Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Luschek    25/02/2021    3 recensioni
Il polpaccio della gamba con cui si è spinta su le pulsa, ma finché non si è sfilata nulla — e lo spera — le va bene così. Sembra che nulla sia andato storto, pensa, mentre riporta entrambi i piedi sul pavimento — ma un fragore di vetri rotti le ricorda che nulla è facile per lei.
Rimane immobile e intontita per qualche secondo, le orecchie che ronzano a causa di Mr. Knuckles che strilla e corre via, lontano dal macello che la sua padrona ha combinato. Abbassa lo sguardo, tentando di capire cos’abbia distrutto, e nota che tra i cocci vi è la rosa che ha ripetuto — fino alla nausea — all’idiota di spostare dal bancone. Non è una gran perdita in termini di importanza, dato che i petali rossi sono anneriti e l’acqua è torbida — vi è persino una mosca che galleggia nella pozzanghera creatasi —, ma è una grandissima perdita di tempo.
{Modern!AU | Pairing: BeruAni | Storia partecipante all'iniziativa "Il Giorno di San Valentino" indetta sul forum "La Torre di Carta"}
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Leonhardt, Berthold Huber
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Quiet Place 

 

 

Prompt: Routine. 

 

   «Meow.» 

Il gatto agita piano la coda, mentre scruta stoico la sagoma che è avvolta dalle coperte. Attende un paio di secondi, prima che l'ennesimo miagolio si propaghi nella stanza. L’umano non accenna a svegliarsi, anzi, gli dà addirittura le spalle e continua a sonnecchiare. Come osa?  

All'animale basta un balzo per raggiungere il materasso. È così leggero che chi dorme non se ne è accorto, quindi zampetta indisturbato sulla persona, finché non le si avvicina al viso.  

«Meow.» 

«Mh. Mh.» 

Sta ancora sognando. Ma non deve lavorare, questa?  

Con delicatezza il gatto sfiora i ciuffi biondi della padrona, poi agita la zampa per acciuffarli e disturbarlo, come fa con tutti gli oggetti che somiglino alla paglia. Un po’ le graffia il viso, ma poco male: così l’umano imparerà a svegliarsi quando viene richiamata la sua attenzione.  

 

«Mr. Knuckles» brontola Annie, ma lascia che il gatto continui a giocherellare.  

Ha la bocca impastata di sonno e gli occhi socchiusi —persino la testa le formicola, segno che è più nel mondo dei sogni che in quello reale—, eppure riesce ad allungare un braccio per accarezzare l’animale. Mr. Knuckles gorgoglia contento, dopodiché zampetta via —senza che glielo comunichi, Annie sa già che il gatto si sta dirigendo verso la sua ciotola, soddisfatto del proprio lavoro.  

Si disfa delle coperte, gettandole sull’altra metà del matrimoniale, e appoggia un piede nudo sul pavimento gelido. Procede a tastoni con esso, ma delle sue pantofole non vi è traccia – e il presentimento che c’entri Mr. Knuckles in questa misteriosa sparizione è forte.  

“Cosa devo fare oggi?” rammenta, mentre volge il capo per osservare la sveglia, che segna le dieci e dodici minuti.  

Al suo cervello serve un minuto lunghissimo —durante il quale, Annie ha solo la forza di battere le ciglia— per realizzare quanto letto: è in ritardo per il lavoro!  

Con uno scatto salta giù dal letto, ignorando il freddo che le pizzica le piante dei piedi, e corre in cucina, dove, sul tavolo vi è posato un sacchetto bianco di carta — come ogni giorno, da quando si è trasferita in quell’appartamento con l’idiota che, oggi, non l’ha svegliata prima di uscire da casa.  

