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Autore: ChrisAndreini    26/02/2021    2 recensioni
Cinque coppie, cinque cliché, tropes letterari e delle fanfiction ovunque, e un narratore esterno e allo stesso tempo interno che sembra attirare a sé le più assurde coincidenze e situazioni da soap opera.
Un gruppo di amici si ritrova a passare l'anno più movimentato della loro vita guidati dai propositi, dall'amore, e da una matchmaker che non accetta un no come risposta.
Tra relazioni false, scommesse, amici che sono segretamente innamorati da anni, identità segrete e una dose di stalking che non incoraggio a ripetere, seguite le avventure della Corona Crew nella fittizia e decisamente irrealistica città di Harriswood.
Se cercate una storia piena di fluff, di amicizia, amore, e una sana dose di “personaggi che sembra abbiano due prosciutti negli occhi ma che alla fine riescono comunque a risolvere la situazione e ottenere il proprio lieto fine”, allora questa è la storia che fa per voi.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Corona Crew'
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Crescita (attraverso traumi)

 

Venerdì 23 Agosto

-HAI RUBATO UN’AUTO?!-

-HAI BACIATO WILL?!-

-DOVEVO PUR TROVARE UN MODO DI ENTRARE, MATHI!!!-

-HAI BACIATO WILL?!-

-NON SERVE CHE ME LO RICORDI!!! PURTROPPO C’ERO ANCHE IO!!!-

-TU NON DOVEVI ENTRARE!!! HAI CORSO UN RISCHIO ENORME!!!-

-SE FOSSI UN HACKER MIGLIORE NON AVREI DOVUTO FARE QUELLA SCENETTA!-

-NON TI HO MAI CHIESTO DI…-

Erano almeno cinque minuti che Mathi e Denny, urlando come dei pazzi, sfrecciavano per la città senza una vera e propria meta a bordo di un’auto che Mathi aveva “preso in prestito” con le sue straordinarie abilità “magiche”.

Ed era anche la prima volta che Denny poteva finalmente parlare liberamente da quasi venti giorni, quindi stava esprimendo tutte le parole non dette.

Anche se in cima alla lista c’erano moltissime parolacce e frasi disgustate, dato che, santo cielo, quella era stata in assoluto la serata più orrenda della sua vita, tutti i suoi compleanni solitari inclusi. 

Non farò un riassunto dettagliato della serata perché ci sono lettori sensibili, e credo che quasi nessuno voglia leggere troppe scene con Will Hacks, quindi racconterò brevemente dal punto di vista di Denny.

Che non è dei più lucidi, ma ce lo faremo andar bene.

La serata era iniziata… male. Perché anche solo l’idea di rivedere Will… o Fred, come l’aveva chiamato per tutto il tempo, non era proprio allettante. Denny si era chiesto ogni istante, da lunedì, perché diamine avesse deciso di aiutare Mathi, perché l’ansia che provava all’idea di quell’incontro lo stava facendo diventare matto.

Per questo aveva anche insistito per mettere su la trappola il prima possibile, perché altrimenti era sicuro che si sarebbe ritirato, e Mathi non avrebbe fatto nulla per impedirlo.

La trappola era semplice: dire ad alta voce a Max che sarebbe andato in un locale parecchio lontano dall’appartamento di Will (ma non troppo per non scoraggiarlo) e sperare che raggiungesse Denny approfittando del suo morale a terra e del chiaro desiderio espresso ad alta voce di volersi divertire.

E per fortuna (o purtroppo, dipende dai punti di vista) Will aveva abboccato, e pochi minuti dopo l’arrivo di Denny nel locale, era casualmente arrivato anche lui, e aveva immediatamente approcciato il ragazzo commentando di essere felice di vedere una “faccia conosciuta e adorabile”.

Ugh, per poco Denny non aveva vomitato al commento, e si era limitato a sorridere imbarazzato e invitarlo a sedersi con lui.

Anche il piano in generale era parecchio semplice: mentre Denny distraeva Will, Mathi si intrufolava in casa sua per cercare prove.

Una passeggiata, teoricamente, ma Denny aveva visto molti film, quindi era sicuro che sarebbe arrivato un momento in cui ci sarebbe stata una lotta contro al tempo perché Mathi era rimasto chiuso dentro, o Will avrebbe deciso di tornare prima, o qualcosa del genere.

Forse se l’era chiamata, forse era solo sfortunato, ma decisamente Denny non si aspettava che Mathi gli scrivesse un messaggio a metà serata in panico per riferirgli che non c’era modo di entrare in casa senza che Will se ne accorgesse, il suo sistema di sicurezza era troppo avanzato persino per Mathi, e l’unico modo per entrare era che Will stesso invitasse qualcuno.

A quel punto Denny avrebbe dovuto ritirarsi, dire “Eh, vabbè, pensiamo ad un nuovo piano e per il momento io scappo da qui” o ancor più semplicemente “Mi dispiace, ci ho provato, ora vado per la mia strada e tu per la tua, spero non morirai troppo presto”.

Invece aveva avuto la splendida idea di suggerire “MI faccio invitare dentro da lui e cerco in giro”.

Al quale, bisognava dirlo, Mathi aveva risposto con un deciso “Col ca…”

che Denny, siccome era stupido, aveva ignorato.

Quindi diciamo che non poteva prendersela con Mathi per quello che era successo in seguito, ma solo con sé stesso e il suo neonato istinto suicida.

E dalla serie di urla a inizio capitolo potete immaginare cosa fosse successo. Diciamo che Will non sembrava molto intenzionato a far entrare Denny, e sembrava parecchio sospettoso, quindi Denny aveva fatto l’unica cosa che gli sembrava appropriata fare in quel momento per guadagnarsi l’accesso.

E se ne pentiva.

Cavolo se se ne pentiva!

Piccola nota personale: essere gay non significava voler baciare tutti i ragazzi, ma solo Mathi… cioè… solo quelli che ti piacevano.

E Will non rientrava nella categoria di ragazzi che piacevano a Denny, poco ma sicuro.

Ugh, solo a pensarci, a Denny veniva seriamente da vomitare.

Soprattutto perché sentiva ancora in bocca il sapore di menta e nicotina.

Rabbrividì inconsciamente, e strinse di più la presa sui fogli che aveva recuperato dal cestino di nascosto fingendo di andare in bagno.

Era ben felice che Will gli avesse fatto togliere le scarpe una volta entrato in casa, perché almeno si era liberato del problema della cimice.

E poi era scappato dalla finestra del bagno.

Dritto tra le braccia di Mathi, che era rimasto nascosto nei cespugli tutto il tempo, e aveva anche visto tutto.

Ergo… le urla.

-SENTI… senti… smettiamo di urlare, mi fa male la gola- Denny interruppe un lungo sproloquio sulla sicurezza che Mathi stava facendo a voce così alta che nel giro di qualche minuto avrebbe perso la voce permanentemente.

-VA BENE… va bene, hai ragione, scusa. Ma sono nel panico- Mathi accettò la richiesta, e abbassò la voce, continuando a guidare una macchina rubata vicino a casa di Will.

-Lo dici a me?!- ribatté Denny, che era certo di essere ad un passo verso un attacco d’ansia che stava evitando solo grazie ad ulteriore ansia verso altre cose che lo distraevano comunque dall’ansia generale di aver fatto forse il più grosso e rischioso errore della sua vita.

-Cosa hai recuperato?- chiese quindi Mathi, cambiando argomento e indicando il malloppo tra le mani di Denny, che si affrettò a controllare, sperando con tutto il cuore che non si trattasse degli scontrini della spesa, anche se gli erano sembrati pagamenti importanti.

-Allora, ci sono ricevute di pagamenti che provengono da Bastien, da altre persone sconosciute e… un momento, c’è anche il padre di Clover qui- osservò Denny, sorpreso.

-Cosa?!- Mathi fece una sterzata leggermente brusca, dando a vedere la confusione per la notizia.

-Non solo, ci sono anche parecchie foto di Clover. Forse è lui il “detective” che il padre ha assoldato per spiarla- suggerì Denny, notando le varie foto e scuotendo la testa incredulo.

-È peggio di quanto pensassi. C’è altro?- Mathi lo incoraggiò ad andare avanti.

-Un telefono spento, probabilmente l’ha usato per accordarsi. Pensi di poterlo hackerare?- Denny glielo mostrò, Mathi annuì.

-È un prepagato difficile da associare a lui, dovrei controllare eventuali impronte e fare una lunga ricerca- Mathi non sembrava molto convinto, Denny non trattenne un’espressione afflitta.

-MA ci si può lavorare! Sono un sacco di informazioni! Lo beccheremo di sicuro!- provò a rassicurarlo Mathi, alzando la voce di un’ottava e non risultando affatto credibile.

Denny sospirò, e rimise tutto in sicurezza. Aveva indossato i guanti per maneggiare le prove, perciò non rischiava che le sue impronte ci finissero sopra.

Era comunque preoccupato che avvenisse ugualmente, perciò teneva tutto con molta attenzione.

-Dove stiamo andando?- chiese poi, cercando di cambiare discorso e distrarsi da quello che era appena successo.

-Ti riporto a casa, da strade che Will non penserà di percorrere per evitare che ci noti nel caso decidesse di seguirti-

-Ugh…- Denny rabbrividì, pentendosi una volta di più della tremenda idea che aveva avuto.

-Non dovevi rischiare così tanto!- lo rimproverò Mathi, a denti stretti, con mani un po’ tremanti che fecero tremare anche leggermente la macchina e non contribuirono a calmare l’ansia di Denny.

-Se vuoi continuare a rimproverarmi per averti aiutato, accosta e lasciami qui!- esclamò Denny, ormai al limite della sopportazione, con tono davvero acuto.

Aveva rischiato tutto per aiutare Mathi, e sebbene se ne pentisse, si sarebbe aspettato un Mathi un tantino più riconoscente e incoraggiante.

E dopo averglielo fatto notare, si aspettava anche che Mathi avrebbe ingoiato il rospo e avrebbe continuato a guidare senza più parlare, lasciando Denny solo con i suoi pensieri invasivi, ma almeno non facendolo sentire in colpa per aver provato ad aiutarlo, andando anche molto fuori dalla sua comfort zone. Neanche fuori, proprio nello spazio, in un’altra galassia rispetto alla sua comfort zone.

Ma quella era evidentemente la giornata degli eventi inaspettati, perché Mathi lo sorprese nuovamente accostando la macchina in una zona di campagna ai limiti di una distesa d’erba sotto le stelle, e Denny fu convinto, per qualche istante, che gli avrebbe ordinato di scendere e l’avrebbe lasciato lì da solo.

