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Autore: Bored94    01/03/2021    0 recensioni
Le vite dei jōi4 (o una parte di loro) prima dell'incontro con Yoshida Shōyō
+ un capitolo extra dal punto di vista di Shōyō sensei
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata, Kotaro Katsura, Takasugi Shinsuke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo III: Takasugi Shinsuke

 

Il pugno di suo padre lo fece finire con il sedere per terra. Si pulì il sangue che colava dal labbro con una manica, ascoltando solo in parte ciò che l'uomo gli stava urlando contro. Le botte e le urla non erano una novità. Aveva dieci anni ormai ed era abituato a quelle reazioni da parte del padre, aveva imparato a muoversi con circospezione in casa propria, sapeva in quali orari poteva entrare e uscire indisturbato, quali risposte dare e come comportarsi. A volte però vederlo era inevitabile e in quei frangenti l'uomo aveva sempre un motivo per rimproverarlo o prendersela con lui.

In quel momento stava probabilmente urlando perché in quel periodo tornava spesso malconcio dai duelli con Gintoki, sicuramente stava blaterando qualcosa sull'onore e la reputazione.

La reputazione.

Come se a Shinsuke importasse della reputazione di quella famiglia.

Come se quella famiglia avesse avuto una reputazione da difendere.

Una volta, esasperato dai discorsi del padre che gli ricordava di comportarsi sempre in modo consono al suo rango di samurai, aveva sbottato che nessuno all'accademia li prendeva sul serio. Tutti sapevano che erano una famiglia di rango inferiore e fingere che non fosse vero era stupido e inutile. Quella sera aveva sperimentato il geta di suo padre.

«La prossima volta che creerai problemi verrai diseredato» sentì il padre urlare, questo lo riportò alla realtà e lo guardò, senza alzarsi da terra. Almeno questa è una novità, pensò. «Calma i bollenti spiriti e pensa a cosa vuol dire essere un samurai. Jinbei! Non dargli da mangiare!»

Shinsuke non protestò e si limitò ad andarsene in silenzio, rifugiandosi al tempio. Digiunare non era un problema, era un'altra delle punizioni di suo padre a cui si era abituato da tempo. Non voleva però dargli la soddisfazione di sentire il suo stomaco brontolare per la fame. Sarebbe tornato più tardi, una volta che la fame se ne fosse andata e che suo padre fosse stato chiuso nel suo studio.

Era seduto sulle scale del tempio, pensando che in realtà in quel momento aveva davvero fame e valutando quale fosse il rischio di provare a rubare qualcosa dalla cucina al suo ritorno, quando vide arrivare Katsura. In qualche modo l'amico sapeva sempre dove trovarlo.

«Stupida nonna. Le ho sempre detto che mangio solo gli onigiri ripieni di prugne» Takasugi gli rivolse uno sguardo poco convinto «quindi perché ci ha messo il tonno e la maionese? Fa niente. Mi sa che li lascerò al tempio come offerta.» Il bambino continuò a guardare Katsura mentre quest'ultimo fingeva di non essersi accorto di lui e di star semplicemente pensando ad alta voce, se ne stava addirittura andando senza salutare o dare segno di aver notato la sua presenza.

«Katsura... ma tua nonna non è morta tanto tempo fa?» sapeva che quella domanda non c'entrava nulla e che avrebbe semplicemente dovuto ringraziare, ma non era abituato a gesti del genere nei suoi confronti, si sentiva leggermente a disagio. In un certo senso era contento che l'amico avesse fatto finta di non vederlo e avesse lasciato lì gli onigiri come se nulla fosse.

«Takasugi, hai trovato qualcosa?» gli chiese Katsura, ignorando il suo commento.

«No, niente. Ho capito che sono debole. Ho capito che ci sono un sacco di persone più forti di me là fuori. Voglio diventare un samurai più forte di loro.»

