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Autore: itsanonymous    24/02/2021    0 recensioni
« Non ti lascio andare, Prue. Scordatelo » mi dice e so che non lo farà davvero. Vorrei guardarlo in faccia, ma non ci riesco, come se non mi fosse concesso.
[...] Ma dovrà lasciarmi andare, so che dovrà farlo. Altrimenti non sarò la sola a rimetterci: anche lui cadrà nel vuoto insieme a me.
Io potrei cavarmela, ma non lui, lui no. E non posso permetterlo.
So che è così importante, da lasciarmi cadere per salvarlo senza pensarci due volte e lo farò.
Inizio a mollare la presa sul suo polso.
« Mi dispiace » mormoro.
Lascio definitivamente la presa, sento la sua voce straziata che riecheggia nei ghiacciai mentre mi preparo a cadere nel vuoto.
So che adesso lui è al sicuro. Io non più.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I










Quando inserisco la chiave nella serratura, l'aria mi pizzica ancora il naso per la puzza.
L'odore fetido di alcool aleggia ancora nella casa, nonostante siano passate diverse ore. Va sempre così, lo so già.
Ogni mattina, all'alba, la sveglia del cellulare mi permette di godere di qualche ora di pace. Esco di casa per rifugiarmi nelle strade silenziose che mettono a tacere anche i miei pensieri o, perlomeno, è quello che mi dico. Ma so bene che quest'abitudine mi salva dalle loro urla che, puntualmente, mi tormentano persino nel sonno.
Mio padre e mia madre hanno la cattiva abitudine di litigare spesso. E dire litigano è un'eufenismo. Volano piatti o, ancor più spesso, le numerose bottiglie di whisky di mio padre che hanno come unico bersaglio mia madre.
Ho provato spesso a interpormi tra il loro corpo a corpo e qualche volta me la sono cavata con uno schiaffo schivato da mia madre o con qualche graffio al braccio. Una volta ho schivato all'ultimo secondo una bottiglia diretta a lei.
Mia madre è una donna forte, ma non abbastanza da decidere di lasciarlo. L'amore a volte fa brutti scherzi, e nel suo caso è stato proprio crudele.
Ho provato a convincerla più volte, spiegandole quanto meritasse di più, dicendole che poteva essere finalmente felice, libera dalle catene e dalle costrizioni. Potevamo affittare un piccolo monolocale e cavarcela alla grande. Avrebbe potuto tornare la sera stanca da morire, ma sentirsi al sicuro nel nostro appartamento.
Senza la paura che una parola sbagliata avesse potuto scatenare una lite e il lancio delle bottiglie.
Ma lei mi aveva risposto che non poteva lasciarlo a se stesso e che non poteva privarmi di un padre.
« Io non ce l'ho un padre! » le avevo urlato dopo la milionesima volta che mi rifilava questa ridicola risposta, uscendo di casa e sbattendo la porta.
Ogni mattina, dopo la mia scappatoglia, mi ritrovo a raccogliere le scheggie. Mio padre è sempre più ubriaco e mia madre sempre più agile a scansare le bottiglie.
Mia madre è già uscita per andare a lavorare in un bad and breakfast sulla Decima e mio padre, come ogni giorno, vagabonda insieme ai suoi amici raccontandosi dei tempi andati.
E' disgustoso, lo odio più della mia stessa vita.
Non sono riuscita a trovare un lavoro decente per permettermi di mettere da parte i soldi e scappare via, insieme alla mamma, che lei lo volesse o no, e mi ritrovo a cercare delle scappatoie per non affondare.
Mi sento come se fossi sempre sulle sponde delle sabbie molli: basta solo un piccolissimo passo, per andare giù e non risalire mai più.
Motiv per cui, cerco di essere quanto più lucida possibile: devo essere forte per entrambe.  Troverò, prima o poi, il modo per andarmene insieme a lei via di qui. E mi sentirò al sicuro, finalmente a casa mia.
Il problema delle fughe, però, è che prima o poi finiscono e mi ritrovo a far i conti con una realtà incontrastabile.
Ho provato ogni giorno a lasciare curricula ovunque e, alla fine di ogni colloquio, non mi sembrava fosse andata male. Al contrario, sembravano tutti ben predisposti. Cerco sempre di apparire come sono realmente: attiva, solare, estroversa, una che impara velocemente, che si dà un gran da fare. E, come ogni volta, quando sembro ad un passo dall'assunzione, misteriosamente la mia candidatura viene rifiutata con giustificazioni inverosimili.
Quando mi confidavo con la mamma, mi dava l'impressione di sentirsi sollevata del mio fallimento, poi mi accarezzava il viso, mi sorrideva teneramente e mi diceva: « E' perché meriti di meglio, Prue. Dio ha in servo per te qualcosa di grandioso» . Ma io non le ho mai creduto per davvero; ho sempre pensato che Dio si fosse lavato le mani della mia famiglia. Di me.
