Videogiochi > The Arcana. A Mystic Romance
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Autore: PaolaBH2O    24/02/2021    1 recensioni
"La vita è noiosa come una storia che raccontata più volte infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato."
Vero. Se ogni evento è già stato narrato completamente, ma queste vicende non sono già scritte. Tutt'altro.
Qualsiasi storia può stravolgersi, se vista da un'altra prospettiva. E' un'occasione per cambiare ruolo, compiere altre scelte, fare nuove scoperte.
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Questa fanfiction è un crossover tra la route di Julian e la fanfction "Fortuna favet fortibus" tratta dal film "I Cavalieri dello Zodiaco - La Leggenda del Grande Tempio" (potrete trovarla nella sezione di Saint Seiya del sito). Può contenere spoiler sulle route degli altri personaggi e sulle scene alternative acquistabili con le monete.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: MC, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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2 – The Riddle



Si tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un enigma (Cit. Winston Churchill)



Fatte le dovute presentazioni e rientrati nel locale, Julian ascoltò il breve resoconto di Death Mask ed Élan senza scomporsi particolarmente; man mano che elencavano i dettagli dello scarabeo rosso, il suo comportamento non cambiò ma la sua espressione si fece cupa e la sua postura rigida.
-E voi siete assolutamente certi che fosse uno scarabeo? Magari era un maggiolino o...-
Prima che potesse completare la frase, Death Mask batté il palmo sul tavolo con rabbia.
-Sono stufo marcio che ce lo chieda! Quante altre volte te lo dovremo dire che era proprio uno scarabeo, pensi che non sappia distinguere una blatta dall’altra?!-
-Death Mask, datti una regolata- tagliò corto Élan -Stai parlando con l’unica persona che potrebbe esserci d’aiuto, non è il caso di farti prendere da una botta da mignotta.-
-Una COSA?!-
Sebbene la fata potesse capire la preoccupazione di Julian, non riusciva a comprendere cosa la scatenasse di preciso e l’ostinata rabbia del Cavaliere non era nient’altro che una distrazione non necessaria ma difficile da ignorare.
-Devo dedurre che il problema sia bello grosso. Non andarci per il sottile e dicci di che si tratta: è una malattia incurabile? Un veleno potente? Uccide in tempi brevi? La cura è difficile da trovare? Oppure non esiste proprio?- Élan non prese fiato pur di esporre le sue preoccupazioni e Julian venne sommerso da così tante domande che non riuscì quasi a trovare il tempo per risponderle.
-Temo che la faccenda sia più complicata- prese un sorso dal suo boccale e sospirò prima di continuare il discorso -Tre anni fa Vesuvia venne colpita da una terribile pestilenza passata alla storia come “la Peste Rossa” e il primo mezzo di contagio, era il veleno portato proprio dagli scarabei rossi; credo che la causa principale fosse una corruzione del sangue ma non potrei affermarlo con certezza. Ne morirono a migliaia durante l’epidemia, traghettare gli infetti al Lazzaretto servì solo in parte ad arginare il problema e nonostante i miei sforzi per trovare una cura, non riuscii nel mio intento; la peste sparì improvvisamente e le persone ancora malate guarirono da sole. Fui felice di non dovermene più occupare ma persi anche il mio scopo: d’altro canto, a chi serve un medico della peste se non c’è nessuna peste?-
Il tono malinconico con cui enunciò le ultime parole, spinsero Élan a poggiargli una mano sul polso con solidarietà; Julian sorrise con una triste gentilezza ricambiando il gesto della ragazza che ora lo osservava con occhi incoraggianti.
-Un medico sarà sempre necessario, Julian. Noi siamo qui apposta, e se non noi, ci sarà senz’altro qualcuno che avrà bisogno delle tue doti- tentò di rincuorarlo ma Death Mask, che aveva alzato gli occhi al cielo, decise che fosse una bellissima serata per remarle contro.
-E, amico, se ti fa schifo la disoccupazione, puoi sempre fare domanda come becchino- suggerì assaggiando l’intruglio che il rosso aveva deciso di offrirgli in onore della loro scazzottata -È un mestiere che non muore mai, dopotutto.-
Il ragazzo arrossì violentemente squadrando il suo compagno di bevute con una faccia a metà tra l’atterrito e lo sconcertato; per evitare di terrorizzare o disgustare gli altri clienti col sangue che gli impregnava i vestiti, si era infilato nel suo camice nero a doppio petto e nel suo ampio mantello a collo largo, assumendo un aspetto più lugubre rispetto a prima ma non era così inquietante da sembrare un becchino, giusto?
Sotto il tavolo, Élan tirò un calcio al Cavaliere che non sentì granché se non un riverbero sulla corazza; stuzzicarla fino all’esasperazione non era solo una delle attività che gli riuscisse meglio ma anche una delle sue preferite.
-Death Mask! Zitto o ti ammazzo!- lo minacciò, voltandosi verso di lui e incrociando le mani davanti al volto.
-Vorrei proprio vederti provare!- la sbeffeggiò scompigliandole i capelli con fare arrogante.
La giovane bloccò il respiro, poggiò le mani sul tavolo e chiuse le dita con intimidatoria lentezza, fissando un punto non meglio precisato del locale; nella prima e unica occasione in cui le aveva riservato quel gesto, lei gli aveva giurato che quella successiva sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto le mani: rimaneva solo da decidere come farlo.
Valutò l’idea di cominciare spaccandogli un boccale sulla testa per infilarsi poi dietro al bancone a cercare una mannaia, quando la risata di Julian interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Ahahahah, ho capito, era una battuta la tua!- lo elogiò, battendo le mani un paio di volte -Dovevo immaginarlo che facessi così con le persone che ti vanno a genio- sorrise compiaciuto.
-Mica tanto, smilzo. Volevo fartela pagare per prima. Se non posso spezzarti le ossa, allora spezzerò il tuo cazzo di orgoglio- ringhiò cupo mentre Élan sentiva il cuore stringersi in una morsa di vergogna.
-Oddio, che figura...- mormorò col viso nascosto tra le mani -Death Mask, scusati immediatamente!-
-No no, ha ragione- Julian scosse la testa, i suoi modi erano rilassati -Anzi, sono io che dovrei scusarmi. Stavo cercando di testare i limiti del mio marchio e potrei aver tirato un po’ troppo la corda- ammise stringendosi nelle spalle -Di solito non sono così...-
-Viscido?- gli suggerì la fata.
-Stavo per dire “libertino” ma se ti ho dato un’impressione simile, allora devo scusarmi due volte, soprattutto con te, bella fanciulla- Julian sollevò la mano di Élan e le baciò le nocche a fior di labbra, scrutandola oltre le ciglia. Le occhiaie donavano al suo sguardo un aspetto malaticcio a primo impatto, ma profondo più a lungo lo si studiava.
Alla dichiarazione del medico, la gola di Death Mask si seccò privandolo del suo piglio di tracotanza: non era la galanteria mostrata nei confronti del suo interesse romantico, ma la realizzazione di essere stato sfruttato.
Un Cavaliere di Atena, dotato di straordinari abilità combattive e partecipe a gloriose battaglie per il trionfo del bene sul male, ed era stato usato per provare un giocattolino nuovo?
-Cioè non eravamo nient’altro che delle variabili in un test da laboratorio, una misera scelta per uno stupido esperimento?- gli domandò asciutto.
-Mi scuso anche con te, mio buon amico. Spero di poter trovare il modo per sdebitarmi e che accetterai le mie scuse- disse il medico con un leggero cenno del capo.
-Ho la faccia da cavia secondo te?!-
-No, ma la faccia da scemo ce l’hai tutta...- gli rispose Élan venendo beatamente ignorata.
-Sai che cosa mi ci pulisco con le tue scuse?!- gli ringhiò il Cavaliere valutando se riservagli un altro calcio nei denti o due. Tanto non sarebbe stato “rotto” troppo a lungo.
-Niente che ci interessa tu metta sul tavolo adesso- sospirò un’altra volta la fata scatenando l’ilarità del ragazzo.
Quando Death Mask, in barba al divertimento di Julian, si alzò e lo afferrò nuovamente per i vestiti, Élan decise di non poter sopportare oltre e che fosse giunto il momento di far sentire la sua di voce. Si alzò anche lei e per attirare l’attenzione batté le mani sul tavolo.
-Ragazzi! Stiamo andando fuori tema! Tu, Death Mask, a cuccia!- gli ordinò indicandolo -E tu, Julian, cosa stavi dicendo su questi scarafaggi? Se la peste è finita, perché sei tanto preoccupato?- domandò al ragazzo indicandolo a sua volta.
-È finita, è vero, ma non si è mai capito il perché, ciò significa che non si è mai trovata né una cura, né una soluzione al problema, e se l’insetto che ha morso Death Mask era proprio uno di quelli, allora la peste potrebbe stare tornando e quanto accaduto farebbe del nostro Cavaliere...-
-Il paziente zero di una nuova ondata…-
-Esattamente.-
Death Mask si fece calmo tutto d’un colpo, ascoltando con freddezza insolita; lasciò andare Julian rimettendosi al suo posto più serio che mai. Non c’era malattia nell’universo che avrebbe potuto consumarlo, era un Cavaliere D’oro del Grande Tempio! La sua resistenza era sovrumana e la sua forza impareggiabile, ma da quando aveva conosciuto Élan, da quando aveva legato con lei, aveva iniziato a comprendere cosa volesse dire mettersi nei panni altrui, aveva conosciuto l’empatia ed era proprio uno dei peggiori casini che potessero capitare: la paura di Julian suonava così sincera da tenerlo appeso per la gola.
Dopo un silenzio quasi infinito tra i tre, fu Élan a spezzare la calma glaciale.
-Troveremo una cura a tutti i costi, stavolta non sei solo- dichiarò determinata.