Onestamente, sarebbe stato parecchio traumatico per Denny, e probabilmente non avrebbe superato la notte e sarebbe morto sbranato da qualche animale, qualche gang, o per l’ansia.

Ma Mathi lo sorprese per l’ennesima volta seppellendo il volto tra le braccia poggiate sul volante, e cominciando a singhiozzare.

Considerando che fino a un minuto prima lo stava prendendo a parole per aver baciato Will (Ugh), il cervello di Denny ci mise un minuto buono ad elaborare le nuove informazioni ed agire di conseguenza.

-…Mathi…- sussurrò, posandogli con esitazione una mano sulla spalla.

-Mi dispiace, Dan…- singhiozzò Mathi per tutta risposta, provando senza successo ad asciugarsi le lacrime.

Denny sospirò. Non era colpa di Mathi, niente di tutto quello era colpa di Mathi. Sì, beh, forse l’aver avvicinato Denny nonostante fosse pericoloso era un po’ colpa di Mathi, ma prima di tutto era stato Denny ad avvicinarsi per primo, e seconda cosa, Mathi aveva fatto di tutto per evitare che Denny finisse in mezzo ai problemi, e aveva cercato in tutti i modi di fare ammenda.

Era stato Denny lo stupido che si era messo in pericolo per aiutarlo nonostante lui gli avesse chiesto più volte di non farlo.

E… sì, sarebbe stato facile dare la colpa a Mathi e lavarsene le mani, ma, soprattutto vedendolo così distrutto, ancora pieno di lividi e spaventato, Denny non poteva proprio non prendersi la propria responsabilità.

-È stata una mia scelta- gli fece notare, in un sussurro.

-Perché, Denny? Perché hai scelto deliberatamente di aiutarmi?- Mathi alzò appena la testa dalle braccia, e lanciò al ragazzo un’occhiata confusa, colpevole… adorabile.

E tanto, tanto stanca.

Denny avrebbe voluto avere una buona risposta da dargli, ma onestamente non sapeva neanche lui perché avesse deciso di aiutarlo, o almeno non ne aveva la totale certezza.

Così esitò, ed evitò il suo sguardo, cercando qualcosa da dire, ma mettendoci troppo tempo, perché Mathi seppellì nuovamente il volto tra le braccia, con un sospiro.

-Non ti biasimo che te ne sia pentito, avrei dovuto fermarti con più convinzione, solo…- la voce di Mathi si dissolse prima che finisse la frase, e prese qualche profondo respiro per calmarsi.

Denny non poteva negare né confermare nulla, perché era confuso quanto Mathi, se non di più.

Le ultime settimane erano state piene di enormi cambiamenti, e doveva ancora assestarsi e capire sé stesso. 

Ma allo stesso tempo, aveva anche il profondo desiderio di capire Mathi, e stargli vicino, e rassicurarlo.

E mentre Mathi si calmava, e cercava di far ripartire la macchina per continuare la fuga, Denny lo fermò, prendendogli il polso e attirando la sua attenzione.

-Cosa c’è?- chiese Mathi, sorpreso dal contatto improvviso.

-Posso farti qualche domanda?- chiese Denny in un sussurro così sottile che a malapena si sentì.

-Uh?- e infatti Mathi non lo sentì, e si avvicinò per incoraggiare Denny a ripetere.

Era un gesto che aveva fatto parecchie volte quando erano amici. Si avvicinava per parlare, per ascoltare, o anche solo per sorridergli, arrivandogli a pochi centimetri dal viso con i suoi brillanti occhi vispi.

In quel momento i suoi occhi erano tutt’altro che brillanti, e il sorriso era un lontano ricordo.

La voce di Denny sembrò sbloccarsi.

-Posso farti qualche domanda?- ripetè, a voce più alta, facendolo allontanare leggermente.

Non voleva necessariamente prendere le distanze, aveva solo bisogno di risposte. Non credeva di volerle ricevere, ma sapeva che doveva sapere per chi avesse rischiato tutto quanto.

Chi era davvero Mathi?

Quanto, di ciò che aveva vissuto nei sei mesi in cui era stato il suo migliore amico, era vero? E quanto invece era soltanto una messa in scena?

Doveva saperlo.

Anche se non aveva idea di cosa gli sarebbe piaciuto sentire, e cosa l’avrebbe spaventato ulteriormente.

-…certo… suppongo che meriti di sapere tutto- Mathi prese un respiro per prepararsi, e si mise comodo sul sedile, aspettando le domande. 

Entrambi, era chiaro, temevano molto il risultato di quella chiacchierata.

-Okay…- Denny si preparò mentalmente qualche domanda, mettendo ordine sulle priorità.

-Da quanto sei un agente?- cominciò con la base da cui poi iniziare a tracciare meglio la situazione.

-Tre anni… non sono proprio un agente, non ancora, sono ancora in fase di addestramento. Comincio a settembre- rispose lui, mordendosi il labbro inferiore e cercando di giustificarsi.

-Come sei diventato agente?- Denny era sorpreso. Si aspettava fosse nell’agenzia da più tempo.

Questa volta Mathi esitò un po’. Non sembrava un ricordo felice.

-Will…- rispose infine, in un sussurro -..mi ha notato e mi ha offerto il posto- sembrava molto, molto restio ad ammettere la cosa.

Il cuore di Denny perse un battito.

-Come ti ha notato?- chiese, sperando quasi che non rispondesse, sentendosi… geloso? No, non era il momento di essere gelosi.

Anche se…

Mathi sembrò rendersi conto del fastidio di Denny, perché si affrettò a smentire qualsiasi cosa stesse girando nella sua testa.

-L’ho derubato! Cioè… non proprio… cioè…- arrossì appena -Avevo bisogno di soldi, non trovavo lavoro, e dovevo badare ad Aggie. Quindi andavo in giro rubando i portafogli di persone ricche. Prendevo solo qualche centinaio di dollari, e poi facevo in modo che lo ritrovassero. Sai, per non perdere ricordi importanti, carta d’identità eccetera. L’agenzia mi teneva d’occhio da un po’, ho inavvertitamente derubato Will, e lui mi ha offerto il lavoro. Non è stato  molto chiaro sui dettagli, ma ha promesso parecchi soldi, e non sapevo proprio che altro fare. Soprattutto per Aggie- Mathi spiegò la storia nel dettaglio, e il cuore di Denny iniziò a battere meno forte. Uff, pensava fosse andata molto peggio.

Beh… certo… non è che la vita di Mathi nell’agenzia fosse stata rose e fiori, visti i lividi che aveva ancora addosso, ma comunque almeno non era entrato in modo violento.

-Capisco…- ammise, empatizzando con la sua situazione. Neanche lui aveva mai navigato nell’oro, anche se grazie al cielo aveva Max e suo padre che si prendevano cura di lui. Era praticamente l’Aggie della situazione, e non riusciva neanche ad immaginare quanto pesante potesse essere il fardello sulle spalle dell’…amico? Sì, Denny continuava a definirlo come tale, per il momento.

-Quello che mi hai detto sulla tua famiglia…- cominciò a chiedere, incerto su come porre esattamente la domanda, ma Mathi lo interruppe subito.

-Tutto quello che ti ho detto su di me era vero. Sono orfano, e mi è rimasta solo Aggie- rispose immediatamente, con sguardo triste.

Denny sospirò.

-Mi dispiace- certo, era felice che uno dei momenti più aperti che aveva avuto con Mathi non fosse frutto di bugie, ma sarebbe di certo stato meglio se avesse avuto una famiglia, all’infuri della sorella.

-Da quanto non vedi Aggie?- chiese poi, sinceramente curioso. Magari era anche lei nell’agenzia? No, uno come Mathi non l’avrebbe mai permesso… forse. Magari pensava fosse una cosa tranquilla, all’epoca. Denny non riusciva a pensare se fosse meglio per loro che lavorassero insieme ma in pericolo o che Aggie fosse al sicuro ma lontana da Mathi. 

Non riusciva neanche a pensare di allontanarsi da Max per troppo tempo, chissà come poteva sentirsi Mathi al non avere la sua unica famiglia accanto.

-È una domanda un po’ difficile… ufficialmente non la vedo da tre anni, ho creato un programma che simula una conversazione skype per fingere di parlarle… davvero un’idea stupida- sospirò, torturandosi una ciocca di capelli.

-Non è un’idea stupida, è un modo per stare meglio- Denny provò a rassicurarlo, Mathi accennò un sorrisino.

-L’abbiamo vista entrambi, a dire il vero, al New Malfair Comic & Games- ammise poi, molto incerto.

-Aspetta, cosa?!- Denny non se lo aspettava proprio -Quando? Come? Non mi sono proprio reso conto! Non ti hanno scoperto? Potevi farlo? Perché non me l’hai… capisco perché tu non me l’abbia presentata ufficialmente ma…- iniziò a chiedere, dimenticandosi per un attimo della situazione e sinceramente incuriosito sulla questione attuale. Cercava di ricordare se avesse visto un volto simile a quello di Mathi, ma… un momento…

-Trucy!- dissero insieme, Mathi in tono di spiegazione, Denny ormai arrivato alla consapevolezza.

Sorrisero entrambi imbarazzati per essersi parlati sopra.

-Sì, quella ragazzina era mia sorella, ma non mi ha riconosciuto, dato che ero vestito da Klavier- spiegò Mathi, più esaustivo.

-Ecco perché hai cambiato così radicalmente accento e voce…- osservò Denny, rimettendo insieme i pezzi.

-…e perché ho avuto un attacco di panico, sì. Beh, non ho avuto l’attacco per l’averla vista, non solo, ma anche perché stava rubando in giro e credevo… io credevo davvero di darle abbastanza. Non volevo che prendesse la stessa via che avevo preso io- Mathi raccontò ancora di più, sfogando la sua sofferenza. Non avrebbe dovuto farlo, probabilmente, ma Denny fu felice di accogliere la sua preoccupazione.

E non fece commenti sul fatto che si era ricordato di aver perso il portafogli dopo l’attacco di panico e che Mathi glielo aveva restituito. Non gli andava di giudicare la famiglia Yagami per le loro scelte di vita, quando era chiaro che non avessero molte scelte.

Mentre lasciava che si sfogasse e pensava alla domanda successiva, gli prese inconsciamente la mano, e Mathi gliela strinse con forza, calmandosi lentamente.

-Hai altre domande?- chiese dopo un po’, tornando alla situazione.

-Come ti chiami?- chiese Denny, consapevole che forse Mathi poteva esimersi dal rispondergli, ma davvero desideroso di conoscere il suo vero nome.