Quella sera tornò a casa dopo aver spazzolato gli onigiri portati da Katsura e aver chiacchierato con lui per un po'. Il bambino dalla coda di cavallo gli piaceva: non era come quegli altri snob dell'accademia ed era effettivamente un avversario con il quale valesse la pena confrontarsi. Lo aveva scoperto per puro caso quando alcuni insegnanti lo avevano chiamato per mettere alla prova un novellino che voleva entrare all'accademia, poco più di un anno prima. Aveva accettato perché gli sembrava un modo come un altro per scacciare la noia e aveva finito per scoprire un avversario interessante. Con il tempo il loro rapporto si era evoluto e, essendo entrambi esclusi dai propri compagni per il rango sociale e per il loro atteggiamento, avevano finito per legare.

Non che Katsura fosse come lui. Assolutamente.

Takasugi era un piantagrane e non faceva altro che rispondere alle provocazioni dei compagni, infastidendoli ancora di più quando durante gli allenamenti li sconfiggeva uno dopo l'altro con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia, sbattendogli in faccia quando fossero incapaci.

Katsura dal conta suo tendeva a rimanersene sulle sue e a impegnarsi negli studi, questo insieme alla sua fama di essere un bambino prodigio, lo aveva reso insopportabile ai compagni che pensavano si desse troppe arie per essere uno zotico che frequentava l'accademia solo grazie a una borsa di studio. Il fatto che "lo zotico" avesse risultati migliori dei loro in tutte le materie non aiutava ad accrescere la sua popolarità.

A differenza dei loro compagni, Takasugi lo trovava molto interessante e si divertiva a sfidarlo di tanto in tanto, anche se Katsura non era mai troppo entusiasta dei loro duelli. Inoltre aveva l'abilità di comparire nei momenti più utili, come in quel momento con gli onigiri, o qualche giorno prima quando erano stati minacciati dai fratelli maggiori dei loro compagni.

Entrando nella casa silenziosa, Takasugi pensò di essere sfuggito a suo padre e di potersene andare a dormire senza doversi sorbire una seconda ramanzina. Si sbagliava.

«Ti sembra questa l'ora di tornare?»Shinsuke sussultò e si girò di scatto verso l'angolo della corridoio da cui aveva sentito arrivare la voce di suo padre. «Dove sei stato?»

Il bambino fece involontariamente un passo indietro, sulla difensiva. «Ero in giro, mi hai detto di non cenare.»

«Eri ancora con quel moccioso, vero?» Takasugi si morse la lingua, a suo padre non andava a genio Katsura, diceva che uno come lui avrebbe dovuto frequentare la scuola del tempio, non di certo una prestigiosa accademia militare. In un'altra occasione avrebbe risposto in modo pungente, ma era tardi, erano soli e le aveva già prese quel giorno. Voleva solo andarsene a dormire.

«Cosa fai? Non rispondi?» scelta sbagliata, ma esisteva poi una scelta giusta? Il padre lo afferrò per un braccio e lo strattonò nella sua camera. Una volta lì, gli mollò uno schiaffo che gli fece girare la testa di scattò e lasciò uno segno rosso sulla sua guancia. «Devi rispondere quando ti viene fatta una domanda.»

Il bambino non si azzardò ad alzare lo sguardo, sentiva la guancia bruciare e la presa del padre sul suo polso era troppo stretta, inoltre stava tenendo il suo braccio in una posizione tale che per Shinsuke era impossibile scappare senza farsi male.

Un altro schiaffo. «Allora?»

«Sì. Ero con Katsura» rispose alla fine in un soffio. Il pugno nello stomaco lo prese alla sprovvista e dovette lottare con tutte le sue forze per non vomitare. Se suo padre avesse scoperto che aveva mangiato sarebbe stato ancora peggio.

«Quante volte ti ho detto che devi lasciar perdere quel moccioso? Eh? Devi girargli al largo, hai capito?» disse afferrandogli il viso e girandolo a forza verso di sé. La presa era così stretta da fargli male e il bambino annuì per farlo smettere.