-P-potrei anche sbagliarmi- balbettò il rosso -Magari era una di progenie non velenosa; a nord della città c’è un canale in cui scorre acqua rossa che non è nociva da anni- Julian si illuminò, ricordandosi di un’altra capacità che gli aveva donato il suo marchio -In ogni caso non dovete preoccuparvi e sapete perché? I miei poteri non si limitano solo all’autoguarigione, sono capace anche di altro!-
Si sfilò un guanto e poggiò una mano sulla ferita del Cavaliere D’oro; le sue dita sottili erano così fredde sulla pelle congestionata da portare una sorta di sollievo. Nell’istante in cui toccarono la ferita, presero a brillare di magia e in una manciata di secondi il morso non fu solo guarito, sembrò non ci fosse mai stato. Il tatuaggio del granchio era di nuovo pulito e ben visibile mentre la faccia del medico era deformata in una smorfia di dolore.
-Straordinario! Come hai fatto?- Élan si animò di felicità; passò la mano sul braccio del compagno constatando come effettivamente non ci fossero trucchi o inganni. Conosceva così poco di Vesuvia eppure già ne adorava i metodi taumaturgici.
-Semplice: ho trasferito il danno a me. Il marchio lo guarirà e sarà come se non fosse successo niente- spiegò il rosso man mano che il morso si rimarginava sotto la divisa.
-Non so come ringraziarti- la ragazza fu sul punto di commuoversi ma l’espressione scura dell’altro la costrinse a ricredersi.
-Aspettate a farlo. Ho guarito il danno superficiale, è vero, ma c’è dell’altro: quando ho canalizzato il potere per individuare anche solo un barlume di Peste Rossa, non ne ho trovati.-
Death Mask inarcò un sopracciglio incerto del perché fosse una cattiva notizia.
-E sarebbe male perché…?-
-Solo perché non ne ho trovati non significa che tu non sia malato; la Peste Rossa ci metteva dai tre giorni alla settimana per uccidere una volta che i primi sintomi si manifestavano, il virus potrebbe essere in incubazione. Il mio consiglio è di restare a Vesuvia per almeno un po’ di tempo: solo così potremo dire se sei completamente fuori pericolo.-
Sebbene il tono di Julian fosse onesto e fermo, la dose di empatia per quella notte era esaurita, e il Cavaliere emise un verso sprezzante.
-Non se ne parla neanche! Noi adesso ripartiamo e se sorgeranno problemi, ti manderemo a chiamare. Forza, Élan, andiamocene.-
Élan, in tutta risposta, incrociò le dita sotto al mento, poggiò i gomiti al tavolo e guardò Death Mask con grandi occhioni da ammaliatrice.
-Death, tesoro- cinguettò melliflua -Devo ricordarti del nostro simpatico rendezvous sulla Man of Medan? Ricordi cos’è successo perché non hai dato ascolto all’esperta?- il suo tono si fece così improvvisamente perentorio che Julian, per poco, non si sentì in dovere di scusarsi -Io a scappare come una povera disgraziata mentre tu, sballato dalla nebbia gialla, mi davi la caccia per uccidermi! Tutto perché non avevi voluto indossare quella maschera antigas del cazzo! Se il dottore ha detto di restare, noi restiamo e tu obbedisci!-
Il Cavaliere D’oro cominciava ad averne un po’ troppo delle libertà che l’impudente fatina si stava prendendo nei suoi confronti.
Attenta, ragazza. Apprezzo la tua compagnia, ma attenta” sorrise tra sé e sé, compiaciuto e disturbato allo stesso tempo.
-Anche se decidessimo di farlo, dove troviamo un posto in cui stare? E i soldi? Non ne abbiamo.-
Prima che la ragazza potesse suggerire di vendere l’armatura, Julian presentò loro una comoda soluzione.
-Di vitto e alloggio me ne posso occupare io- sorrise, lanciando sul tavolo un paio di dobloni e facendo cenno ai due viaggiatori di seguirlo di nuovo per le buie strade di Vesuvia -Mazelinka non abita molto lontano da qui e so che vi potrà dare ospitalità per tutto il tempo necessario.-
Le strade di ciottoli erano un po’ dissestate per muoversi senza inciampare ogni tanto, le luci provenienti dalle lanterne erano sporadiche e non molto forti, inoltre il percorso che li costrinse a seguire, li fece passare per vie secondarie ancor meno illuminate, ma grazie all’andatura decisa di Julian, raggiunsero la dimora indicata in una manciata di minuti al massimo.
Una volta che si trovarono davanti alla porta legnosa di un’anonima costruzione in pietra, il rosso esitò a bussare: Mazelinka era una brava donna e con Élan avrebbe legato di sicuro, ma come far notare a Death Mask che il suo atteggiamento non proprio affabile avrebbe potuto essere inappropriato al contesto della casa?
-Cercate di essere gentili, non ama le persone brusche, non fate commenti scortesi e vedete di non contraddirla. Non troppo almeno- si raccomandò nervosamente.
-Guarda che sta parlando con te!- si accusarono a vicenda i due sbandati dietro di lui.
Le spalle di Julian gli caddero con spensieratezza quando vide che il problema dell’avvisare si fosse risolto da solo. Come fare? Non serviva fare! Tanto ci avrebbe pensato Élan a dirlo!
Come aveva anche solo potuto pensare che quella ragazza si riassumesse in una fragile e ingenua damigella, non riusciva a capirlo.
Bussò alla porta con tre secchi colpi e un’anziana, bassa signora la schiuse di uno spiraglio; si rilassò nel vedere che a farlo fosse stato Julian e aprì l’uscio completamente.
-Julian, ragazzo mio! Che ci fai in giro a quest’ora tarda della notte? Sbrigati ad entrare- gli fece cenno.
La padrona di casa era la perfetta rappresentazione di una babushka: indossava un semplice vestito marrone scuro e lo scialle blu a macchie nere che teneva legato in testa era così lungo da arrivarle alle ginocchia. I capelli ingrigiti erano pettinati in due metà perfette e gli incisivi superiori erano distanziati di qualche millimetro.
-Mazelinka, loro sono due miei nuovi amici. Questa è Élan- indicò voltandosi verso di lei.
-Buonasera, signora- la salutò la fata sporgendosi oltre la sagoma allampanata del rosso per farsi vedere meglio.
-Ciao, tesoro!- ricambiò Mazelinka sorridendole già conquistata.
-E questo è Death Mask. Potreb...-
-Ehi, smilzo!- tuonò il diretto interessato -È “sommo Death Mask”, per te! Hai la benché minima idea della difficoltà che richiede conquistarsi un’armatura d’oro? Secondo te mi sarei sbattuto tanto solo per essere chiamato col mio nome?!-
Il tono di voce con cui interruppe Julian fu così possente da far trasalire sia lui che la sua compagna ma non smosse neanche di un centimetro la vecchia ex-piratessa.
-Fammi indovinare, tu devi essere quello di buone maniere- commentò piattamente la donna, per niente impressionata.
-Sono uno dei sacri Cavalieri di Atena, custode della Quarta Casa del Grande Tempio, Death Mask del Cancro e portatore della relativa armatura d’oro- annunciò, cercando il rispetto che gli era dovuto.
Mazelinka lo squadrò da capo a piedi arricciando le labbra con disappunto. Fece schioccare la lingua e si spostò di lato.
-Come ti pare. Entrate. Prima che vi senta tutto il vicinato.-
Per accogliere la sua richiesta, Death Mask fu costretto a mettersi di lato perché la larghezza dei suoi spallacci, con relative decorazioni a zampe di granchio, non gli permetteva di passare attraverso le porte in modo convenzionale.
L’interno della casa era piuttosto modesto ma accogliente, l’arredo era costituito da poco più che un paio di tavoli e qualche tappeto grezzo, sul fuoco bolliva una mistura dall’odore di erbe e negli scaffali sopra al camino spiccavano una miriade di barattoli colmi di piante essiccate e polveri, ognuna con la propria etichetta scritta a mano; un mazzolino di lavanda dava un buon profumo alla casa e la luce del falò rendeva l’illuminazione fioca ma gradevole.
Mazelinka scostò un tendaggio verde scuro e fece accomodare i due viandanti nella sua camera da letto; un materasso sorretto da una struttura semplice in legno occupava gran parte dello spazio e su uno sgabello in legno vi era poggiata una singola candela accesa.
-Mettetevi comodi, io devo parlare con Ilya- disse la donna mentre il diretto interessato faceva loro un cenno con la mano.
-Tornerò a vedere come vanno le cose, ve lo prometto- nel suo cordiale sorriso si nascondeva una nota di preoccupazione che non era riuscito a reprimere da quando aveva prestato le sue cure a Death Mask.
-Ci conto, rosso.-
-Buonanotte, Julian, e grazie di tutto- lo salutò Élan prima che Mazelinka facesse ricadere la stoffa pesante al suo posto.
Mentre Ilya la metteva al corrente della situazione, Death Mask ed Élan diedero una rapida occhiata a quella che sarebbe stata la loro alcova per i giorni successivi.
-Tsk, che posto cencioso- sbuffò il Cavaliere D’oro già stufo all’idea di dover fare attenzione a non ribaltare il vasellame che occupava tanto spazio nella così piccola dimora.
La quarta Casa, oltre ad essere un tempio, era praticamente un attico di lusso, pieno di arredi scuri e raffinati e con stanze abbastanza larghe da potercisi muovere in tutta tranquillità pur tenendo l’armatura addosso.
-Suvvia, non è così male. Almeno abbiamo un tetto sopra la testa e un letto- fece presente Élan poggiando entrambe le mani sulle doghe per testarne la resistenza.
-A-ah, e abbiamo anche una megera non richiesta. Che altro abbiamo da esporre alla fiera dell’ovvio?- la rimbeccò il compagno con un sorriso sardonico.
-Be’ abbiamo una finestra e abbiamo le pareti, abbiamo una porta di casa, e poi abbiamo questo!- la fata raccolse la sfida lanciatale assieme a una piccola fiala di erbe sul davanzale -Non so che cosa sia, però lo abbiamo!-
Il Cavaliere accolse la seconda sconfitta che la giovane gli inflisse con una risata sommessa ma vibrante. Mentre Élan gli dava la schiena per rimettere il vasetto al suo posto, le cinse la vita con un braccio e se la tirò vicino.
