Anime & Manga > Cells at Work - Lavori in corpo
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Autore: Moriko_    27/02/2021    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [AA2153 centric]
"Così, nel profondo di quel silenzio, le lacrime tornano a scorrere. Tutti i ricordi legati a quei piccoli istanti di felicità si riempiono di crepe, che si moltiplicano a gran velocità e diventano sempre più profonde fino a far andare quelle immagini in frantumi: i ricordi cadono al suolo come pezzi di vetro, polverizzandosi al violento impatto con la crudele realtà priva di compassione e pietà.
Adesso, resta solo una profonda e incolmabile disperazione, che di colpo incombe come un macigno."

In un mondo apocalittico basta poco, un istante, per precipitare nel baratro della disperazione.
[Capitolo 7 del manga | Episodio 10 dell'anime di Cells at Work! BLACK]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'From darkness to light'
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Fanfiction

Sommario. 
"Così, nel profondo di quel silenzio, le lacrime tornano a scorrere. Tutti i ricordi legati a quei piccoli istanti di felicità si riempiono di crepe, che si moltiplicano a gran velocità e diventano sempre più profonde fino a far andare quelle immagini in frantumi: i ricordi cadono al suolo come pezzi di vetro, polverizzandosi al violento impatto con la crudele realtà priva di compassione e pietà.

Adesso, resta solo una profonda e incolmabile disperazione, che di colpo incombe come un macigno."

In un mondo apocalittico basta poco, un istante, per precipitare nel baratro della disperazione.

[Breve storia introspettiva sul finale dell'episodio 10 di Cells at Work! BLACK e del corrispondente capitolo 7 del manga. In più, questa storia dovrebbe essere un tentativo di 2nd person POV, perché stavolta l'ispirazione mi ha portato in quella direzione... o, almeno, ci ho provato.

Ormai lo sapete: a questo punto della trama la storia è diventata più tragica di quello che già è... e credetemi: è stato difficile riuscire a mettere nero su bianco senza distogliere lo sguardo dal foglio per le troppe lacrime. Vi chiedo di perdonarmi per questo.]

 

 

recK427

Abyss.

 

 

 

 

Silenzio.

È tutto ciò che resta.

Un silenzio che è paradossalmente assordante, che rimbomba nelle orecchie e sconvolge l’anima nel profondo. Un silenzio che ha messo a tacere le urla di disperazione, lo stesso che ha fatto comprendere quanto fugace e terribile sia la vita di tutti coloro che lavorano in questo ambiente ostile. Un istante prima si è laggiù, a correre all’impazzata da un punto all’altro di questo mondo; un istante dopo, in un battito di ciglia, ci si ritrova senza vita, distrutti dall’attacco di feroci batteri.

Ma tutte le domande che ora vorresti rivolgere a qualcuno - anche se non sai bene a chi, se ai tuoi superiori oppure a te stesso - muoiono ancor prima di nascere. Il ritmo veloce di questa vita così maledetta incalza i sopravvissuti, e sembra voler spezzare questo silenzio che avvolge ogni cosa, perché la vita continua a scorrere, incurante e quasi irrispettosa dei cupi sentimenti che albergano dentro il cuore, senza lasciare nemmeno il tempo di rivolgere un ultimo pensiero a chi non c’è più.

Come se non stesse accadendo nulla di grave, la vita frenetica si ostina a entrare con prepotenza tra le quattro mura di una stanza solitaria - la tua -, sotto forma di suoni e rumori più leggeri e familiari, come quello degli avvisi lasciati nella buca delle lettere nel corso della giornata, o i messaggi che continuano ad accumularsi nella segreteria telefonica, inconsci del fatto che non ci sarà mai una risposta.

Il silenzio è più forte di loro, di quei rumori e suoni quotidiani che in questo momento sembrano più crudeli di qualsiasi lama conficcata nel petto. In una lotta che sembra infinita, più volte il silenzio trionfa su quelle parole che, nonostante tutto, continuano imperterrite a richiamare al ritorno in quella vita crudele e apparentemente priva di qualunque significato.

 

[«Ehi, per quanto ancora pensi di saltare il lavoro? Sai che siamo a corto di gente! Avanti, vieni!»]

 

Buio.

Non c’è alcuna luce accesa nella tua stanza. Persino quella che viene dall’esterno è soffocata dalle spesse tende che coprono i vetri della finestra, uno dei pochi punti di contatto dell’abitazione con il resto del mondo. Nella stanza regna un’atmosfera di totale isolamento dove questo buio nero come la pece è l’unico compagno che ti resta: il buio si sostituisce lentamente a quel silenzio così atroce e foriero di quelle mille domande senza risposta che affollano la tua mente.