Mathi esitò un attimo, ma cedette quasi subito.

-Matthew Yamamoto. Sì, sono pessimo a scegliere gli alias, ma pensavo di stare solo un anno, e volevo sentirmi il più vicino possibile alla mia vera vita. E poi… dai, troppo bello il cognome Yagami, con la battuta al contrario- rivelò, un po’ imbarazzato.

-Matthew…- ripetè Denny, sottovoce, cercando di imprimere nella sua mente la nuova informazione. Non era molto diverso da Mathias, e poteva comunque chiamarlo ancora Mathi (non come Veronika che aveva tre nomi ed era un casino ricordarli), ma voleva comunque sentire come suonasse.

Sentendo pronunciare il suo vero nome dalla sottile ma musicale voce di Denny, il cuore di Mathi perse un battito, e cercò invano di non arrossire.

-Altre domande?- chiese, cercando di non pensare ai suoi sentimenti che si facevano sempre più forti mano a mano che la conversazione toccava le corde più intime del suo cuore.

-Un’ultima domanda… quello che c’era tra noi…- Denny alzò la testa, e con il cuore a mille guardò Mathi dritto negli occhi -…era reale?- pose quindi il quesito che più gli premeva fare dal momento in cui aveva sentito la confessione da dietro la porta.

Voleva credere, con tutto il cuore, che lo fosse. Ma aveva paura, aveva davvero paura che le orribili parole che gli aveva sentito pronunciare fossero reali.

-Dan…- il nomignolo che Mathi, solo Mathi, usava sempre per lui, fece aumentare esponenzialmente il battito del cuore del ragazzo -…tu sei l’unica cosa reale nella mia vita da tre anni a questa parte- rivelò quindi, con sicurezza, stringendogli forte la mano e guardandolo dritto negli occhi, senza lasciare alcun spazio per interpretazioni sbagliate.

E Denny non aveva la più pallida idea di come reagire a quella risposta.

Doveva baciarlo? Doveva scappare? Doveva fare qualche altra domanda? O restare in silenzio e aspettare che fosse Mathi a fare il primo passo? Dubitava l’avrebbe fatto, ma non poteva permettersi di rischiare qualcosa.

Non sapeva cosa fosse più giusto fare o non fare, non riusciva a scindere bene i propri sentimenti, e col senno di poi forse sarebbe stato meglio se fosse stato tutto finto, almeno Denny non avrebbe dovuto farsi un vero esame di coscienza.

Con l’ansia sempre più galoppante e un nodo nel petto che si stringeva sempre più forte, Denny lasciò la mano di Mathi, uscì dall’auto, e corse verso la radura erbosa, senza neanche sapere cosa stesse facendo ma con il disperato bisogno di prendere un po’ d’aria fresca.

Si sedette a terra (o per meglio dire, si buttò) prendendo profondi respiri nel tentativo di calmare il battito accelerato del suo cuore.

Aveva solo avuto conferma di qualcosa che già sospettava, perché aveva reagito così?! Non lo sapeva neanche lui. Non sapeva più niente a dire il vero, solo che Mathi era reale, era in pericolo, e probabilmente lo amava tanto quanto Denny amava lui.

Santo cielo, il solo pensiero era terrificante!!

-Dan, cinque cose che puoi vedere…- sentì una voce allarmata raggiungerlo e suggerirgli un buon metodo per calmarsi.

Funzionava sempre, doveva provarlo, anche se la luce non era molta e non riusciva a vedere bene i dintorni.

-L’erba, il cielo, la luna, le mie mani… tu- dopo una veloce occhiata in giro, Denny si voltò verso Mathi, che l’aveva raggiunto ed era a pochi centimetri di distanza, pronto a dargli supporto ma cercando di non invadere il suo spazio vitale.

-Quattro cose che puoi toccare…- continuò incoraggiante, con un timido sorriso.

-L’erba, i vestiti… l’aria?- non è che stesse toccando molte cose, Denny mise una mano sul petto di Mathi, e avvertì il battito del suo cuore, molto veloce ma allo stesso tempo rilassante -…il tuo petto- aggiunse quindi, abbassando la voce e avvicinandosi.

-Tre cose che puoi sentire…- anche la voce di Mathi si fece più sottile. I suoi occhi erano fissi in quelli di Denny.

Il ragazzo si sentiva già più tranquillo, ma il cuore continuava a battere furiosamente, e decise di continuare il suo metodo per gli attacchi di ansia.

-I grilli… il tuo cuore...- si avvicinò di più a Mathi -…il tuo respiro- entrambi i respiri in realtà, che si mischiavano tra loro ora che i loro volti erano a pochi centimetri dal toccarsi.

-D_due cose che puoi odorare- Mathi sembrava leggermente in difficoltà, ma continuò imperterrito la sua missione per far sentire meglio Denny, come Denny aveva fatto per lui a New Malfair.

Come aveva potuto Denny pensare di non aiutare una persona tanto attenta e meravigliosa? Come poteva pentirsi di averla aiutata? Mathi era in assoluto il ragazzo più incredibile che Denny avesse mai conosciuto… e suo fratello era Max Sleefing, era abituato a ragazzi grandiosi.

Ma nessuno avrebbe mai battuto Mathi, capace di agitarlo completamente e farlo sentire a suo agio allo stesso tempo. Tra le sue braccia si sentiva vivo e al sicuro, come avvolto in una calda coperta.

-L’erba… il tuo profumo- ormai non c’era più il panico, non c’era più l’ansia, c’era solo ed esclusivamente Mathi.

-Cosa puoi gustare?- l’ultima frase di Mathi era così bassa che Denny non la sentì nemmeno, ma la percepì nello spostamento d’aria sulle sue labbra.

In bocca aveva ancora un vago sapore di menta e nicotina, ed era l’ultima cosa su cui Denny voleva concentrarsi al momento.

Eliminò senza esitazioni la distanza tra lui e Mathi, e gli diede un fugace bacio sulle labbra, chiudendo gli occhi e piegando la testa per evitare che i loro nasi si scontrassero.

Era il secondo (diciamo terzo, se separiamo i due baci del primo luglio) bacio che dava nella sua vita, ma non pensò a cercare di renderlo buono, o a farsi problemi per quanto fosse decisamente inesperto.

Pensò solo a Mathi, cercando di riempirsi la bocca di lui, per dimenticare ogni problema di quella serata, nascondere ogni dubbio riguardo all’intera situazione.

Erano due ragazzi, di notte, in una strada abbandonata, che si amavano. Non esistevano regole, leggi o conseguenze.

E dopo un’esitazione iniziale di un Mathi confuso e chiaramente incerto, la determinazione di Denny ebbe la meglio, e il ragazzo cedette e ricambiò il bacio, che con la sua esperienza divenne mille volte più emozionante.

Denny gli cinse il collo con le braccia e gli si avvicinò fino a stargli quasi seduto sopra, abbandonandosi completamente ai sentimenti che aveva represso per mesi, e rendendosi sempre più conto che era dal primo momento in cui aveva visto Mathi che voleva trovarsi in quella situazione con lui.

Va bene, magari non proprio il primo momento, ma sicuramente dopo l’appuntamento finto si era preso una cotta. E come avrebbe potuto non farlo?! Mathi era meraviglioso.

-D_Dan…- il ragazzo approfittò della breve pausa presa per respirare per staccarsi abbastanza da chiedere chiarimenti e guardare Denny negli occhi. Sembrava costargli davvero tanto allontanarsi da lui, ma si impose di farlo. Non voleva approfittare della debolezza di Denny per imporsi come temeva di stare facendo.

Ma quella era proprio la notte degli eventi inaspettati, perché Denny non lo lasciò allontanare molto, lo guardò dritto negli occhi con una sicurezza che non aveva mai mostrato, e gli sussurrò, ancora con il fiato sulle sue labbra.

-Sono gay- 

Fino a poco tempo fa Mathi aveva temuto che un giorno arrivasse quel momento, dato che la confermata omosessualità di Denny l’avrebbe portato troppo vicino a lui rischiando di metterlo in pericolo, ma ormai l’aveva messo in pericolo, l’aveva visto bac… ugh, quella cosa con Will, e onestamente non aveva più niente da temere.

Eppure, quando sentì la confessione, rimase per qualche secondo di ghiaccio, prima che il suo cuore iniziasse a battere così forte nel petto che temette di spaccarsi qualche costola nell’impatto.

-Uh…- non sapeva che dire, fare o pensare. Non trovava proprio le parole.

-Che c’è, sei deluso per caso?- Denny si allontanò maggiormente, e lo guardò con sopracciglia inarcate, deluso, ansioso e offeso al tempo stesso.

Mathi non aveva parole da dirgli, non credeva proprio di riuscire a spiccicarne alcuna, quindi si limitò a rassicurarlo a gesti, ovvero prendendogli il volto tra le mani e baciandolo nuovamente.

Era una cattiva idea? Sì.

Se ne sarebbe pentito? Assolutamente sì.

Riusciva a trattenersi ora che sapeva che il ragazzo di cui era follemente innamorato era omosessuale e probabilmente ricambiava in parte il suo affetto? Decisamente no!

Perciò continuò a baciarlo, prontamente ricambiato da Denny, e probabilmente sarebbe rimasto lì tutta la notte (o tutta la vita), se una vocina assillante nella testa non lo avesse richiamato all’ordine ricordandogli che erano in fuga, avevano appena derubato il suo capo e un povero tipo che aveva la sfortuna di essere il suo vicino di casa, e doveva riportare Denny a casa prima che Max si preoccupasse.

Così, con molta, molta sofferenza, allontanò nuovamente Denny.

-Dovrei riaccompagnarti a casa- gli sussurrò, senza fiato.

Denny mugugnò infastidito, ma comprese il punto di vista di Mathi, e si allontanò, con le guance paonazze, il cuore che ormai batteva così forte da risultare fermo, e il corpo scosso da brividi.

Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non trovava la voce, così si limitò a ritornare in auto e restare in silenzio per il resto del viaggio di ritorno.

Una volta davanti alla porta, però, esitò prima di uscire dall’auto, e si voltò verso Mathi, con sguardo deciso.

-Non mi pento di averti aiutato- decise, sul momento. Fino a poco prima si era pentito di tutto, ma dopo aver sentito la versione di Mathi, dopo il bacio, dopo tutto quanto, aveva capito che non avrebbe potuto fare altrimenti. Mathi meritava il suo aiuto. E Denny era felice di aver fatto tutto il possibile per lui.

