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Autore: yesterday    26/08/2009    24 recensioni
Shot rivista, corretta ed integrata.
Della prima, invece, ricordo con estrema chiarezza ogni minimo dettaglio: le sfaccettature degli occhi color cioccolato quando si sveglia, l’angolo della bocca che si solleva anche quando cerca con tutte le forze di non ridere, addirittura il profumo tra le fibre delle magliette.
[...]
“Tu ci avevi mai pensato a questa possibilità?”
“Teoricamente no”
“E praticamente?”
Mi gratto nervosamente la testa. “Nemmeno”.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono paranoica e pignola, lo sappiamo tutti, e la versione che c'era di "...A porte in faccia" non mi piaceva un granchè. L'ho ripresa in mano, questo è quello che ne è uscito grazie anche al supporto tecnico di Silvia, whatheverhappened, che è stata una beta supergentile e superveloce.
Grazie a chi ha voluto farla finire tra le Scelte e grazie per questo primo anno qui.
Kim.


...A porte in faccia.


Guardo la scritta “Kurata” sul campanello da dieci minuti buoni.
Stavolta l’ho combinata grossa. L’ho combinata grossa eccome. Non è… Non è come tutte le altre dannatissime volte, è addirittura peggio.
Ma, in fondo, è colpa sua.
Il problema è che non ci ho fatto proprio caso: sembrava un normale litigio da routine.
Stavamo come sempre a casa mia - un pomeriggio come tanti altri, un film come tanti altri… A dir la verità, come tutti i film degli ultimi anni, non l’avevo guardato.
Preferivo di gran lunga starmene a guardare lei, Sana. E’ decisamente più divertente, stupisce con le sue espressioni sceme e le dita strette al bordo del cuscino che ormai abbiamo ribattezzato come suo, tante sono state le volte in cui se l’è stretto al petto.
Altro che film.
Beh, e poi mi ha sempre fatto ridere più di quanto potesse qualsiasi comico disponibile in videoteca - ridevo, ridevo, ridevo come un pazzo perché lei piangeva.
Kami, per inciso, la cosa che più mi fa rotolar dal ridere è come riesca a trovare sempre il motivo per farsi venire gli occhi lucidi e il labbrino tremulo che scatena tutta - tutta - la mia ilarità repressa.
E’ capitato che piangesse di fronte alla morte del fratello del sosia del cugino del protagonista, o all’addio alla stazione tra il gemello buono dell’ex spia russa morta in guerra e la sorellastra dell’eroina di turno. Magari avrebbe pianto anche guardando un cartone per bambini o un’animazione di plastilina. Ecco una cosa che forse dovrei provare a farle vedere - avrei dovuto, visto come si sono messe le cose.
Per me uno vale l’altro, per lei no… E giù lacrime su lacrime, tutte ad inzuppare il disgraziato suddetto cuscino.
Ovviamente a quella vista io ridevo, ridevo come un dannato, al che lei si staccava il suo cuscino di dosso e iniziava a tirarmelo in faccia, sbraitando qualcosa che poteva variare dallo “Smettila di prendermi in giro!” al “Sei un emerito cafone!” a seconda dei giorni e del genere di film.
Io prendevo il cuscino asciutto per contrattaccare - mica mi faccio picchiare da una donna - ed inevitabilmente iniziava a ridere anche lei e ci ritrovavamo dal divano al pavimento nel giro di mezzo minuto.
A quel punto poi iniziavamo a parlare. Di tutto - quasi, insomma.
Non ricordo la data esatta in cui cominciò quella stupida routine, fatto sta che ora sembra irrimediabilmente interrotta e che lei comunque, per voler essere precisi, i pomeriggi a casa mia li passa da quando eravamo in terza superiore.
Credo dall’ultima volta in cui ho tentato di baciarla - ma la data, la data proprio non la ricordo.
Ho ben impresse nella mente, però, le sue mani piazzate sui fianchi ed ho la certezza che fosse venuta con l’intenzione di rompermi qualcosa come quattordici Piko in testa. Invece ci eravamo ritrovati tra un trancio di pizza e un film americano doppiato malissimo - quasi un tuffo nel passato dei miei tre anni trascorsi negli USA, un pomeriggio tipo.
La sua prima domanda era un classico: “Hayama, e le donne?”