Porto sempre con me quell'incancellabile sensazione di sentirmi fuori posto, come un minuscolo pesce fuor d'acqua.
Non mi sento mai parte veramente di niente, e nemmeno questo mondo sembra voler far parte di me.
Ho solo una famiglia sull'orlo dello sfascio e qualche amico fedele disposto a sopportare i miei crolli e miei attacchi di euforia improvvisi.
Eppure sento che qualcosa più grande di me debba venire a prendermi ma, durante le notti particolarmente tristi, mi sono chiesta se non fosse solo la troppa speranza che nutro per il mio futuro.
Dopo aver raccolto i cocci di vetro, li getto nella spazzatura e mi dirigo ad aprire le finestre.
« Mmh » sento grugnire alle mie spalle « fa oppo freddo. Chiudi.. quella.. 'nata finestra»
Mi volto, ma so già chi mi troverò di fronte. Mio padre, un uomo alto ma tarchiato, ridotto in ginocchio dall'alcool, con abiti sgangherati e corrosi; la pelle che arde ancora del fetore del whisky.
Socchiudo gli occhi, colmi di rabbia, mentre lo guardo e vedo il centro del mio dispiacere, del mio dolore. Mio e di quello della mamma.
Da quand'è che ho smesso di considerarlo un padre?
Ricordo di quando era un uomo elegante e raffinato, la pelle lucida e un sorrispo splendente,  sempre disponibile e gentile, che condannava gli ubraconi manco fossero i servi del diavolo in persona. Ricordo di quando, a Natale, si travestì da Babbo Natale solo per farmi una sorpresa.
Poi, nel giro di qualche anno era cambiato radicalmente. Ed io l'avevo perso. Avevo solo sei anni, ma ricordo tutto alla perfezione.
Ricordo che, così piccola, indossai la corazza che mi ha permesso di arrivare a ventun'anni indenne, o quasi.
« Io non chiudo un bel niente » gli dico voltandomi ad aprire con più foga un'altra finestra « C'è puzza.. ovunque» gli sputao addosso quest'ultima parola, carica di ribrezzo. Lui socchiude gli occhi e mi guarda come un cane rabbioso: è l'espressione che precede il lancio delle bottiglie.
Incorcio le braccia al petto e aspetto con ansia il momento.
« Non ti pemmetto di pallammi così » sbiascica cercando di prevalere sull'alcool, ma temo che ne abbia ingurgitato troppo. E faccio un sorriso che sembra più uno scherno di sfida.
« Certo » rispondo sarcastica « ma a me non interessa quello che dici» .
Lui alza il braccio pronto a lanciarmi addosso la sua bottiglia. Sono troppo lontana dalla porta per scappare nel corridoio e troppo indietro per rifugiarmi sotto al tavolo e mi trovo spiazziata.
Vedo la bottiglia venirmi incontro e so che non potrò fare niente per evitarla, perché anche se tenterò di scanzarla, mi colpirà il braccio o il fianco. Così alzo il braccio per proteggermi e accade.
Come se si fosse alzato un muro tra me e mio padre, la bottiglia rinbalza e si schianta alle spalle di mio padre.
Lui si volta a guardare prima la bottiglia in frantumi e poi me, gli occhi iniettati di sangue dalla rabbia. Ora sembra più lucido perché riesce a pronunciare decentemente le parole.
« Come hai osato? » mi urla furibondo ed io devo urlare più forte per farmi sentire.
« Non ho fatto proprio un bel niente! »
« Ti ho vista! Ti ho vista! Mi hai lanciato la bottiglia.. volevi uccidermi! » delira.
« Oh, ma per favore! Se avessi voluto ucciderti, l'avrei fatto molto tempo fa » scandisco le parole lentamente, in modo che le afferri velocemente.
Ma, senza darsi per vinto, raccoglie velocemente un'altra bottiglia e me la scaglia, ma io non ho nemmeno il tempo di riparami col braccio. Ma non ce n'è bisogno, perché è accaduto di nuovo.
C'è un'altra bottiglia - ora - in frantumi, ai piedi di mio padre.
Mi guarda di nuovo, questa volta con sospetto, come se anche lui non sapesse cosa dirmi. Inizia a borbottare qualcosa tra sé.
« Forse hai bevuto troppo, stamattina » gli suggerisco con il viso in fiamme ed una rabbia cieca che sta scemeando. Lui alza le sopracciglia come per darmi ragione e struscia i piedi per terra, dirigendosi alla porta per andare via.
Ansimo per un minuto in preda al panico, mi reggo alla sedia del tavolo e poi mi accuccio a raccogliere i cocci delle bottiglie.
La verità è che questa volta non è colpa dell’alcool. L'ho visto - o forse dovrei dire percepito - anch'io, il campo di forza che ci ha divisi e protetto me.
Mentre getto i cocci di vetro nella spazzatura, penso che forse è l'alba di una nuova era che si avvicina.
 
 
 
 
 
   
 
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