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Autore: Foxford_Welles    27/02/2021    0 recensioni
Quando Harry Potter giunge per la prima volta a Hogwarts, Galen sta per iniziare il suo secondo anno.
A prima vista sembrerebbe un ragazzo normale, ma sia lui che i suoi amici devono affrontare le conseguenze di un incidente misterioso avvenuto l'anno prima e di cui Galen è ritenuto da molti il responsabile.
Serpeverde, la casa dei quattro protagonisti, non è un luogo sicuro per loro, e presto emergeranno nuovi e inquietanti indizi che legheranno la loro storia a quella del ragazzo che è sopravvissuto.
Genere: Fantasy, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Capitolo 1
Un nuovo ritorno


 

La luce di un mattino pigro e silenzioso dipingeva d’oro ogni cosa visibile al di là dei finestrini, mentre il paesaggio correva incessantemente davanti al cielo sereno.

Il mese di settembre era arrivato quello stesso giorno, tanto che il clima non sembrava volerne ancora sapere di abbandonare il caldo dell’estate, e se non fosse stato per lo scopo di quel viaggio, chiunque sul treno avrebbe fatto lo stesso. Infatti, più di qualche passeggero aveva ancora la testa immersa profondamente nella spensieratezza delle vacanze.

Oltre l’orizzonte, numerose nuvole bianche pascolavano a gruppi, passando a intermittenza molto vicine al sole già alto, senza raggiungerlo mai.

Il manto bianco del cielo qualche volta si confondeva con le tracce di vapore sbuffate dalla gigantesca locomotiva, la quale sfrecciava dritta nel mezzo della campagna da un tempo indeterminato.

Galen scrutava assorto il panorama che cambiava scivolando via.
Senza accorgersene, aveva iniziato a calcolare la frequenza con cui il treno passava di fianco a campi verdi, ingialliti, o brulli.

A dodici anni da poco compiuti, era un ragazzo dai tratti ancora bambineschi, così com’è comune per molti di quell’età. Aveva un aspetto piuttosto ordinario: altezza nella media e un viso dalla conformazione delicata, caratterizzato da un naso sottile, leggermente all’insù, e da due occhi verdi espressivi e vivaci. Infine, un caschetto di biondi capelli mossi arrivava quasi a coprirgli le orecchie.

Non aveva ancora terminato la conta, quando l’apparizione improvvisa di un campo di fiori rossi lo prese alla sprovvista, distraendolo e facendogli capire quanto quel passatempo in realtà lo annoiasse.

Scostandosi dal finestrino, il suo sguardo cadde su chi gli stava di fronte. Ryley Shifford si era addormentato da parecchio.

Si potrebbe dire che, al contrario di Galen, fosse un tipo dall’aspetto eccentrico: molto magro, quasi deperito, aveva dei lineamenti sfuggenti, ad eccezione di due zigomi alti e spigolosi che gli risaltavano in volto. I suoi capelli erano di un color amaranto spento, tanto scuro che solo grazie ai raggi del sole si intravedeva qualche riflesso rossastro. Questi avevano un taglio davvero strambo, con ciocche più lunghe, accorciate in maniera irregolare o tagliate di netto. Dovevano essere opera di qualcuno decisamente goffo.

La carnagione del ragazzo poi, era a dir poco insolita. Galen aveva sempre pensato che la sua pelle chiara sembrasse sottile e verdognola come il ventre di un rospo, e che ciò gli conferisse un aspetto tutt’altro che sano. Quel colorito era vagamente richiamato dalla divisa di Hogwarts che il ragazzo portava, decorata con l’emblema e gli ornamenti smeraldini di Serpeverde.

Non era una persona molto socievole, ma tutti quelli che lo conoscevano, al di fuori dei professori, lo chiamavano Rilo.

Galen lo fissò per alcuni secondi: ‘Bene. Dorme ancora’ fu l’unico pensiero che la scena gli suscitò.

Non che Rilo non gli piacesse da sveglio; sapeva anche essere una persona gradevole o semplicemente silenziosa quando decideva di esserlo, ma da addormentato era certamente più prevedibile.

Ai lati di Galen e Rilo, sedevano altri due compagni: Ozzy Butler e Allegra Mugpry. L’uno di fronte all’altra, si comportavano come se nessuno, al di fuori di loro stessi, fosse presente nella carrozza o nell’intero vagone.

Ozzy, preso dalla noia, era intento a far saltellare da una mano all’altra una piccola raganella che si muoveva indemoniata. Il suo nome era Clammy, e in momenti come quello, esprimeva tutta la sua gioia per essere uscita dalla tasca del padrone, dove spesso era obbligata a stare.