Brontola come una caffettiera, mentre traffica tra gli scaffali della cucina, alla ricerca dei croccantini di Mr. Knuckles, che quest’ultimo ancora reclama tramite i suoi miagolii risentiti e le unghie che stridono sulla ciotola metallica. Quando la ragazza si accorge che la scatola è riposta sull’ultima mensola —quella impossibile da raggiungere per lei, dal basso dei suoi centosessanta centimetri— sibila la prima imprecazione della giornata. Non può perdere tempo, ma non può nemmeno lasciare a bocca asciutta Mr. Knuckles, oppure si vendicherà —come ha fatto l’ultima volta, quando lo ha spostato dal suo giaciglio e le ha regalato tre solchi rossi sull’avambraccio.  

«Sei uno stronzo» dice al gatto, prima di scalare i mobili della cucina –si appende alla maniglia di uno sportello, mette un piede scalzo sul marmo e si issa su, mentre afferra con la mano libera la maledetta scatola. 

Il polpaccio della gamba con si è spinta su le pulsa, ma finché non si è sfilata nulla —e lo spera—, le va bene così. Sembra che nulla sia andato storto, pensa, mentre riporta entrambi i piedi sul pavimento —ma un fragore di vetri rotti le ricorda che nulla è facile per lei.  

Rimane immobile e intontita per qualche secondo, le orecchie che ronzano a causa di Mr. Knuckles che strilla e corre via, lontano dal macello che la sua padrona ha combinato. Abbassa lo sguardo, tentando di capire cos’abbia distrutto, e nota che tra i cocci vi è la rosa che ha ripetuto —fino alla nausea— all’idiota di spostare dal bancone. Non è una gran perdita in termini di importanza, dato che i petali rossi sono anneriti e l’acqua è torbida —vi è persino una mosca che galleggia nella pozzanghera creatasi—, ma è una grandissima perdita di tempo.  

Schiocca la lingua contro il palato e batte un pugno sul bancone, mentre progetta il percorso più sicuro per uscire indenne da quel disastro. Almeno il gatto ha smesso di miagolare come un disco rotto.  

Tra saltelli, piroette e passi più lunghi della propria gamba, Annie giunge in soggiorno —dove, su una parete, vi è il calendario che riporta un enorme cerchio rosso sui giorni in cui lei ha il giorno libero e in viola sui giorni in cui lui lo ha. Fa per superarlo, quando, di sfuggita, coglie con la coda dell’occhio un quattordici febbraio circondato da un segno rossissimo —come la sua faccia ora, mentre si rende conto di aver avuto fretta per nulla, quando, in realtà, avrebbe potuto poltrire fino alle due del pomeriggio.  

Lancia uno sguardo al tappeto di acqua rancida e vetri rotto che si è lasciata indietro, poi sospira. Almeno potrà pulire quel macello con calma, adesso.  

 


 

I croccantini tintinnano all’interno della ciotola, Mr. Knuckles miagola contento e le mattonelle sono tornate bianche —quasi riflettono la luce della lampadina, oppure lo fanno davvero: non è mai stata ferrata con la fisica. Il vetro è stato differenziato, la rosa gettata nell’umido —e si è pure punta nel farlo, come se fosse una punizione del karma, perché ha buttato quel fiore putrido senza avvertire il proprietario.   

“Se ne farà una ragione” si convince.  

Ora può dedicarsi a ciò che le piace fare nel tempo libero: a volgersi in un bozzo di coperte, stendersi sul divano e leggere un libro —oppure coccolare il gatto, o comprare il penultimo album dei Judas Priest, quello introvabile, o semplicemente fissare il soffitto e riflettere su quando arriveranno le prossime bollette da pagare.  

Nel frattempo che si trascina —non ha neanche la voglia di sollevare i piedi— sul divano, porta con sé il sacchetto del panificio, dove giacciono intoccate le sue ciambelle glassate. Entrambe hanno la confettura al cioccolato, proprio come piace a lei: impiega meno di dieci minuti per divorare —e, salitole sulle gambe, Mr. Knuckles la ripulisce dalle briciole. Un perfetto lavoro di squadra.  