-L’unica cosa che vorrei possedere adesso, sei tu- le sussurrò mentre le prendeva il mento tra le dita per farla voltare verso di lui. Le loro labbra si sfiorarono delicatamente lasciandoli entrambi insoddisfatti.
-Non siamo da soli e non siamo alla quarta Casa. Se mi volessi rifiutare in onore della pudica decenza?- lo stuzzicò la giovane voltandosi nella sua presa per fronteggiarlo con comodità. Gli mise anche lei le dita sotto al mento barbuto per avvicinarselo un po’ e lui ricambiò, accarezzandole la guancia. Prima la seduzione alla locanda, adesso questo: la fata non capiva davvero da dove gli salisse tanto ardore ma aveva intenzione di assecondarlo.
-Perché, avresti in programma di farlo?- la fissò negli occhi mordendosi un labbro carnoso.
-Lei no, ma io sì.-
Proprio quando stavano per scambiarsi il primo di una serie di baci ardenti, la voce secca di Mazelinka li interruppe bruscamente, costringendo entrambi a prestarle attenzione.
-Ditemi- cominciò puntando le mani sui fianchi pronunciati -Siete una coppia sposata?-
-Cosa? No! Preferirei rimanere incastrata nella lavatrice di nuovo!- esclamò Élan puntando le mani sull’armatura per liberarsi dal Cavaliere.
-Ehi! Sarei un ottimo marito!- si difese lui senza allentare la presa -E comunque avrei un paio di domande...-
-Già, pure io- annuì la donna -Prima di tutte, com’è che tu saresti un ottimo marito?-
-Sul serio?! Qui avete zero tecnologia, vivete nel Medioevo ma la prima cosa che ti preoccupa sapere riguarda le mie doti coniugali?!- sbottò lui ma la sua interlocutrice si limitò a sventolargli un mestolo di legno davanti al naso.
-In ogni caso non farete nulla che farebbe una coppia maritata. Non sotto il mio tetto e non finché ci sarò io- precisò indicando anche Élan con l’utensile da cucina.
-Allora, vegliarda mia, perché non vi andate a rinfrescarvi il gargarozzo, eh? Vi gioverebbe di sicuro, considerato il vostro solare senso dell’umorismo!-
La serafica calma di anni passati a tirare su pargoli ribelli come lo era stato Julian, andò a farsi benedire quando la simpatica vegliarda diede il mestolo in testa a Death Mask.
Il violento Death Mask, il temutissimo e sanguinario. Tristemente noto in tutto il Grande Tempio per aver decorato le pareti della sua Casa con i volti di coloro che aveva ucciso in battaglia e non.
Fosse stato per lui, avrebbe incenerito sul posto la vecchia ma la guizzante risata di Élan smontò ogni violento proposito. Aveva un dono e non se ne rendeva nemmeno conto.
-Se vi becco a fare porcherie che non dovreste, ne risponderete entrambi a me- mise in chiaro la babushka con occhi severi.
-Certo, befana...- mormorò il Cavaliere guadagnandosi un’altra mestolata in testa -Volevo dire “madam”- nel pugno che aveva stretto sul fianco, c’era tutta la repressa furia omicida che prima o poi avrebbe dovuto sfogare facendo a pezzi qualcosa.
-Meglio- annuì Mazelinka -Adesso filate entrambi a dormire. Domani sarà una lunga giornata e avrò bisogno del vostro aiuto per alcune faccende.-
-Oh, ma dove siamo finiti?! Ne “La casa nella prateria”?! Sono un Cavaliere D’oro, combatto magnifiche battaglie per il trionfo della dea Atena!-
-Certo, come no. Cavaliere D’oro, a casa tua. Qui se non dai una mano sei solo un idiota in lattina che si riempe la bocca di belle parole- lo smontò la donna prima di lasciarli soli.
Prima che la situazione potesse davvero degenerare, Élan mise un freno alle sue risate per voltarsi verso Death Mask e convincerlo, con uno sguardo interlocutore, a sfogare la sua rabbia su un bersaglio che non respirasse.
Il Cavaliere cercò una vittima adatta oltre la finestra spalancata e la individuò in un paio di comignoli fumanti lontani un centinaio di metri; si concentrò, alzò un braccio illuminato e carico di Cosmo e scagliò una sfera distruttiva centrando il primo dei suoi obbiettivi.
Mentre Cancer scaricava la rabbia, Élan oltrepassò il tendaggio che fungeva da porta.
-Deve scusare il mio compagno, signora; è un tipo dinamico, non regge bene la calma piatta, ma per me sarà entusiasmante fare qualcosa di nuovo che non sia combattere- la rassicurò venendo ricambiata da un affabile sorriso a trentadue denti.
-Chiamami pure Mazelinka, tesoro. E fai attenzione al tuo amico, mi sembri il tipo di ragazza troppo dolce e attraente per essere lasciata da sola con un uomo irruento come lui.-
Élan apprezzò il complimento affettuoso ma si levò in ferrea difesa del Cavaliere D’oro.
-Potrei giurarlo con la mia vita: per quanto sia difficile vedere dietro alla mancanza di buone maniere e all’apparente insensibilità, non è soltanto l’armatura ciò che Death Mask ha d’oro.-
Nel frattempo, il diretto interessato stava giocando a spaventare anguille, pesci e ogni possibile fauna acquatica lanciando loro contro ogni tipo di improperio.
L’ex-piratessa studiò gli occhi determinati della giovane, leggendoci un inequivocabile e tenace sentimento: una donna che difendeva con tanta ostinazione un così bizzarro personaggio, poteva solo essere innamorata o fuori di testa, e spesso le due cose coincidevano.
-Temo che solo lui potrà farmi cambiare davvero idea- sentenziò infine, cercando di non farsi trascinare in un turbine di sentimenti forse più romanzati del necessario -Buonanotte, Élan.-
-Buonanotte, Mazelinka- annuì la fata apprezzando l’imparzialità ma trovandola un’arma a doppio taglio.
Tornò verso la camera riflettendo sulle parole della donna: la sua dichiarazione poteva sembrare una sfida ma non c’era prova che Death Mask non avrebbe potuto superare, ci avrebbe scommesso la sua stessa esistenza. Ne aveva passate così tante con lui, sapeva cosa ci fosse sotto alla scarsa parvenza di buona educazione e se c’era una cosa che aveva imparato davvero bene, era che buono non sempre significasse gentile.
Per quando rientrò nella camera da letto, il protagonista delle sue riflessioni aveva distrutto altri due comignoli, un paio di barili e fatto esplodere dei colpi nei cunicoli, spaventando gli abitanti delle case.
Poteva dimostrare di essere una bella persona, ma ahilei, ci sarebbe voluto davvero un grande sforzo.
-Preso a mestolate...- borbottò il Cavaliere comandando alla sua armatura di staccarglisi dal corpo -Di tutte le prove fisiche che ho dovuto superare per guadagnarmi il titolo, il tradizionale mestolo in testa proprio mi mancava.-
I pezzi dell’armatura turbinarono in aria lasciando una serie di scintille dorate nel loro passaggio prima di ricomporsi in un rettangolo di onice nera sul letto; gli angoli erano abbelliti da intricati ghirigori e al centro brillava una sottospecie di simbolo del cancro, una figura cuneiforme e appuntita.
-Sarebbe potuta andare peggio: poteva essere uno zoccolo di legno- suggerì Élan mentre Death Mask poggiava il contenitore dell’armatura alla parete stendendosi, poi, sul letto.
Le lenzuola erano un po’ ruvide e i cuscini piuttosto bassi ma tutto era perfettamente pulito ed emanava una gradevole fragranza.
Senza quasi farci caso, il Cavaliere si mise a fissare la ragazza mentre si spogliava a sua volta: la divisa che le aveva procurato era elegante e pratica, in più la faceva sembrare una vera guerriera, ma non era come le sacre vestigia dei Cavalieri di Atena, toglierla voleva dire compiere ogni passaggio a mano. D’altro canto, voleva anche dire che per il bel Cancer, uno spettacolo sensuale era garantito ogni notte.
Mentre Élan si preparava per dormire, l’uomo si concentrò anche sui rumori della casa: Mazelinka che gettava un secchio d’acqua sul fuoco per spegnerlo, il pentolone bollente che pian piano smetteva di gorgogliare, il garrito dei gabbiani in lontananza e il fruscio di coperte di un secondo letto. C’era una nicchia scavata nel muro con tutto il necessario per ricavarne un giaciglio abbastanza decente, e la padrona di casa vi si accomodò non appena ebbe finito di sistemare la dimora per la notte.
Presto Élan si distese sul letto accanto a lui e Death Mask si rese conto di aver distolto lo sguardo ma non avrebbe compiuto di nuovo lo stesso errore, non con lei avvolta in un kimono ricavato dallo scialle plissettato della divisa e con le luci della luna e della candela che disegnavano vivaci giochi luminosi sui suoi tratti pieni di armonia.
Le scostò i capelli, più lunghi sul lato sinistro del viso, e cominciò a seminarle una serie di baci dalla guancia fino alla punta dell’orecchio che morse piano; mentre Élan rideva sommessamente per quel gesto, le accarezzò la coscia studiandole il volto: non c’era notte che passava senza che lei lo ammaliasse con la sua delicata bellezza.
Le infilò un braccio sotto la vita e la strinse a sé mentre con l’altra mano si divertiva a palparle un seno; adorava il modo in cui sembrava vulnerabile tra le sue braccia.
-Death...- lo riprese Élan con tono vagamente perentorio; avrebbe voluto lasciarlo continuare più di ogni altra cosa, ma aveva dato la sua parola e intendeva rispettarla -Lo s-sai che non pos-siamo- balbettò sentendolo scorrere un dito sotto l’elastico delle sue mutandine.
-Sarò silenzioso- promise lui con un sorriso malandrino che scioglieva il cuore.