A differenza del silenzio, il buio sembra quasi confortante: è in grado di comprendere la tua immensa sofferenza, che continua a scavare nelle profondità dell’anima fino a straziarle. Ti avvolge come il calore di un tè bevuto nei giorni in cui la temperatura di quell’ambiente lavorativo scende di qualche grado e, ad un tratto, è in grado di coprire del tutto i fastidiosi richiami che continuano a provenire dalla segreteria telefonica.

Il buio si dimostra più forte di qualsiasi cosa... e, all’improvviso, azzera qualsiasi fonte di rumore o suono. Così il tempo si ferma, e di colpo la vita che continua a scorrere al di fuori di quella stanza sembra congelarsi: non si odono più i passi veloci degli eritrociti che trasportano ossigeno, né i netti fendenti dei leucociti che colpiscono i batteri, né tanto meno le lamentele delle cellule comuni, anche loro stanchi di quel mondo colmo di oppressione e sfruttamento.

Il silenzio torna a essere sovrano, ma questa volta è un silenzio diverso. È un silenzio che fa riflettere: un silenzio nostalgico, che a poco a poco si riempie di dolci ricordi che contrastano - quasi fino a stridere - con i quotidiani scenari apocalittici che dominano questo mondo senza speranza e, forse, senza futuro.

Ricordi di sorrisi radiosi che in questo momento sembrano così lontani, quasi irreali, come se sono stati parte di un sogno e non di una realtà davvero vissuta, e che sapevano trasmettere un grande conforto; ricordi di consigli che solo all’apparenza sembravano fuori luogo ma che nascondevano una grande consapevolezza dei pericoli che dominano questo mondo atroce; ricordi di parole di supporto, in grado di consolare e spronare ad andare avanti nonostante tutto.

Uno sguardo gentile ricorre sempre in questi ricordi che si succedono l’uno dietro l’altro come fotogrammi di un filmato: uno sguardo palliativo, che era stato in grado di cancellare - anche solo per un attimo - tutto ciò che di terribile esiste in questo mondo; uno sguardo in grado di risollevare un animo affranto, carico di fiducia e di uno strano ottimismo verso questa vita dal sapore tragico.

Eppure... perché, ora, anche quello sguardo si è improvvisamente trasformato in qualcosa di diverso, carico di disperazione, la stessa che hai già visto sui volti dei tuoi colleghi?

L’ultima e tragica immagine di quello sguardo che si tinge di terrore. Un’immagine stai cercando di negare con tutte le tue forze - invano.

Così, nel profondo di quel silenzio, le lacrime tornano a scorrere. Tutti i ricordi legati a quei piccoli istanti di felicità si riempiono di crepe, che si moltiplicano a gran velocità e diventano sempre più profonde fino a far andare quelle immagini in frantumi: i ricordi cadono al suolo come pezzi di vetro, polverizzandosi al violento impatto con la crudele realtà priva di compassione e pietà.

Adesso, resta solo una profonda e incolmabile disperazione, che di colpo incombe come un macigno.

 

Lacrime.

Di lacrime ne hai versate tante - forse troppe - da quando hai iniziato a lavorare. Sono sempre state lacrime di angoscia di fronte alla fragilità della vita: troppi caduti per l’insensibilità di questo organismo, vittime troppo vicine a te. In questo ambiente lavorativo non c’è mai stato spazio per la gioia, per la distrazione, per il riposo: qualsiasi azione che ha cercato di andare controcorrente è stata destinata ad avere una breve durata e finire nell’oblio.

Nulla è cambiato, e nulla sarebbe mai cambiato.

Sei parte di un mondo che è in grado di azzerare ogni forma di sentimento, di ridurre tutti a esseri senz’anima, al pari di quei misteriosi macchinari che, di tanto in tanto, fanno la loro comparsa nei momenti di difficile soluzione. Sentimenti come l’affetto verso un collega e la gioia di vivere dei momenti felici sono ingenui, anzi: sono inutili per questo mondo, dove la parola d’ordine è sempre stata e continua a essere una sola.

[Lavorare.]

Una parola che hai ascoltato in ogni singolo secondo della tua vita, una parola pregna di freddezza, completamente svuotata di quei caldi sentimenti ai quali ti stavi abituando - e dei quali avevi sempre sentito di aver bisogno per riuscire a rialzarti ogni volta che lo sconforto assaliva i tuoi pensieri.

Avevi ancora bisogno di tutto questo. Soprattutto, senti ancora di aver bisogno di quel sorriso che ti ha accompagnato in tutta la vita, fin da bambino; un sorriso che ti è sembrato di aver intravisto anche in quell’eroico sacrificio, un’espressione che aveva brillato come una piccola luce nell’oscurità in quell’ultimo atto di grande amore fraterno.