È talmente rilassata, ora che il gatto fa le fusa contro il suo ventre e si è saziata, che soppesa seriamente l’idea di fare un pisolino. Del resto deve recuperare le energie perse a causa dell’equivoco di quella mattina, no?  

 

 

Quando Bertolt rientra a casa, vi è il silenzio ad accoglierlo. L’unico movimento nella penombra è una coda sinuosa, poi due iridi azzurre come il cielo estivo che lo scrutano, impassibile.  

«Ciao, Mr. Knuckles» lo saluta e quello ricambia con un miagolio.  

Evita di far rumore, tenendo in alto le buste del ristorante cinese, cosicché il gatto non vi si avventi con le unghie —è ancora un mistero, per lui ed Annie, il motivo che spinga l’animale a disintegrare i sacchetti della spesa— e in punta di piedi raggiunge la cucina, dove abbandona il suo bottino —non prima di aver appoggiato sul tavolo i contenitori col cibo e, soprattutto, di aver consegnato le buste di plastica a Mr. Knuckles, che comincia a dilaniarle.  

«Sei terribile» commenta, dopodiché allunga una mano per accarezzarlo e, per non smentirsi, il gatto gli mordicchia le dita piene di calli.  

«Hai fame? Spero che Annie ti abbia dato da mangiare, stamattina» ora gli fa i grattini in testa e l’animale accetta di buon grado, difatti gli regala dei sommessi prr.  

Solleva l’angolo della bocca in un mezzo sorriso, prima di allontanarsi dal gatto e cercare la ragazza: non che ci voglia molto, dato che la trova rannicchiata sul divano, coi capelli legati in uno chignon arruffato e le palpebre socchiuse. Ha il cellulare premuto contro l’orecchio e mugugna degli impercettibili sì, sì.  

Non la interrompe, però scivola accanto a lei, che sobbalza appena, colta alla sprovvista, e le preme un bacio muto sulla guancia. Annie lo accoglie e allunga un braccio per aggrapparglisi al collo, mentre soffia piano contro la cornetta: 

«Ciao, pa’.» 

Restano così, mogi, con lei che s’incastra a lui in un abbraccio disordinato.  

«Come sta?» le domanda e le scosta i ciuffi crespi dalla fronte per schioccarle un bacio. 

«Tutto bene. Ti saluta.» 

«Hai fatto tardi» gli fa notare Annie, dopo un po’, «che hai fatto?» 

«Ho dovuto sostituire Porco, pomeriggio. Dopo sono passato dal Chinryu» fa una breve pausa, poi aggiunge:  

«Si è rotto un piede.» 

«Chi? Il proprietario?» 

«No,» farfuglia Bertolt, «Porco... Porco si è rotto il piede.» 

La ragazza solleva un sopracciglio, perplessa, e si scosta dall’altro per incrociare le braccia sotto il seno. Bertolt deglutisce, conscio di cosa significhi quello sguardo: infatti la fronte gli s’imperla di piccole gocce di sudore. 

«Ecco, oggi... Stava insegnando una mossa di ju jitsu a Reiner» omette totalmente che, in realtà, i due stessero facendo una gara su chi la eseguisse meglio «e Reiner, umh... Gli è caduto addosso.» 

Il volto di Annie è lapidario, ma ciò che lo fa tremare di paura è la vena bluastra che le pulsa sul collo.  

«E perché non mi avete avvertita?» 

Bertolt potrebbe rispondere in parecchi modi: potrebbe ammettere che non l’ha avvertita di proposito, perché, da quando è diventata proprietaria della palestra, non chiude mai occhio e non ha voluto disturbarla; perché nella foga del momento, il suo pensiero è stato dapprima riorganizzare i turni in modo tale che lei, poi rimproverare Porco e Reiner con tutto il garbo e la rabbia di cui è capace; perché, dato l’ennesimo impiccio causato dal fratello incosciente, Marcel lo ha implorato di non chiamarla, altrimenti il licenziamento sarebbe stato immediato per il Galliard più piccolo. Potrebbe dirle tutte queste cose, eppure decide di tacere. 