Mettendole una mano sulla spalla, la fece distendere sulla schiena, le divaricò le gambe e si accucciò tra le sue cosce; i loro bacini si incontravano alla perfezione e l’uomo pregustava già il momento in cui i loro corpi sarebbero stati connessi in una cosa sola. Si chinò per succhiarle il collo e affondò le dita nei suoi morbidi capelli color smeraldo mentre la fata sollevava il mento per dargli più accesso alla gola.
Per un momento perse la concezione del luogo e delle circostanze, rischiando seriamente di buttare alle ortiche la promessa di entrambi; avrebbe voluto accarezzargli la schiena per poi graffiarla quando la passione avesse preso il sopravvento, disarcionarlo, mordergli le spalle con ferocia e asserire la sua dominanza in quel gioco perverso ma il gracchiare di un corvo sul davanzale la riportò alla realtà con uno scatto. Osservando il grande e nero volatile, pose una mano sulla clavicola di Cancer e lo spinse via da sé.
-Ma io non lo vorrei- confessò guardandolo negli occhi -Quando sarà il momento, capirai che sarà valsa la pena aspettare, ma non voglio che sia stasera. Non se non siamo da soli, non se dobbiamo fare attenzione a tutto. Inoltre il corvo mi mette soggezione.-
Death Mask si girò verso la finestra proprio nel momento in cui Malak, il famiglio ci Julian, si involava nel buio della notte a raggiungere il suo sgangherato padrone.
La stessa illuminazione che aveva definito il viso della fata si ripropose sull’uomo e lei non riuscì a respirare in modo regolare, facendosi sfuggire un sospiro trasognante: così come la fiamma della candela sottolineava la dolcezza nei tratti di lei, altrettanto faceva con l’uomo, ma mettendo in particolar evidenza la durezza di quella mascella incorniciata dalla barba blu scuro rasata alla perfezione.
-Non che mi dispiaccia- riprese a parlare Élan cercando di nascondere la sua adorazione con la confusione -Ma stasera sei un po’ più strano del solito. Da dove ti salta fuori tutta questa carica erotica?-
-Ti desidero, che altro c’è da sapere?- fu la risposta secca che le diede Death Mask -Più che una novità, credevo fosse reciproco.-
Nel tono piccato della sua voce si nascondeva qualcosa di indecifrabile, ma non si trattava dell’offesa per essere stato respinto; era stato rifiutato in altre occasioni e mai aveva reagito in malo modo, semplicemente non era da lui. Se una donna gli avesse dato un due picche avrebbe fatto spallucce, dichiarato che era lei a rimetterci e sarebbe partito alla volta della conquista successiva, ma stavolta c’era una sorta di impellenza nella sua voce, magari… Ansia?
-Sicuro sia soltanto questo?- gli domandò, prendendogli con delicatezza il viso tra le mani -Sai che puoi dirmi ogni cosa. Parlami, ti prego. Cos’è che ti angustia? È forse il morso dello scarabeo?-
La comprensione nella voce di Élan, tanto quanto il desiderio di conoscenza nel suo sguardo, erano così sconfinati e struggenti che Death Mask fu portato in seria tentazione di dirle tutta la verità, solo la verità e nient’altro che la verità; il Cavaliere prese un profondo respiro e ricambiò la sua occhiata, ma per quando i suoi polmoni si furono svuotati, si accorse che la volontà di confidarsi era volata via col suo fiato, le sue vere apprensioni erano destinate a restare in fondo al suo cuore per una notte ancora.
Élan continuò a fissare con intensità l’unico rimasto tra i due profondi occhi azzurri, scorgendo dietro alla sinteticità della sua dichiarazione un intero mondo, uno in cui la repressione delle proprie preoccupazioni era la regola; in realtà c’era moltissimo altro di cui venire a conoscenza e lei lo sapeva, ma così tanto gravava sulle loro spalle dopo la giornata trascorsa che preferì non insistere.
-Se, per adesso, non me lo vuoi dire, non c’è problema- disse puntando i gomiti sui cuscini per mettersi a sedere; scavalcò il compagno e si avvicinò al bordo del letto, dove bruciava ancora l’unica candela della stanza.
La vista dei suoi glutei sodi fasciati in un paio di mutandine praticamente inesistenti, l’arricciatura delle sue labbra piene quando soffiò sulla fiamma e la curva che la sua schiena prendeva se si reggeva con i palmi sulle ginocchia, rischiò di mandare in delirio il Cavaliere del Cancro. Preoccupato, certo, ma quanto poteva tentarlo con un gesto così semplice? Quanto poteva essere facile cedere alle sue richieste e quanto poteva essere difficile resisterle allo stesso tempo? Nessuno poteva capirlo.
-Ricordati solo che quando ne vorrai parlare, per te, sarò sempre pronta- gli sorrise lei calorosamente.
Cancer aprì le labbra per dirle qualcosa ma non appena si accorse di non avere nulla di intelligente da aggiungere, si limitò a sdraiarsi sul materasso e ad augurarle di dormire bene.
-Sogni d’oro, ragazzina.-
-Intendi dire che mi auguri di sognare te?- lo punzecchiò la fata sdraiandosi al suo fianco.
-Ahahah- rise l’uomo con tono profondo e inaspettatamente provocante -Cara, io sono sempre un sogno. Anche da sveglio.-
-Oh, falla finita, spaccone che non sei altro!-
Élan riuscì a scucirgli un’altra risata dandogli un leggero colpetto col tallone mentre entrambi iniziavano a prendere sonno.


Kamya stava passeggiando per le vie di Vesuvia immersa nei suoi pensieri; era passato un giorno da che aveva accettato l’incarico di Nadia e nonostante si fosse imbattuta in Julian, non l’aveva fatto arrestare.
A portarlo da lui era stata una lettera trovata sulla sua vecchia scrivania nella biblioteca del Castello; Kamya vi aveva lanciato un incantesimo di tracciamento sperando che funzionasse e, non appena aveva incrociato il ragazzo fuori dal Corvo Chiassoso, aveva compreso che le sue preghiere fossero state ascoltate. Il contenuto della lettera rivelava solo che Julian avesse una sorella ma nulla di più. Prima che la maga avesse potuto porgli delle domande circa il suo delitto, le guardie avevano compiuto un giro di ronda per quelle vie, costringendoli a porre fino al loro incontro.
Avrebbe potuto, anzi, dovuto consegnarlo alle autorità ma l’istinto le aveva suggerito che non fosse ancora il momento adatto. Forse era stata la sua affabilità, la ferrea convinzione che un altro lato della storia andasse ascoltato o la disperata sincerità nel suo sguardo, fatto stava che quando una sentinella le si era avvicinata, Kamya si era limitata ad affermare che dovesse tornare a palazzo per una cena con la Contessa.
Per sua immensa fortuna, Nadia non le aveva chiesto come avesse trascorso la giornata ma aveva accennato alla sete di sangue che i vesuviani nutrivano nei confronti dell’assassino del Conte; l’immagine di Julian che pendeva dalla forca non mancava di farle torcere lo stomaco ogni volta.
Quello era il secondo giorno che dedicava alle indagini, doveva incontrarsi con Portia in piazza a mezzogiorno per dare assieme a lei l’annuncio della Mascherata, ma fino ad allora era libera di passare il tempo come preferiva e aveva deciso di tornare alla bottega di Asra; voleva raccogliere reagenti, erbe, un libro di magia, tutto ciò che potesse tornare utile.
Saliti i gradini del negozio, premette un palmo sulla porta e sciolse l’incantesimo di protezione che vi aveva lanciato, quando si rese conto che un borsellino di pelle era stato legato alla maniglia; aprendolo sentì un forte odore di erbe, mirra sopratutto: era una mistura protettiva e qualcuno l’aveva lasciata lì per lei, ma chi? Lanciare un’occhiata ai lati della strada deserta, non rispose alla domanda.
Decise di accantonare la questione per sbloccare la serratura ma nel momento in cui afferrò il chiavistello, la porta si spalancò rischiando di gettarla addosso all’ultima persona che si era aspettata di vedere; la sorpresa fu tale da congelarla sul posto, farle cadere il borsellino di mano e renderle difficile articolare i pensieri.
-Ma salve! È bello vederti qui, Kamya- ghignò Julian, inarcando le sopracciglia in modo comico -Ehm, magari non così sorprendente. Io, ah, ero nei paraggi...- prese a farfugliare torcendosi le mani nervosamente ma vedendo che la ragazza lo stava fissando sbigottita, tentò di ricomporsi buttando su qualche apprezzamento -E tu sei, er, splendida! Meravigliosa! Devo proprio smettere di sfregarmi le mani...-
Kamya fu tentata di chiamare le guardie ma si trattenne: era la seconda volta che Julian faceva irruzione nel suo negozio, e se avessero creduto che gli stesse dando asilo?
La maga lo guardò in tralice incrociando le braccia.
-È la seconda volta che ti pizzico nel mio negozio, si può sapere che cosa stai cercando?-
Death Mask ed Élan avevano passato l’ultima giornata senza avere notizie dello sconsiderato dottore ed era decisamente il caso che lui tornasse da Mazelinka a vedere come procedesse la salute del Cavaliere, però non poteva farlo ignorante com’era; aveva bisogno di un tomo, un cristallo incantato, un abracadabra di qualsiasi genere che gli permettesse almeno un po’ di anticipare una diagnosi accurata. Non che avesse intenzione di rubare, si sarebbe trattato di un semplice prestito. Non autorizzato e senza garanzia di ritorno ma pur sempre un prestito.
Il problema era sorto davanti all’ampiezza dell’inventario: Julian era un uomo di scienza, non di magia, sapeva di dover scegliere qualcosa ma cosa?! Il suono del chiavistello aveva solo peggiorato la sua indecisione suggerendogli di darsela a gambe.
Tutto questo, però, a Kamya non lo poteva dire.