Guardandoli insieme, sarebbe stato facile notare l’estrema antitesi tra i due: da una parte, l’anfibio aveva un corpo molto esile e si muoveva con grande agilità, mentre dal canto suo, Ozzy era un ragazzone alto, con le spalle ampie e dal fisico massiccio.

Fin dall’inizio del primo anno, era diventato chiaro che Ozzy avesse delle caratteristiche fuori dall’ordinario. Svettava sopra ogni altro coetaneo di almeno trenta centimetri, e forse solo i più tarchiati tra gli studenti erano grossi quanto lui. Nel giro di pochi mesi avevano iniziato a circolare voci secondo cui neanche Hagrid, l’enorme guardiacaccia di Hogwarts, alla sua età fosse stato altrettanto imponente. Tali scoop non avevano però mai trovato conferma, né prove a loro supporto.

Ozzy aveva dei corti capelli castano scuro, che con un taglio ben ordinato incorniciavano perfettamente il suo testone. In mezzo al viso spuntava un naso tozzo e sporgente, sovrastato da un paio di occhi tondi color nocciola e da sopracciglia molto folte.

Mentre esaminava lo strano duo, Galen, come ricordandosi qualcosa, alzò di scatto lo sguardo verso la cappelliera della cabina, dove riposava sornione Sigismund, detto Sigi, uno splendido esemplare di gatto d’Angora dal pelo candido, regalatogli da sua nonna l’anno prima.

Fissando quella palla di pelo dai connotati appena accennati, Galen ripensò alla prima volta che l’aveva portato a Hogwarts. Era poco più che un cucciolo, ma già la prima notte riuscì a fuggire dalla sala comune, venendo poi trovato dal custode mentre seminava il panico tra gli elfi domestici nelle cucine.

Appena arrivato, difficilmente avrebbe potuto causargli una figuraccia più grande, per non parlare di quanto lo avesse tormentato le notti seguenti coi suoi miagolii incessanti, visto che Galen si era assicurato che non uscisse di nuovo.

Dopo un po’, i due erano riusciti a fare amicizia, ma ormai Galen si era convinto che sua nonna glielo avesse originariamente dato come punizione per qualcosa che non sapeva di aver fatto.

Una volta verificato che Sigi fosse dove l’aveva lasciato, l’attenzione si spostò su Allegra, che stava leggendo un libro dalla copertina blu notte.

Era una ragazza minuta, aveva il viso allungato e una fisionomia dai tratti aguzzi e severi, traditi però da due grandi occhi celesti dall’aria gentile. Una lunga chioma di capelli neri, crespi e sbiaditi le scendeva delicatamente sulle spalle.

Leggeva, con espressione rilassata ma attenta, un volume chiamato “Misteri e segreti mai svelati della Magia” di una certa Madama Nettlitch, il cui nome splendeva sulla copertina in brillanti lettere d’oro.

I quattro ragazzi avevano trascorso l’intera mattinata a raccontarsi delle vacanze. Il più entusiasta era stato certamente Ozzy, che parlando di un parco di divertimenti dove era stato con la famiglia, era quasi andato in affanno. Tuttavia, dopo varie ore e dopo aver sviscerato ogni aneddoto più o meno interessante, ognuno di loro aveva finito per distrarsi facendo altro, e ormai nello scompartimento regnava un silenzio irreale. Eccetto il rumore del treno sui binari, solo un vociare leggero e ovattato giungeva fino a loro da oltre gli sportelli.

Mentre Galen fissava un punto imprecisato attraverso il vetro della porta che li separava dal resto del vagone, passarono speditamente due ragazzi dall’aspetto familiare.
Non era un caso che i gemelli Weasley, Fred e George, saltassero all’occhio in un qualsiasi contesto: quasi indistinguibili tra loro e dai capelli rossi come fiamme, era praticamente impossibile non notarli, tanto più perché stavano sempre insieme.

Uno dei due, intravedendolo forse con la coda dell’occhio, fermò l’altro, e insieme spalancarono bruscamente la porta della carrozza.

«Ehilà Galen! Anche quest’anno non hai trovato di meglio da fare che tornartene sui banchi di scuola, eh?» disse il primo con un tono di voce altissimo.

Fu come se avessero tirato una bomba in mezzo ai presenti, e una volta aperte le porte, anche la baraonda esterna irruppe bruscamente, tanto che tutti smisero di dedicarsi a qualunque cosa stessero facendo per fissarli. Solo Rilo sembrava continuare a dormire indisturbato.