Altrettanto il mio stringermi nelle spalle, il rischiare la morte per soffocamento e ringhiare “Niente di che.”
Sì, insomma, non è il genere di argomento di cui mi piaceva parlare con lei.
Forse dovrei dire che a me non piace proprio parlare, sì.
A quella risposta, comunque, lei sorrideva. Sempre.
Questo pomeriggio, poi, lei doveva raccontarmi del suo ennesimo uomo.
“Devo dirti una cosa”
Ho poggiato la pizza, lo stomaco previdentemente s’era già chiuso. “Dimmi pure”.
“Io… sto insieme ad Hachi.”

E lì, più o meno, sono cominciate le urla, come cominciano ogni volta in cui scopro che sta con qualcuno.
Io… Io la voglio vedere felice, lo giuro, ma ha quell’incomprensibile capacità di andarsi a pescare i più idioti in circolazione.
Tremo all’idea di vederla con uno di quelli lì. Insomma, fa oggettivamente ribrezzo vederla appiccicata a chissà chi con un bicipite interamente tatuato grosso quanto la sua circonferenza vita, e dai.
Ma puntualmente, indovinate un po’? Sana si sceglie uno di quelli.
Dopo circa una mezz’oretta di insulti, le urla si interrompono sempre. Anche oggi.
“Accidenti a te, Akito, che c’è che non va stavolta?”
“Mmh. Niente, credo.”
Ed ha alzato gli occhi al cielo come ogni volta - oh, come lo fa lei non lo fa nessuno. “E allora dov’è questo dannatissimo problema?”
“Beh, fammici pensare… Non fa per te, ecco. E’ classificabile tra i problemi?”
A tale risposta lei, ogni benedetta volta, alza il suo fondoschiena dal pavimento, afferra chiavi dell’auto e borsa ed esce da casa mia sbattendo la porta.
Okay, sbattendo sonoramente la porta.
…Ed incazzandosi giusto un po’, tanto per completare l’opera.
Sì, anche oggi è successo - sempre la solita storia.
Dice che le demolisco la felicità, ma non sono d’accordo; dopotutto è lei che regolarmente, fermandosi col rosso al semaforo della provinciale - due minuti e cinquantadue secondi dopo aver lasciato casa mia - telefona al fidanzato di turno e lo scarica.
Anche Hachi.
Mette su quell’adorabile broncio che tecnicamente non posso per ovvie ragioni vedere - ma so per certo che c’è - e per farglielo passare mi tocca passare la serata sotto casa sua, con l’indice cucito sul campanello.
“Che vuoi!” e di domanda ha poco o nulla.
“Dimmi che cazzo di problema hai stavolta, Sana. Anzi no, dimmelo una volta per tutte così la finiamo con queste scenate, che siamo tutti e due adulti e non mi pare edificante, non trovi?”
“Hayama, tornatene da dove sei venuto.”
“Fammi capire. Io sono qui che ti chiedo spiegazioni e tu te ne esci con le frasi ad effetto da quattordicenne? Ma vedi te la stron-”
“Vaffanculo”

Fin qui puro trantran.
Ma poco fa ho avuto la meravigliosa idea di dar voce ad un dubbio comprensibile, certo, ma che per la quiete del vicinato avrei dovuto omettere. Letteralmente, ho degnato le gentil orecchie presenti - che spero vivamente fossero solo quelle di Sana - di un impeccabile sfondone. Di quelli micidiali.
“Lui… stai così per qualcosa che ti ha detto, no?” modalità detective attivata.
L’assenza di risposte era un fin troppo ovvio assenso.
“E cosa ti avrebbe detto, questo genio?”
“Oh, Hayama, vuoi le parole testuali? “Kurata, lasciatelo dire, sei proprio una gran troia!” “
Così tutto il vicinato è stato messo al corrente del fatto che Hachi, il palestrato e tatuato Hachi, ha accusato Sana di essere di… facili costumi.
Tecnicamente parlando, tralasciando psicologie inverse e casini vari, il motivo per simili scurrilità secondo l’universalmente noto orgoglio maschile è uno solo:
“Kurata, dimmi. Tu e lui eravate, come dire… Piuttosto intimi?”
“Che cosa stai insinuando?”
Se te lo porti a letto al primo appuntamento e poi lo pianti mini la sua autostima.