-Niente, non sto cercando niente, perché dovrei?Spero che tu non pensi sia un ladro. Sono tante cose ma non quello- arrossì prima di far rispuntare sulla faccia il suo caratteristico sorrisetto -Immagino, però, che la mia parola non ti basti- senza lasciare che la maga controbattesse, Julian si sbottonò il camice nero, aprendo le braccia con un ampio gesto lo fece svolazzare a mezz’aria e alzò i palmi in segno di sottomissione -Perquisiscimi. Se trovi qualcosa di tuo, mi consegnerò alla folla. Coraggio, cerca finché non sei soddisfatta- la sfidò con un tono fiero e irritante.
Kamya si sentì avvampare: non poteva fare sul serio, giusto? Era ovvio che fosse una scusa per distrarla o per costringerla a toccarlo! Maledizione a lei se ci fosse cascata!
-Lo sai, anche se ho passato poco tempo con te, comincio a capire di che pasta sei fatto- dichiarò seccata -Forse non sei un ladro ma dalle tue parti, dove il tuo nome non è infangato, hai la reputazione di rubacuori, e adesso ti aspetti che io, incantata dai tuoi modi appariscenti, ti metta le mani addosso fino a raggiungere il tuo posticino speciale per esclamare ‘Qualcosa di mio l’ho trovato!’. Be’, sai cosa? Non succederà oggi, bello!-
Kamya aveva sputato fuori quella specie di monologo con tono perentorio per darsi un contegno e far capire a Julian che i suoi scialbi trucchetti non attaccassero, ma dal sorriso malizioso che le rivolse il rosso, capì di aver commesso un errore non trascurabile.
-Non succederà oggi- precisò lui guadagnandosi dall’apprendista un sospiro così cupo che avrebbe rimesso in riga il Diavolo in persona.
-Oggi e mai nella vita se ti faccio arrestare, quindi fila via prima che chiami le guardie...- sibilò esasperata.
Ridacchiando sommessamente, il medico si rivestì e fece per compiere un lungo passo oltre Kamya, contorcendo la sua dinoccolata figura cosicché non si scontrassero, quando il suo ghigno scomparì.
Lo shock si impossessò del suo volto mentre la maga guardava con cautela oltre la sua spalla per vedere cosa gli avesse fatto chiudere quella dannata boccaccia: Portia.
Doveva essere andata a cercarla per l’annuncio in piazza, ma adesso non le stava prestando attenzione. Tutta la sua concentrazione, la sospesa incredulità nei suoi occhi erano per l’uomo che le stava davanti.
-Ilya?- il sospiro che le uscì di bocca era carico di un sentimento inedito ma che le partiva dal profondo del cuore; incespicò nei ciottoli della strada gettandosi sulla figura del dottore -Ilya, sei davvero tu?- gli mise le mani tremanti sulle guance scarne e gli occhi di lui presero a luccicare.
-Sono io- fu la sua semplice risposta.
-Tu… Tu…- gli occhi di Julian erano lucidi ma quelli di Portia erano colmi di lacrime e le sue parole fecero pentire amaramente Kamya di averlo minacciato -Tu, bastardo! Che cosa ci fai qui? All’aperto! Stai provando a farti ammazzare?!- sussultò.
Julian fece una smorfia di vergogna quando Portia gli afferrò la testa con più foga mettendogli le mani sulle orecchie.
-Sei cresciuta forte, Pasha. Mi dispiace non essere stato presente per vederlo...-
-Ti farò vedere io quanto sei dispiaciuto! Tu, incredibile...- la voce le si spezzò mentre lo afferrava per il collo del mantello e lo trascinava via dai gradini -Kamya!- la studentessa si sentì quasi in pericolo sentendo il proprio nome chiamato in mezzo al trambusto -C-ci vediamo più tardi!-
Senza aggiungere altro, Portia sparì in un vicolo portando con s’è il medico che annaspava per la differenza di statura; rimasta a riflettere tutta da sola, Kamya entrò nel negozio di magia diretta al retrobottega. Se prima aveva nutrito dei dubbi, adesso erano stati completamente fugati: Julian e Portia erano senz’altro fratelli.
Passare una mano sugli averi del maestro, la allontanò dall’improbabile famigliola dandole un profondo senso di conforto; i vestiti di Asra, le reliquie magiche, il profumo affumicato, era tutto così familiare da farle sentire di avere di nuovo il controllo di se stessa. Non potendo trattenersi a lungo, raccolse ciò di cui aveva bisogno ma il libro era sparito; lo cercò in lungo e largo ma non si trovava da nessuna parte. Possibile che Asra l’avesse preso con sé alla sua partenza? Per un attimo, la possibilità che fosse stato Julian a rubarlo, si impadronì di lei e una rabbia cocente fece per infiammarla quando si rese conto che se così fosse stato, lui non si sarebbe mai offerto di farsi perquisire, inoltre non c’era modo che avesse nascosto un tomo così ingombrante nei suoi vestiti.
Il rintocco di un orologio lontano segnò l’ora e Kamya scattò in piedi.
L’annuncio! Non si era resa conto che il sole fosse tanto alto!
Mordendosi il labbro nervosa, abbandonò le sue ricerche, chiuse il negozio in tutta fretta e si diresse a passo svelto verso la piazza della città. Il piazzale era gremito di gente, piccoli gruppi e ritardatari si ammassavano lungo il perimetro in cerca di un buon punto d’osservazione. Portia era in piedi sul carrozzone reale e un piacevole odore si diffondeva nell’aria.
-Udite, udite! Questo è un annuncio da parte della vostra Contessa Nadia! Durante l’anniversario della dipartita del Conte Lucio, la Contessa aprirà i cancelli del palazzo. Esatto, gente! Siete tutti invitati non a compiangere, bensì a festeggiare lo spirito dell’amato Conte!-
La folla esplose in uno scroscio di entusiasmo e Kamya si sentì investita dal calore tipico della gente in festa; l’odore gradevole che aveva sentito prima, le cullava anche l’olfatto. Fece per raggiungere Portia inspirando a pieni polmoni, ma qualcosa la convinse a fermarsi a metà strada. Il profumo non si diffondeva dal carrozzone ma da un lato della piazza, e non era del tutto sconosciuto: si trattava di mirra.
L’apprendista fece scorrere lo sguardo sui cittadini più ai bordi e notò una figura che troneggiava su tutte le altre; i suoi occhi, corrucciati sotto un paio di folte sopracciglia, erano tenuti all’ombra di una grezza pelliccia. Sebbene l’eccitazione si stesse diffondendo a macchia d’olio, la figura sembrava portare un annuncio di disperazione. La potente voce di Portia distrasse la maga richiamando la sua attenzione su di sé.
-Sarà una Mascherata come nessun’altra vista finora! Diffondete la notizia, parlatene ai vostri amici! Non vorrete perdervela!-
Mentre il popolo scoppiava di felicità un’altra volta, la massiccia figura si mosse verso una strada secondaria, portando con sé l’odore di mirra. Kamya si lanciò al suo inseguimento e, una volta superata la ressa, riuscì a raggiungere il misterioso straniero; il suo andamento pesante era facile da sostenere e le permise di raggiungerlo a metà di una traversa del mercato.
-Ehi, Fermati! Chi sei, dove stai andando?- cercò di richiamare la sua attenzione ma l’uomo non rispose; si voltò a guardarla con lentezza come se temesse la sua vista.
-Ciecamente al macello. Come il resto di voi.-
-Come sarebbe a dire? Sii più chiaro, per favore.-
Per un momento Kamya pensò di accelerare per oltrepassarlo e guardalo bene in faccia ma desistette. Tutta quella situazione era assurda, e non solo per il fatto che un losco figuro le avesse lasciato alla porta un sacchetto di erbe protettive, l’avesse fissata in mezzo a una folla enorme e che avesse provato a svignarsela quando lei l’aveva notato, era anche il fatto che lei gli fosse corsa dietro. Da dove le partiva un gesto così impulsivo? E se non fosse stata sua l’iniziativa del sacchetto ma fosse stato pagato da qualcun altro per mettercelo? Se lui fosse stato un uomo pericoloso? Se doveva indagare, doveva prendere le dovute precauzioni.
-Non importa cosa dico. Le mie parole non dureranno… Non lo fanno mai- il tono della sua voce era profondo ma inespressivo e quasi sovrastato dal rumore delle catene che aveva ai polsi e al collo.
Si allontanò trascinando i piedi ma con una domanda della ragazza, la sua marcia si arrestò.
-Il sacchetto di pelle al negozio, ce l’hai lasciato tu, non è vero?-
Scoperto, l’uomo si bloccò e si girò così in fretta che il cappuccio lacero gli cadde sulle spalle; i suoi occhi erano di un verde profondo che ricordava la selva fuori da Vesuvia e i suoi capelli neri una zazzera arruffata sulla testa. Parte del viso era segnato da un paio di vecchie cicatrici sbiadite e una barba sottile inscuriva la pelle del mento e delle guance.
Come la ragazza fece per avvicinarsi, riprese a camminare, allungando il passo su per la scalinata; la via era così stretta e le sue spalle così massicce da rasentare i muri. La sua andatura si era fatta serrata e quando Kamya raggiunse il mercato, sentì un tuffo allo stomaco: l’aveva perso in mezzo alla folla.
O forse no…
L’imponente straniero stava costeggiando il mercato per evitare la fiumana e si era fermato dietro al palo di una bancarella; era decisamente troppo stretto per nascondercisi per cui, quando Kamya gli si avvicinò, le sfuggì di nuovo. Si appostò dietro a un carretto di mele ma, anche se era impilato di frutta, lo sovrastava.
Stava provando a nascondersi da lei?
Al suo terzo tentativo di avvicinarglisi, si nascose dietro a… Un cane randagio.
Realizzò la futilità del gesto proprio mentre il cane si alzava e trotterellava via.
-Vattene- ordinò minaccioso alla ragazza nel momento in cui se la ritrovò davanti.
-Non lo farò senza che tu abbia risposto a una domanda, per cui, se mi vuoi fuori dai piedi, sarà saggio da parte tua accontentarmi- dichiarò mettendosi un pugno sul fianco.
Lo sconosciuto convenne che fosse la soluzione più rapida per levarsela di torno, sospirò e fece un silenzioso cenno di assenso con la testa.