Galen aveva conosciuto i due gemelli l’anno prima, e da quel momento non era mai stato in grado di distinguerli con certezza, anche se per fortuna questo non gli aveva mai causato particolari problemi.

«A quanto pare però vale anche per voi» rispose dopo un istante di ripresa dallo shock. «Siete a Hogwarts da più tempo, ma ancora non avete trovato un modo per evitare di starvene chiusi a scuola tutto l’anno. Nonostante siate… voi due».

«Oh, fidati… anche dentro quelle quattro mura per noi di cose da fare ce ne sono a bizzeffe! Abbiamo una lista fittissima e non abbiamo neanche iniziato» rispose il primo. «E poi Hogwarts non è così male per sperimentare le nostre… idee» insistette l’altro appena dietro.

«Ma la sai la novità?» fecero quasi in coro, «sul treno c’è Harry Potter!»
Tutti li fissarono con gli occhi spalancati, senza proferire una singola parola. Anche Rilo, seppur addormentato, sembrava aver fatto un piccolo movimento per drizzare le orecchie.

«Ora è con nostro fratello, devono iniziare entrambi il primo anno» disse il gemello più avanti.

Gli altri compagni di cabina si erano impegnati con tutte le forze ad ignorare la presenza dei Weasley, ma una notizia tanto inaspettata li aveva lasciati tutti spiazzati, nonché incapaci di commentarla. Lo stesso Galen, non potendo assolutamente immaginare che la conversazione prendesse una piega del genere, si sentì preso alla sprovvista.

«Cos’è, volete già iniziare con uno dei vostri stupidi scherzi?»

«Ah, niente affatto!» risposero subito i Weasley, ostentando facce indignate.

«Ci hai preso forse per dei cialtroni? Guarda che normalmente un’informazione del genere ti sarebbe costata almeno cinque galeoni! Solo che… oggi ci sentiamo generosi».

«Beh scusatemi, sarà la forza dell’abitudine. E poi perché avrei dovuto pagare per una cosa che – se è vera – comunque presto sapranno tutti?» disse Galen.

«Che domande sono? Per l’anteprima! Qualunque cosa vale di più se puoi averla prima degli altri. Ma se davvero non ti fidi, fai come dici e aspetta lo Smistamento di stasera, così potrai sentirti uno scemo per non averci creduto!»

Mentre Fred e George parlavano con Galen, gli altri intorno continuavano a fissarli in silenzio. In quella situazione, anche due tipi disinvolti come i gemelli dovettero sentirsi vagamente a disagio, perché tagliarono corto cambiando argomento.

«Comunque… c’è Lee Jordan che ha portato un ragno enorme e lo sta facendo ballare! Vuoi… ehm, volete… venire a vederlo?» disse uno, facendo finta di niente.

L’altro, perplesso, cercò di bisbigliare qualcosa all’orecchio del fratello, riuscendo comunque a farsi sentire da tutti: «Credevo fosse solo uno scherzo per far prendere un colpo a Ron».

«Grazie, ma… penso che resteremo qui» rispose Galen con una punta di imbarazzo malcelato.

«Come volete, allora ci si vede all’arrivo!»

I due gemelli uscirono nel corridoio del vagone con la stessa irruenza con cui erano apparsi.

«Pff, devono sempre fare casino a tutti i costi quelli» esordì Ozzy, ricominciando a fissare i movimenti di Clammy. «Non capisco proprio come fai ad essere loro amico…» proseguì.

«Non direi che siamo amici» ribatté Galen, «però sinceramente li trovo divertenti».

Al contrario di molti altri studenti, Galen non aveva mai escluso a priori di poter avere buoni rapporti con gli appartenenti ad altre case. L’anno prima, al momento dello Smistamento, lui stesso non aveva maturato una vera preferenza su dove andare a stare.

Nonostante ciò, quando la sua famiglia era venuta a sapere del risultato, molti parenti vicini e lontani gli avevano inviato lettere compiaciute, piene di complimenti e in cui si vantavano di aver sempre saputo come sarebbe andata.

Pur non provando interesse per le rivalità che animavano il contesto sociale di Hogwarts, lui stesso a volte si stupiva al pensiero di trovarsi bene con dei Grifondoro, quelli che sarebbero dovuti essere i loro nemici naturali.

Non era infatti un caso che quasi tutti gli altri Serpeverde non gradissero questo suo atteggiamento, e che spesso non avessero mancato di ricordarglielo nella maniera più spiacevole possibile.

