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Autore: Ghen    27/02/2021    0 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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65.3 Riscatto: Un'azione orribile 


Oggi

I capelli scuri raccolti con una pinza sulla nuca, le maniche della giacchetta verde militare tirate fino ai gomiti, Carina Carvex abbassò le buste della spesa per aprire un cancello per soli pedoni e riprenderle per sorpassare un vialetto con cespugli di rose intorno al sentiero. Sembrava l'inizio di una bella giornata, ma doveva ammettere a se stessa che non le piaceva particolarmente quando Alex Danvers non la seguiva per scoprire i suoi segreti. Doveva aver avuto un impegno e le seccava non essere lei quell'impegno.
La sua anziana vicina era china davanti a una delle aiuole intenta a tagliare i rami in eccesso e la salutò sventolando le cesoie, riservandole un grande sorriso. «Come stai, tesoro?», la signora si sporse, tirando in su la visiera che la riparava dal sole.
Carina si fermò, decidendo di ricambiare al sorriso con il proprio. «Magnificamente».
«Oh, ne sono felice. Volevo sapere da te una cosa», arricciò le labbra, «Quand'è che torna a trovarti quel bel maschietto, eh? Volevo chiedergli se mi aiutava, sai?», le indicò un albero alle sue spalle e Carina seguì lo sguardo.
«Purtroppo…».
«Non mi dirai che avete litigato?!». Le scrollò le spalle e la donna si mostrò particolarmente contrariata, riprendendo a sventolare le cesoie. «Ooh… ma così non va bene, però! E ora chi mi aiuterà? Guarda che non ne trovi altri belli e gentili come lui, eh? È merce rara, bella mia», le puntò contro le cesoie. «Eh eh, ti conviene fare pace», le sventolò ancora, «Così magari viene anche da me ad aiutarmi, no? Un giovanotto così a modo…», e di nuovo, destra e sinistra, sopra e sotto.
Appena Carina le afferrò velocemente la mano con le cesoie, la signora sussultò. Seria, le sorrise di nuovo, sfilandogliele di mano. «Stia attenta con queste. Potrebbe farsi male».
«Oh, sì, hai ragione… Che brutto vizio che è», rise appena, mentre le poggiava le cesoie sull'erba. «Ma tu pensaci per quel bel maschietto, tesoro».
Carina la salutò con un sorriso e la sorpassò verso il portone, tornando seria di colpo, dandole le spalle. Salì le scale per il secondo piano e, aperta la porta, lasciò le buste della spesa sul primo tavolino a vista, dando uno sguardo in giro: una valigetta aperta, pile di documenti, cravatte sulla spalliera di una sedia… alcuni di quel documenti sparsi per un tappeto, una cravatta era finita quasi sotto un mobiletto, e c'era una grande orma contornata da polvere lasciata da un tappeto che aveva tolto di recente. Gonfiò le guance, per poi sbuffare. Aveva ragione la sua vicina, probabilmente: doveva pensare al suo giovanotto a modo e ripulire un po', non poteva trascurare la sua casa, doveva mettere in uno scatolone tutte le sue cose. Specie se un giorno Alex Danvers avrebbe accettato di andare da lei: quale figura ci avrebbe fatto a lasciare quel porcile a vista?! Giorni di lavoro pieni che non aveva avuto tempo per nient'altro. Ma intanto pensò di sbarazzare la spesa, che era più urgente. E controllò subito il telefono, infastidendosi appena nel leggere un messaggio. Lasciò un vasetto di passato sul tavolo vicino a una delle buste e si allontanò per fare una telefonata.
«Cosa significa revocato? Mi stavo occupando io del loro territorio, Inze si è presa un'altra fetta?», fece una pausa aggrottando la fronte, ascoltando il suo interlocutore. «Dico solo che da quando Inze è fuori mi state sconvolgendo continuamente i piani… So che deve setacciare National City, ma continuando in questo modo avrò troppo tempo libero e sono stata appena lasciata, non saprò cosa fare», si imbronciò. Poi, di lampo, il suo sguardo si accese: «Oh, non Inze… Voglio parlare con Kweskill, allora. Non mi interessa se è impegnato, voglio parlare con lui». All'ennesimo no, Carina roteò gli occhi. «E va bene, quindi ne parlerò direttamente col Generale. È impegnato anche lui? Deve ricevermi o farò una capatina in centrale. Bene», sorrise, «Di pomeriggio sarò fuori per lavoro, voglio parlare con lui prima di pranzo. Sia. Buongiorno anche a te». Riattaccò e il sorriso svanì. «Gamma rompiballe…», bofonchiò, dando uno sguardo all'orologio sul polso e andando a finire di sbarazzare la spesa prima di lavarsi per uscire.