“..ed è normale che risponda così” era molto meglio che la prima parte restasse solo un pensiero.
Dopotutto, io posso solo andare per supposizioni. Il sesso è l’argomento tabù del nostro rapporto.
Non ne abbiamo mai parlato, ed onestamente tanto meglio così.
Okay, forse ho sempre nutrito qualche sorta di curiosità sulla sua prima volta, circa qualche aneddoto stupido solo per ridere mentre chiudevamo la custodia del dvd di turno a casa mia. E anche di leggerle negli occhi qualche reazione ad un mio ipotetico racconto, e passare le ore a ridere e prendere in giro i vecchi ex come si fa sempre, come si fa tra amici.
Forse è quello, il problema. Lo è sempre stato.
Nessuno dei due ha mai amato particolarmente omologare ed etichettare i rapporti, certo; ma tra noi non c’è quel… Quel… Quel qualcosa in grado di farmi dire che ciò che mi lega a Sana è una profonda amicizia.
E’ un disegno appena abbozzato, il nostro. Non c’è la definizione, ci sono il tabù del discorso “sesso” e la gelosia attanagliante che mi ha sempre stretto nella sensazione che non fossimo amici. Che non lo saremo mai.
E poi dai, io sono il tipo dai filmini mentali. Non mi si può buttare addosso la descrizione della mia piccola, fragile Sana tra le braccia di un altro - non che tra le mie, di braccia, ci sia stata, ma comunque lei è mia.
E’ sempre stata mia in un modo indefinito come siamo indefiniti noi, ma lo è.
Ed anche io sono suo in ugual misura - fidatevi, i suoi abbracci, quando siamo soli o tra la gente, sono tanto stretti da riuscire ad urlarlo con voce propria, quasi, quell’aggettivo possessivo.
Mio.
“Normale? Tu la definiresti normale?! In quale.. Prima che quegli otto milioni di Kami che ci sono là sopra scendano uno per uno giusto per prenderti a ceffoni, Hayama, dimmi in quale universo dovrebbe essere una reazione normale.”
A parte che non è particolarmente divertente parlare con un citofono urlante, mi sono sentito costretto a trasformare in parole la prima parte di quel pensiero, non con poco imbarazzo.
“Ecco. Qualcosa del tipo.. Hey. Se te li scopi e poi li lasci mandi in depressione la considerazione che hanno di sé”
Certo, certo, quell’ hey è stato di cattivo gusto e me lo sarei anche potuto risparmiare, come avrei anche potuto usare un lessico più appropriato e dolce e, a questo punto, avrei anche potuto correre da ‘sto Hachi e sputargli in un occhio e-non-solo per aver osato ferirla così - orgoglio maschile o no.
Ecco, l’ultimo punto, ad esempio, è tuttora allettante.
Comunque, il sonoro clack mi ha avvisato che aveva appena appeso. Pure.

Ed eccomi qui, ancora ingraffettato al campanello di casa sua da bravo ragazzo che cerca di salvare il salvabile e di farsi perdonare per tutto il resto.
Perché se Sana Kurata ha appeso e non mi ha mandato a fanculo c’è da preoccuparsi.
E presumo - sì, ne ho la stracciata certezza matematica, e la cosa non aiuta - anche che si sia incazzata a bestia.
Ottimo.
Smetto di far pressione sul pulsante solo quando mi vibra la tasca della giacca, e sono confuso.
A parte Sana nessuno mi chiama mai; per quanto possa definirsi strana di certo non ce la vedo a telefonarmi proprio quando sono sotto casa sua.
Degno il display di mezza occhiata solo per accorgermi che si tratta di Fuka - e che cosa vuole alle undici di sera, di grazia, la signorina Fuka?
“Matsui” rispondo pigiando il verde.
“Akito, sei proprio un coglione.” mi saluta. Che ragazza gentile.
“Fuka, femminile come al solito” la rimbecco, è divertente prenderla in giro quasi quanto lo è con Sana.
Solo che le facce di Kurata danno più soddisfazione.
“Lascia il sarcasmo a casa e raggiungimi al parco, che, tanto per essere delicati, sei nella merda fino al collo.”
Sorrido. Se fosse un uomo credo che quella ragazza potrebbe seriamente essere dotata di palle quadre. “Grazie per il linguaggio sofisticato, ma ho da fare al momento” e ovviamente non voglio altri casini.