A lei tremano pure le labbra dal nervosismo, però non esplode nella collera, anzi, appare tremendamente calma agli occhi di lui. Forse vuole rompere e licenziare anche lui, magari?  

«Hai organizzato il nuovo calendario?» gli chiede gelida all’improvviso, mentre con nonchalance recupera il telecomando della televisione e l’accende. 

«Sì.» 

«Consegnami una copia dei miei, domani.» 

«Veramente... I tuoi non li ho cambiati. Ho raddoppiato i miei, quelli di Marcel e di Reiner.» 

Annie non lo degna di uno sguardo, quando le dà questa notizia. 

«D’accordo. La prossima settimana organizza un colloquio.» 

«Un... colloquio?» 

«Sì. Porco è fuori. Da quando lui, Reiner e Marcel lavorano insieme, non si ha un momento di calma.» 

«Ah.» 

Questo è proprio lo scenario che avrebbe voluto evitare. Si mordicchia il labbro inferiore e distoglie lo sguardo da lei, incapace di sostenere la maschera di ghiaccio che Annie ha indossato. Con quale coraggio gli comunicherà il licenziamento? 

Tramite la coda dell’occhio, la vede pinzarsi la radice del naso tra indice e pollice, scuotere il capo e sospirare. Vedendola in questo modo, per lui è automatico accarezzarle la schiena —anche se è incerto se, quando ritirerà il braccio, la mano sarà ancora attaccata al proprio braccio— e sospira insieme a lei. 

«Non c’è una remota possibilità che abbia sbattuto la testa, vero? Magari se l’è aggiustata.» 

Ridacchia piano, ma nega con la testa, rincuorato da quella punta di ironia. Forse non è del tutto convinta della sua decisione? O forse è solo preoccupata per quella testa calda. 

«Penso che, con la testa che si ritrova, sarebbe... persino capace di scalfire la tua.» 

La ragazza riduce gli occhi a due fessure, scrolla le spalle e si lascia andare contro i cuscini del divano.  

«Sta bene? Gamba a parte.» 

«Be’, se proprio lo vuoi sapere... Marcel l’ha portato al McDonald, dopo che sono usciti dal pronto soccorso.» 

Quando lei si porta le mani sul viso, coprendolo, teme il peggio. Stavolta cerca di sfiorarle il viso con la punta delle dita, tuttavia gli viene sventolata una mano davanti per desistere. 

«Ricordami perché l’ho assunto.» 

«Perché è la seconda migliore cintura nera di ju jitsu brasiliano?» azzarda. 

«Mh. Potrebbe darsi.»  

Dischiude le dita, affinché possa sbirciarvi attraverso, poi, appena sentono un fruscio provenire dalla cucina, entrambi posano gli occhi su Mr. Knuckles, che li fissa annoiato —sbadiglia persino, lo scansafatiche. Zampetta verso la loro direzione, balza sul divano e, dopo che li ha scritti con attenzione, si raggomitola sulle gambe di lui. Annie osserva indispettita l'animale, mentre Bertolt l’attira a sé e la fa accoccolare al proprio petto. 

«Il tuo gatto è uno stronzo» asserisce lei. 

Per tutta risposta, Mr. Knuckles si solleva, si volta, dandole la visione della propria coda, e si struscia contro il maglioncino del ragazzo, che a stento trattiene una risata. 

«È solo diffidente» lo difende, dopodiché alza la mano e si porta l’indice dinanzi le labbra, per farle cenno di stare in silenzio. 

Senza farle spiegazioni, Bertolt allunga un braccio verso di lei e recupera il telecomando, poi alza il volume, mentre si concentra sulla giornalista e sui palloncini rossi che ha alle spalle. 

«… vi auguriamo un buon San Valentino!» conclude la donna nel televisore. 

L’uomo solleva un sopracciglio e si volta verso Annie, con un’espressione a metà tra il preoccupato e il deluso. Lei non dice nulla e alza a sua volta il sopracciglio, in attesa che l’altro la illumini con una spiegazione. 