«Tra di noi sei l’unico che salutano» fece Allegra senza alzare gli occhi dal suo libro, che nel frattempo aveva ripreso a leggere.

«Devi fare attenzione. Se a scuola si sparge la voce che sei un amico dei Grifondoro, gli altri potrebbero darti addosso alla prima occasione possibile. Tipo, non so, se dovessero batterci a Quidditch».

Non era la prima volta che Galen sentiva questi discorsi, anche se spesso li ignorava.

«Non capisco cosa importi agli altri se parlo con persone di altre case. Non c’è niente di male».

«Invece lo capisci benissimo! Anche se non è il nostro caso, sai che alcuni dei nostri compagni hanno una mentalità molto chiusa su cose come queste» insistette Allegra.

Ozzy si alzò di scatto: «Ma non è questo il punto!» sbottò in faccia ai due.

Clammy si trovò improvvisamente obbligata a saltare via dalle mani del suo padrone, scalandolo fino ad appollaiarsi sull’abnorme testa.

«Il punto è che con loro non bisogna proprio averci a che fare! Quei Grifondoro non ragionano come noi, a volte sembrano proprio senza cervello! E poi non potremmo mai perdere a Quidditch contro quei fessi, non hanno neanche più un Cercatore!»

Nella sua imponenza, Ozzy riusciva quasi a coprire l’intera parete dietro di sé, e se si fosse sforzato un po’, magari anche a toccare il soffitto della cabina con la punta dei capelli. Malgrado ciò, Allegra non si era assolutamente scomposta.

«Se è per questo» lo rimbeccò invece, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, «per fortuna neanch’io ragiono come te. Quindi forse il problema in questo caso non sono i Grifondoro…»

«Oh, ma sta’ zitta!»
Le narici di Ozzy si dilatavano e stringevano, inalando aria con un rumore sgradevole.

«Se pensi che non potrebbero mai batterci a Quidditch tanto meglio, ma dovresti preoccuparti più di cosa succede a un tuo amico!»

«Lo faccio! È per questo che secondo me non dovrebbe più parlarci! Non è gente a cui dare confidenza». Nessuno dei due sembrava avere la minima intenzione di cambiare idea.

«Alcuni l’anno scorso dicevano la stessa cosa di te… pensi che avrei dovuto ascoltarli?» intervenne Galen provocatorio.

«Oh certo! Come se tu non sapessi che in quel caso ti saresti ritrovato con la testa nel gabinetto proprio come i moscerini che mi parlavano alle spalle!» rispose Ozzy rimettendosi a sedere.

«E comunque» riprese più calmo, «quelli là hanno detto che Harry Potter sta venendo a Hogwarts… chissà se è vero o volevano solo prenderti per scemo».

«Ehi!» replicò Galen dando un calcio a Ozzy, che però non si smosse di un centimetro.

«In effetti avrebbe senso…» disse Allegra pensierosa, cercando di ignorare le frecciatine di Ozzy.

«Sono passati esattamente dieci anni dalla sconfitta di Tu-Sai-Chi, ma credo che nessuno adesso si aspettasse l’arrivo di Harry Potter, altrimenti ne avrebbe parlato chiunque».

«Che ne dici, magari perché non se n’è saputo più niente? La gente non si scorda mica senza motivo di uno come Potter! Pensa prima di dire cose stupide» sbraitò di nuovo Ozzy.

«Senti, mi stai veramente rompendo…»

Galen capì che, come al solito, il discorso si era trasformato in un bisticcio tra i due, cosa di cui in parte fu grato, visto che non aveva la minima voglia di esservi incluso. Diede invece un’altra occhiata a Sigi, che sembrava molto scosso dopo l’arrivo dei Weasley e tutto quel chiasso. Stava rigido sulla cappelliera, coi suoi grandi occhi eterocromi spalancati e i baffi dritti.

Continuò a scrutare il gatto finché al di fuori non sentì, flebile ma inconfondibile, il rumore di rotelle del carrello dei dolci che sferragliava tra i vagoni.

Con un balzo istantaneo, si alzò dal sedile e superò i due litiganti per tentare di accaparrarsi il prima possibile uno Zuccotto di Zucca, cosa a cui stava pensando da più tempo di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, in barba ai discorsi su Harry Potter e i Grifondoro.