Solo che…

-Ti prego fa che non sia invano- gli supplicò, consegnandogli le prove trovate.

Mathi gli sorrise, anche se non era il bellissimo sorriso che Denny amava, e mise le prove nella borsa, attento a non lasciare impronte.

-Farò il massimo- promise, sollevando una mano per accarezzargli la guancia, incapace di trattenersi.

Denny si abbandonò al suo tocco, chiudendo gli occhi e mettendo la propria mano su quella di Mathi. Era come un cagnolino in cerca di coccole.

-Ti amo- sentì Mathi sussurrare, e Denny aprì di scatto gli occhi, guardando l’amico sorpreso e chiedendosi se forse aveva capito male.

-Mathi…- provò a chiedere conferma, con il cuore a mille più di prima, ma il ragazzo si limitò a ritirare di scatto la mano, arrossire, e girarsi in modo che Denny non notasse quanto era arrossito.

-Dovresti rientrare, Max sarà preoccupato, è tardi- chiuse il discorso, con difficoltà.

Denny avrebbe voluto insistere, ma non sapeva cosa dire, né se sarebbe riuscito a ricambiare.

Credeva di amare Mathi, ma non era del tutto certo, e poi c’erano troppe cose ancora in gioco, e la sua mente era confusa.

Quindi si limitò ad aprire la portiera, ma esitò un attimo, prima di uscire.

-Buonanotte, Matthew- lo salutò, dandogli un fugace bacio sulla fronte, e poi scappando via, e avviandosi in casa.

Mathi si assicurò che rientrasse sano e salvo prima di ripartire, deciso a restituire l’auto prima che il proprietario si accorgesse che era sparita, e sperando davvero che ora che Denny era a casa, senza le scarpe microfonate, fosse al sicuro.

Non aveva fatto i conti con Max, che in quel periodo era facilmente irritabile.

-Dove sei stato?! Ti sembra l’ora di rientrare?! Dove sono le tue scarpe?! Cosa hai fatto?!- lo accolse nel momento stesso in cui Denny fece il primo passo in casa, iniziando a scuoterlo per le spalle e facendogli rimpiangere Will.

Okay… no, non era così disperato.

Will era il peggio del peggio che gli era capitato nella vita, probabilmente.

-È una lunga e avvincente storia- rispose, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.

-Senti, capisco che tu voglia fare esperienza, ma ti prego, avvertimi! Iniziavo davvero a preoccuparmi- Max lo lasciò e cercò di calmarsi, ma era chiaramente agitato.

-Niente serata film oggi?- Denny provò a cambiare argomento, ma scelse quello peggiore.

-No, tu non ci sei, sono ancora arrabbiato con Amabelle, sono ovviamente super single e Clover continua ad isolarsi!- Max sembrò solo irritarsi maggiormente, e Denny iniziò a pensare a come poteva essere la vita nell’aldilà.

Certo, si aspettava che se fosse morto a breve sarebbe stato a causa di Will o dell’agenzia, non ucciso da suo fratello, ma quella era la giornata degli eventi inaspettati, dopotutto.

-Mi dispiace, hai provato a parlare con Clover?- chiese, consapevole di starsi scavando maggiormente la fossa.

Ma almeno stava riuscendo a distrarre Max dall’argomento principale.

Infatti il fratello iniziò a fare avanti e indietro per la stanza, irritato.

-Pensi davvero che non ci abbia provato?! L’ho chiamata un paio di volte negli ultimi tre, quattro…- si interruppe -…no, non ci ho provato abbastanza- ammise poi, colto da un’improvvisa consapevolezza.

Si abbandonò sul divano, sbuffando.

-Sono un pessimo amico- si autocommiserò, cambiando completamente atteggiamento, e sorprendendo Denny più che se l’avesse ucciso.

-No, non è vero. Non è colpa tua se Clover si isola- provò a rassicurarlo, anche se non sapeva assolutamente cosa dire.

In sua difesa, aveva passato una serata parecchio movimentata, aveva baciato due ragazzi nel giro di meno di un’ora e aveva anche ricevuto, forse, una confessione d’amore. Aveva la mente troppo presa per preoccuparsi anche di suo fratello e di Clover.

-Ci credo che nessuno mi dice niente, non riesco ad aiutare nessuno! Clover si isola, tu vai in giro per locali a fare chissà cosa, e non riesco a…- Max continuò a commiserarsi, ma Denny lo fermò subito.

-Max, sei sconvolto anche tu, hai scoperto che il tuo ragazzo è una principessa. È Clover che dovrebbe venire da te a consolarti-

-Sì, ma Clover ha mollato Diego, anche lei sta giù- Max prese le difese della migliore amica dimostrando di essere effettivamente un buon amico, e Denny sospirò.

-Credo che il tuo problema sia più grave- osservò, mite -E comunque, se ci tieni tanto, parlale, raggiungila in prima persona e chiarite. Magari domani- suggerì, diventando per la prima volta nella sua vita la voce della ragione. Era un compito strano che non gli si addiceva particolarmente. Sperò che Max tornò a ricoprirlo il prima possibile.

-Forse hai ragione- il fratello sospirò, e lo guardò grato, per poi rendersi conto di qualcosa, e tornare sul piede di guerra.

-Un momento, hai cambiato discorso! Dove sei stato?!- tornò ad indagare, alzando leggermente la voce.

-Uh… bar- rispose, sperando che il fratello non indagasse.

Non indagò particolarmente… in realtà non lo fece parlare, perché passò la mezzora successiva a fargli una infinita predica sull’essere più cauto, uscire accompagnato, non tornare così tardi, eccetera.

Almeno contribuì a distrarlo dalla stranissima serata appena trascorsa, anche se mentre ascoltava cose ovvie che fino a un mese prima seguiva alla lettera come la bibbia, iniziò a distrarsi, e pensò a Mathi, a Veronika, e infine anche a Clover.

Effettivamente ultimamente era molto isolata, chissà come stava.

 

Sabato 24 Agosto

Clover non stava bene.

Decisamente no!

Anzi, si poteva con assoluta certezza affermare che era da parecchio che non stava così male, e di solito, quando Clover stava male, ci si doveva preparare ai guai.

Guai belli grossi. 

Non necessariamente per lei, in realtà, quanto per coloro che la circondavano, dato che andava in cerca di risse come un segugio anti-droga.

E al momento era impegnata in uno scontro evitabile con un poco di buono che aveva tentato di drogare il drink di una ragazza al bar.

Bisognava ammettere che sceglieva bene le sue battaglie, ma questo non giustifica il suo comportamento, dato che in quei casi era buona norma chiamare la polizia, non mettersi a picchiare il criminale.

-Clover, basta, ha capito la lezione- una voce fin troppo conosciuta, preoccupata ma allo stesso tempo calma la fermò dal continuare ad infierire sull’uomo già a terra, e sorprese Clover non poco.

-Max?! Che ci fai qui?- chiese sorpresa, girandosi di scatto verso di lui e individuandolo in mezzo alla folla di gente intenta ad assistere e piazzare scommesse.

Incontrò uno sguardo sorpreso e leggermente spaventato, che non le piacque per niente, e fu come una secchiata di acqua fredda addosso.

Max non l’aveva mai vista così.

E solo guardando la sua espressione Clover si rese conto del tutto di quanto fosse effettivamente sbagliato il proprio comportamento.

Lo vide avvicinarsi per parlare, ma intuì già cosa aveva intenzione di dirle, così si chiuse a riccio, gli diede le spalle, e andò via, scappando ancora una volta da una situazione che non voleva in nessun modo affrontare.

Un comportamento poco maturo, lo ammetteva (tra sé e sé), ma era fatta così, e nonostante avesse abbastanza soldi per una terapia con uno psicologo (e ne aveva sicuramente bisogno) al momento preferiva sfogare la sua frustrazione agendo come vigilante cittadino.

Dai, era comunque un modo costruttivo.

-Aspetta, Clover!- Max però sembrava deciso a parlarle, e provò a raggiungerla.

Clover affrettò il passo.

-Clover!- Max si mise a correre.

Clover corse a sua volta.

-Voglio solo parlare, non ti giudico!- si affrettò a specificare Max, che sapeva in partenza che non avrebbe mai potuto vincere una gara di corsa contro Clover.

Clover smise di correre e procedette a passo sostenuto, facendosi raggiungere.

Dopo qualche secondo di camminata in sincrono, Max esordì.

-Stai bene?- chiese, titubante.

Clover gli lanciò un’occhiata eloquente.

-Alla grande- rispose, sapendo perfettamente di mentire -Non hai visto quanto sto in forma?- mostrò il muscolo, con convinzione.

Max non era bravo a capire le bugie, ma quella era troppo palese persino per lui.

-Ieri hai perso la serata film… e anche la settimana scorsa- la informò Max, senza sapere bene come introdurre l’argomento che voleva chiaramente introdurre.

-Su, Max… nessuno dei due era dell’umore. Anche tu avevi bisogno di stare da solo- Clover cercò di scoraggiare qualsiasi conversazione riguardo il suo isolarsi, e rigirò la frittata dando la responsabilità a Max.

-Ti sbagli, Clover, io avevo bisogno di te- lui però scosse la testa, schivando il guilt trip che Clover gli stava gettando contro inconsapevolmente.

Era la prima volta che esternava con tale chiarezza la propria visione, e Clover fu presa in contropiede.

Non sapeva come rispondere, quindi Max continuò a parlare.

-E penso che anche tu hai bisogno di me, o comunque di qualcuno con cui parlare- suggerì.

Aveva ragione, decisamente.

Clover però era testarda.

-Preferisco andare per bar a cercare tipi con le tasche piene di GHB e menarli- evitò il confronto, guardandosi le unghie con aria sbruffona.

Max sospirò.

-Clover, non è un comportamento da te…- le fece notare, in un sussurro.

E colpì nel segno più di quanto pensasse, perché la ragazza si irrigidì.

-A dire il vero è un comportamento molto da me. Anzi, facciamo le presentazioni. Sono la vera Clover, piacere!- irritata, Clover prese la mano di Max e simulò una stretta di mano.

Max ritirò la mano quasi immediatamente.

-Senti, puoi fare queste recite con chiunque nella Corona Crew, ma non con me. Io ti conosco, siamo migliori amici da dieci anni. E mi dispiace di non averti raggiunto prima, ma voglio aiutarti, Clover. Mi hai detto pochissimo riguardo a Diego e…- Max provò ad avvicinarsi a Clover.

Senza giudicarla, o colpevolizzarla, o farla ragionare. Semplicemente mettendosi a disposizione e provando a convincerla a parlarle.