Era il duemilasei quando fu arrestata per aver provato ad accoltellare con un taglierino il suo insegnante di matematica. Aveva quindici anni ed era la terza volta volta che finiva davanti alla scrivania di un poliziotto. Certo, non erano a conoscenza di altre volte in cui probabilmente ci sarebbe dovuta finire. A sua madre bastava sbattere le ciglia ed era libera di andare, «è una ragazza problematica», diceva, ma quella volta andò diversamente: lì conobbe Adrian Zod. Lui l'aveva guardata a lungo prima di parlare: come muoveva gli occhi annoiata, la bocca e se la mordeva, come si sistemava sulla sedia scendendo il sedere e accavallando le gambe. Non l'avrebbero trovata a disagio, o sofferente, si stava solo perdendo la sua serie preferita in televisione e nulla di più.
«Comoda?».
«Abbastanza. Se si può avere una cioccolata calda…».
Un altro poliziotto pronto a farle la predica, a minacciarla, a chiederle il perché delle sue azioni cattive… no, quell'uomo il perché glielo aveva chiesto, ma si era anche permesso di aggiungere delle domande come se le piaceva e come la faceva sentire. Quel poliziotto aveva provato a comprenderla, era una cosa singolare. Prima di lui ci aveva provato uno psicologo, ma lo aveva fatto per lavoro e non era per davvero interessato, era un nome da spuntare in agenda, ma non quel poliziotto; il suo interessamento nei suoi confronti aveva interessato lei. Si erano rivisti fuori nei giorni successivi, avevano parlato, era riuscito a convincerla a pensare e a contare prima di stringere un taglierino, a provare a comportarsi normalmente per vivere con gli altri e a relazionarsi, facendole conoscere altri ragazzi della sua età con cui parlare, alcuni dei quali problematici come lei. Secondo sua madre, Dru Zod l'aveva salvata. Forse era vero, riconosceva Carina: sarebbe finita in prigione prima di diventare maggiorenne, ci avrebbe scommesso, ma sua madre non sapeva cosa faceva come secondo lavoro, a distanza di anni, proprio per la persona che l'aveva salvata.
Dru Zod sbuffò, dando una nuova occhiata all'orologio al polso. Rimise dritte le gambe che aveva intrecciato in attesa e si alzò dal cofano della sua macchina dal quale si era appoggiato, nel parcheggio interno di un supermercato. Stava per prendere in mano il cellulare che sentì dei passi. «Sei in ritardo».
Carina Carvex fece mezzo inchino, mostrandogli un sorriso orgoglioso. «Chiedo perdono, Generale, ho dovuto fare il giro largo per seminare un'agente del D.A.O. che mi fa da ombra».
«Alex Danvers è all'Angel Children's Memorial, in questo momento. Non provare… a mentirmi», disse secco e lei puntò altrove lo sguardo.
«Mi sta tenendo d'occhio?», domandò con tono quasi ferito. «O tiene d'occhio lei?».
«Carvex, mi stai facendo perdere tempo», guardò di nuovo l'ora. «Per il momento ti è stato revocato l'incarico, non parlerò oltre di questo, con te».
Lei sospirò seccata. «E per quale motivo ha accettato di vedermi, allora?».
A quella domanda, l'uomo si avvicinò, scrutando il suo sguardo. «Per ricordarti quali sono gli ordini impartiti e qual è il tuo posto». Alzò una mano, appoggiandogliela pesantemente su una spalla.