Rischiando di inciampare un paio di volte, si gettò fuori dalla cabina, ma una volta affacciato sul corridoio, rimase impietrito vedendo il carrello distante pochi metri. Tra le sbarre di metallo opaco non c’era altro che qualche merendina vecchia e schiacciata, rimasta chissà quanto tempo sotto altre più buone. Di sicuro, non c’era più traccia di Zuccotti di Zucca.

Galen faticava a credere a ciò che vedeva. Sembrava che il carrello fosse stato preso d’assalto da un branco di folletti in astinenza da zucchero.

Mentre fissava ormai un punto nel nulla, con gli occhi carichi di tristezza, la signora che (salvo quella volta) portava i dolciumi lo guardò con aria di compatimento, abbozzando un sorriso: «Mi dispiace caro…» e proseguì nel suo cammino verso l’estremità del treno.

Al suo rientro, Galen aveva tutti gli occhi puntati su di sé, come a volergli chiedere spiegazioni.

«Era vuoto…» disse lui sconsolato. «Chi diavolo avrà comprato tutti i dolci?»

«Mannaggia» sospirò Ozzy, «mi sarebbero proprio andate un paio di Cioccorane».

Allegra sbuffò alzando gli occhi al cielo, prima di rituffarsi nella lettura. Per fortuna, non si riaprì alcuna discussione.

Nel giro di pochi secondi, si ricominciò a sentire il suono del treno sulle rotaie, cadenzato, sempre uguale e non più coperto dalle voci. Il lieve sottofondo accompagnava il cammino del sole, che lentamente iniziava a percorrere la seconda metà del suo arco nel cielo.

Galen, a stomaco vuoto e assorto nella visione del panorama, stava quasi per imitare Rilo e addormentarsi, ma d’un tratto la porta dello scompartimento si spalancò nuovamente.

Voltato dalla parte opposta, Galen sentì il rumore di parecchi passi avanzare nella sua direzione.

Si ritrovò davanti tre studenti sconosciuti che lo fissavano e squadravano, probabilmente senza preoccuparsi di risultare poco discreti.

Il trio aveva una composizione alquanto simmetrica: due ragazzi grossi e tarchiati quasi quanto Ozzy, sebbene più bassi, stavano al fianco di uno molto più mingherlino, come delle guardie del corpo.

Il ragazzo al centro, che già dal primo istante sembrava atteggiarsi a capo del gruppetto, aveva il viso appuntito, simile a quello di topo. Mostrava un’espressione soddisfatta ma per nulla rassicurante, a causa del suo sorriso, molto più simile a un ghigno.

Ciò che tuttavia saltava più all’occhio del suo aspetto, era l’insolito colore del ciuffo di capelli che gli capeggiava in testa, pettinato all’indietro.

Quei capelli, infatti, erano estremamente chiari e quasi tendenti al bianco. A Galen era capitato di vederne di simili, ma per qualche motivo, stavolta qualcosa non gli tornava. Che vi avesse fatto un incantesimo? Oppure poteva aver usato una specie di pozione babbana di cui gli aveva parlato una volta sua madre… l’acqua ossingenanda… o come si chiamava.

«Tu sei Bavenlee, vero? Galen Bavenlee?» chiese questo in tono piatto.

I due energumeni non dissero nulla, ma continuarono a contemplarlo con occhi immobili. Avevano un’espressione assente, quasi animalesca, e Galen non si sarebbe stupito se da un momento all’altro uno dei due avesse grugnito.

«Si, sono io» rispose lentamente, cercando in qualche modo di immaginare cosa volessero da lui. I tre erano chiaramente studenti del primo anno, poiché le loro divise nere non riportavano lo stemma di alcuna casa.

«Io, sono Draco Malfoy» disse il “biondo”, intervallando nome e cognome con una pausa come se si aspettasse un applauso dal pubblico tra l’uno e l’altro.

‘Malfoy…’ pensò Galen. Quel nome non gli era nuovo. Doveva averlo sentito da qualche parte, anche se non ricordava dove, ma il suo sesto senso gli suggeriva una sensazione sgradevole.

Draco Malfoy si voltò a destra e a sinistra, gettando un’occhiata svelta ai suoi accompagnatori.

«Loro invece, sono Tiger e Goyle».

Anche stavolta nessuno dei due disse alcun che, ma fecero entrambi una specie di cenno con la testa.

«Sono venuto qui perché voglio conoscere le persone più in vista della mia prossima casa» continuò lui, con voce stranamente cantilenante, quasi da presa in giro.

«Quindi, pensi che tu e i tuoi… compagni andrete a Serpeverde, immagino» Galen parlò come se questo servisse ad allontanare la sensazione di imbarazzo che la presenza di quei tre gli provocava. «Che succede se poi finite in un’altra casa? Magari vi conviene aspettare lo Smistamento prima di presentarvi a tutti».