Era davvero un ottimo amico, che Clover sapeva perfettamente di non meritare, così come non meritava Diego, come non meritava i Flores, come non meritava amici o una famiglia decente.

Max si stava davvero scusando per non averla raggiunta dopo quello che gli era successo, per niente comparabile a ciò che era successo a lei?! Quando Clover non aveva fatto sforzi per avvicinarsi a lui nonostante sapesse benissimo quanto stava male?!

Scosse la testa.

-Max, non…- lo interruppe, senza però sapere esattamente cosa dire “Non parlare”? “Non aiutarmi”? “Non essere mio amico perché non ti merito”? -…non scusarti- concluse infine, abbandonandosi all’idea di avere il migliore e più immeritato amico del mondo che non credeva proprio di riuscire ad allontanare ulteriormente.

Si era spezzata il cuore abbastanza con Diego.

E Max era stato il suo raggio di sole quando nel suo mondo c’erano solo nuvole.

L’aveva avvicinata nel momento peggiore della sua vita, era sempre stato lì per lei. E Clover non aveva fatto altrettanto, troppo presa dalla sua soap opera.

-Tu come stai?- chiese, cercando di fare ammenda, almeno in parte, per il suo essere stata una pessima amica.

Max sembrò davvero sorpreso della domanda.

-Bene- rispose immediatamente -Bene, davvero. Non sono arrabbiato, e ho elaborato. Sto andando avanti senza problemi- rassicurò Clover, cercando di surclassare la questione per tornare a lei.

Clover si fermò, e lo guardò con un sopracciglio inarcato.

Dopo qualche passo, anche Max si fermò, confuso dall’improvvisa immobilità.

-Max, ho una proposta da farti- dopo qualche secondo di silenzio e riflessione, Clover si avvicinò a Max, che annuì leggermente, incoraggiandola a continuare ma un po’ preoccupato da cosa avrebbe potuto proporre.

-Andiamo al lido?- chiese poi lei, indicando un punto all’orizzonte da loro ben conosciuto.

Max sgranò gli occhi, non si aspettava una proposta del genere, ed esitò prima di rispondere.

-Beh… se mi parlerai di cosa ti turba… va bene- acconsentì infine, con qualche dubbio, ma fondamentalmente incoraggiante.

-Se non ce la fai ti porto in braccio per qualche chilometro- lo prese in giro Clover, di umore migliore.

-Non è che non ce la faccio, ma… quanti anni sono che non andiamo al lido?- chiese Max, scuotendo la testa e cercando di ricordare.

-Beh, l’ultima volta è stato l’ultimo anno di liceo- gli fece presente Clover, sorridendo appena tra sé.

-Cavolo, sembra passata una vita- ammise Max, pensieroso.

-Già- Clover gli diede man forte. L’ultimo anno, specialmente sembrava durare tantissimo. Se fosse stato un libro ci avrebbero fatto più di 900 pagine.

“Andare al lido” era un codice che Clover e Max avevano sviluppato i primi anni della loro amicizia, quando erano ancora al liceo.

Clover in quel periodo si rifiutava categoricamente di salire nei mezzi di trasporto, quindi andava sempre a piedi ovunque, al massimo in bici, per distanze troppo lunghe. 

I venti chilometri che separavano Harriswood dal lido marittimo più vicino non erano una distanza troppo lunga, per lei. Così, quando dopo un’uscita al bar con alcuni compagni di liceo, questi avevano proposto di andare in macchina fino al lido e continuare la festa lì, Clover aveva rifiutato e si era messa a camminare.

Ovviamente tutti i compagni avevano cercato di convincerla a desistere e fare “la persona normale” dato che “solo perché sei stata in ospedale metà anno non pensare che ora stiamo ad aspettare te”.

L’unica critica che aveva un certo senso era stata quella di una sua compagna più gentile che aveva osservato che “camminare da sola può essere rischioso di notte”. 

Ma Clover aveva ignorato tutti, ed era stata in procinto di andare direttamente a casa fregandosene della serata.

Poi Max era sceso dall’auto, l’aveva affiancata, e si era proposto di accompagnarla.

Almeno sarebbero stati in due ad affrontare quell’avventura.

All’epoca non erano ancora così uniti da considerarsi migliori amici, ma dopo le quattro ore di camminata, con Max che era stato in procinto di mollare parecchie volte ma aveva tenuto duro per lei, e Clover che aveva rischiato un calo di zuccheri dato che all’epoca era parecchio sottopeso, erano ufficialmente diventati uniti come Clover non si sarebbe mai aspettata.

Ovviamente quando erano giunti in spiaggia era già l’alba, i loro amici se n’erano andati, e i due non avrebbero mai potuto affrontare un’altra camminata per ritornare, almeno non Max, quindi avevano passato la notte sulla sabbia ed erano stati cacciati la mattina dopo dal proprietario del lido, che aveva minacciato di chiamare la polizia.

Era stato memorabile.

E da quel giorno, ogni volta che i due avevano bisogno di parlare, riaffermare la loro amicizia, o semplicemente volevano fare una lunga passeggiata dopo una serata rocambolesca, decidevano di “andare al lido”.

E ogni volta si rivelava un’avventura.

-Allora, Clover… cosa è successo con Diego?- questa volta probabilmente sarebbe stata un’avventura più noiosa e pesante.

-Dobbiamo necessariamente parlarne?- chiese Clover, che nutriva ancora la lieve speranza di riuscire ad evitare di aprire il suo cuore e confessare i propri ovvi problemi.

-Abbiamo tre ore e mezza di camminata davanti a noi, dovremo pur parlare di qualcosa- le fece notare Max. Clover sapeva che aveva ragione, e che una parte di lei aveva proposto di andare al lido per aprirsi, ma aveva tre ore per resistere e poi crollare inesorabilmente.

Rigirò la domanda.

-Allora, Max… cosa è successo con Veronika?- chiese, con lo stesso tono dell’amico.

Max sospirò, rassegnato fin da subito a parlarne.

Era chiaro che la sua esitazione di prima era dovuta alla consapevolezza che avrebbero finito per toccare quell’argomento, che voleva evitare come la peste.

-Senti, Clover, non stavo mentendo. Con Veronika ho risolto: abbiamo parlato, ci siamo lasciati civilmente, io capisco il suo punto di vista, e non sono arrabbiato con lei- mise le cose in chiaro in tono categorico, ma era la seconda volta che sottolineava di non essere arrabbiato con lei, e Clover era troppo abile ad individuare bugie per lasciarsi sfuggire quell’evidente segnale.

-Max, dato che stiamo andando al lido, evitiamo magari di prenderci in giro- gli chiese, incrociando le braccia per fargli capire che non poteva fregarla.

Ma Max sembrava convinto di quello che diceva.

-No, sul serio. Sto bene, è solo una normale rottura di routine, un po’ più spettacolare, e non è dipesa minimamente né da me né da lui… lei… ma in ogni caso non c’è nulla che io possa fare per risolvere la situazione, perché dovrei arrabbiarmi?- lui alzò le spalle, ovvio.

-Senti, Max, io sono la persona più rabbiosa dell’intero universo, probabilmente- ammise Clover, pronta a fare un discorso serio.

Max non obiettò.

Clover aspettò qualche secondo, e gli tirò un pugnetto sul braccio.

-Puoi almeno fingere che non sia così- si lamentò, dando prova di essere effettivamente rabbiosa.

-Scopriresti la mia bugia- si giustificò Max, facendo ridacchiare entrambi e distendendo gli animi.

-In effetti… comunque, sono la persona più rabbiosa dell’universo, e so una o due cosette sulla rabbia. Una di queste è che è irrazionale, quindi non importa quanto tu possa convincerti di non essere arrabbiato, non importa quanto razionalizzerai nella tua testa quello che è successo con Veronika… tu sei arrabbiato. E il vero modo per sfogare la tua rabbia è innanzitutto riconoscerla- gli consigliò.

Max strinse i denti.

-Parole forti dette da te- la provocò, mettendosi sulla difensiva e dandole ragione con il suo comportamento.

-Sì, sono un pessimo esempio da seguire, ma proprio per questo riconosco i miei errori negli altri- insistette Clover.

Ci fu qualche minuto di silenzio, mentre camminavano, poi Max riprese la parola.

-Non voglio essere arrabbiato con Veronika- ammise infine -Ma sono così… deluso, e triste, e… sono proprio arrabbiato, vero?- chiese a Clover, che annuì.

-E, nel mio parere, hai tutto il diritto di esserlo. A prescindere dai motivi per cui ha fatto quello che ha fatto… ti ha mentito, e ingannato. E non sono la persona migliore per valutare la situazione, dato che il mio primo istinto per qualsiasi cosa è scappare, ma penso che ciò che più ti manca, e che ti fa arrabbiare, è una vera e propria spiegazione, o sbaglio?- indagò, cercando però soprattutto di far indagare Max al riguardo.

-Io… avrei voluto che me lo dicesse lei. Se me l’avesse detto lei, se ne avessimo parlato… non so come avrei reagito, ma sono certo che non mi sarei arrabbiato così. E non saprò mai come sarebbe potuta andare. Non che io prenda in considerazione l’idea di diventare un principe o qualcosa del genere…- Max era davvero turbato da tutta la situazione, più di quanto non desse a vedere anche a sé stesso.

-Perché no? Saresti un bravo re, secondo me- gli suggerì Clover.

-Non funziona così, Clover. Non è che io potrei mai essere un principe solo perché sono innamorato della principessa- obiettò Max, categorico.

Clover lo osservò con attenzione, in silenzio per qualche secondo.

-Ti aspetti che sia lei a rinunciare, vero?- chiese poi, facendo fermare Max, e centrando il nocciolo nascosto della situazione.

-Cosa?! Certo che no! Non potrei mai chiederle una cosa del genere! Per questo è meglio lasciarsi invece di cercare una soluzione che non esiste- si affrettò ad obiettare.

-Quindi la stai lasciando perché lei ha scelto la corona invece di stare con te- riassunse Clover, iniziando a punzecchiare la ferita aperta. Non per crudeltà, ma per far rendere conto a Max di quello che vedeva lei.

-No! Cioè… pensi davvero che io sia così infantile da aspettarmi che una principessa rinunci al suo regno, e alle sue responsabilità, solo per stare con me? Un uomo che conosce da meno di un anno? Non sono così egoista. Lo so benissimo che non rinuncerebbe mai al suo regno per me!- insistette Max.

Clover lo incoraggiò a continuare a camminare, e lui eseguì, mantenendo però una certa distanza.