“Cinque minuti” avvisa “Ho parlato con Kurata”.
E con questa ha l’assoluta certezza che non le darò buca.
Se non altro il casino resta sempre e solo quello, vediamola così - e tralasciamo il fatto che, invece, se è già arrivata al punto di telefonare a Fuka probabilmente dovrò accamparmi sotto casa sua per settimane prima che si degni di ascoltarmi.
Fuka è l’amica dei discorsi importanti, delle arrabbiature folli. E sì, anche dei discorsi da donne.
Inizio a correre ed il tragitto mi sembra infinito.
C’è da dire che quando supero le inferriate mi sembra quasi il classico appuntamento di due amanti, e coincidenza vuole che con Fuka io ci fossi anche stato fidanzato, alle medie, quel gran bordello che ha preceduto la malattia di Sana e la mia partenza. E tutto il resto.
Sì, ma realtà vuole che l’appuntamento non abbia niente di sentimentale. Fuka si sposa a maggio. Con il tizio di sempre, quello che le piaceva prim’ancora di trasferirsi qui - nemmeno ricordo bene il nome.
E fondamentalmente eccola lì, la differenza, chiara ai miei occhi come a quelli di tutti: Sana e Fuka sono probabilmente le due ragazze a cui sono più legato; ma della prima mi interesso, della seconda mi interesso fino ad un certo punto.
Della seconda dimentico il numero di cellulare, una volta è successo anche che scordassi la data del compleanno - se non fosse stato per Kurata e quel suo “quanto scemo puoi essere? La Vigilia, Hayama, la Vigilia” - non conosco il numero di scarpe né tantomeno la taglia dei pantaloni.
Non so il suo cibo preferito e nemmeno il colore, a ben pensarci.
Della prima, invece, ricordo con estrema chiarezza ogni minimo dettaglio: le sfaccettature degli occhi color cioccolato quando si sveglia, l’angolo della bocca che si solleva anche quando cerca con tutte le forze di non ridere, addirittura il profumo tra le fibre delle magliette.

Noto i capelli scuri di Masui e la trovo seduta su di una panchina.
“Da uno a dieci mi odia undici, giusto?” e salto a piè pari i convenevoli, avvicinandomi.
“Sbagliato. Centoventicinque?” risponde a mo’ di domanda, quasi chiedesse conferma a chissà chi.
Andiamo veramente bene.
Sospiro. “Dimmi che devo fare con lei.”
Si morde il labbro inferiore, alla ricerca delle parole adatte.
“Più che altro” inizia “Sana non capisce perché le fai troncare ogni relazione che riesce a costruirsi dopo nemmeno ventiquattro ore.”
“Ma io non faccio proprio nulla. Siamo chiari, io le dico la mia opinione, è lei che poi decide di lasciarli tutti.”
“Hayama” tradotto credo significhi sei-un-deficiente, almeno dal tono in cui lo dice “Lo sai che ti ascolterebbe anche se le consigliassi di buttarsi da un dirupo”
“Te lo concedo”. Sana lo farebbe davvero.
“Quindi?” incalza.
“Quindi è solo che si sceglie gli uomini sbagliati.”
“Ma tu non ne conoscevi nessuno. Li scarti a prescindere, ammettilo”
Alzo le mani e scuoto energicamente la testa. “No, no no. E’ che sono così… Così…”
Fuka mi guarda senza capire.
“…Diversi da lei, credo.” concludo senza troppa sicurezza.
“Credi?”
Annuisco.
“Vediamo un po’. Sono diversi. Bene, io ne ho sottomano uno con cui condivide parecchi interessi: se un giorno lei scegliesse Kamura?” mi provoca.
Boccheggio, cercando di non darle la soddisfazione di vedermi completamente spiazzato. “Non è…”
Mi guarda, quel sorrisino malato stampato in viso.
“Hayama, ti va di fare un quiz?” se ne esce dal nulla.
A volte, lo ammetto, mi capita di pensare che non sia completamente equilibrata. Che le manchi qualche rotella, circa - questa è una delle occasioni.
“Perché dovrei fare un quiz?”
“Sta’ zitto e rispondimi.” mi intima, non badando al fatto che la sua affermazione è un puro controsenso. Ma evito di dirglielo, o mi pianterebbe una pantomima infinita.
