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Autore: mask89    28/02/2021    30 recensioni
Due ragazzi, nati e vissuti in luoghi completamente diversi, vengono uniti dal destino. Verranno coinvolti nelle vicende del continente di Thauras, dove sono in atto oscure macchinazioni sin prima delle loro nascita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III

 

Si stava passando lentamente lo strigile sulle sue gambe. Uno dei pochi aspetti positivi di essere un combattente dell’arena era la possibilità di lavarsi spesso, con acqua calda e liscivia, nei casi più fortunati con del sapone. Un autentico lusso, poiché solo le persone più abbienti delle diverse città si potevano permettere un piccolo bagno privato. La maggior parte della popolazione si doveva accontentare di lavarsi in rozze tinozze di legno, una volta alla settimana, ad essere fortunata; oppure al fiume, se ne scorreva uno nelle vicinanze dell’abitato. Si cosparse il corpo con olio profumato; amava prendersi cura di sé stesso in quel modo, non per vanità o per narcisismo, ma perché era conscio che l’unico modo, per sopravvivere in quel mondo, fosse curarsi e allenarsi costantemente. Indossò una tunica leggera di lino grezzo e si avviò verso la sua cella, era del tutto sicuro che il suo schiavista lo stesse aspettando lì. Infatti, lo trovò che passeggiava nervosamente davanti al suo tugurio. Proseguì noncurante, non era la prima volta che lo vedeva in quello stato; non sarebbe stata la prima volta che lo avrebbe minacciato di morte o di sottoporlo a chissà a quale tortura. Era avvezzo al suo sbraitare spropositato, alle sue grida piene di vuote minacce, al suo fingersi padrone della situazione, quando in realtà era solo ostaggio del volere dei suoi clienti. Notò che, nella sua mano destra, aveva il bastone di legno che usava per picchiarlo, quando era troppo svogliato durante gli allenamenti. Si fermò. Era inutile proseguire oltre, non glielo avrebbe permesso.

«Tu, figlio di puttana, per colpa tua rischiavo di morire.»

«Respiri, parli e la tua testa si trova ancora attaccata al corpo.»

«Sei una macchina della morte! Tu devi uccidere in modo spettacolare e non intrattenere il pubblico con un balletto improvvisato.»

«Io faccio quello che mi pare e piace. Non quello che vuoi tu!»

«Lurido schiavo, come osi rivolgerti al tuo padrone in questo modo? A quanto pare non ti ho inculcato abbastanza educazione.» Si apprestò a colpirlo con la mazza.

Chiuse gli occhi pronto a ricevere il colpo, ma non arrivò mai. Li riaprì, una scena strana gli si parò davanti. Uno sconosciuto tratteneva per il polso il suo padrone.

«Non si tratta così un proprio sottoposto, specialmente dopo che è uscito vincitore da una faticosa battaglia.»

«E tu chi sei? Come hai fatto ad entrare qui? E poi, non sono cazzi tuoi, come tratto i miei schiavi. Ci faccio quello che mi pare con loro.»

«Ah, sì?» Ironizzò lo sconosciuto.

«Gli ho dato cibo, un tetto, uno scopo. Hanno l’obbligo di fare ciò che gli ordino. Ho il diritto di trattarli come meglio credo.»

«Che uomo caritatevole! Quanta magnanimità concentrata in un corpo così piccolo. Devo segnalarti al Re come miglior suddito dell’anno.»

«Tieni a freno il tuo sarcasmo. La schiavitù non è proibita in questo regno, perciò non faccio nulla di illecito.»

«E avresti ragione, se tu lo avessi regolarmente comprato al mercato degli schiavi. Ma non è così, vero?»

«Come osi dire una cosa del genere? È ovvio che l’abbia comprato al mercato.»

«Ah, sì? Quale? E quando?»

«Mercato di Laxos, quindici anni fa.»

