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Autore: Marco1989    26/02/2021    0 recensioni
2183: gli esseri umani hanno raggiuntole stelle. L'astronave Columbus ha condotto i primi uomini a realizzare la loro prima colonia nello spazio. La più grande impresa mai compiuta dall'umanità. Sulla Terra, però, sta accadendo qualcosa di strano...
Genere: Avventura, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II

 

Il capitano Farris osservava con evidente soddisfazione il campo base dall’alto di una piattaforma di legno. Era stata una delle prime cose che avevano costruito, quando ancora tutti dormivano all’interno dell’astronave: era fatta di vero pino terrestre, rinforzato da listelli d’acciaio in modo da essere resistente, aveva una forma quadrata, con un parapetto di un metro e venti che ne circondava il perimetro; l’avevano piazzata sull’albero più alto tra quelli che crescevano intorno alla radura dove era atterrata l’astronave, una sorta di gigante simile ad un ginko, coperto di enormi liane. A vederla dal basso, inchiodata com’era sopra una sorta di culla formata da alcuni rami intrecciati tra loro, poteva sembrare simile a una casa sull’albero, se non per un dettaglio: al centro, su un perno girevole, era montata una mitragliatrice leggera, dietro alla quale un giovane soldato stava fumando una sorta di strano sigaro di colore violaceo.

Un sorriso si dipinse sul volto di Farris nel vedere la faccia estremamente soddisfatta del ragazzo. Le scorte di tabacco che erano state portate sull’astronave non erano durate molto, e dopo anni di astinenza, i fumatori avrebbero quasi letteralmente ucciso per una sigaretta. Era stato ovviamente uno di loro, un botanico, a scoprire una strana pianta, con le foglie simili a quelle di un carciofo e un odore penetrante. Ricordando l'esistenza di un vegetale in qualche modo simile sulla Terra, aveva fatto un tentativo, ed aveva appurato che, lasciando essiccare leggermente le foglie e arrotolandole, si otteneva qualcosa di più gustoso di un sigaro. Il capitano aveva provato a fumarne uno: avevano uno strano retrogusto che ricordava lontanamente la cannella, diversissimo da quello del tabacco, ma tutt'altro che sgradevole. Nessuno sapeva ancora cosa ci fosse esattamente nelle foglie, ma poiché era stato appurato che non erano velenose, per il momento nessuno se ne preoccupava.

Era solo una delle scoperte che avevano fatto sul pianeta in due mesi: Elysian si era rivelato un mondo primitivo, abitato da molti animali pericolosi, ma anche da numerose specie utili e affascinanti. Avevano appurato che, se si escludevano creature di piccole dimensioni simili ad artropodi, tutte le razze terrestri superiori sembravano appartenere ad una stessa classe: una specie di incrocio tra caratteristiche da mammifero e da rettile, con peli che crescevano sopra a dure scaglie. Inoltre, sembravano avere tutti cinque occhi e otto zampe, predatori e prede. Si andava da animali piccoli come topi ad alcuni erbivori delle dimensioni di un ippopotamo. Facevano eccezione le creature volanti, che, oltre ad avere sulla pelle delle scaglie sfrangiate simili a primitive piume, possedevano solo due occhi e due zampe. Avrebbero potuto somigliare a primitivi uccelli, se non fosse stato per il muso irto di denti e le quattro ali, disposte a coppie. Per quanto avevano capito, la carne delle creature di Elysian non era velenosa, ma solo poche sembravano avere un sapore accettabile.

Diversa era la questione per la flora: la pianta alla base della catena alimentare del pianeta sembrava essere una sorta di muschio, che copriva gran parte del terreno come una primitiva erba; da lì, le piante andavano a crescere: cespugli spinosi con rami simili a lunghi serpenti attorcigliati, enormi arbusti non dissimili dalle felci, fino ad alberi di moltissimi tipi, compresi alcuni giganti alti anche ottanta metri. C’erano piante con fiori o senza, ed alcuni producevano anche frutti, di vari colori. C’era però una caratteristica comune: tutte le strutture di base, dal muschio alle foglie di ogni pianta, erano di un uniforme viola pallido. Molti frutti erano stati sperimentati sulle cavie, ed erano risultati commestibili, e alcuni erano saporiti quanto i migliori frutti terrestri. Insomma, Elysian prometteva decisamente bene. Per di più, alcune spedizioni di esplorazione avevano raccolto campioni sufficienti a confermare la presenza di minerali preziosi e metalli utili.