Inspira. “Secondo me ci sono cinque tipi di uomini”
“Mastui, non voglio sorbirmi le tue supposizioni sull’universo maschile, non credo regger-”
“Stai zitto, ti ho detto.”
Alzo le mani in segno di resa.
“Cinque tipi. Primo: lo stronzo altolocato. Se Sana si innamorasse di uno spocchioso figlio di papà, approveresti?”
Dato che non ho scelta, mi impegno nel trovare la risposta.
Visualizzo Sana, il sorriso disteso e un abito leggero che le lascia scoperte le ginocchia; accanto a lei un tipo abbastanza alto, non troppo muscoloso. Una camicia sbottonata per tre quarti, degli occhiali da sole firmati ed i capelli fissati all’indietro col gel. E provo l’irrefrenabile impulso - col pensiero - di fargli del male.
“No” ribatto secco.
Fuka non si scompone. “Numero due: l’intellettuale.”
Ripeto il siparietto. Stavolta Sana ha i capelli raccolti in una treccia laterale ed indossa un completo tendente all’elegante. Ha anche gli occhi un po’ truccati, stringe tra le mani una borsetta. Ho come l’impressione che si trovi in una galleria d’arte. Un uomo accanto a lei la accompagna verso il dipinto successivo - è un tipo abbastanza smilzo, non troppo alto. Ha degli occhiali rettangolari bordati d’arancio e gesticola parecchio. E’ estremamente fastidioso.
“Nemmeno” commento asciutto.
“Numero tre: il bravo ragazzo”
La scena cambia. Sana si stringe nel suo maglioncino color panna, i capelli raccolti alla bell’e meglio le solleticano il collo. E’ struccata e solare, e passeggia mano nella mano con un ragazzo piuttosto anonimo. Decisamente anonimo.
“Troppo poco..” non mi lascia nemmeno il tempo di finire.
“Quattro: il teppista”
Kurata sta fumando una sigaretta, e straordinariamente non si sta soffocando. Sembra piuttosto sicura di sé, nascosta com’è dal suo ombretto viola. Con la mano con cui non regge la sigaretta tamburella sul bordo di una panchina, le unghie laccate dello stesso folle colore. Un tale la raggiunge: getta per una bomboletta di colore senza il minimo ritegno. E’ magro e porta i capelli cortissimi. Ha gli occhi accesi da uno sguardo che mi fa ribollire il sangue.
“Troppo mmh.” non sono convincente.
“Cinque: dati i suoi precedenti trascorsi sentimentali… L’alternativo convinto.”
Ed è in quel preciso istante che io ho una visione di Hachi. Capelli castani troppo lunghi, fisico massiccio e occhialini neri. Un braccio bardato di tatuaggi e troppi anelli alle dita che stringono l’acceleratore di una possente moto. Pantaloni in pelle - e Sana, Sana che sorridente corre verso l’uomo e verso la moto pronta a salire e godersi il viaggio.
Tremo, e la reazione sembra bastare a Fuka più di qualsiasi altra risposta verbale.
Cerco di ricompormi. “Beh, siamo a cinque. Se non ti dispiace avrei da fare, devo sistemare un po’ di cose - avevo l’impressione che mi volessi aiutare ma a quanto pare sei solo in vena di interviste”.
Faccio per alzarmi, ma mi blocca un braccio.
Poi mi punta gli occhi addosso.
“Ascoltami bene. Immagina Sana, un divano, un televisore illuminato dalle scene di un film. Un pomeriggio qualunque, un ragazzo biondo che le porta un trancio di pizza. E lei che ride
Non riesco ad evitare di rivedere me nel ragazzo biondo ed i nostri pomeriggi nella descrizione fornita da Fuka.
“Adesso immagina Sana che si alza dal divano, aiuta il ragazzo a sistemare la pizza sul tavolino facendo un po’ di spazio tra le custodie dei dvd, poi si alza sulle punte dei piedi e lo bacia.”
…E le labbra morbide e i lembi di pelle calda sui fianchi da afferrare e i riflessi rossicci dei suoi capelli lunghi e poi un morso al labbro inferiore e un “Scusa, Hayama, avevo fame”.