«Laxos eh? Pensi che sia uno sprovveduto? Il mercato degli schiavi non è più attivo da oltre vent’anni lì, da quando un terribile maremoto ha distrutto la città. Pensavi forse, che nominare una città, la quale si trova a migliaia di leghe da qui, ti avrebbe salvato? Stolto!»

Lo schiavista sbiancò.

«Nessuno in questo Regno sa di questo avvenimento.»

 «Allora, lo hai acquistato o no?»

«Io…»

«Tu…»

«Non sono affari tuoi! Questo è il mio schiavo. Ho un regolare contratto che lo dimostra!» Urlò, cercando di ritrovare la sua solita baldanza.

«Un regolare contratto, eh? Allora, diciamo che se fossi vagamente interessato, potresti vendermelo...»

Il vecchio scoppiò a ridere.

«Tu sei un pazzo, credi che potrei mai vendere il mio miglior combattente? È una macchina da soldi, non lo venderei per nessuna cifra al mondo.»

«Neanche per ventimila scudi d’oro?»

L’uomo deglutì rumorosamente. Quello sconosciuto era veramente disposto a spendere così tanto? Non era possibile, bleffava.

«Cinquantamila.»

«Affare fatto.» Rispose prontamente.

Lo schiavista ed il giovane combattente guardarono lo sconosciuto basiti. Aveva appena dichiarato di essere disposto a spendere cinquantamila scudi, senza battere ciglio; l’equivalente della rendita delle terre di un anno del re. Chi era costui per potersi permettere una cifra del genere? E perché si era dimostrato così interessato a Caesar? Lo schiavista lo guardò diffidente. Non era affatto convinto della bontà di quell’affermazione.

«Dimostrami che hai cinquantamila scudi d’oro.»

Lo sconosciuto prese un campanellino dalla sua tasca e lo fece suonare. Poco dopo, entrarono due uomini trasportando un forziere, che aveva l’aria di essere molto pesante. Lo depositarono davanti al vecchio incredulo e lo aprirono. Conteneva una quantità spropositata di monete d’oro.

«Abbastanza convincente come prova?»

«Chiedo venia per aver dubitato di voi, signore. Sono solo un umile schiavista, abituato a misurare la vita in base alle esperienze che ha vissuto, e non in base alla forza delle parole e del comportamento di una persona.»

«Accetto le scuse. Ora il contratto.»

L’anziano uomo richiamò un altro suo schiavo, il quale accorse prontamente. Lo fece avvicinare al suo orecchio, dandogli delle istruzioni. Subito dopo, lo vide arrivare con un volumen, che consegnò direttamente al compratore, il quale lo esaminò con interesse.

«Sembra tutto in regola. Il forziere è suo, mentre lo schiavo viene via con me. È stato un piacere.»

«Oh, il piacere è stato tutto mio. Se dovesse essere interessato, ho altra merce che le potrei mostrare

«No, grazie. Tutto ciò che mi serve è già nelle mie mani.» Si voltò e prese l’uscita, seguito a ruota da Caesar e dai suoi servitori.

Durante tutto il percorso, che portava verso l’esterno, nessuno disse una sola parola. Il misterioso compratore sembrava più interessato ai cicli di affreschi, che decoravano il corridoio che portava sia all’esterno dell’anfiteatro, che al palco d’onore. Mentre, il guerriero sembrava assorto nei suoi pensieri. Si chiedeva il motivo, per il quale quella persona ignota, avesse speso quella cifra spropositata per acquistarlo. Era bravo, ma non valeva tutto quell’oro. Non sarebbe mai riuscito a fargli recuperare tutto quel denaro. Si grattò nervosamente tra i capelli rossi; usava farlo solo quando era particolarmente pensieroso o nervoso.