Mentre una parte dei coloni si dedicavano all'esplorazione, altri costruivano, e ormai la Colonia AA-001 aveva preso forma. Per il momento si trattava in massima parte di prefabbricati, grandi costruzioni in acciaio, plexiglass e vetroresina, ma ogni famiglia aveva una propria casa, per quanto piccola. Vi erano vari fabbricati adibiti a laboratorio, infermeria, scuola e vari altri servizi essenziali. Intorno a tutto, era stata edificata una sorta di palizzata di acciaio e alluminio per proteggere gli abitanti dalla fauna del pianeta. Al centro della neonata cittadina, su un’asta, sventolava la bandiera azzurra con i ramoscelli di ulivo che racchiudevano una rappresentazione del globo terrestre.

Non c’erano solo i civili: i soldati avevano un loro capannone che fungeva da caserma, e così anche gli uomini dell’equipaggio. Solo un piccolo nucleo era rimasto a bordo della Columbus, che occupava interamente lo 'spazioporto' della Colonia, per fare in modo che gli impianti essenziali continuassero a funzionare. Farris aveva fatto in modo di lasciare a bordo, in massima parte, i pochi membri dell’equipaggio privi di famiglia. Non erano molti: anche quelli che erano partiti da soli avevano quasi sempre trovato, in oltre sei anni di viaggio, un partner. Considerando soldati, marinai, scienziati e coloni, Farris ricordava di aver celebrato almeno cento matrimoni.

Lui, ovviamente, era rimasto: non aveva una famiglia con se. Sua moglie era morta dieci anni prima, e il suo unico figlio, ufficiale della Marina tradizionale degli Stati Uniti, quella che navigava ancora sull’acqua, non aveva avuto l’autorizzazione a seguirlo. Era stata dura partire sapendo che forse non lo avrebbe visto mai più, ma il dovere veniva prima di tutto, per entrambi. Non aveva quindi motivi particolari per voler vivere a terra. Per di più, un comandante non abbandona la sua nave finché la missione non è finita, e per lui non sarebbe terminata finché non fosse arrivata la seconda ondata di coloni, oltre sei anni dopo.

Sapeva che sarebbero arrivati, lo sapeva per certo. Otto giorni prima avevano fatto partire, in direzione della Terra, una radio-sonda, ed erano in attesa di una risposta, che doveva arrivare proprio in quelle ore. Le radio-sonde erano state inventate circa tre decenni prima, ed erano state la risposta al problema delle comunicazioni radio nello spazio aperto. Poiché, nello spazio, le onde radio si propagano alla velocità della luce, le comunicazioni tra una nave dotata di motori iperluce situata nello spazio profondo e la Terra sarebbero state praticamente impossibili: paradossalmente, la nave avrebbe impiegato molto meno tempo a portare il proprio messaggio da sola piuttosto che inviando un messaggio radio.

Le radio-sonde, pur essendo grandi come un grosso cestino delle immondizie, erano dotate di motori FTL potentissimi, ben superiori a quelli delle astronavi; le ridotte dimensioni e la mancanza di equipaggio permettevano loro di viaggiare a velocità che sarebbero state insostenibili per un organismo umano. Le più moderne arrivavano a una velocità di quasi 30 anni luce per giorno terrestre. Erano dotate di un computer, sul quale venivano registrati la rotta e il messaggio, e di un apparato di comunicazione, che, una volta a destinazione, lo ritrasmetteva su una determinata frequenza prestabilita. A quel punto la sonda rimaneva sul posto per un tempo impostato prima del lancio, da 24 ore fino anche ad una settimana, a seconda della quantità di combustibile nucleare che veniva caricato nei piccoli motori stabilizzatori; nel frattempo il destinatario, ricevuto il messaggio, inviava la risposta verso la sonda; questa la incamerava e, una volta scaduta la sua permanenza, tornava alla base e lo ritrasmetteva alla radio di bordo dell’astronave che l’aveva lanciata.