Cerco di deglutire - e con quel gesto tanto casuale il mondo sembra fermarsi per un secondo, sotto lo sguardo furbo di Fuka.
Per un attimo le linee che il rapporto che ho con Sana non riesce a tracciare - quasi fossero dei confini, questo sì, questo no - si delineano da sole verso qualcosa che non avevo mai considerato a fondo.
E mi ritrovo con la bocca leggermente aperta - devo sembrare proprio un demente, se Matsui oserà rivangare questa scena in futuro se ne pentirà amaramente.
Per lo spazio di un battito le gelosie, i tabù e i suoi sorrisi circa la mia situazione sentimentale assumono un senso pieno.
E potrebbe esserci, quel noi, e mi accorgo che sarebbe bello da morire.
Che l’ho voluto da sempre, quel noi, da sempre davvero.
“Oh” è tutto quello che so dire.
“Akito?” mi sventola davanti al viso la mano destra, preoccupata.
“S-sì? Ci sono.” più o meno, s’intende.
“Tu ci avevi mai pensato a questa possibilità?”
“Teoricamente no”
“E praticamente?”
Mi gratto nervosamente la testa. “Nemmeno”.
Arrivati a questo punto, credo di essere da Guinnes - lasciare Fuka senza parole non è cosa da poco.
Sbatte le palpebre un paio di volte tentando di ritrovare l’uso della voce.
“N-Non è possibile.” spalanca quindi gli occhi “non ci credo.”
Sollevo leggermente un sopracciglio e Fuka pianta lo sguardo nel mio.
“Siete due perfetti idioti.” biascica.
E poi, incredibilmente, scoppia in una risata senza controllo.
Intendiamoci, io non ci sono rimasto male, ci sono rimasto anche peggio.
Io ho appena dato un nome a quel noi e Fuka… Ride.
“E’ che” si asciuga col polsino destro del maglione le lacrime scaturite dal troppo divertimento “mi sembra di essere tornata alle medie. Quando non capivate i vostri sentimenti, ed eravate gli unici perché erano così palesi!”
Mi massaggio le tempie, c’è qualcosa che non sono riuscito a cogliere.
“Fuka… Stavamo parlando di me.”
“No” scuote la testa “ di entrambi. Lo conosci quel detto - Kami, me lo devo ricordare per forza. Qualcosa come “Dio li fa e poi li accoppia”? ed eccoli qui, i miei due amici imbecilli, l’uno perfetto per l’altra.”
“Ma Sana non-”
“Sei ancora qui? Muovi il culo e fila a riprendertela, prima che si butti tra le braccia di un altro idiota, svagata com’è!” incrocia le braccia al petto e so che è finita.
Quel gesto è universalmente irreversibile: determina la fine.
Prima che riesca a comporre anche solo il minimo pensiero, mi lancia addosso una chiave.
“Tieni. Purtroppo ho solo quella del cancello, mi spiace non poter essere più d’aiuto.”
La osservo, stretta in mano. Alzo lo sguardo.
“Fuka… Lo faccio davvero?”
Se mi butta in un suicidio giuro che la pesto di botte - oddio no, però un pensierino ce lo farei.
“Sei ancora qui? Muoviti!” incalza. E ride.

Non so quanto tempo passo lì seduto con la mia migliore espressione da beota stampata in faccia, ma senza accorgermene inizio a correre - lontano da un’amica piena di buoni consigli e che ha sempre visto più lontano di quanto siamo mai stati in grado io e Kurata.
Un giorno, mi riprometto, la ringrazierò per bene.
Corro, e realizzo che non so assolutamente come dire quello che sto per dire. E probabilmente non sto nemmeno cosa sto per dire.
In fondo nemmeno m’importa, sono ben cosciente che una dichiarazione di qualsiasi tipo è assolutamente fuori dalla mia portata - e lo sa anche Sana.
Svoltato quel maledetto angolo, noto le luci di casa Kurata ancora tutte accese; il cuore sembra scivolarmi in gola e rallento.
Un paio di passi e sono al cancello. Le mani mi tremano terribilmente mentre giro la chiave ed apro.
Espiro.
Ritrovandomi lì, davanti al legno scuro della porta d’ingresso, ho come la sensazione che non ce la farò mai. Se solo avessi anche la più pallida idea di come iniziare.
Oh, be’. Bussando, magari.