Lei era immobile e lo guardava a sua volta, proprio come allora, a suo agio e quasi annoiata. «Gli ordini? Non dicevano forse di controllare fino a che punto sono al D.A.O. con le indagini contro l'organizzazione? Ho tutto sotto control…». Si fermò non appena le dita dell'uomo la strinsero e si guardarono negli occhi.
«Gli ordini includevano il non importunare Alexandra Danvers», la riprese. «Ti stai facendo seguire, ti sei messa in luce, sospetta di te», continuò premendo più forte, ma da lei neanche un brusio. «Anni spesi per entrare nel D.A.O. a rischio perché ti piace giocare con le persone, Carvex. La stai marcando. Dimmi cosa provi».
«Lei è interessante, Generale. Ha qualcosa».
«Cosa provi», ripeté, non soddisfatto.
Lei girò lo sguardo. «Mi piace. Provo… calore? Vuole davvero che le descriva cosa provo? Diciamo che vorrei… vederla sotto un'altra prospettiva».
«Stai mentendo di nuovo».
«No. Vorrei davvero vederla sotto una nuova luce, ha così potenziale…».
«Permesso negato», la lasciò andare e Carvex sbuffò.
«Non vuole che giochi con lei solo perché è la compagna della sua beniamina», vide Zod tornare sui suoi passi, «Oppure perché… gira una certa voce».
«Tutti hanno un ruolo, Carvex. E io non devo ripetere il tuo. Ci sarà un grande cambiamento, presto. Il programma potrebbe velocizzarsi e gli ordini subire variazioni».
«Sì, Generale».
Lui le diede due pacche, accostandosi il tanto per parlarle a un orecchio: «Non permetterti mai più di parlarmi in questo modo né di minacciarmi: non devi mettere piede in centrale, non devi vederla neppure dall'altra parte della strada e, soprattutto, non devi preoccuparti delle voci che girano. Sono stato chiaro?». La vide annuire ma non gli bastava: «Sono stato chiaro?».
«Sì, Generale».
«Ottimo. Sei una mina vagante. Non farmi pentire di non aver dato ascolto a pareri che mi consigliavano di sbatterti fuori», la guardò e annuì, convincendo lei a fare lo stesso. Le passò un'altra pacca e camminò fino a raggiungere lo sportello del guidatore della sua auto. «Hai visto un certo Colin Chavez, di recente?», aprì lo sportello. «So che usciva con te».
Lei strinse i denti. «L'ho lasciato da poco, veramente… se n'è andato. Conserverò bei ricordi».
L'uomo la guardò a lungo, serio, prima di proferire qualcosa. «Attieniti al tuo lavoro, Carvex. Non vorresti vedermi arrabbiato. Non sono ammesse sorprese», la ammonì e lei delineò un sorriso.
Appena il presidente dell'organizzazione lasciò il parcheggio con la sua automobile, Carina Carvex lanciò un pugno contro una parete e perse il sorriso. «Phillings…», sussurrò. Quel maledetto, lo scienziato, parlava spesso con lui ed era l'unico che poteva raccontare al Generale di lei e Alex Danvers. Mai avrebbe pensato che i due parlassero ancora tra loro, dopo essere stato cacciato dall'organizzazione per qualcosa di grave. A che gioco stava giocando quel vecchio? Era stato lui ad aver consigliato al Generale di allontanarla? Si morse un labbro tanto forte da tagliarsi, stringendo i pugni di rabbia.