Malfoy ebbe un leggero tremolio agli occhi, come di disappunto per una domanda che mai si sarebbe aspettato di sentire, ma si riprese subito.

«Serpeverde è la casa migliore di tutte, quindi è l’unica adatta a me… e a loro» rispose con ostentata fiducia.

«Beh, in questo caso…» Galen si diede una spinta per protendersi in avanti, «ecco i più grandi studenti che Serpeverde abbia mai avuto!»

I tre si voltarono di scatto verso gli altri, fino a quel momento completamente ignorati.

Rilo continuava a giacere in un sonno profondo, anche se fece qualche verso che, vista la situazione, poteva essere preso come un saluto. Allegra, pochi secondi dopo l’arrivo di Malfoy e la sua banda, aveva perso interesse per la questione, ed era tornata al suo libro. L’unico che li fissava, a metà tra il cagnesco e l’annoiato era Ozzy, che abbozzò un gesto con la mano nella loro direzione. Il quadro generale era quanto di meno solenne si potesse immaginare.

«Si… piacere…» disse Malfoy, cercando di concludere rapidamente quell’interruzione non richiesta, per poi tornare con gli occhi su Galen, che ora aveva un sorriso divertito sul volto.

«Non sai che c’è Harry Potter sul treno? Fossi in te, andrei da lui se volessi incontrare una vera celebrità», proseguì Galen con aria sorniona.

«Ci sono passato in realtà» annuì Malfoy con sufficienza, «ma secondo me non merita la sua fama. Già se ne sta insieme a quelle nullità dei Weasley».

Galen smise di sorridere.

«Ma io sono qui per un altro motivo…»

Era chiaro che Malfoy stesse per arrivare al punto della sua manfrina.

«Vorrei sapere se è vera quella storia su di te. Se sono vere le voci su quello che hai fatto l’anno scorso. Per un po’ ne hanno parlato tutti, pure la Gazzetta del Profeta».

D’un tratto, lo sguardo del ragazzo cadde in maniera evidente su qualcosa che spuntava al fianco di Galen, tra le pieghe della veste. Era l’impugnatura di una bacchetta, bianca come la neve e dalla forma affusolata, che spiccava particolarmente sul nero delle divise scolastiche.

Istintivamente, Galen la coprì con un lembo degli abiti.

«Non so cos’hai letto o sentito, ma molte delle voci che girano non sono vere» rispose freddamente.

Galen si era fatto cupo in volto. All’improvviso, sperava solo che quei tre se ne andassero presto.

«Ehi, guarda che secondo me hai fatto bene. Perché mai dovresti nasconderlo? Non dev’essere stato facile, soprattutto contro uno studente del quarto anno. Fossi in te, probabilmente me ne vanterei!»

La voce di Malfoy suonava man mano più irritante, e Galen faceva sempre più fatica a capire perché quel tipo fosse venuto lì appositamente per fargli certe domande.

«Non posso vantarmi di qualcosa che non ho fatto, soprattutto se è una cosa orribile».

Il ragazzo-topo iniziò a guardarlo con sospetto. Il suo evidente interesse per l’argomento sembrò smorzato da un misto di rammarico e biasimo.

«Mah, sarà. Certe capacità non dovrebbero essere né nascoste né disprezzate, ma a sentirti parlare spero solo di non aver perso tempo con te».

Alle spalle del trio si sentì qualcuno alzarsi, e oltre le loro teste spuntò la figura di Ozzy, con aria truce. Malfoy e i suoi scagnozzi si irrigidirono di colpo.

«Comunque ci rivedremo presto a scuola. Così magari mi dirai tu stesso come sono andate le cose…»

Dal tono ammiccante si capiva che non avesse creduto ad una singola parola di ciò che Galen aveva detto, e percepita la pericolosità della situazione, senza perdere la sua facciata di sicurezza, Malfoy girò velocemente i tacchi e fece per uscire dallo scompartimento, seguito dalla sua scorta personale.

Quando furono quasi arrivati alla porta, questa si spalancò d’improvviso con un tonfo.

Un altro ragazzo, dal viso tondo e paffuto, si affacciò e disse tutto d’un fiato: «Qualcuno ha visto il mio rospo? Si chiama O…»

Non appena vide dov’era capitato, si fermò all’istante, e come resosi conto di aver sbagliato clamorosamente ad entrare, arretrò e richiuse la porta senza nemmeno finire la frase, lasciando intravedere per un attimo la sua faccia paonazza.