-Oh, lo so che lo sai. Ma ritorniamo in terreno di pensiero inconscio: sono pronta a scommettere quello che vuoi che una parte di te si aspetta che lei rinunci a tutto per te, come ha fatto tua madre per…- Clover provò a concludere l’analisi, ma Max la interruppe.

-Basta, Clover. Ti prego, basta- il suo tono non era arrabbiato o seccato, ma supplicante, in difficoltà, e sebbene Clover volesse insistere per aiutare meglio l’amico, non era una psicologa, e non l’avrebbe mai costretto a parlare di qualcosa che lo metteva in quello stato.

Sperava che il seme che aveva piantato germogliasse e gli facesse capire i suoi ostacoli, in modo da superarli al meglio.

-Va bene, Max- mise le mani avanti, continuando a camminare.

E dopo alcuni minuti di silenzio, fu lei ad interromperlo.

-Tocca a me, vero?- chiese verso Max, che era chiaramente intento a cercare un modo di tirare fuori l’argomento senza farla arrabbiare.

-Se vuoi- Max fece capire che, a differenza di Clover, lui non avrebbe insistito troppo, e la ragazza sorrise tra sé per la chiara provocazione mascherata da gesto gentile.

-Beh, da dove cominciare…- e si rassegnò ad aprire il suo cuore e ammettere le sue mancanze.

Ho già riempito due lunghi paragrafi con i pensieri di Clover riguardo Diego e i Flores, e spero di aver fatto un buon lavoro sulla sua psicologia.

Beh, dubito che ripetendo ciò che ho già scritto potrei fare un lavoro migliore e non risultare ripetitiva, quindi immaginatevi che tutti i pensieri, dubbi e incertezze di Clover siano stati rivelati a Max.

Ovviamente con molte riserve, intermezzi di Max che spiegava meglio quello che era successo con Veronika (senza fare relazioni con sua madre) e lunghe, lunghe pause.

Tanto che quando Clover finì, erano a poche centinaia di metri dal lido.

-Una cosa che non mi hai detto è come ha reagito tuo padre? Lo sa che era tutta una finta?- chiese Max alla fine. Era stanco, ma cercava di non darlo a vedere.

-Ovvio, mi ha affrontato dopo il compleanno di Amabelle. Mi ha chiamata nel suo studio, mi ha chiamata “signorina” tredici volte, ed era estremamente soddisfatto da sé per aver scoperto tutto, come se fosse stato grazie a lui e non perché io stessa ho mandato tutto a monte. Abbiamo discusso, gli ho urlato contro, mi ha detto che non potevo continuare a scappare dalla mia famiglia e dalle mie responsabilità e io me ne sono andata di casa- Clover sollevò le spalle, cercando di non dare a vedere quanto fastidio le desse ripensare a quel momento.

-Aspetta, che cosa?!- Max alzò la voce, e Clover se lo aspettava talmente poco che sobbalzò vistosamente.

-Cosa?!- chiese, confusa. Non c’era niente di strano in tutto quello.

-In che senso sei andata via di casa?!- chiese Max, abbassando la voce e cercando di vedere la situazione con logica.

Probabilmente intendeva che era uscita di casa, ma poi era ritornata, vero? Altrimenti dove dormiva?

-Sono andata via di casa, e ho preso una stanza in un hotel. Mio pare dice che se non torno a casa presto mi blocca le carte di credito, ma non ha abbastanza interesse in me per preoccuparsene davvero. Nonostante i miei sforzi, non è ancora deluso da me- spiegò la ragazza, come se non fosse niente di che.

-Dormi in hotel?!- ripeté Max, incredulo.

-Sì, perché? Norman è tornato quindi non posso usare la sua stanza, e non avevo altre persone a cui chiedere- gli fece notare lei, confusa dalla sorpresa di Max.

-Ehm, pronto, hey, mi vedi? O sono invisibile?- chiese lui, agitando le braccia, e facendo piegare la testa di Clover, sempre più confusa.

-Il sonno ti ha fatto impazzire?- chiese, controllando che Max non avesse la febbre.

-No, ma deve aver fatto impazzire te. Potevi dirmelo, ti avrei ospitato io!- Max sembrava quasi offeso che Clover non avesse pensato a lui, e la ragazza cadde dalle nuvole.

-Cosa? Ma no, non potrei mai darti fastidio così. Già state stretti a casa tua, una quarta bocca da sfamare non vi serve proprio- Clover scosse violentemente la testa.

-Ma figurati! Sei di famiglia, saremmo solo felice di accoglierti- obiettò Max, che dava per scontato che Clover sapesse quanto lui, ma anche il resto della sua famiglia, tenesse a lei.

Fu il turno di Clover di fermarsi, colpita nel segno dalle parole di Max.

-Come?- chiese, incerta, pensando di aver capito male.

Max si girò verso di lei, sorpreso.

-Sei di famiglia, saremmo felici di accoglierti?- ripeté Max, senza capire il perché del suo comportamento.

“Sei di famiglia” la stessa cosa che aveva detto anche Maria, prima che Clover crollasse.

-Tu mi consideri di famiglia?- chiese, incredula. 

Clover non credeva, in tutta franchezza, che chicchessia potesse volerla in famiglia. Suo padre la odiava, sua sorella maggiore la disprezzava, quella di mezzo la ignorava, e sua madre era gentile con lei solo perché era obbligata dalle circostanze. Clover non aveva la più pallida idea di cosa significasse essere parte di una famiglia, e l’unica volta che ne aveva avuto il minimo sentore era durato troppo poco per renderla consapevole, ed era stato con i Flores.

E dopo quello che era successo, continuava a sentire come se loro fossero l’unica famiglia a cui poteva appartenere, anche se sapeva che questo non sarebbe mai avvenuto.

Eppure, per la prima volta, Clover si rese conto che forse era meno sola di quanto pensasse.

-Certo che sei parte della famiglia. Mio padre ti adora, e ti adotterebbe seduta stante se potesse. Denny ti ammira un sacco, e sei la mia migliore amica. Sei come una sorella per me, pensavo lo sapessi- Max le sorrise incoraggiante, e rispose in tono davvero ovvio.

Ma ovvio non lo era per Clover, che riprese a camminare senza degnarlo di uno sguardo.

Max la seguì.

-Tutto bene? Ho detto qualcosa di strano?- chiese, confuso.

Clover non sapeva cosa rispondere.

Era confusa, e stava rivalutando tutta la sua vita nei pochi metri che la separavano dalla spiaggia, chiusa al pubblico, ma che avrebbe raggiunto a tutti i costi, per immergere i piedi nella sabbia, e farsi magari anche un bagno di mezzano… dell’alba, dato che sì, iniziava ad albeggiare.

Era convinta, dal profondo del cuore, di essere fondamentalmente sola.

Sì, aveva Max, ma pensava di tenere a lui più di quanto lui tenesse a lei, perché nessuno poteva effettivamente volerle bene, giusto? Era egoista, sarcastica, antipatica, fredda e violenta, ed non credeva che qualcuno volesse effettivamente essere al suo fianco.

Eppure… le prove erano tutte davanti ai suoi occhi.

Aveva Max, la sua famiglia, la Corona Crew, queste persone non erano amicizie di circostanza. Si era divertita con loro, si era aperta con loro.

E Diego…

Clover e Max raggiunsero finalmente la spiaggia, e Clover si buttò sulla sabbia senza curarsi che finisse ovunque tra i vestiti e i capelli.

Sembrava in procinto di fare un angelo di sabbia, come sulla neve.

-Clover, tutto bene?- Max si sedette accanto a lei, sempre più preoccupato, ma comunque abituato ai suoi sbalzi d’umore.

-Ho fatto il più grande errore della mia vita- rispose Clover, senza dare molte spiegazioni.

-Quale?- indagò Max, timidamente.

Clover si alzò, e lo guardò negli occhi. Aveva la sabbia incastrata tra i capelli, dandole un aspetto quasi comico, ma la tristezza nei suoi occhi tolse ogni traccia di ilarità.

-Dovevo parlare a Diego, dovevo parlargli nell’istante in cui mi sono resa conto di amarlo. Sono un’idiota, e ora ho rovinato tutto irrimediabilmente- era come se si fosse appena svegliata da un sogno, vedeva tutto con estrema chiarezza.

Aveva allontanato Diego per paura che lui stesso l’allontanasse… ma che razza di ragionamento era?! 

Certo, per una ragazza convinta di essere completamente sola e che non voleva rischiare di far entrare qualcuno nella sua vita per paura poi di tornare ad essere sola dopo aver assaporato la felicità ci poteva stare questa paura.

Ma Clover non era sola.

E parte di lei sapeva, sapeva benissimo che tra lei e Diego poteva esserci qualcosa. Si era creata complicità, amicizia, affetto.

Ma ormai era impossibile recuperare. Clover non biasimava Diego per aver voluto troncare ogni rapporto.

-Beh… non so se proprio irrimediabilmente, ma… dovevi parlargli- ammise Max, che le aveva dato quel consiglio immediatamente.

Clover si ributtò nella sabbia.

-Sono stanca…- ammise, sospirando, e chiudendo gli occhi. Si riferiva sia fisicamente che mentalmente.

Max si sdraiò accanto a lei.

-Certo che siamo entrambi parecchio incasinati romanticamente- rifletté sospirando a sua volta, e chiudendo gli occhi.

I muscoli gli dolevano, ma non si pentiva della chiacchierata e della passeggiata.

-Sarà una caratteristica Sleefing?- chiese Clover, ripensando alla frase precedente di Max: lei era parte della famiglia.

Max ridacchiò.

-Ti investo ufficialmente del ruolo di Sleefing onoraria- le diede una pacca sulla spalla.

-Sai, Max… ho sempre voluto avere i Flores come famiglia, e una parte di me lo vuole ancora, ma in modo diverso da prima. Da piccola pensavo che io e Diego saremmo rimasti amici per sempre, come fratelli, ma ora li vedo più come una famiglia acquisita, sai, tipo per matrimonio e quelle robe varie. Se dovessi davvero scegliere qualcuno da considerare un fratello... sceglierei te per tutta la vita- gli prese la mano. Non era certa di aver fatto capire esattamente il suo punto, ma Max sembrò capirla.

-Anche io ti vedo come una sorella- rispose, stringendole la mano.

Si addormentarono in spiaggia, vennero svegliati dal proprietario che fu davvero in procinto di chiamare la polizia, e scapparono in tutta fretta ridacchiando come ragazzini del liceo.

Ma questa volta, per tornare a casa, presero l’autobus.