-Grazie mille- gli sorrise la maga giungendo le mani e chinando la testa -Adesso dimmi, conosci Asra?-
-Meglio di chiunque altro- la voce dell’uomo era tetra e i suoi occhi carichi di rabbia ma la sua risposta sembrava sincera.
-Ti ha mandato a controllarmi?-
-...Sì- improvvisamente il maciste arrossì, facendo una smorfia di disappunto che stuzzicò le simpatie della sua interlocutrice -È il mio unico amico.-
Kamya tirò un sospiro di sollievo: se Asra l’aveva mandato a tenerla d’occhio e l’aveva fatto perché lo conosceva, allora poteva stare più che serena.
-Penso che non siamo poi così diversi. Mi fido di Asra più di chiunque altro: possiamo essere amici anche noi due- gli offrì lei trovando un freddo rifiuto.
-No. Perché dovremmo?-
-Condividiamo l’amicizia con Asra, mi farebbe piacere avere questo legame con te.-
I suoi modi si erano ammorbiditi e provava a tutti i costi a suonare rassicurante ma invano.
-Non voglio un altro amico. Specialmente se si tratta di te.-
Quell’affermazione sembrava nascondere più di quanto non apparisse e a Kamya sorse un dubbio.
-Ci siamo già incontrati prima d’ora?-
-Non importa. Non siamo amici- tagliò corto l’altro.
-E non potremmo?- insistette l’apprendista.
Una sfumatura rosata colorò nuovamente le guance dell’uomo facendo risaltare una delle cicatrici. Sarebbe stato interessante conoscere meglio quella montagna umana e capire se davvero fosse così orso come si vendeva ma non ce ne fu il tempo.
Un urlo di avvertimento fece girare la ragazza in tempo perché vedesse il carretto della frutta venirle addosso; incespicò sul pietrisco dissestato e per quando ebbe riguadagnato l’equilibrio, lo sconosciuto era scomparso. Per davvero stavolta.
La frustrazione le bruciò il petto prima di essere stroncata di botto dalla confusione: ricordava di essere andata in piazza per l’annuncio, e poi… Era scappata verso il mercato, ma perché? Cercò di ricordare ma non aveva tempo da perdere, doveva tornare da Portia.
La trovò in piazza dove l’aveva lasciata; dal carrozzone reale stava lanciando petali e riso ai cittadini che danzavano.
-Kamya, eccoti! Hai visto che folla? Spero non ci siano stati incidenti al negozio o nulla fuori dall’ordinario- le sorrise con un’ombra di apprensione mentre le sue palpebre sbattevano supplichevolmente.
La maga salì sul carro accanto a lei e stette per risponderle ma il mezzo si rimise in moto con uno scossone; il suono delle risate accompagnò la loro marcia seguito dal diffondersi della novità festaiola.
-Kamya?-
L’apprendista ci mise un attimo prima di registrare la voce della rossa.
-Scusa, stavi dicendo?- le rispose riscuotendosi dai suoi pensieri.
-Incontrerai i cortigiani quando arriveremo a palazzo. Vuoi sapere in anticipo i loro nomi?- le fece l’occhiolino Portia e Kamya si sentì come una bambina sperduta. La testa era improvvisamente vuota e la bocca secca ma non arida di domande.
-Oh miei Arcani, pensi che sia il caso? Si aspettano che sappia chi sono prima che li abbia mai visti? È qualcosa che dovrei sapere? Non ho mai studiato la storia della nobiltà di Vesuvia! Avrei dovuto? Potrebbero offendersi se...-
-Kamya?-
-Sì?-
-Ci stia rimuginando troppo- Portia le diede un colpetto con la spalla facendo ridacchiare l’amica.
-Lo so, scusami, è che ci tengo a fare bene questo lavoro. Ne va della reputazione mia e di Asra. Non posso permettermi stupidaggini- adesso era il suo lo sguardo supplichevole e intimidito.
-Non lo farai, stai tranquilla. Allora, ci sono la Procuratrice Volta, il Pretore Vlastomil, il Pontefice Vulgora, la Questrice Valdemar e il Console Valerius- spiegò contandoli rapida con le dita.
L’espressione della studentessa di magia doveva ancora essere persa perché le diede una rassicurante pacca sulle spalle.
-Valerius è quello più importante; Milady gli dà maggiore importanza che agli altri; sono un po’ eccentrici ma dovrebbero essere gentili con te.-


Giunte a palazzo, Portia la scortò presso un’area in cui aleggiava il profumo di una mezza dozzina di fragranze. Kamya intuì di essere arrivata al salotto dall’ovattato suono di una sofisticata melodia e dalle risate fragorose che risuonavano nei corridoi.
Vedendola esitare davanti alla porta con una mano alzata, la servitrice incoraggiò la ragazza.
-Forza, Kamya, queste persone non vedono l’ora di incontrarti- sorrise dolcemente e le sue parole ispirarono l’altra.
Persone. Non erano altro che persone.
Bussò alla porta con tre colpi decisi e la voce di Nadia le rispose, invitandola ad entrare; la stanza era resa caliginosa da eleganti sbuffi di fumo che danzavano nell’aria.
Esclusi i verdi tendaggi, il mobilio bianco e le pareti dove brillavano dei candelabri a muro, tutto era sui toni del viola e dell’oro; le figure dei cortigiani, seduti comodamente su divani imbottiti, erano illuminate da una tenue illuminazione e Nadia sedeva dietro a un lucente organo da camera, prestando poca attenzione al fitto chiacchiericcio.
Sollevò lo sguardo non appena Kamya varcò la soglia e le sue dita eseguirono un vittorioso accordo.
-Bentornata, Kamya- girò le pagine del suo spartito, annuendo con un sorriso -Portia, per cortesia, introduci la nostra onorevole ospite.-
-Annuncio Kamya, amica del Palazzo e apprendista del mago Asra- obbedì la rossa con solennità.
Mentre si alzavano dalle loro confortanti sedute, Kamya cercò di ricollegare un nome a ciascuno dei loro volti.
-Sei tu Kamya? Ohoh, sei proprio carina!-
La prima a parlare fu una donna inverosimilmente piccina, con l’occhio sinistro pigro e un incisivo che sporgeva dal labbro inferiore; le sue vaporose vesti nere la facevano sembrare ancora più magra di quanto già non fosse e da sotto l’ampia cuffia bianca, spuntavano dei riccioli di un rosso spento. Lei era la Procuratrice Volta.
-Che incantevole sorpresa, stavamo giusto parlando di te!-
A seguirla fu un uomo dalla dita rachitiche, un folto pizzetto color cenere e le orecchie a punta; dal suo gonfio cappello si stendeva una lunga piuma sfumata e la sua tunica nera bordata d’oro, ricordava quella di Volta: costui era il Pretore Vlastomil.
-Siediti! No, non con loro, con ME, Kamya!-
Il Pontefice Vulgora puntò alla maga, incitandola a sedersi così veemente da farlo sembrare un ordine. Era un uomo tracagnotto, la cui figura era resa tozza da una rigonfia casacca rossa; le rosse e dorate maniche a sbuffo spuntavano da una mantella nera e dei guanti metallici rendevano la sua presa salda ma pungente. I suoi occhi gialli lampeggiavano di curiosità sotto alle spesse sopracciglia rosse e Kamya non poté fare a meno di notare come il complesso copricapo che, coi suoi veli quasi gli inghiottiva il volto, ricordasse un paio di corna.
Portia aveva ragione: erano davvero eccentrici. Ma anche gentili e l’apprendista si sentì presto stordita da tanto entusiasmo, senza disprezzarlo neanche per un secondo.
Le mani ben curate dei cortigiani la fecero accomodare su un divano e la lanciarono nel mezzo della conversazione; la Contessa Nadia stette ad osservare tutta la scena suonando dei toni contemplativi.
-Dimmi, Kamya, com’è stato accolto l’annuncio?-
-Uno può solo immaginarlo! Neppure noi, i favoriti della Contessa, ne avevamo idea!- il Pretore Vlastomil non lasciò il tempo di rispondere e la Procuratrice Volta lo seguì a ruota.
-Una così magnifica sorpresa dalla nostra amata Contessa! Una Festa in Maschera!-
-Ah! E non abbiamo dovuto alzare nemmeno un dito!- rise forte il Pontefice Vulgora.
Nadia scosse la testa, sorridendo; era consapevole e fiera dell’entusiasmo che era riuscita a suscitare presso i suoi cortigiani, ma era stato a Kamya che aveva chiesto di parlare e l’indomito gruppetto doveva ricordare quali fossero le buone maniere da usare in compagnia di ospiti.
-Oh Cielo, sarebbe fortunata Kamya se riuscisse a proferire parola in mezzo a voi- li punzecchiò.
-Secondo il mio verm… Ehm, volevo dire verbo, fortunata lo è già!- si animò il Pretore Vlastomil, non cogliendola frecciatina -Essere scelta dalla Contessa, lei, un’anonima apprendista!-
Nadia arcuò un sopracciglio ma non disse nulla. Dubitava forse della sua capacità di giudizio?
Kamya aveva avuto abbastanza tempo a quel punto per accorgersi di due altri dettagli che accomunava i cortigiani: una era la spilla di rubino a forma di scarabeo, e l’altra una carnagione inverosimilmente pallida. Tutti avevano la pelle bianca in modo bizzarro eccetto per…
-Che rischio, che rischio- rantolò una voce graffiante -Davvero non tipico della nostra ponderata e meticolosa Contessa.-
Kamya si rese conto della presenza di un quarto cortigiano quando la Questrice Valdemar parlò tenue e gelida. La donna, o almeno lo sembrava, aveva un lunghissimo camice bianco e dei guanti di pelle che le arrivavano fino all’attaccatura delle braccia; da una tasca del grembiule nero facevano capolino degli strumenti medici puliti e il suo volto era nascosto dietro a una mascherina da chirurgo. Fissò la maga con uno sguardo infiammato, facendole correre dei brividi lungo la schiena.