«Ci sono veramente un sacco di idioti quest’anno a Hogwarts» sbuffò Malfoy, poi lui, Tiger e Goyle imboccarono la via d’uscita.

«Ma quello là si è bevuto il cervello! Chi si crede di essere!» Ozzy iniziò a urlare che la porta non era nemmeno completamente chiusa. «Come si permette di presentarsi qui e sputare quelle cretinate! Se quelli là finiscono a Serpeverde, ci penso io a dargli una ripassata!» Sembrava fuori di sé.

«Va tutto bene?» Allegra ignorò gli sproloqui di Ozzy e si rivolse a Galen in maniera insolitamente affettuosa.

«Si, tranquilla, è solo che non me l’aspettavo».

La ragazza mostrava un’espressione addolcita, ma più che altro sembrava che qualcosa la preoccupasse e opprimesse.

«Senti, noi sappiamo com’è andata. Non è stata colpa tua, e Varan se l’era andata a cercare».

Galen si sentì di nuovo a disagio. Nonostante lei volesse sostenerlo, l’unico risultato che ottenne fu causargli una smorfia dolorante sul volto.

«Dici di saperlo come se l’avessi visto, anche se non c’era nessuno oltre me e lui. Proprio quando sarebbe servito che qualcuno ci fosse… che voi ci foste. Non puoi esserne sicura, a meno che non mi stia dicendo una bugia solo per farmi stare meglio».

La fissava torvo, ma in realtà sperava che lei dicesse qualcosa in grado di fargli cambiare idea. «Neanche io so davvero cosa sia successo» concluse mestamente.

«Io so quello che ci hai raccontato, e voglio crederci. Ma di certo comportandoti così non mi dai una mano» replicò duramente Allegra.

«È bello che tu mi creda, ma vorrei davvero che non fosse solo perché mi conosci un po’».

«”Mi conosci un po’”» scandì Allegra, furibonda. «Seriamente non riesci neanche a dire che siamo amici? Dopo tutto quello che è successo? Mi fai venire voglia di prenderti a schiaffi!»

Galen si vergognò subito di ciò che aveva detto, ma quelle parole gli erano uscite di bocca senza che potesse farci niente.

«Scusami, hai ragione. È che vorrei solo ci fosse una spiegazione logica, ma non riesco a trovarla, e a volte mi trovo a dubitare di ogni cosa, capisci? Non so neanche più se i miei ricordi sono veri! È tutto troppo confuso».

«Per questo dobbiamo lavorarci insieme, ma se nel frattempo ti intestardisci a dubitare di chi hai già convinto, non andremo da nessuna parte…»

Allegra non sembrava neanche più arrabbiata, ma a sua volta, doveva sentire almeno un po’ della stessa frustrazione che affliggeva Galen.

«Io mi fido, ovviamente» intervenne Ozzy all’improvviso, «ma in effetti è tutto molto strano, e anche tu, Ally, devi ammettere che certe storie che girano hanno quasi più senso di quello che sappiamo noi. Se pure Galen non sa che pensare, sarebbe stupido continuare a credere e basta…»

«Io credo a lui, non alle “storie”! Idiota! Credo solo al fatto che lui non sia colpevole! Ma se siete così scemi da non capirlo, allora lasciate perdere il mio aiuto!» stavolta Allegra lo fulminò con lo sguardo, e lo fece in modo talmente feroce che addirittura Ozzy si ammutolì.

La ragazza si rituffò nel libro come se volesse chiudersi la faccia tra le pagine, e rimase a lungo nella stessa posizione.

Per il resto del tempo, nessuno ebbe il coraggio di parlare ancora, e la cabina sprofondo di nuovo in un quasi completo silenzio. Ogni tanto, Rilo, sempre profondamente addormentato, si esibiva in versi sgraziati, cambiava posizione, o parlottava confusamente di cose come una pianta troppo affettuosa e una bottiglia di vino che spegne gli incendi.

Il mondo al di fuori cambiava colore, e in fine il sole si era adagiato sull’orizzonte vermiglio, nascosto a tratti dagli alberi. Alla fine, Galen si era assopito, sognando brevemente e in modo confuso.

Accanto a lui correvano le lunghe pareti di pietra grigia di una sala, grande, eppure opprimente e buia come un angusto corridoio. I contorni di ogni cosa sembravano incresparsi come l’acqua, e tutto appariva frammentato e incompleto.