Tutta quella fiumana di gente che camminava per strada lo disorientava. Era abituato alla folla, ma di solito era ben distante sugli spalti. Raramente gli capitava di camminare in pieno giorno tra le persone affaccendate. Per lo più, le sue uscite avvenivano di notte, quando la città dormiva, per godersi quei pochi attimi di pace e serenità, che gli erano concessi. Lo seguì a fatica tra gli stretti vicoli della città; per essere un uomo di una certa età si destreggiava molto abilmente tra la gente. Ad un certo punto, lo vide fermarsi in una viuzza poco frequentata. Con un gesto della mano lo invitava ad avvicinarsi, mentre con l’altra faceva suonare il campanellino. Si fermò a pochi passi da lui.

«Che fai li impalato?»

«È inappropriato che uno schiavo si avvicini al suo padrone.»

«Tu non sei un mio schiavo!»

«Mi ha comprato ed ha il contratto che mi lega a lei. Sono il suo schiavo.»

«Questo?» disse tirando fuori il volumen dalla sacca in cui lo aveva messo. «Non esiste più.» Strappò la pergamena in diversi pezzi e gettò i resti in una pozzanghera di urina, lì vicina. «Sei un uomo libero.»

«Ma cosa ha fatto?! Non potrò mai restituirle tutto quel denaro.»

«Quale denaro?»

«I cinquantamila scudi d’oro che i suoi servi hanno dato al mio ex-schiavista.» E si girò ad indicarli ma, con sua sorpresa, questi erano spariti. «Erano qui fino a qualche attimo fa» mormorò.

Lo sconosciuto scoppiò a ridere.

«Chi stavi cercando?»

«I due uomini che fino a poco fa erano con noi.»

«Oh, loro due! Li ho liberati dall’ipnosi qualche attimo fa, quando ho suonato la campanella che ho con me. Non male come trucco, eh?»

«Non sono qui per parlare di trucchi da quattro soldi. Chi sei? Perché hai pagato tutta quella cifra per me? Come farò a ripagarti? Lo ripeto, non ho nulla.»

«Hai ragione. Sono proprio un gran maleducato! Piacere, mi chiamo Davven e provengo del Regno di Atlas; ti cercavo da tempo, Ioan.»

«Hai sbagliato persona. Mi chiamo Caesar.»

«Nessun errore! Sei tu quello che cercavo. Per rispondere alle altre domande, non preoccuparti, non ho speso tutta quella cifra per riscattarti. Mai avuta tutta quella somma in vita mia!»

«Ah sì? E tutti quegli scudi d’oro?»

«Un’illusione creata dall’uso ipnotico del campanellino, un trucco davvero banale. Sono del tutto sicuro che il suo effetto sia già svanito. Ci conviene dirigerci il più velocemente possibile verso il porto, prima che il vecchio ci sguinzagli contro tutte le guardie della città. Una nave sta aspettando il nostro arrivo.» Cominciò ad incamminarsi, ma riuscì a fare a malapena pochi passi, poiché Caesar lo afferrò per il polso, bloccandolo.

«Spunti dal nulla, mi compri, mi liberi, dici di provenire da un regno che dista migliaia di leghe da qui, affermi che il mio vero nome sia Ioan e pretendi anche che io ti segua?»

Davven sospirò. Il ragazzo aveva pienamente ragione. Avrebbe voluto dirgli di più, spiegargli come stavano davvero le cose; raccontargli perché ci aveva impiegato tanto per trovarlo, ma il tempo stringeva. A convalidare quel presentimento ci penso la campana della guardia cittadina. Il trucco era stato scoperto prima del previsto. Lo schiavista aveva mosso tutte le sue leve politiche per far recuperare il suo prezioso combattente.

«Hai perfettamente ragione! Ti devo un sacco di spiegazioni. Ora, hai due possibilità: fidarti di me, seguirmi e, una volta giunti sulla nave, farmi tutte le domande del caso; oppure, rimanere qui e ritornare alla tua vecchia vita. Sai bene che le leggi di questo regno proteggono quei bastardi, che mercanteggiano in vite umane. A te la decisione.» E si incamminò.