E Clover, dopo un veloce salto nella camera d’hotel dove aveva alloggiato fino a quel momento, si trasferì ufficialmente in casa Sleefing, prendendo con grande insistenza il divano letto, e non la stanza di Rich che l’uomo aveva provato ad offrirle in tutti i modi.

Aveva ancora una lunga strada da fare per stare bene davvero.

Ma almeno non era più sola.

E chissà, magari Max aveva ragione, e la situazione con Diego non era poi così irrimediabile.

 

Domenica 1 Settembre

Denny aveva passato gli ultimi cinque giorni in ansia e senza notizie.

Era passata poco più di una settimana dal grosso colpo effettuato con Mathi, e parecchie cose erano successe, solo non quelle che Denny si aspettava.

Insomma, i fatti salienti della settimana erano stati il trasferimento di Clover a casa loro, accolta con gioia, anche se Denny non capiva perché preferisse stare in uno scomodo divano letto piuttosto che nella propria villa enorme. Ma vabbè, punti di vista.

Poi Amabelle aveva spedito a tutti i membri della Corona Crew un invito per la festa di compleanno di Max, che aveva organizzato con attenzione, e siccome era in un luogo che a Max piaceva molto, gli Sleefing avevano deciso di darle il beneficio del dubbio, anche perché sia Norman che Petra avevano garantito per lei.

Inoltre gli articoli su Veronika stavano aumentando, e la faccenda era diventata virale. Veronika gli aveva scritto che probabilmente a breve sarebbe tornata a casa, ma sperava di riuscire a restare qualche altro giorno.

In tutto questo, Mathi non si era fatto sentire con nessuna novità, tranne qualche sporadico messaggio per rassicurarlo che era vivo, Will non aveva scoperto niente, e stava lavorando sulle prove.

Per ogni evenienza, Denny non usciva più di casa da solo, e contava di farlo almeno per un po’. Di solito si accompagnava a Max, a Clover o a Veronika, in rari casi che però erano stati piacevoli.

Quel giorno era al Corona con Clover, che ormai era praticamente diventata sua sorella, e si comportava anche come tale, per certi versi.

Non era fastidioso, anzi, piuttosto piacevole, anche se strano.

Però Clover era una forte, e Denny ci passava volentieri del tempo insieme. Un paio di giorni prima erano andati a fare shopping insieme, e Clover aveva insistito per offrirgli tutto con la scusa che fosse un regalo per il compleanno. Molto in anticipo, ma faceva sempre così, quindi Denny aveva accettato.

E iniziava ad essere più tranquillo sulla situazione Will, dato che non lo aveva ancora approcciato, e non aveva rivisto quelle scarpe infernali.

Quindi, quando Clover andò in bagno e lui rimase solo a bere il caffè caramello e cannella al tavolo, per poco non cacciò un urlo quando sentì una voce che sperava di non sentire più nella vita, accompagnata dal fastidioso odore di menta e nicotina, sussurrargli all’orecchio.

-Guarda chi si rivede, il fuggitivo- 

Denny sobbalzò vistosamente, e si allontanò di scatto.

Era in procinto di gridare “Will!”, ma si trattenne appena in tempo, e abbozzò un timido e imbarazzato sorrisino.

-Fred ehi… scusa per l’altra sera. Mi è preso il panico, era la prima volta che facevo una cosa del genere- provò a giustificarsi, a disagio, senza guardarlo negli occhi.

-Sì, sembravi parecchio nervoso, in effetti. Ma potevi anche dirmelo, invece di scappare dalla finestra. Mi hai ferito, Denny- il suo tono sembrava sinceramente dispiaciuto, e se Denny non avesse saputo che razza di persona si celava dietro quei modi gentili, si sarebbe davvero sentito in colpa.

Finse comunque di sentirsi in colpa, e si grattò nervosamente il collo, abbassando lo sguardo e arrossendo.

-Hai ragione, mi dispiace. Era una serata matta, non so cosa mi sia preso. Puoi accettare le mie più sincere scuse?- chiese, sperando che si allontanasse il prima possibile, e cercando di risultare il più normale possibile, anche se iniziava a battergli sempre più forte il cuore, e non sapeva se sperava che Clover lo raggiungesse o no. Di certo avrebbe allontanato Will con facilità, ma era meglio se non restasse coinvolta, anche se Will già sapeva vita, morte e miracoli della ragazza, dato che l’aveva spiata per mesi.

Solo il pensiero disgustava parecchio Denny, che aveva ancora i traumi, ed era stato tenuto sotto orecchio solo qualche settimana.

-Beh, se mi permetti di offrirti un caffè, magari potrei valutare l’idea di accettare le tue scuse- Will gli fece un occhiolino, e si sedette sulla sedia accanto a quella di Denny, che non si trattenne e si alzò.

-Sì, magari, ma non adesso. Sono con qualcuno- spiegò, mentre il panico aumentava esponenzialmente.

Un pericoloso, inquietante e terrificante lampo minaccioso passò attraverso gli occhi di Will, ma durò solo un istante, e tornò immediatamente rilassato.

-Capisco, allora un giorno di questi, magari. Mi dai il tuo numero o io ti do il mio, e ci vediamo da qualche parte. Ho ancora le tue scarpe, te le potrei restituire- propose, casualmente, in tono affabile.

Mathi l’aveva messo in guardia. Mai, per nessunissima ragione, doveva accettare di dare a Will il suo numero di telefono o accettare quello dell’uomo. Perché si sarebbe infilato nel suo telefono e l’avrebbe tenuto sotto controllo anche senza l’uso delle cimici. Era un miracolo che non l’avesse già fatto, a dire il vero. Probabilmente per una volta la paranoia di Denny, molto attento alla privacy e a qualsiasi tipo di possibile virus o hacker, aveva ripagato.

Però, come poteva rifiutare ogni approccio di Will senza risultare sospetto? Non era normale che una settimana prima gli saltasse addosso e quella dopo lo schifasse completamente.

Anche se… c’era un modo in cui giocarsela.

Le altre due volte che si erano visti era in un bar notturno, ed era stato comunque molto cauto, sia con il contatto che con la propria identità.

Ora era mattina, ed erano nel bar più frequentato da Denny.

Un momento… erano nel bar preferito di Denny, che non aveva ancora fatto coming out, ed era in compagnia di un ragazzo con intenti chiaramente troppo amichevoli, e tutti potevano vederli e assumere.

La paura di Will come persona venne sopraffatta dall’ansia che la sua omosessualità fosse scoperta, e si allontanò ulteriormente, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno si fosse reso conto dello scambio di battute.

Will sembrò rendersi conto del cambio di atteggiamento, e aggrottò le sopracciglia, confuso e… sospettoso.

-Senti, Fred… mi dispiace per quello che ho fatto, ma non credo sia il caso di vederci di nuovo, almeno non da queste parti. Magari ci ribecchiamo in qualche locale, non so, ma non qui, okay? Io non…- doveva giocarsi la carta dell’omosessuale represso, era facile, dato che l’aveva giocata per anni -…non sono interessato a… quelle cose. È stato un errore- probabilmente doveva essere meno diretto e più gentile, e affabile, e non far arrabbiare un agente segreto capace di picchiare selvaggiamente, probabilmente uccidere e certamente spiare e incarcerare la gente, ma aveva ansia di essere scoperto, di mettere in pericolo Clover, di morire, e non pesò abbastanza bene le parole, nella remota speranza che, in un luogo pubblico davanti a tutta quella gente, sicuramente Will non avrebbe provato ad ucciderlo, giusto?

Purtroppo aveva sottovalutato quanto abile fosse Will a sembrare innocuo all’esterno e allo stesso tempo apparire estremamente minaccioso alla persona davanti a lui.

Mentre Denny si allontanava, Will gli prese il polso per fermarlo, e lo costrinse a sedersi. Un gesto casuale, che con il suo sorriso rilassato sembrava solo un normalissimo modo di continuare la conversazione.

Ma i suoi occhi erano socchiusi, scuri, minacciosi. Denny sentì un brivido attraversargli la spina dorsale. La presa sul suo polso era abbastanza forte da bloccargli il flusso sanguigno, e faceva molto più male di quanto Denny credesse possibile.

Ebbe davvero paura, un sincero e totale terrore dell’uomo davanti a lui.

-Suvvia, Denny, è davvero il modo di trattare l’uomo che hai baciato e abbandonato scappando dalla finestra? Dai, almeno dimostrami che le tue scuse sono sincere- Will gli si avvicinò, con un sorriso spietato, Denny provò a liberarsi il braccio, ma la presa dell’uomo non fece che farsi più forte, e Denny era un fuscello in confronto.

-Ora… perché non mi dai il tuo numero di telefono, così ci organizziamo per il caffè? Prima che torni la tua amica e io disturbi il vostro “appuntamento”- lo incoraggiò Will, prendendo il proprio telefono e incoraggiando Denny a scrivergli il suo numero mantenendo il sorriso e la voce affabile, che risultò sempre più spaventosa al ragazzo, che non trovava molte vie d’uscita.

Avrebbe potuto dare un numero falso, ma era ovvio che Will avrebbe subito controllato.

Se si fosse rifiutato, chissà cosa era capace di fargli. Ed era chiaro che la citazione a Clover fosse una minaccia. 

Il testo implicito era “Se non vuoi che la tua amica subisca una sorte peggiore della tua, sbrigati”.

Ma allo stesso tempo, Denny sentì un tremore nella sua voce. Voleva spaventare Denny citando Clover, ma era un bluff. Perché Will sapeva chi fosse Clover, sapeva che era la ragazza più tosta e pericolosa di Harriswood. E lo sapeva anche Denny.

-Non ricordo il mio numero a memoria- Denny provò a prendere tempo, lanciandogli uno sguardo di sfida che non sapeva da dove gli venisse, ma che irritò Will maggiormente.

La prese si fece così forte sul suo polso che per un attimo Denny temette di romperselo. Aveva voglia di urlare, ma non aveva intenzione di dargli soddisfazioni.

Prima che Will potesse insistere, o fratturargli il polso, una voce conosciuta arrivò al tavolo, a salvare il ragazzo.

-Non ci crederai, qualcuno mi ha chiuso dentro! Fortuna che Roelke passava da…- iniziò, poi notò la situazione, e rimase per un secondo a fissare i due.

Il suo atteggiamento rilassato e solo leggermente irritato cambiò radicalmente. Raddrizzò le spalle, e iniziò ad emettere un’aura di pericolo che avrebbe messo paura a Thanos in persona.

Will lasciò il polso di Denny, e tornò più rilassato. Faceva ancora male, ma Denny non ci diede peso, anche se probabilmente se l’era almeno contuso. Cavolo che dolore!

