Adam accompagnò i due fratelli alla porta e poi li lasciò soli, dopo aver scritto su un biglietto il numero di telefono dell’appartamento e averlo consegnato a Sam.
-Sam, grazie per…avere fatto il fratello maggiore- disse Dean piano, l’accenno di un sorriso sul volto.
-Dean, l’hai fatto per tutta la vita e poi dopo stamattina sembrava che avessi bisogno di un supporto. Anche se non vuoi parlarmi…-
-Sam piantala okay?-
-Hai ragione, scusami-
Si guardarono imbarazzati per qualche secondo.
-Ti troverai benissimo e poi ora siamo nella stessa città!- aggiunse il minore.
-Chiamami per qualunque cosa Sam-
-Non vorrei essere petulante ma mi sembri tu quello in difficoltà adesso-
-Porta rispetto agli anziani puttana-
-Fesso-
Sam si voltò e Dean aspettò che entrasse nell’ascensore prima di chiudersi la porta della sua nuova casa alle spalle. E così era reale, aveva fatto quello che gli aveva suggerito Benny e per qualche strana ragione, a parte l’inconveniente di quella mattina, sembrava andare tutto bene.
Dean non ci era abituato, si aspettava che da un secondo all’altro il telefono squillasse e dall’altro capo sentisse la voce di Mary o di John, o peggio, che se li vedesse capitare davanti.
Inspirò profondamente e tornò nel soggiorno dove c’era Adam stravaccato sul divano con un libro aperto sulle ginocchia.
-È strano vero?- chiese sorridendogli. –Anch’io la prima volta ero spaventato-
-Non sono spaventato!- ribatté Dean, ma per chi lo aveva preso quel ragazzino?
La verità era che Dean si sentiva in colpa, non solo per avere mentito a Sam ma anche per essersene andato. Nel momento in cui l’aveva fatto si era sentito bene ma adesso?
Ripensava a tutto quello che i suoi genitori avevano fatto per lui, gli avevano dato una casa, cercato di non fargli mancare niente. Negli ultimi anni le divergenze si erano accentuate, le liti con suo padre erano diventate più violente però...ma perché la sua testa era così un fottuto casino?
John non lo voleva, gliel’aveva fatto capire chiaramente poche sere fa e Mary evidentemente non lo voleva abbastanza da proteggerlo. E adesso era lì, aveva di nuovo un tetto sopra la testa e non doveva rendere conto a nessuno di un bel niente, solo a sé stesso. Doveva solo mettere ordine in quel macello che era la sua testa.
 -Io vengo da Lawrence, in Kansas. Cioè da una fattoria fuori Lawrence, semplicemente non sono abituato a questo genere di posti- replicò fissando il suo nuovo coinquilino.
Adam annuì con comprensione e poi si rimise a leggere. Dean stava per andare nella sua nuova stanza e sistemarsi (come se avesse qualcosa da sistemare) quando sentì la serratura della porta scattare.
-Ah dev’essere Charlie! Rientra sempre a quest’ora- lo informò Adam.
La porta si aprì ma chi entrò non era una ragazza, bensì il tipo con l’impermeabile beige che Dean aveva intravisto per le scale.
Adesso che ce l’aveva davanti vide che era giovane, doveva avere la sua età se non meno, con spettinati capelli neri bagnati dalla pioggia, gli occhi di un incredibile blu e un’espressione stupita sul viso.
-Ciao Castiel! Credevo fosse Charlie, comunque lui è Dean, il nostro nuovo coinquilino. Anche lui è un ragazzo-di-Ellen-
La prima cosa che Dean pensò fu: “Che razza di nome è ‘Castiel?’” e stava quasi per dirglielo ma si morse la lingua.
-Sono Dean Winchester- disse invece porgendogli la mano.
L’altro la strinse, era una stretta forte e sicura.
-Castiel Novak-
 
 
 
 
 
Spazio autrice: ehilà! Innanzitutto vi ringrazio di essere arrivat* qui in fondo a questo nuovo capitolo, spero vi piaccia!
Avete visto chi è arrivato finalmente? Il nostro grumpy boy in trenchcoat, finalmenteeeeee!
Comunque, visto che è iniziata l’università non riesco più ad aggiornare a giorni alterni quindi pubblicherò ogni due\tre giorni, perdonatemi!
Grazie ancora a tutt* voi che recensite e mettete la mia storiella nelle preferite\seguite\ricordate, mi riempite il cuore di gioia!! Come al solito, se vi va, lasciatemi una recensione per farmi sapere che ne pensate
Un abbraccio e a presto!
 
 

 
 
[i] Personaggio del romanzo On The Road di Jack Kerouac, dal quale prende il nome il personaggio di Dean nella serie
[ii] Knockin’ On Heaven’s Door, Bob Dylan, 1973. Il titolo del capitolo è preso dalla canzone stessa, l’ho scelto perché mi sembrava calzante. Dopotutto Dean bussa a un sacco di porte qui per trovare il suo paradiso personale.
[iii] “free will” in inglese significa “libero arbitrio”
  
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