In un attimo, in quel momento drammatico, di quel sorriso non c’era stata più alcuna traccia.

Era svanito, insieme a tutto il resto.

 

Perché siamo venuti al mondo?

 

A quella domanda non riesci a trovare una risposta.

Quella perdita è stata troppo dolorosa per te: nel giro di pochi secondi hai perso una parte del tuo mondo, proprio quella parte che ti aveva sempre risollevato dall’amarezza... e vorresti fare di tutto pur di tornare indietro nel tempo e rivivere quei momenti nei quali anche il tuo sorriso - insieme al suo, a quello del tuo migliore amico - brillava come non mai.

Però sai già che tutto ciò è impossibile: hai perso quel prezioso pezzo del tuo mondo per sempre, e niente potrà mai rimpiazzarlo.

Quel senso di vuoto che ora avverti al centro del petto si sta espandendo sempre più, arrivando a divorarti del tutto.

Fino al punto in cui non senti più dolore.

Fino al punto in cui le lacrime smettono di cadere dagli occhi e i singhiozzi cessano di esistere.

 

Ne ho abbastanza.

 

La profonda angoscia che hai provato finora sembra essere stata sepolta per sempre, dopo aver lasciato spazio all’apatia che ti ha tolto le forze e ti rende incapace di qualsiasi movimento.

A poco a poco, nella tua mente si fa strada una nuova consapevolezza, quella dell’inutilità delle tue azioni. L’entusiasmo, gli sforzi profusi nel lavoro: nulla di tutto ciò sarebbe in grado di cambiare lo stato delle cose attuali.

Qualsiasi azione non servirà a niente. È questa l’amara verità: la situazione resterà sempre la stessa.

A questo punto, non ti resta che giacere immobile nel tuo letto, con gli occhi rivolti verso un punto non definito della stanza, e lasci che il mondo torni a scorrere... ma questa volta senza di te.

 

«No, basta. Non voglio più lavorare.»

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Adesso come tre anni fa...

Ho sentito il bisogno di gettare due scarne righe dopo quell'episodio del BLACK. (Siamo tutti d'accordo sul fatto che abbiamo avuto un'allucinazione collettiva, sì? Perciò questa storia è solo una What if che ho scritto solo per farvi soffrire e... magari, cari lettori: magari lo fosse. ;_____;)

Grazie al cielo non sono l'unica ad aver letto il manga e a soffrire come un cane nel vedere l'anime... perché in questi casi si potrebbe pensare "Dato che hai già letto il manga e sai già come va a finire la storia, sarai già abbastanza forte per certe scene".

Invece no, vi assicuro che non è vero. Non si è mai pronti per rivedere certi avvenimenti e soffrire ancora una volta... anzi: forse, questa volta è stato anche peggio. Vi assicuro che, a differenza del capitolo 7 del manga, ho fatto e sto ancora facendo una gran fatica a rivedere l'episodio per intero: sarà l'animazione... ma è troppo straziante.

So già che qualcuno di voi potrà dirmi "Ma è solo una serie con personaggi inventati; perché la stai facendo troppo drammatica?" Però vi assicuro che è così: quando ti affezioni a un personaggio (di qualsiasi serie) e quest'ultimo lascia la storia in uno dei modi più atroci che esistono sulla terra, soprattutto se si tratta di un personaggio che - nonostante i suoi "difetti" - era un angelo... caspita se la sua scomparsa fa male.

Quindi, cosa fai in quanto creatore di contenuti destinati a fan come te? Crei un'opera, che sia un'immagine o una fanfiction come in questo caso, nella quale ci metti i tuoi sentimenti e le emozioni che hai provato - che stai ancora provando - di fronte a quella scena che ti sta facendo soffrire al sol pensarci.

Per tale motivo, questa volta non ho altro da aggiungere. Spero che la mia storia sia stata in grado di rendere ancora più cristallini i sentimenti del protagonista... e un po' quelli che tutti noi stiamo provando.

 

(Comunque, a proposito di quel sorriso che nel mio testo si intravede proprio un secondo prima che... insomma, accade ciò che è accaduto... purtroppo è inventato, anche se nel manga l'espressione di disperazione pare essere molto meno intensa di quella mostrata nell'anime. Non vi nascondo che mi sarebbe piaciuto vedere una cosa del genere: a mio parere sarebbe stata ancora di più la degna conclusione della vita di quel protagonista che abbiamo amato come un fratello e che è stato in grado di affrontare le sue paure proprio alla fine, arrivando a sacrificarsi per salvare il suo amico. :') )

 

Alla prossima storia, nella speranza che sarà meno triste di questa che oggi vi ho presentato.

--- Moriko

 

 

   
 
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