La spilla rossa era là come per gli altri membri di corte ma il suo incarnato era di un verde olivastro a dir poco malsano, o forse era solo l’illuminazione della stanza a dare lo strano effetto; per quanto intimidatoria che fosse, il peggio doveva ancora arrivare ma non tardò a palesarsi nel momento in cui un uomo con una lunga giacca grigia e una treccia scura che sfumava verso il biondo, prese la parola.
-Forse la Contessa vorrebbe informare la sua adorante corte- la intimò, abbassando lo sguardo verso l’apprendista -Com’è che ha fatto esattamente a trovarsi alla porta della strega quella notte.-
Il Console Valerius parlò con un’inflessione di disgustata enfasi e, nonostante il suo modo ricercato di costeggiare il divano o di tenere un calice di vino, si poteva intuire la sua concreta disapprovazione senza grandi giri di fantasia. Era tutta lì, in un singolo arricciamento del labbro.
Si vedeva come si distinguesse dagli altri cortigiani, e non solo per la sua totale mancanza di partecipazione al generale entusiasmo, ma anche per la spilla attaccata alla stuoia nera; attorno al collo, oltre alla treccia che poggiava sulla spalla opposta, vi era una piccola ariete d’oro.
-O magari la strega vorrebbe dircelo lei stessa- la sfidò, allargando le braccia per indicare tutta la sala.
Magari potreste non chiamarmi così” pensò Kamya deglutendo forte per sopprimere quella risposta.
-Magari potrei- si limitò a replicare mentre Nadia tornava a prestare attenzione all’organo e i cortigiani le si stringevano attorno; sembravano famelici di ricevere succosi dettagli su un incontro così chiaramente dettato dal destino, non si erano affatto resi conto della tensione accresciuta tra Valerius e Kamya.
-Coraggio, dicci tutto!- la incitò Vulgora.
-Abbiamo sentito solo i pettegolezzini- ridacchiò Vlastomil -È vero che la Contessa è giunta a voi nel cuore della notte, incespicando scalza e lacrimando per strada?-
Il viso di Kamya si contrasse perplesso a sentire un tale cumulo di panzane e occhi impazienti le si piantarono addosso, studiandone ogni movimento.
-Cos…? No? Chi si è inventato una simile fandonia? È venuta e ha semplicemente... Bussato alla porta.-
Volta prese la parola colma di ansia.
-Vi prego, devo sapere se la mia amata Contessa stesse piangendo!-
-Non lo stava facendo, ma l’ora era tarda e la Contessa era piuttosto insistente.-
I suoi nuovi compagni si raggrupparono ancora più vicini a lei man mano che esponeva la storia; rapiti, rimasero incantati da ogni singola parola. Finito il resoconto, Nadia terminò il pezzo con un impressionante trillo. Avendo passato tanto tempo in sua compagnia, solo Portia poté notare come nelle ultime note si fosse insinuato parte del fastidio accresciuto nella Contessa a sentire come un semplice episodio fosse stato infiorettato di tanti teatrali quanto inesatti dettagli.
-Se ci tenevate tanto ardentemente a sapere cosa fosse accaduto quella notte, potevate semplicemente chiederlo. I miei mal di testa erano peggiorati e stavo avendo problemi a dormire. Durante quella not...-
-Come state avendo da un po’ di tempo, Contessa- la interruppe Volta con un sorriso sghembo.
-Sì, Procuratrice- sospirò Nadia, restituendole un sorriso più amaro del voluto -Durante quella notte mi ero svegliata tormentata dallo spettro di un sogno che non voleva abbandonare la mia mente. Stavo davvero cercando qualcuno, chiunque, che mi potesse essere d’aiuto. Sono stata io la fortunata, poiché mi sono imbattuta così presto in colei di cui avevo bisogno- il suo viso si era addolcito e le sue spalle si erano rilassate -Un universo benevolo ci ha fatto incontrare, non è vero, Kamya?-
I suoi luminosi occhi rossi sorrisero affettuosamente all’apprendista e i cortigiani si agitarono, studiandola con una nuova intensità; la stanza si riempì di nuovo calore ma si spezzò in fretta a un arioso sospiro di Valerius. Il Console sbirciò la figura dell’ospite d’onore distorta dal bicchiere vuoto.
-Contessa, ci ferisce sapere che vi siate sentita in dovere di cercare altrove un orecchio simpatizzante- Valerius raccolse la brocca di vino sul tavolino al centro della stanza e riempì nuovamente la sua coppa -Dovreste considerarci degni della vostra fiducia, siamo libri aperti per voi!-
Con un altro plateale gesto delle braccia, gettò parte del contenuto addosso a Kamya, innaffiandone le vesti pregiate. Un sussulto collettivo animò la stanza mentre il liquido scarlatto si insinuava nella stoffa e sulla pelle della maga rimasta a bocca aperta.
La Contessa si alzò di scatto dall’organo, dipinta in volto aveva una furia omicida.
-Che sbadato- fece spallucce il Console, fintamente dispiaciuto -Di sicuro conoscerete qualche stramberia per rimediare al danno.-
Certa che sarebbe stata perdonata, Kamya fece per rispondergli per le rime ma Nadia la bruciò sul tempo.
-Basta così, Valerius! Avete esaurito la mia pazienza per stasera!- sibilò glaciale -Tutti voi, fuori!-
Mentre i cortigiani abbandonavano la stanza passandole timidamente accanto in punta di piedi, Kamya non riuscì a scollare lo sguardo dal tappeto intarsiato; il vino si stava rapprendendo rendendo i pregiati tessuti appiccicosi e sgradevoli e non solo quelli che aveva addosso: anche il divano candido ne stava risentendo. Rimase da sola con la Contessa che le mise una delicata mano sulla spalla in un accorato gesto di consolazione.
-Mi dispiace, Kamya. Dobbiamo liberarci di questi vestiti rovinati, ovviamente...- si dolse, disprezzando uno spreco che si sarebbe potuto evitare.
-Ma guardate, magari viene via con altro vino. Com’era quel trucchetto che il vino rosso viene via col bianco? E poi non è così male, almeno i toni di colore si abbinano- tentò di incoraggiarla con la stoffa attaccata alla pelle che seguiva ogni movimento del petto.
-Non dire sciocchezze- sorrise la donna facendo sentire alla sua ospite di essere riuscita a portare a casa almeno una mezza vittoria; per qualche strano motivo, un sorriso della Contessa valeva più di tutta l’approvazione che le avevano mostrato gli altri cortigiani -Mi sono presa un paio di libertà col tuo guardaroba, per cui non esitare: dimmi cosa sarebbe di tuo gradimento. E non badare a spese.-
Kamya si guardò un’altra volta ricordando la mattina del giorno precedente, quando Portia le aveva consegnato un completo nuovo di zecca, gentile omaggio della Contessa. La seta era delle migliori della regione e ogni secondo vissuto con quello indosso l’aveva fatta sentire come degna di servire a palazzo, ma le mancavano i vestiti che aveva rimodernato apposta per stare a corte.
Portia si mise sull’attenti e Nadia incrociò le mani in fervida attesa; sembrava come sperare che Kamya le elencasse una serie infinita di ricchezze. Che forse le piacesse ricoprire la gente di doni?
-Grazie infinite, ma non mi serve niente di speciale.-
Al suo rifiuto, Nadia lasciò scivolare le spalle in basso stupita.
-Ah, immaginavo lo avresti detto- ridacchiò Portia.
-Siete fin troppo generosa con me, Contessa, ma gradirei solo riavere indietro i miei abiti. Li ho abbelliti per l’occasione dopo la nostra prima cena e, anzi, vorrei scusarmi per non averci pensato prima- si scusò l’apprendista, pensando ce ne fosse il bisogno.
-Umile come sempre. Molto bene, allora. Il tuo benessere qui è di grande importanza per me- dichiarò Nadia prima di rivolgersi alla sua servitrice -Portia ti riaccompagnerà nei tuoi alloggi. Ti verrà fatto un bagno e i tuoi indumenti restituiti. Anche se, Kamya, sei la mia ospite d’onore: potresti essere più esigente, se lo gradissi.-
-M-ma non vorrei approfittare...- sorrise lei di imbarazzo espirando con gli occhi puntati a terra.
I toni tubanti dell’organo echeggiarono nei corridoi mentre le due ragazze proseguivano verso l’ala degli ospiti.
Quando Kamya si fu lavata ed ebbe fatto ritorno nella sua stanza, un pacchetto l’attendeva accanto alla finestra; una nota richiusa in una stretta spirale stava sopra di esso.
Era indirizzata dalla Contessa.

Un dono per la mia cara ospite, questo smeraldo sembra chiamare il tuo nome. Indossalo in buona salute. E, Kamya, puoi chiamarmi Nadia.

I caratteri si stendevano sulla carta in ordinati riccioli deliziosi e senza una sbavatura d’inchiostro, la calligrafia di Nadia rispecchiava tutto ciò che rappresentava: ricercatezza, distinzione ma soprattutto disinvoltura.
Kamya si fece scivolare la catenina tra le dita e, più teneva il monile nel palmo, più riconosceva la sua energia; con un sussulto la magia sembrò affievolirsi ma ad un nuovo tentativo di concentrazione, tornò a farsi vivida come prima. Che si sbagliasse forse? No, conosceva quella forza fin troppo bene, così rilassante e accogliente.
Asra.
Se era stata capace di rintracciare Julian con una lettera, poteva darsi che…?


Attese che i saloni del castello fossero silenziosi per sgattaiolare fuori dalla propria stanza; con lo smeraldo che le pendeva dal collo, Kamya si diresse verso il giardino avvolta da una calma surreale. Il solo pensiero di poter sentire di nuovo la voce del suo maestro, le faceva sussultare il cuore di una dolorosa speranza.
Raggiunta la veranda, discese i gradini cullata da una gentile brezza; ombroso e lussureggiante, al centro del parco le siepi formavano un percorso labirintico e una fontana con un capricorno impennato faceva scorrere le sue acque mitigando la sonnacchiosa atmosfera. Al di sopra della spaziosa vasca, un salice piangente gettava le sue fronde verso il terreno come una verde imitazione delle acque sottostanti. Kamya alzò la testa e da uno dei rami vide pendere un serpente del grano color lavanda.