Nel loro messaggio, rivolto al Centro Spaziale delle Nazioni Unite, una base costruita sulla Luna, comprendente spazioporto, telescopio ottico e a infrarossi e radiotelescopio, avevano inviato tutti i dati rilevati in due mesi, aggiungendo che il pianeta si stava rivelando perfino migliore del previsto. Tutti si aspettavano, nella risposta, l’avviso della partenza della seconda nave, la Fernando de Magallanes, grande cinque volte la Columbus e in grado di portare quasi diecimila persone. Era in costruzione quando loro erano partiti, e ne erano previste altre otto. Mentre scendeva dall’albero mediante una scala di alluminio e nylon, Farris pensò con gioia che forse sarebbe riuscito, prima di morire, a vedere Elysian colonizzato. Un nuova Terra.

Fischiettando, si diresse verso l’astronave.

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Quando il capitano arrivò nella sala radio, trovò il tenente Nakadawa ed i suoi assistenti in peda alla concitazione. Gli sembrò di buon auspicio, inizialmente, ma le loro facce abbassarono il suo entusiasmo: sembravano confuse e, almeno in parte, preoccupate.

Quando l’ufficiale orientale lo vide, esclamò: «Comandante, stavo per mandarla a chiamare. La radio-sonda è entrata nell’orbita di Elysian venti minuti fa».

«Perfetto! - Farris tornò a sorridere: tutto stava andando bene – Che cosa dicono dalla cara vecchia Terra? Quando partiranno?».

«Beh… - borbottò titubante il sergente Rickman, uno degli assistenti – Ecco, signore, il problema è proprio questo: dalla Terra non dicono niente».

«Cosa?- chiese sorpreso il comandante – Che vuol dire “non dicono niente”?».

«Che la sonda è vuota, signore- disse Nakadawa, piuttosto cupo – Non ci sono comunicazioni, non ha ricevuto nessun messaggio radio. I banchi di memoria sono immacolati».

«Assurdo… non è possibile!» sbottò Farris.

«Eppure è così, comandante».

L’ufficiale più alto in grado rimase per qualche istante silenzioso, poi disse: «Signor Nakadawa, chiami il comandante Brent e il capo tecnico Wulf. Voglio che mi raggiungiate nell’Hangar 3 il prima possibile. C’è qualcosa che non capisco, ma dobbiamo risolvere questo problema il prima possibile».

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Venti minuti dopo, i tre ufficiali stavano osservando il tedesco Wulf che, mediante un monitor e una sorta di joystick, riportava a terra la radio-sonda. Il comandante del reparto tecnico della nave borbottava sonoramente: «Deve essere stato un errore di quelli della Navigazione. Devono aver inserito le coordinate sbagliate, e la sonda non deve essere arrivata nell’orbita della Terra. Ach so, ho provato attentamente quella maledetta, e funzionava alla perfezione, sarei pronto a giurarlo su una pila di Bibbie!

«Il guardiamarina Park ha detto che potrebbe fare altrettanto - rispose Brent – E’ certa di aver messo le coordinate giuste».

«Può darsi che sia stata sbagliata la frequenza» disse Farris, rivolto a Nakadawa.

«Sono certo di aver messo quella giusta, comandante» rispose l’addetto radio.

«Beh, controlleremo in seguito cos’è che non ha funzionato. Intanto, tenente, lei e il comandante Brent imposterete una seconda sonda. Chiamate anche il guardiamarina Park. State più che attenti, mi raccomando. Dobbiamo avere una risposta il prima possibile».

Brent era sorpreso: la voce del comandante era dura, molto più secca del solito. L’ufficiale scandinavo comprese che non era solo per l’inconveniente: anche lui sentiva qualcosa, una sensazione lontana, indistinta, ed estremamente inquietante.

  
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