Finalmente l'uomo lo lasciò andare e lo spedì a letto, per poi uscire sbattendo la porta. Takasugi si infilò nel futon e iniziò a massaggiarsi il polso e la spalla, facendo dei lunghi respiri. Si sentì infastidito dalla propria debolezza. Si era ripromesso di non farsi più spaventare da quell'uomo e invece si era comportato da codardo, aveva accettato di non vedere più l'unico amico che aveva (anche se non aveva assolutamente intenzione di mantenere la parola) e adesso era lì raggomitolato nel futon a tremare con gli occhi che gli bruciavano.

Non ricordava esattamente quando suo padre aveva iniziato a picchiarlo, ma gli sembrava che fosse così da sempre. La prima volta di cui aveva ricordi chiari risaliva a qualche anno prima, a quando ne aveva circa sei o sette: era tornato a casa sporco perché si era azzuffato con altri bambini, poiché lo avevano preso in giro dicendo che era povero. Suo padre non aveva reagito bene allo stato dei suoi vestiti o ai segni viola sparsi su tutto il corpo. All'epoca suo padre lo terrorizzava. All'inizio, quando lo puniva, scoppiava a piangere e lo supplicava di smetterla, scusandosi e promettendo che avrebbe fatto il bravo, ma suo padre non lo aveva mai ascoltato. Così aveva smesso di piangere e di supplicare. Durante il giorno riusciva a mettere su una faccia spavalda, di solito riusciva a filarsela dopo il primo schiaffo o il primo pugno, ma di sera non era così semplice. Suo padre sembrava più grande e spaventoso. A volte invidiava Katsura: lui viveva da solo, ma almeno nessuno lo picchiava. Non doveva avere paura di girare in casa propria o di rivolgere la parola al proprio padre.

 

Nei giorni seguenti accantonò in un angolo del proprio cervello quanto accaduto con il padre e andò nuovamente con Katsura alla Shōka Sonjuku, doveva sfidare di nuovo Gintoki. Lo avrebbe battuto prima o poi. Non si sarebbe arreso finché non ci fosse riuscito.

 

«Punto!»

Ci era riuscito. Rimase per un attimo a fissare il bambino dai capelli d'argento disteso al suolo, mentre gli altri studenti iniziavano ad urlare ed esultare.

«Fantastico!» urlò qualcuno e Shinsuke si trovò circondato da altri bambini entusiasti per l'incontro a cui avevano appena assistito.

«Sei riuscito a sconfiggere Gintoki! Incredibile!» Takasugi si guardò attorno, non capendo cosa stesse succedendo.

«Ce l'hai fatta! Ottimo lavoro! Hai resistito!» esultò un altro.

Perché quei bambini sconosciuti stavano esultando per la sua vittoria? Non erano amici e lui aveva appena sconfitto uno di loro. Avrebbero dovuto essere arrabbiati. «N-non fate gli amiconi con me» protestò, preso in contropiede. «Non siamo mica compagni di classe!»

Gli altri studenti continuarono a ridere, per nulla impressionati dalla sua risposta. Perché non lo stavano cacciando via?

«Oh non lo siete?» li interruppe una voce alle sue spalle. Il sensei Shōyō aveva seguito il combattimento dall'inizio alla fine. «E io che pensavo ti fossi già unito alla nostra scuola. Voglio dire, eri così felice di allenarti tutti i giorni... no,» si fermò pensieroso prima di sorridere di nuovo «a sfidare il dōjō.»

I bambini scoppiarono nuovamente a ridere, mentre lui distoglieva lo sguardo imbarazzato.

Gintoki, ancora inginocchiato a terra, protestò. «Ehi! Cos'è tutta questa felicità? È uno sfidante di un altro dōjō! Ha attaccato il nostro dōjō! Ha preso la verginità della mia sconfitta!» Gin smise di urlare solo quando Katsura gli appoggiò una mano sulla spalla.