Si guardò intorno, ma la poca luce rifletteva ombre che sembravano vive, e che danzavano dentro e fuori da una grande oscurità in cui nulla era visibile.

Galen notò che c’era qualcuno di fronte a lui, a pochi metri di distanza, una figura nera che se ne stava immobile. Non aveva occhi, ma lo stava certamente fissando.

Galen ebbe un sussulto quando un brivido gelido e pungente lo attraversò, strisciandogli sulla pelle, dalle caviglie alle spalle.
D’un tratto, qualcosa iniziò a scavargli nella carne del braccio destro. Sentì un dolore lancinante scuoterlo da cima a fondo, prima bruciante come il fuoco, poi freddo come il ghiaccio. Riconobbe una mano, orribile e inumana stringerlo saldamente, facendogli sempre più male.

Preso dal panico, Galen cercò disperatamente di scuotersi di dosso quella cosa e scappare, ma i lunghi artigli della mano, simili a quelli di una bestia, erano conficcati nel braccio fino a raggiungere l’osso. Ogni strattone aumentava il dolore, ma il suo corpo in realtà non si muoveva. Il respiro si fece affannoso, e col cuore che gli batteva all’impazzata, Galen cominciò a sentire echi di voci ovattate e incomprensibili che gli rimbombavano nelle orecchie. Dapprima come un bisbiglio che si avvicinava e allontanava, poi sempre più forte, le voci lo circondarono in un vortice asfissiante.

Non riusciva a liberarsi, non riusciva a fare nulla, obbligato a contemplare inerme il proprio terrore. Le voci si fecero grida, poi un fischio acuto, il dolore crebbe e Galen sentì che non ce l’avrebbe più fatta a sopportarlo. Non riusciva più a respirare, e i sensi lo abbandonavano sempre più. Era come se fosse completamente immersi nel ghiaccio. Sentì di non essere abbastanza forte, che sarebbe stato costretto a lasciarsi andare, forse a morire.

Ma ciò non accadde: improvvisamente tutto si placò, inghiottito da un silenzio oscuro.

Altri pensieri sconnessi si avvicendarono nella sua mente: la sua casa e la quiete dell’estate in cui sentì sempre più il peso delle domande senza risposta, di ciò che la sua mente non riusciva ad afferrare, forse perché troppo distante o troppo imperscrutabile.

«Sarà stata davvero la scelta giusta? La migliore?» di fronte a sé, intravedeva ora la sagoma sfumata di un volto, di cui era possibile distinguere solo una massa di capelli bianchi.

«C’era qualcosa di strano, glielo leggevo negli occhi, eppure alla fine doveva aver scacciato quel pensiero, quello che avevo colto…»

«Mi convinse, mi rassicurò. E io che non sapevo niente, che non potevo sapere niente, accettai in silenzio…»

«Ancora oggi non capisco perché… perché era così forte… quella luce verde».

Si svegliò di soprassalto, mentre suonava forte il fischio del treno. Erano arrivati, e il cielo era buio.

Galen vide Ozzy, fermo in piedi e con la mano tesa verso di lui, come se avesse voluto svegliarlo, un istante prima che trasalisse.

Sembrava vagamente preoccupato, come non capitava spesso. Galen si chiese se avesse detto o fatto qualcosa nel sonno.

«Do… dobbiamo andare, Allegra è già uscita» disse soltanto Ozzy. «Ah, e sveglia anche quel citrullo» poi uscì dalla carrozza.

Galen allora si voltò. ‘Come diavolo fa a dormire ancora?’ pensò, mentre il cuore smetteva gradualmente di martellargli il petto.

Ad occhio e croce, Rilo doveva aver dormito per quasi sei ore, e a guardarlo, sembrava capace di ronfare ancora per chissà quanto, senza problemi.

«Questo qui non è normale» disse Galen tra sé e sé mentre lo scuoteva per la spalla.

«Rilo, alzati! Siamo arrivati».

Il ragazzo si svegliò, esibendosi in un sonoro sbadiglio con tanto di stiracchiata.

Da quella mattina, era la prima volta che Galen poteva guardarlo nuovamente negli occhi, e come se, dopo tutto quel tempo non se ne ricordasse più, per un attimo rimase interdetto, vedendo emergere da sotto le palpebre due iridi pallide, quasi giallognole, così atipiche.

«Oh! Ciao Galen» fece lui, sorridendo con aria inebetita. «Il viaggio è andato bene?»

«Ehm… diciamo di sì» fu la risposta sbrigativa. «Ora muoviti però».
   
 
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