Carina Carvex sorrise con gaudio appena sbatté il portone del vecchio palazzo, per aprirlo. Piede di porco in mano, salì due a due gli scalini scricchiolanti di quella scalinata spingendo i condomini che intralciavano il suo passaggio, andando di fretta. Non appena la vide con quello in mano, un ragazzo tentò di fermarla e lei lo ignorò, continuando spedita verso un appartamento al quarto piano. Il giovane non poté fare nulla per impedirle di aprire una porta con il piede di porco, infine spingendola a calci, entrando di peso. «Vecchio! Devo parlare di una cosa con te». Passò il corridoio deserto e prese a calci la porta della camera adiacente, ma restò di sasso quando vide che era vuota. Dovevano esserci tavoli polverosi, in fondo una scrivania con tre schermi sopra, le provette, dei posacenere colmi di puzzolenti sigarette spente. Era rimasto il puzzo, le finestre chiuse come al solito. Un camice sporco e macchiato era gettato in un angolo, tra cenere e mozziconi che riempivano il pavimento. «Che cosa… diavolo è successo qui?», si voltò di scatto al ragazzo dietro di lei, che alzò le mani per ripararsi. «Dov'è il vecchio? Phillings! Dov'è andato?».
«Se… Se si fosse fermata, agente, sarei riuscito a dirglielo poc'anzi», la guardò aprendo un occhio solo, temendo il piede di porco. Era un agente del D.A.O., ma non era la prima volta che l'aveva vista di pessimo umore quando andava a trovare il suo amico ed era meglio non farla arrabbiare. «Mi ha restituito le chiavi dell'appartamento due mattine fa, si è… trasferito, vede, da che so ha finalmente ricevuto i soldi che aspettava», concluse con una vocina bassa e acuta da sembrare uno squittio.
«Soldi?», sbottò, portandosi l'altra mano sulla fronte. «E dov'è andato? Cosa ha detto?».
«Che-Che sarebbe riuscito a portare avanti i suoi esperimenti. Ne era felice. Le ha lasciato questo». Frugò una tasca dopo l'altra dei suoi jeans, facendola spazientire. «No, no, è che devo-devo averlo messo… Eccolo». Glielo porse e lei lo strappò di mano, lasciando cadere sul pavimento il piede di porco.
Spiegò in fretta il foglietto:
Sapevo che saresti tornata presto e che non avresti avuto buone intenzioni. Ma io sono più saggio e me ne sono andato. Sono arrivati i fondi che tanto mi servivano per andare avanti col mio progetto, anche se non come mi ero immaginato. Che sorpresa la vita! Sono certo sarà capace di sorprendermi ancora. Intanto, ti auguro buona fortuna con la tue turpe mentali, ragazzina. Non sarò più qui ad ascoltarti.
Addio,
Phil.
Accartocciò il foglietto e lo gettò a terra. Riprese il piede di porco e non degnò il custode di occhiata, decidendo di andarsene. Se Phillings credeva davvero di svignarsela si sbagliava di grosso, pensò. Prima o poi avrebbe scoperto dove si era rintanato e avrebbero tenuto quella discussione che, ora, le stava molto a cuore.