«Non siamo più avversari. Prepariamo insieme degli onigiri» tipico di lui, cercare di farsi amici in posti improbabili. Tipo in un dōjō che avevano appena sconfitto. Fu la risposta di Gintoki a sorprenderlo.

«Non siamo più avversari... ma tu chi sei?!» aveva ancora lo stesso tono da provocatore, ma... davvero non era arrabbiato per la sconfitta allora? Era solo un attaccabrighe come lui? «Perché dovrei mangiare degli onigiri preparati da un completo sconosciuto?!»

«Chi ha detto che devi mangiarli? Li devi solo preparare» la risposta illogica di Katsura scatenò nuove vivaci proteste da parte del bambino dai capelli d'argento.

«Che razza di rito sarebbe questo?!»

La situazione divenne gradualmente più assurda fino a quando Shōyō non mangiò uno degli onigiri senza permesso facendo scoppiare tutti a ridere. Suo malgrado anche Takasugi si trovò a ridere come non faceva da molto tempo. Sia gli studenti che l'insegnante in quel posto erano davvero strani, non sembravano affatto turbati dal fatto che Takasugi si presentasse praticamente tutti i giorni per combattere con Gintoki, o dal fatto che fosse riuscito a batterlo. Nessuno di loro aveva preso in giro lui e Katsura per tutte le batoste che Shinsuke aveva preso da Gin, nemmeno quest'ultimo aveva infierito particolarmente. Questo non sarebbe mai successo nella sua vecchia scuola. Sembrava li avessero accolti come due di loro, come se fossero... amici.

 

«Ehi tu» era ormai il tramonto e Shinsuke si stava incamminando verso casa, quando la voce di Gintoki lo raggiunse. «Sei Takasugi, giusto? Non darti delle arie solo perché hai vinto. Anche se questa volta sei riuscito a vincere per puro miracolo, quante volte ti ho battuto io?»

Il bambino dai capelli viola chiuse gli occhi e sospirò. A quanto pare si era sbagliato, Gin se l'era presa, semplicemente si stava comportando bene davanti al sensei. Doveva aspettarselo. Probabilmente adesso gli avrebbe detto di girare al largo dal suo amici e dal suo sensei. Dopotutto lui non era uno di loro.

«Se vuoi davvero sconfiggermi... se vuoi rifarti di tutte le sconfitte... torna di nuovo domani.»

Cosa? Lo stava invitando a tornare? Poteva tornare? Gli stava davvero solo dicendo di non montarsi la testa? Era la prima volta che qualcuno non se la prendeva con lui per averlo battuto. Anche prima che iniziasse a prendere in giro i propri compagni dell'accademia per essere più deboli di lui, quando semplicemente riusciva a batterli, loro non avevano mai reagito bene e lo avevano velocemente tagliato fuori.

«Ma questa volta vincerò io» concluse Gintoki tornando dentro alla scuola.
Shinsuke si sentì incredibilmente sollevato, per un attimo aveva temuto di non poter mettere più piede in quel posto, ma così non era stato. Poteva ancora tornare ad allenarsi con il sensei Shōyō, in mezzo a gente a cui a quanto pare lui piaceva, visto come avevano festeggiato la sua vittoria. E anche quel Gintoki non sembrava male, forse avrebbero potuto diventare amici, come con Katsura. Gli sarebbe piaciuto davvero tanto.

 

Quella piccola parentesi non durò a lungo. Iniziarono a circolare voci secondo cui il sensei Shōyō stava istruendo i bambini per creare una specie di piccolo esercito personale con lo scopo di rovesciare il governo. Inutile dire che suo padre lo aveva di nuovo punito per essere stato in quella scuola e lo aveva legato al ramo di un albero, sia come punizione, sia per assicurarsi che non scappasse di nuovo.