-Faust!- la chiamò entusiasta, interpretando il loro incontro come di buon auspicio -Non sei andata con Asra? Che ci fai qui?-
Faust sibilò e le cadde sulle spalle in tutta risposta, il suo corpicino lucido la salutò con una strizzatina. Sembrava l’avesse sempre aspettata lì.
Kamya si sedette sul bordo della vasca e si sporse verso l’acqua, osservando il suo riflesso restituirle lo sguardo. Faust dimostrò interesse immediato per il pendaglio nel momento in cui la maga se lo sfilò dal collo; chiuse gli occhi, prese un profondo respiro, lo fece dondolare sopra alla superficie e lo lasciò cadere. La luce catturò ogni sfaccettatura verde mentre raggiungeva i mosaici sul fondale.
L’acqua cominciò a gorgogliare cambiando colore, degli schizzi incrinarono la quiete dei bordi e più la maga si concentrava sulle forme che assumevano, più esse cambiavano.
Prima che se ne potesse rendere conto, il suo riflesso era sparito e al suo posto… C’era Asra.
Si stava togliendo l’acqua dal viso, ogni goccia che gli scivolava via dalle mani cadeva nell’acqua della fontana, provocando altre increspature e distorcendo la sua immagine. L’apprendista era così sconvolta che poté solo restare a bocca aperta in silenzio, timorosa che qualunque suono avesse prodotto, avrebbe spezzato l’incantesimo. Asra si scosse la riccioluta e fulgente chioma, qualche altra goccia gli scivolò via dalle ciglia mentre guardava la sua allieva dritta negli occhi.
-Kamya? Puoi, puoi sentirmi?- pronunciò insicuro e sconvolto; la ragazza annuì incredula il doppio di lui.
Se quello non era un incantesimo dei suoi allora come aveva fatto lei a contattarlo? Il ragazzo si sporse in avanti, era talmente vicino che gli si potevano vedere ancora delle gocce imperlargli le lunghe ciglia.
-Incredibile!- rise lui di cuore. Era seduto a gambe incrociate accanto a uno stagno, una mastodontica cavalcatura gli stava accanto, riposando il muso sul ginocchio del mago -E Faust è con te, vedo che ti ha trovato senza problemi. Non ero sicuro di volertela lasciare, ma dopo la lettura che mi hai fatto, ho pensato di seguire il mio istinto.-
Prima che Asra partisse, Kamya aveva consultato i tarocchi e le carte lo avevano avvisato che si fosse allontanato troppo dall’arcano della Papessa.
Nel luogo in cui si trovava, delle alte palme gli ondeggiavano alle spalle contro una marea di stelle scintillanti, e i suoi capelli ne raccoglievano ogni argenteo riflesso; Faust sfiorò l’acqua con la coda agitando altre increspature.
-Faust, hai un aspetto magnifico. Stare accanto a Kamya ti fa quell’effetto, non è vero?-
-Sono contenta che sia qui- la accarezzò Kamya passandole un dito sulla testolina. Il simpatico famiglio sembrava molto fiero di se stesso.
Ora che lo stupore di averla trovata era svanito, Kamya era sollevata di poterla avere accanto a sé; nell’acquoso riflesso, anche Asra aveva un’espressione compiaciuta.
-Sono felice di poterti vedere, Asra. Sei partito da così poco eppure mi manchi già così tanto...-
Il giovane arrossì e la creatura che era con lui sbadigliò rumorosamente.
-Vedo che c’è un salice piangente dietro di te, sei a Palazzo?- tergiversò, all’improvviso in ambascia.
Kamya annuì e provvedette a raccontargli tutto ciò che era accaduto dalla sua partenza; i suoi occhi brillavano coinvolti ad ogni parola finché il senso di colpa non prese il sopravvento.
-Incredibile, il giorno in cui sono partito, era il giorno in cui avevi bisogno di me più che mai...- presto il suo animo si riaccese di orgoglio -E anche così, non hai bisogno di me affatto. Sono contento che almeno Faust sia in tua compagnia. Se dovesse succedervi qualcosa, lo verrò a sapere.-
-Dove sei?- si affrettò a domandargli la ragazza, sentendo di doversi appropriare di tale informazione come dell’aria che respirava.
Asra si guardò alle spalle, alle lucenti galassie che gli turbinavano sopra la testa.
-Un posto dentro di me. Chi l’avrebbe mai detto che saresti stata capace di raggiungermi qui?- sorrise rilassato -Le tue doti magiche sono impareggiabili, presto sarai capace di superarmi- Faust costeggiò i fianchi della ragazza per far scattare la lingua biforcuta verso l’acqua -E Faust si sta aprendo con te. Forse è ora che faccia altrettanto.-
Kamya si sentì praticamente soffocare e l’espressione che fece dovette essere di particolare gusto per il maestro che esplose in una sfrenata risata.
-No, davvero, voglio cominciare a essere più onesto con te. Che cosa ti passa per la testa? Chiedimi tutto quello che vuoi. Ciò che ti chiedo io, è che l’onestà sia reciproca.-
La cortesia nei suoi grandi occhi viola era un balsamo per l’anima, ma tutta la gentilezza del mondo non avrebbe potuto acquietare la bruciante domanda che premeva sulle labbra della sua studentessa per essere espressa.
-Chi è Julian per te?- si decise, rammentando la vasta gamma di sentimenti che avevano solcato il volto del Dottore quando parlava del mago.
A tale domanda, però, fu il volto di Asra a tingersi di tante, disparate emozioni, dalla sorpresa, a una fugace nostalgia, fino a un rancore la cui profondità gareggiava con quella dei cieli sopra la sua testa.
-Julian? Ah, già… Risponde anche a quel nome, me lo ricordavo con uno diverso. È stato… Un amico, un tempo. Poi di più. Poi qualcos’altro… Chi è Julian per me? Chi lo è per chiunque? Chiunque gli serva essere pur di ottenere ciò che vuole.-
La cripticità di una simile risposta avrebbe fatto alzare gli occhi a Kamya se non avesse saputo di essere vista; Asra aveva parlato di sincerità, eppure, una volta ancora, si teneva sul vago.
-Pensare che è venuto a cercarmi dopo tutto quello che è successo… Ma lasciamo perdere. È un medico dilettante con molto da imparare e finché non lo farà, nulla di buono potrà venire da lui- con uno accorato sospiro e uno scatto della testa, Asra scacciò i pensieri negativi -C’è qualcos’altro che vorresti chiedermi?-
Kamya si sporse un po’ troppo verso la fontana, la testa le ciondolava terribilmente e le palpebre si facevano difficili da tenere aperte.
-Direi di no, per adesso. Si sta facendo tardi e se non ritorno a letto ora, domattina dovrò dare un sacco di spiegazioni sul perché ho dormito nella fontana.-
-Non mi ero reso conto di che ora si fosse fatta, il tempo scorre diversamente qui dentro. Vatti a riposare, Kamya e abbi fiducia che ci sentiremo presto. So che mi troverai.-
Asra si avvicinò alla sua allieva, il suo tocco deformò l’immagine e in un attimo era sparito.
Faust sembrava quasi delusa di non vederlo ancora lì ma dopo un po’ di ritrosia, si arrampicò sul braccio di Kamya e si mise a riposare nel suo grembo mentre raggiungevano l’ala degli ospiti.
A dire della giovane, il talentuoso maestro non era stato abbastanza esaustivo; Julian era un medico con molto da imparare, e allora? Se non l’avesse fatto qualcuno ne avrebbe risentito, e allora? Ovvio che se un medico non sa fare il suo mestiere a pagarne le conseguenze sono i pazienti!
Avrebbe sperato di carpire qualche straccio di informazione in più, un indizio, un suggerimento sulla sua pericolosità ma Asra si era tenuto in una snervante neutralità.
Se non fosse stata tanto vinta dalla stanchezza, i fiorenti dubbi su un Julian torturatore, manipolatore e dannatamente pericoloso, non le avrebbero fatto dormire sonni tranquilli; fortuna sua che fosse esausta dopo una giornata così intensa per dare credito a certe fantasie!
Ma non era solo la stanchezza a giocare un ruolo a suo favore: c’era anche la convinzione che Asra non l’avrebbe mai e poi mai lasciata in una situazione di pericolo. O forse era una qualche sorta di prova da superare? Che ci faceva poi Julian al loro negozio? Poteva fidarsi della sua parola secondo cui non si era impossessato di niente?
Troppe domande per una sola notte, troppi indovinelli per una sola affaticata mente che la canzonò in tutti i sensi, intonando le note di uno spettacolo che Asra l’aveva portata ad assistere qualche settimana prima.
Kamya si mise a canticchiare sommessamente a Faust entrando nella sua camera; era buffo da dirsi, ma le strofe avevano un che di profetico.

Guarda come la virtù ti ripaga
Ti giri e qualcuno ti tradisce
Tradiscilo per primo
E il gioco è ribaltato!
Perché siamo tutti intrappolati
Nel mezzo di un infido, lungo indovinello
Posso fidarmi di te? Puoi tu fidarti di me?
Barcolliamo attraverso questo inferno
Raccogliendo più segreti da vendere
Finché verrà il giorno
In cui venderemo le nostre anime*










*”The riddle” dal musical “The scarlet pimpernel”, un po’ tutto il testo quadra bene con la fanfiction ma non potevo mettercelo per intero ._.



N.d.A.
Sperando che questo capitolo e il precedente siano stati di vostro gradimento, vorrei premettere una cosa: so che potrebbe sembrare un mezzo lavoro di copiatura della storia originale, ma vi garantisco che dai prossimi capitoli le cose cominceranno a prendere piede, specie con gli altri due protagonisti della storia u-u non appena si incroceranno le due ship vi garantisco che molto prenderà forma soprattutto a corte. Ho appunti e file ovunque con tutte le idee, le battute e varie <3
Stay tuned, ne vedrete delle belle!
   
 
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