1963

Piccoli angeli su sedie a rotelle: adatte per rappresentare i loro handicap, anche se non tutti ne facevano uso. Louie Luthor seguiva con lo sguardo ogni delicata curva nei loro volti di pietra sulla scultura nella piazza, concentrato. Riusciva a captarne la morbidezza: era un effetto ottico, ma era così meravigliosa anche solo la sensazione da sembrargli veri.
Kristen si era accostata lentamente, guardando la scultura e il volto assorto del ragazzo: batteva i denti e muoveva impercettibilmente la testa seguendo linee immaginarie, collegato al picchiettio con due dita che faceva contro la sedia a rotelle. Non voleva disturbarlo ed era rimasta ferma e in silenzio fino a quando lui, soddisfatto in ciò che vedeva, si era voltato.
Gli operai stavano ancora lavorando agli ultimi ritocchi e la piazza non era aperta al pubblico: Louie era lì a controllarli più di prima, dal momento che Levi aveva abbandonato il timone dopo la loro discussione.
Lei si era lisciata la gonna, il maglioncino e i capelli, sistemando la coroncina, solo allora lo aveva affiancato. «Mi chiedevo una cosa», lo aveva guardato di straforo, nascondendo un sorriso. Lui l'aveva guardata appena. «Cosa succede se un membro di quella società, quella che stiamo immaginando, compie un'azione orribile? Se tutti si proteggono a vicenda, non potrebbero denunciarlo e farlo arrestare», si era fatta dubbiosa. «Come si comporterebbero con lui? Lui potrebbe ripagarli con la stessa moneta, o che so io, diventare pericoloso per tutti, quelli fuori e dentro la società», lo aveva guardato, «Louie?».
Il ragazzo aveva girato la sedia a rotelle, dando le spalle alla scultura. «Lascia stare».
«Come?».
«Lascia stare, chi se ne importa! Era una bambinata senza senso».
«Perché adesso dici così?», si era rattristita, cercando di captare dal suo volto duro cosa c'era che non andava. «Cosa succede?».
«Vedi Levi, da queste parti?».
Lei si era girata, allungando lo sguardo. Poi aveva dovuto scuotere la testa. «No, forse non è ancora arriva-».
«Non verrà», era stato lapidale. «Non verrà perché ho parlato a lui e a Lara della nostra idea e si è arrabbiato», aveva così confessato, mordendosi il labbro inferiore. «Magari sono stato avventato».
«Tu hai…». Lei ne era rimasta sorpresa, naturalmente: parlava con Louie di quella società perché riusciva a distrarre entrambi, non che avesse voluto crearla davvero, un giorno. «Credevo che-», aveva forzato un sorriso e, all'ultimo, scosso la testa, ripensando a cosa dire. «E-Era… Tu volevi realizzarla veramente?».
Lui non si era mosso, zitto, aveva dato una nuova occhiata alla scultura. Cosa ne avrebbe pensato Mark? Lo avrebbe preso in giro anche lui, o lo avrebbe appoggiato? Voleva fare il tassista e vedere posti nuovi… Le automobili sarebbero state più facili da guidare, anche per chi non muoveva le gambe. La fabbrica in perdita, le armi, i debiti… Il suo cervello continuava a macinare un pensiero dopo l'altro, intanto che Kristen aspettava. Infine l'aveva guardata. «Un'azione orribile di che tipo?», le aveva chiesto, assottigliando gli occhi e tossendo. «Perché una persona giusta, selezionata per entrare nella nostra nuova società, dovrebbe compiere un'azione orribile?».
Kristen aveva sollevato le spalle. «Perché è una persona prima che giusta. E succede che le persone si scoprano orribili che fanno azioni orribili. Potrebbe capitare».
Louie aveva annuito, poi aveva formato un sorriso. «Verrebbe allontanata», aveva riso e così tossito di nuovo, «Perderebbe ogni privilegio e diritto, non sarebbe più parte dell'insieme, né verrebbe protetta».
«Volevi realizzarla veramente?».
Lui si era morso le labbra spaccate, battendo le dita sulla sedia e fissando Kristen. Aveva la mascella pronunciata e gliel'aveva delineata con lo sguardo. I capelli scuri lisci, a parte le punte. Aveva delineato anche quelle. Il labbro inferiore aveva un solco al centro e Louie aveva assottigliato gli occhi per delineare anche quello, più piccolo, cercando di vederlo meglio. Se sbagliava a visualizzarle i dettagli e non gli veniva bene nella sua lavagna mentale, doveva ricominciare.
«Louie?».
«Sì», aveva chiuso gli occhi con forza e alzato la voce, voltandosi e spostando la sedia. «Ti ho sentita». Le sue fissazioni e i disegni mentali erano aumentati dalla morte di Mark, la lite con Lara e Levi non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Aveva preso un bel respiro e riaperto gli occhi, quel solco incredibilmente vicino, quando aveva sentito la ragazza accostarsi; Kristen si era abbassata.
«Sai perché sono rimasta con te da quando Mark…?». Aveva aspettato la sua reazione per continuare: «Perché stare con te… era come un po' stare con lui. Vi volevate bene, Louie. So come… E ora che ti conosco meglio… Per qualunque cosa, qualsiasi, che ti tormenta, parlamene. Sono venuta da te per Mark, ma rimarrò per te. Perché non mi hai detto che volevi realizzarla veramente?».
«Non lo so… Era una bambinata, qualcosa che non porterà da nessuna parte. Se non posso fare nulla per proteggere le classi sociali più deboli, le minoranze, allora realizzerò il desiderio di Mark».
«Il suo desiderio?».
«Mark non potrà mai fare il tassista, ma qualcun altro per lui sì».
Lei aveva subito sorriso, rialzandosi. «E come pensi di partire?».
«Da Lara e Levi».