«Oggi è il quattordici febbraio, Annie» mormora lui, ma lei non pare colpita da quell’affermazione. 

«E quindi?» replica atona. 

«Oggi è San Valentino… non hai sentito?» 

Bertolt si sente così tanto in colpa, che comincia a mordicchiarsi il labbro inferiore —segnale che l’ansia lo sta consumando. Si discosta appena e gesticola, incapace di mantenere una parvenza di calma. 

«Avrei dovuto farti il regalo,» balbetta «ma l’ho dimenticato e… non ho preso nulla. Mi…» 

«Prendi fiato, Bertl. Ho dimenticato anch’io. Non farne un dramma.» 

Annie sembra davvero convinta di ciò che ha detto. La sua espressione è distesa, sebbene non sorrida, eppure gli ha preso una mano e ha intrecciato le dita con le sue. Significa che non è nei guai? 

La ragazza ammicca tramite un cenno del capo alla televisione, dove ora trasmettono una pubblicità in cui spiccano soltanto cuori e tinte rosa. Bertolt deglutisce, ignaro di ciò che ella intenda con quel gesto. 

«San Valentino serve solo a chi vive di apparenze. E ai fiorai» sentenzia lei, che adesso disegna ghirigori astratti sul palmo della sua mano.  

Le è grato per quel gesto in apparenza insignificante, perché è grazie ad esso se riesce a rilassare le spalle e a riprendere fiato. Gli è sembrato di rimanere in apnea fino a questo istante, tanto è stata la tensione percepita. 

«Inoltre, hai già fatto abbastanza per oggi.» 

«Quindi… non sei arrabbiata?» 

«No. Tu, invece?» 

«Cosa?! Certo che no…» esclama il ragazzo, che le intrappola la mano all’interno della sua. 

«Okay» sussurra lei. 

«Okay» le fa eco lui. 

Forse ha ragione Annie, pensa, mentre lei riprende posto accanto a lui, incastrandosi in un altro abbraccio sgangherato, dato che Mr. Knuckles non le permette di assumere una posizione comoda. Non ha bisogno di esprimere il suo amore attraverso gesti esemplari: bastano solo quelli più sentiti. 

«Ah, stavo per dimenticarlo. Domani arriva il corriere» gli annuncia la ragazza e la vede socchiudere gli occhi —gesto rarissimo da parte sua. 

«Hai… ordinato qualcosa?» 

«Sì. Un libro.» 

Bertolt china il capo per scrutarla circospetto e lei, anche se ha abbassato le palpebre, se ne accorge, difatti specifica: 

«Un libro sul giardinaggio.» 

«E a cosa ti serve?» 

«Non è per me. È per te, così smetti di disseminarmi casa con piante morte» sibila, il tono leggermente pregno di risentimento.  

Il ragazzo dapprima sfarfalla le ciglia, sorpreso da quell’informazione, dopodiché si scioglie in una risata lieve, provocata dall’ilarità che gli suscita quell’affermazione, e le arruffa i capelli con baci grezzi. 

Annie ha definitivamente ragione: a loro bastano questi magri gesti per dirsi ti amo senza far rumore. 

 

 


Note dell’autrice 

Come ho già scritto nell’introduzione, questa storia partecipa all'iniziativa Il giorno di San Valentino indetta dal forum La Torre di Carta. L’obiettivo dell’iniziativa era descrivere una giornata di San Valentino diversa, insomma, non qualcosa di maestoso in cui personaggio X fa salti mortali per dichiararsi a Y, o… insomma, che annegasse nei soliti cliché del quattordici febbraio. Sono parecchio presa da altri progetti, quindi ho dedicato poco tempo a questa storiella (e purtroppo si vede), ma spero di non essere uscita fuori pista! Se siete giunti fino a questo punto, vi ringrazio tantissimo!

Vi lascio un caloroso abbraccio,  

Luschek  

   
 
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