Takasugi rimase appeso per quella che gli sembrò un'eternità. Sperava davvero che suo padre andasse a slegarlo prima che venisse buio, in quel periodo faceva freddo la notte e gli era capitato alcune volte di restare appeso dopo il tramonto (non tutta la notte, solo per un po'), lo odiava. Con il buio non era più in grado di vedere nulla e ogni rumore che sentiva lo faceva scattare sull'attenti, i sensi acuiti al massimo per capire di cosa si trattasse: una persona che si stava avvicinando? Un animale sull'albero? Il vento che faceva strani suoni inquietanti tra i rami? Odiava non vedere nulla, non riusciva ad avere un quadro completo della situazione e lo faceva sentire inerme. Non essere in grado di reagire a eventuali pericoli lo spaventava a morte. La prima volta che suo padre lo aveva appeso a un albero aveva otto anni. Non ricordava più cosa avesse fatto per meritare quella punizione, ma ricordava ancora ciò che aveva provato restando appeso da solo al buio.

A quel punto aveva smesso da tempo di cercare di impietosire suo padre con le lacrime e con le suppliche, quindi se n'era rimasto in silenzio con le orecchie tese e gli occhi sgranati. Registrava ogni fruscio, ogni ombra... il minimo movimento e rumore erano fonte di ansia. Poi aveva iniziato ad autosuggestionarsi. Alla fine non ce l'aveva più fatta e aveva iniziato a piangere, spaventato dalle strane forme che assumevano le ombre nel cortile e dagli scricchiolii e dai fruscii che sentiva attorno a sé e che facevano battere il suo cuore a mille. Suo padre era andato a liberarlo dopo quelle che gli erano sembrate ore, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato in realtà.

Mentre era perso in quei pensieri, il sole era calato al di là dell'orizzonte. Fu l'arrivo di Katsura a richiamarlo alla realtà e Shinsuke non poté fare a meno di essere grato e sollevato di quella distrazione.

«Che piacevole vista» esclamò il bambino dai capelli lunghi. «C'è un cretino che vola nel cielo.»

«Già, c'è davvero una bella vista da qui. Riesco perfino a vedere un idiota.»

Katsura si appoggiò al muro del cortile. «Cosa farai d'ora in avanti?»

Takasugi mosse leggermente i piedi addormentati e distolse lo sguardo. «Non posso fare nulla» rispose demoralizzato. «Mi ha detto che verrò diseredato se metterò di nuovo piede in quel posto.»

«Capisco. Quindi anche tuo padre ha sentito quelle voci.»

Entrambi sapevano bene di cosa stesse parlando Katsura: le voci del presunto complotto del sensei si erano diffuse a macchia d'olio ed era solo questione di tempo prima che il governo facesse chiudere la scuola... o peggio.

 

Non avevano potuto fare a meno di intervenire, specie dopo che uno dei bulletti che li avevano minacciati tempo prima, uno dei fratelli maggiori dei loro compagni di accademia, aveva detto a Shinsuke che i loro genitori avevano denunciato Shōyō e presto il governo sarebbe intervenuto. Katsura aveva raccontato subito a Gintoki ciò che avevano scoperto, poi Takasugi aveva fatto in modo di trovarsi sulla strada in cui sarebbero passati gli uomini che volevano cacciare Shōyō. Non senza una certa sorpresa, vide arrivare Katsura.

«Takasugi. Non credi che sia un po' tardi per andarsene in giro così? Stavolta potresti venire diseredato veramente»

«Non c'è bisogno di preoccuparsi» rispose semplicemente Shinsuke. «Domani non avrò più un posto in cui tornare» dopotutto aveva dato il benservito a quegli stupidi bulletti. Suo padre non lo avrebbe mai perdonato questa volta. E in ogni caso Takasugi non aveva intenzione di scoprire quale sarebbe stato il prezzo da pagare per essere perdonato da lui. Era stanco di girare per casa propria cercando di non farsi notare o di pensare costantemente a ciò che avrebbe dovuto dire (o non dire) per non essere picchiato.