***


Non aveva mai avuto un grande rapporto con suo fratello e sua sorella più grandi, mai fino a quel momento della sua vita. Lara spendeva quasi tutto il suo tempo libero a disegnare bozzetti per qualche progetto, aveva solo bisogno che qualcuno direzionasse il suo genio. Levi doveva salvare la fabbrica di famiglia e aveva bisogno di idee fresche e veloci. La soluzione era sempre stata davanti a loro, se solo si fossero scoperti una squadra, una famiglia, molto prima. E così, mentre Levi Luthor scendeva in campo ed ereditava la fabbrica dal loro padre che si stava ammalando, Lara e Louie la cambiavano dall'interno con innovazioni che, durante gli anni successivi, avrebbero preso sempre più spazio, sottraendoli alla costruzione di armi. Levi parlava al personale e alle conferenze con discorsi scritti da Louie di progetti che ideava Lara. La fabbrica era riuscita a saldare i suoi debiti col tempo, e cresceva. Il loro padre era venuto a mancare in quel periodo e i suoi figli avevano dedicato a lui la nuova azienda nata dalle ceneri della vecchia fabbrica. Aprirono a nuovi posti di lavoro, si spostarono su costruzioni più spaziose, il loro patrimonio aumentava e riuscirono ad aiutare i più deboli negli anni a venire, aprendo nuove scuole in paesi meno fortunati e case rifugio per senzatetto. Ognuno di loro aveva un ruolo e tutto sembrava bilanciarsi; i giornali parlavano di come Levi Luthor stesse costruendo un impero e di come la loro famiglia si stesse riservando un posto tra quelle più influenti d'America.
Era il millenovecentosessantasette quando Louie Luthor era riuscito a testare la prima automobile possibile da guidare senza fare uso delle gambe; quando nacque Lorna, la figlia sua e di Kristen diventata Laura Luthor col matrimonio; quando aveva capito, finalmente, che Mark aveva ragione e i miracoli esistevano davvero.





























***

I miracoli, ognuno ha il suo ruolo, mine vaganti e persone orribili che compiono azioni orribili, per non parlare di certe voci che girano e di una Carina Carvex particolarmente interessata ad Alex. A proposito di Carina, ora sappiamo un po' di più sul suo conto. E quel Phillings? Ve lo ricordavate? Era lo scienziato che lei era andata a trovare in uno degli scorsi capitoli: fumo di sigaretta, voleva vendere il suo progetto al generale Lane ma Max Lord lo aveva battuto sul tempo e lui non aveva i fondi per continuare il suo lavoro, ma a quanto pare per quello ha appena risolto. Chissà come e cosa sarà successo… E ora sappiamo che era stato per certo cacciato dall'organizzazione, nonostante parli ancora con il Presidente, il Generale Zod. Chissà per quale azione orribile era stato cacciato… O forse il titolo non si riferisce (solo) a questo?
È vero, questo minicapitolo è più corto, li ho tagliati per argomento, sorry.
Inoltre, nel passato abbiamo potuto trovare un Louie disilluso dopo aver parlato con il fratello e la sorella maggiori, e per fortuna ha trovato altro su cui concentrarsi: non solo realizzare il sogno di Mark, ma crearsi una famiglia, e proprio con Kristen, la ragazza che era fidanzata del defunto Mark, passata al nome Laura, il suo secondo nome, quando è andata in sposa a lui, che è un Luthor. Benvenuta in famiglia, eh! È lei la madre di zia Lorna.
I tre fratelli hanno trovato il modo di collaborare e salvare il futuro della famiglia. Il genio della sorella maggiore Lara viene così sfruttato, il cuore di Louie diffuso e, allo stesso tempo, ecco che chi ci mette la faccia è il fratello di mezzo, Levi, quello che tutti volevano. Avevano vinto tutti, o almeno per ora.
E dire che John Jonzz c'era proprio vicino quando indagava sulla famiglia…

E con questa chiudo, al prossimo minicapitolo che si intitola Riscatto: La famiglia è la cosa più importante di tutte… Chissà chi seguiremo, tra presente e passato…



   
 
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