Riempio i polmoni, cerco di convincermi con qualche frase ad effetto e due sonori colpi mi avvisano che il corpo ha deciso prima del cervello - di bene in meglio, no?
Sento chiaramente dei passi avvicinarsi ovattati dall’interno della casa, deglutisco.
Kurata apre la porta, spalanca gli occhi ed ho un solo secondo per notare quanto sia bella anche in pigiama, con le punte dei capelli ancora gocciolanti.
“Vattene!” e chiude.
Ce l’ha sempre avuto quel dannato vizio di prendermi a porte in faccia, e ormai dubito che lo perderà mai.
“Sana. Apri” mormoro esasperato - tanto lo so, lo so che è lì nascosta ad ascoltarmi.
Incredibilmente mi dà retta. Apre la porta e mi guarda in cagnesco.
“Agli ordini, Hayama. Adesso che ho aperto, è nelle mie intenzioni mandarti a quel paese”
Richiude.
Alzo gli occhi al cielo. “Kurata… E’ la seconda volta che mi ci mandi in un giorno solo.”
Vengo improvvisamente investito da un fascio di luce - e per quanto per un istante abbia considerato l’arrivo degli Ufo, è solo Sana che ha aperto di nuovo quella dannata porta, onorandomi della sua presenza.
Le illumina il viso lo stesso sorrisetto malato di Fuka; ora sì che capisco davvero perché sono tanto amiche. E so anche cosa sta per dire.
“ ‘Fanculo” e mi sbatte la porta in faccia di nuovo, lasciandomi oltretutto al buio.
“Terza volta, te lo concedo” mi correggo.

Duecento respiri dopo - decisamente troppo lunghi, ma Sana è troppo testarda ed è il motivo per cui le romperei la testa mille volte e poi per duemila la bacerei - mi convinco che aspettare non serve a nulla.
“Kurata. Sì, insomma, sono qui per scusarmi. Ma non solo” altra boccata d’aria “E’ che ci ho pensato, e…” abbasso il tono il più possibile, rendendo la fine della frase un sussurro incomprensibile.
Il nuovo fascio di luce mi avvisa che Sana deve aver riaperto.
Scontrandomi con gli occhi cioccolato, capisco che non è altro che confusa.
“Che hai detto?” cerca di mantenere il timbro arrabbiato, ma la curiosità è tangibile, per mia fortuna.
Corrugo la fronte. “N-niente”
Perché non ce la farò mai, non sono nato per parlare e non conosco nemmeno l’abc dei discorsi importanti.
La mia indecisione, però, non giova alla causa: Sana riduce gli occhi a due fessure e, per improbabile che credessi, s’incazza ancor di più.
Di nuovo la porta in faccia - forse è destino.
Stringo i pugni, mi vorticano in testa le parole di Fuka.
E mi ritrovo a parlare con il legno verniciato di un portoncino, lì a dividermi da lei come per tutta la vita qualcosa ci ha diviso - la maggior parte delle volte la nostra stupidità.
“Be’, sai che non me la cavo bene a parole. E’ che mi sono sempre chiesto cosa fossimo - insomma, non ho mai pensato che fossimo amici. Vediamo le cose come stanno: ci conosciamo da una vita intera e l’amicizia non ha mai fatto per noi. La complicità, la reciprocità… C’era tutto, ma non quel voler la felicità dell’altro con qualcun altro. Ecco, quello a me è sempre mancato.”
La porta continua a restare chiusa, ed io chiudo anche gli occhi.
“P-Probabilmente non è il caso di sparare un ti amo perché oggettivamente sei una zuccona e sei permalosa, logorroica e sbadata, ed anche perché non so bene dove potrebbero condurre quelle due paroline. Ma in fondo credo di non aver fatto altro per tutta la vita, sin da quando eravamo bambini… Amarti, intendo.” e le ultime due parole mi pesano come macigni.
Riapro gli occhi e lei è già lì di fronte a me, la porta aperta che manco l’avevo sentita.
Mi osserva in cagnesco - ancora - mordendosi un labbro.
“Io invece credo” la vedo cercare per terra le parole che non ha “...Credo che tu sia proprio un cretino” miele e cioccolato, per una volta divisi da nulla.
Tira la mia maglietta verso di sé e poi mi bacia.
   
 
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