Ioan lo guardò allontanarsi. Poi, lentamente, mosse il primo passo; successivamente, quei passi si trasformarono in corsa, permettendogli di raggiungere il misterioso Davven. Percorsero, nel modo più veloce possibile, quell’intrico di strade e viuzze, per giungere al più presto al porto. Un discreto numero di guardie era appostato sulla banchina portuale. Sfuggire sarebbe stato difficile, ma non impossibile.

«Perché non ricorri ad uno dei tuoi trucchi?»

«Non posso.»

«Cosa vuol dire che non puoi?»

«Il campanellino ha un’efficacia limitata nel tempo

«Che razza di illusionista da quattro soldi! Non sei nemmeno capace di replicare i tuoi trucchi!?»

Davven lo guardò di traverso. Nerboruto ed insolente; avrebbe faticato ad insegnargli le buone maniere.

«È complicato, ti darò tutte le spiegazioni al momento giusto.»

«Quindi?»

«Quindi useremo altre strategie.»  Prese un barattolo dalla sacca e lo aprì. «Tieni, spalmati questo colorante su quei capelli fulvi che ti ritrovi. Un altro tratto somatico meno appariscente no, eh?» Ioan lo guardò di traverso ed eseguì, controvoglia, l’ordine.

Gli passò un altro contenitore, con una diversa mistura. «È polvere di carbone, mista a grasso animale; cospargila sul viso.»

«Perché tutto questo?»

«Guardati bene intorno. Abis è conosciuta per essere una città con una forte vocazione mineraria. Quindi, non è raro vedere minatori al porto, specialmente quelli di carbone; ti confonderai come se fossi uno di loro. Prendi questo mantello logoro, avvolgiti bene e cerca di coprire il più possibile la tua corporatura. Imita una camminata claudicante. Vedi quella nave con la vela quadrata rossa? È il nostro obiettivo. Ora va!»

«E tu?»

«Non ti preoccupare per me! Inventerò qualcosa. Sei tu quello che cercano.»

Ioan si avviò verso la nave, non era a più di duecento metri dal punto in cui si trovava. Normalmente, avrebbe coperto quella distanza in pochissimi minuti, ma ora doveva essere più attento. Un passo falso, un’azione sospetta, avrebbe attirato l’attenzione di tutte le guardie lì presenti. Cominciò ad avanzare zoppicando vistosamente, sperando che la sua pantomima fosse credibile.

Era a metà del suo percorso, quando si sentì appellare da due guardie.

«Hey zoppo, fermati! Dobbiamo identificarti!»

Accelerò la sua andatura.

«Hey, stiamo dicendo a te! Fermati, o ti riduciamo ad un puntaspilli!»

Si bloccò, erano solo in due. Sarebbe riuscito a metterli fuori dai giochi in poco tempo. Poi avrebbe dovuto correre; la nave era vicina, le possibilità di riuscita non erano scarse.

I soldati erano quasi nelle sue prossimità, quando un boato si propagò per tutto il porto. Una densa cortina di fumo bianco si alzò dal deposito merci, posto alla sua destra, a centocinquanta metri circa. Le sentinelle distolsero l’attenzione da lui, per cominciare ad accorrere sul posto. Approfittò di quel trambusto per dirigersi, il più velocemente possibile, verso la sua meta. Era quasi arrivato, quando si vide affiancato da Davven.

«Piaciuto il diversivo?»

«Sei stato tu?»

«Sarò pur scarso come illusionista, ma sono un alchimista niente male! Quelle che hai appena visto sono due mie creazioni: una bomba esplosiva e una fumogena. Carine, eh?»

Ioan sorrise, quel tipo cominciava a stargli simpatico.

Salirono sulla nave. Appena misero piede sul ponte, la ciurma cominciò ad effettuare tutte le operazioni necessarie, per permettere alla nave di staccarsi dalla banchina. Il bastimento lasciò tranquillamente il porto.

 

Respirò a pieni polmoni l’aria di mare, profumava di libertà.


   
 
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