Will si alzò dal tavolo.

-Beh, Denny, è stato un piacere rivederti, spero che capiterà presto un’altra occasione- fece un occhiolino al ragazzo, e poi sorrise in direzione di Clover -Buon pomeriggio- la salutò, prima di allontanarsi. Clover lo guardò allontanarsi con sospetto, dritto verso il bancone dove chiese un caffè da portar via, poi si sedette al tavolo, e si concentrò su Denny, preoccupata.

-Denny, stai bene? Il mio stalker ti ha dato fastidio?- chiese, controllandogli il polso, che era molto rosso.

-Il tuo stalker?- chiese Denny, sorpreso.

Cioè, sapeva fosse lo stalker di Clover, ma non credeva che Clover stessa ne fosse a conoscenza.

-Sì, l’ha assunto mio padre per tenermi d’occhio. L’ho notato dopo un paio di mesi, ma era impossibile non rendersi conto che mi seguiva ovunque- Clover alzò le spalle, e tornò a controllare il polso dell’amico.

-Ahi, Clover, sii più gentile- si lamentò il ragazzo, che iniziava a vedere le stelle.

-Santo cielo! Ma che ha al posto delle mani, una morsa?! Resta fermo qui- Clover si alzò.

-Chiami l’ambulanza?- chiese Denny, a cui sembrava un’ottima idea visto il dolore.

-Non è così grave, ma vado a picchiarlo- la ragazza si sollevò le maniche, pronta ad uno scontro per difendere il suo “fratellino”, ma Denny la fermò subito.

Non che non si fidasse dell’abilità di Clover, ma non voleva rischiare che Will le facesse del male, soprattutto non a causa sua. Ancora aveva i flash traumatici di come aveva ridotto Mathi, e poi Clover si era ripromessa a sé stessa di smetterla con la violenza, anche se per “buone cause”.

-Non fa niente, lascia stare. Mi hai già salvato abbastanza- provò a farla desistere.

Con un po’ di esitazione, Clover si sedette, e squadrò Denny, poco convinta.

-Ma cosa voleva? Informazioni su di me? Perché ti ha preso il polso? Non è mai stato così diretto- indagò, preoccupata.

Denny evitò il suo sguardo.

-Non era qui per te- disse solo, in un sussurro.

La preoccupazione della ragazza lasciò posto all’incredulità.

-Tu cosa centri con un tipo come lui?!- chiese, sorpresa.

Denny esitò, non poteva rispondere sinceramente, ma sapeva che Clover avrebbe capito ogni bugia. Si limitò a guardarsi intorno in cerca di una scusa o un modo per cambiare argomento, e la sua attenzione venne effettivamente attirata da un agente di polizia dall’aria piuttosto seria che entrava proprio in quel momento, e si dirigeva dritto verso Will.

Non è che…?

Iniziò a fissare la scena con attenzione, dimenticandosi completamente di Clover, che provò a smuoverlo per un braccio (non quello ferito).

-Denny, che succede?- chiese, ma notando l’immobilità dell’amico, iniziò ad osservare a sua volta la scena, seguendo il suo sguardo.

Così come praticamente tutto il bar.

Will però non sembrava minimamente preoccupato per l’arrivo dell’agente.

-C’è qualche problema?- chiese, affabile, bevendo il proprio caffè a piccoli sorsi. Conosceva la persona dietro la divisa, e non era sicuramente un pericolo per lui, dato che era un suo collaboratore in incognito.

-Devo chiederti di venire con me. Ti prego di non opporre resistenza- rispose l’agente, impassibile.

-Perché dovrei opporre resistenza? Fammi solo finire il caffè- Will non capì minimamente cosa ci fosse che non andava, dato che era fin troppo sicuro di sé. Era il migliore agente, nessuno l’aveva mai sconfitto, dato che la sua migliore abilità era capire le mosse degli avversari. Aveva neutralizzato ogni possibilità di Mathi di scoprire qualcosa delle sue attività illecite. Aveva sbarrato la casa e nascosto ogni prova a chiunque avesse una mente metodica e non abituata a guardare fuori dagli schemi. Ed era anche fortissimo. Non c’era rischio che qualcuno potesse fregarlo.

-Temo che tu non abbia capito la situazione. Sei in stato di arresto- rivelò l’agente.

-Certo- Will gli fece l’occhiolino, e continuò a sorseggiare il caffè.

-Non è uno scherzo o un trucco, Will, abbiamo abbastanza prove per incriminarti. Hai disobbedito alla regola numero 1. Il processo è domani, e tu devi venire con me in questo momento- l’agente mise una mano sulla pistola.

Il sorriso di Will si spense.

Nessuno l’aveva mai accusato di aver disobbedito alla regola numero 1. Nessuno lo sapeva.

E nessuno scherzava mai su queste cose.

-È chiaro che sono stato incastrato. Prima di accusare me dovreste andare da Mathias Yagami, e interrogare lui. Ha parecchi comportamenti preoccupanti, quel ragazzo- provò a scaricare la colpa. Si era già preparato per quell’evenienza.

-Già fatto, è stato interrogato poco fa, e risulta completamente pulito, così come il suo collaboratore, Duke. Te lo ripeterò per l’ultima volta. Seguimi- il tono dell’agente non ammetteva repliche.

Ma quello che diceva non aveva alcun senso.

Aveva progettato l’allarme di casa sua in modo che se qualcuno fosse entrato a rubare le prove sarebbe stato ripreso e palese. Nessuno poteva intrufolarsi in casa sua.

Ed era attento, chiunque fosse a conoscenza dell’agenzia e delle regole non avrebbe mai potuto entrare.

Gli unici che faceva entrare erano le avventure di una notte occasiona…

Fu improvvisamente colpito da una consapevolezza.

Ma non era possibile.

Aveva spiato Denny per settimane, e non aveva mai dato alcun segno di sapere nulla dell’agenzia, o di aver ripreso i contatti con Mathias.

Era attento ai limiti della paranoia, ma non abbastanza intelligente da riuscire ad ingannarlo.

No, Will ne era completamente sicuro. Era solo un’altra pedina del suo gioco, che poteva manipolare come e quando voleva.

Mentre poggiava il caffè, convincendosi che non c’era modo di aver effettivamente perso, e si preparava a seguire l’agente fuori dal locale, si girò un attimo verso Daniel Sleefing, per guardare un’ultima volta la sua faccetta ansiosa e adorabilmente fragile, che sicuramente in quel momento era contratta per il dolore al polso.

Ma si interruppe un secondo quando l’immagine che si parò davanti ai suoi occhi era l’ultima che si sarebbe mai aspettato.

Denny lo guardava con un sorrisetto soddisfatto che cercava di trattenere senza successo, e perfidi occhi pieni di tranquillità, sicurezza e malizia.

Denny sapeva esattamente cosa stava succedendo, addirittura più di Will.

Aveva combattuto e superato i suoi limiti, e usato la propria ansia e insicurezza come arma per abbattere le alte difese dell’uomo, per farsi sottovalutare abbastanza da agire indisturbato.

E fu in quel momento, osservando quell’espressione fintamente angelica e per certi versi quasi terrificante, che Will capì di aver perso.

Incrociò per un attimo lo sguardo di Denny, che gli fece un occhiolino, un’ultima presa in giro, e la sua maschera di superiorità cadde, si infranse in mille pezzi.

Sconfitto da un ragazzino fifone. Cauto ai limiti della paranoia. Piccolo, debole e che non reggeva l’alcool.

Seguì l’agente senza fare scenate, ma aveva appena trovato un nuovo scopo nella vita.

E quello scopo aveva un nome: Daniel Sleefing.

Ma vi rassicuro immediatamente, cari lettori, per il resto della storia, Will non sarà più una minaccia per Denny. Certo, non posso assicurare che tra cinque anni sarà ancora dietro le sbarre, ma per il momento il pericolo è scampato.

Purtroppo, Will non è l’unico ostacolo che si mette in mezzo a Denny e Mathi.

Ma, almeno su questo fronte, Denny poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

La scena clou Mathenny l’aspettavo dai primi capitoli. 

E credo sia uscita piuttosto bene, voi che dite?

Soprattutto considerato che l’ho scritta in un periodo bruttino e pesante, tra ansia random ed esami difficilotti. Ora che ho finito la sessione spero di aggiornare più in fretta, anche se sta per partire il prossimo semestre e avrò tante lezioni.

Comunque, parlando del capitolo, tanti confronti, sia tra future coppie, che tra semplici amici.

Clover è praticamente diventata una Sleefing, la sfiga in amore non le manca.

Spero che la scena di Max e Clover vi piaccia, avevano bisogno di un confronto, e credo che a Max l’amica abbia colpito nel segno. Chissà se Max si interrogherà su questo desiderio inconscio, e questa rabbia.

E… chiamatemi sadica, ma è sempre interessante scrivere i momenti di Will. Forse perché raramente scrivo di personaggi cattivi e basta, approfittatori, manipolatori, e violenti nel modo più sbagliato, quindi è sadicamente divertente? Non lo so, so solo che la scena finale, dove Denny lo batte e gli sorride soddisfatto è stata una soddisfazione immensa da scrivere, e la programmavo dall’inizio. 

E niente, so che avevo detto che l’angst era finito e vi ho buttato addosso attacchi di panico, psicoanalisi e Will, ma almeno ne sono uscite fuori baci e dichiarazioni, Clover nella famiglia Sleefing, e Will dietro le sbarre. 

Ormai è andata, dai! 

D’ora in poi, solo cose belle… circa… più o meno… decisamente no.

Ma ci proverò.

Tipo nel prossimo capitolo ci sarà del fluff Ferren che serve proprio, e comunque il compleanno di Max.

Lentamente tutto si risolverà, soprattutto ora che Amabelle gioca nel modo giusto.

Spero comunque che, nonostante ci abbia messo un secolo ad aggiornare, il capitolo vi sia piaciuto, spero di pubblicare presto il prossimo.

Grazie a tutti quelli che leggono, vi voglio bene.

Un bacione e alla prossima :-*

 

 

P.s. Vorrei dire, così, tanto per, che ho iniziato una nuova storia con lo stesso stile della Corona Crew, che si svolge nello stesso universo anche se con altri personaggi, ed è quindi praticamente uno spin-off, nel caso vi interessasse, aggrego qui il link: Laboratorio di Filmmaking

 

 

 

 

 

 

 

Nel prossimo episodio: Amabelle organizza il compleanno di Max, un’occasione per risanare le ferite. Mirren e Felix fanno prove di guida

   
 
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