La verità era che a nessuno dei due bambini ormai importava più molto della loro vecchia vita. Katsura era consapevole che quella notte avrebbe perso la borsa di studio, come gli aveva fatto notare Takasugi, ma anche a lui piaceva la Shōka Sonjuku, così come gli piacevano il sensei Shōyo, Gintoki e gli altri studenti. Voleva restare con lui e i loro nuovi amici. Se per farlo doveva farsi espellere da quella noiosa accademia, allora lo avrebbe accettato di buon grado.

 

I loro desideri vennero esauditi quella notte. Poco dopo vennero raggiunti da Gintoki, pronto ad attaccare briga insieme a loro, ormai era chiaro che li considerava suoi compagni e i due non poterono evitare di sentirsi compiaciuti. La loro zuffa improvvisata venne però fermata da Shōyō, che accorgendosi che Gintoki era sparito, aveva dedotto cosa stesse succedendo ed era intervenuto, spaventando gli uomini che stavano per sguainare le loro katane contro dei bambini di dieci anni. Per un attimo i tre videro una luce diversa e sinistra comparire negli occhi del maestro, ma scomparve immediatamente quando rivolse di nuovo la sua attenzione a loro tre. Il pugno che ricevettero come punizione per il loro gesto avventato, non impressionò particolarmente i tre bambini, né smorzò il loro entusiasmo; dopotutto il sensei aveva accettato Takasugi e Katsura come suoi nuovi studenti e i due erano euforici, mentre Gintoki aveva appena guadagnato due compagni della sua età e che avevano capacità in grado di rivaleggiare con le sue. Tutti e tre erano convinti che da lì in poi le cose si sarebbero fatte molto divertenti.

 

Il primo periodo comportò una serie di cambiamenti nelle vite dei due bambini: Katsura era visibilmente su di giri, per quanto cercasse di comportarsi comunque in modo controllato. A quanto pare, si ritrovò a pensare Takasugi, vivere da solo gli era pesato più di quanto aveva voluto dare a vedere e adesso era semplicemente felice di non essere più costretto a cavarsela per conto proprio. Takasugi d'altra parte dovette abituarsi ai metodi poco ortodossi di Shōyō, non era affatto rigido come gli insegnanti dell'accademia, ma sapeva essere altrettanto esigente, senza però umiliarli. Inoltre aveva modi molto... esuberanti per dimostrare il suo entusiasmo. In più di un'occasione Shinsuke si era trovato a sussultare vedendo con la coda dell'occhio un movimento brusco da parte del maestro, sapeva che non lo avrebbe mai picchiato per punirlo, ma non riusciva a fare a meno di irrigidirsi. Non sapeva se Shōyō se ne fosse accorto, ma il dubbio gli venne un giorno che lui, Katsura e Gintoki avevano deciso di fare una sorpresa al maestro, questa era stata particolarmente gradita e il sensei si era lanciato su di loro ridendo. Li aveva afferrati e trascinati verso di sé, per poi stritolarli in un abbraccio di gruppo. In un primo momento Takasugi aveva cercato di liberarsi, non capendo cosa stesse succedendo, poi aveva visto il sorriso soddisfatto di Katsura e l'espressione fintamente annoiata di Gintoki e si era leggermente rilassato. Era una reazione normale quindi? Aveva rivolto un'occhiata dubbiosa a Shōyō e si era accorto che il sensei gli stava sorridendo in modo rassicurante. Shinsuke aveva distolto lo sguardo, paonazzo, mentre il maestro lo spettinava e iniziava a ridere davanti alle facce dei tre bambini, che non avrebbero potuto avere tre reazioni più diverse. I tre amici si guardarono e vedendo le rispettive espressioni non poterono fare a meno di scoppiare a ridere a loro volta, Takasugi compreso. Era al sicuro, nessuno gli avrebbe fatto del male in quella nuova casa.

Forse quella poteva diventare la sua famiglia.

  
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